I misteri dei Druidi
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All’inizio gli uomini godettero delle benedizioni della natura come fanno i bambini, senza chiedersi il perché. Era sufficiente che la terra donasse loro le erbe, che gli alberi producessero loro frutti, che il torrente placasse la loro sete. Essi erano felici ed ogni momento, ancorché inconsciamente, offrivano una preghiera di gratitudine a Colui che ancora non conoscevano.
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Anteprima del libro
I misteri dei Druidi - W. Winwood Reade
contadino
Libro Primo
L’Oscurità
Non vi è studio così rattristante né così sublime come quello delle antiche religioni dell’umanità, far risalire l’adorazione di Dio alla sua semplice origine e sottolineare il processo graduale di quelle degradanti superstizioni e riti profani che fecero cadere nell’ombra ed infine eclissarono la Sua presenza nel mondo antico.
All’inizio gli uomini godettero delle benedizioni della natura come fanno i bambini, senza chiedersi il perché. Era sufficiente che la terra donasse loro le erbe, che gli alberi producessero loro frutti, che il torrente placasse la loro sete. Essi erano felici ed ogni momento, ancorché inconsciamente, offrivano una preghiera di gratitudine a Colui che ancora non conoscevano.
E venne poi tra loro un sistema di teologia vago ed indefinito, come le acque del mare sconfinato. Essi dicevano tra loro che il sole, e la terra, la luna e le stelle venivano spostate ed illuminate da una Grande Anima che era la fonte di tutta la vita, che faceva cantare gli uccelli, mormorare i ruscelli ed ondeggiare il mare. Era un Fuoco sacro quello che brillava nel firmamento e nelle potenti fiamme. Era uno strano Essere che animava le anime degli uomini e che, quando i corpi morivano, ritornavano nuovamente a Lui.
All’inizio essi adoravano silenziosamente questa Grande Anima, e parlavano di Lui con rispetto, e talvolta alzavano timidamente gli occhi verso la Sua scintillante dimora.
E presso essi impararono a pregare. Quando coloro che amavano giacevano morenti, essi emettevano selvaggi lamenti e gettavano disperatamente le braccia verso l’Anima misteriosa; perché nei momenti di difficoltà la mente umana così debole, così indifesa, si aggrappa a qualcosa di più grande di sé. Fino ad ora essi adoravano solo il sole, la luna e le stelle – e non come Dei, ma come visioni di quella Divina Essenza che sola pervadeva la terra, il cielo ed il mare.
Essi Lo adoravano in ginocchio, con le mani giunte e gli occhi al cielo. Non Gli offrivano sacrifici, non costruivano per Lui templi; erano soddisfatti di offrirGli i loro cuori, che erano pieni di meraviglia, nel Suo tempio personale che era pieno di splendore. E si dice che vi sono ancora alcune isole barbariche dove gli uomini non hanno chiese né cerimonie e dove essi adorano Dio riflesso nel lavoro delle Sue mille mani.
Ma essi non furono soddisfatti a lungo di questa semplice religiosità. La preghiera, che prima era stata un’ispirazione, divenne un sistema e gli uomini, divenuti malvagi, pregarono la Divinità di dare loro abbondanza di pelli di animali selvatici e di distruggere i loro nemici.
Essi innalzarono eminenze, come se sperassero che Egli preferisse le preghiere di coloro che Gli erano più vicino a quelle dei loro rivali. Questa è l’origine di quel rispetto superstizioso dei luoghi elevati che fu universale nell’intero mondo pagano.
Nacque poi Orfeo. Ed egli inventò strumenti che al suo tocco ed alle sue labbra producevano note di straordinaria dolcezza e con queste melodie attraeva gli animali selvatici erranti nei recessi della foresta e qui insegnava loro, con armoniose parole, precetti di obbedienza alla grande Anima e di amore reciproco.
Così essi consacrarono i boschi e le foreste all’adorazione della Divinità.
Vi furono uomini che videro Orfeo e videro ed invidiarono il loro potere sulla moltitudine che lo circondava. Essi decisero di imitarlo e, avendo studiato questi barbari, si riunirono e si autoproclamarono loro sacerdoti. La religione è divina, ma i suoi ministri sono uomini. E ahimè! talvolta vi sono demoni con volti ed ali da angeli.
L’ingenuità degli uomini e la scaltrezza dei loro sacerdoti ha distrutto o corrotto tutte le religioni del mondo.
Questi sacerdoti insegnarono alla gente a sacrificare erbe e fiori della migliore qualità. Insegnarono loro formule di preghiera e ordinarono di fare molti omaggi al sole e di adorare quei fiori che aprivano le foglie quando esso cresceva e le chiudevano al tramonto.
Essi composero un linguaggio di simboli che era forse necessario fino a che non furono inventate le lettere ma che rese la gente confusa e li deviò dall’adorazione dell’unico Dio.
Così il sole e la luna vennero adorati come simboli di Dio ed il fuoco come simbolo del sole e l’acqua come simbolo della luna.
Anche il serpente venne adorato come simbolo di saggezza ed eterna giovinezza, perché rinnova la sua pelle ogni anno e quindi si libera di tutti i sintomi della vecchiaia ed il toro, il più vigoroso degli animali, le cui corna assomigliano a quelle della luna crescente.
I sacerdoti constatarono l’avidità con cui i barbari adoravano questi simboli e la incrementarono. Adorare il visibile è una malattia dell’anima intrinseca nell’umanità intera e la malattia che questi uomini avrebbero potuto curare fu da essi assecondata.
E’ vero che la prima generazione di uomini può avere visto questi come simboli vuoti di un Essere Divino ma è anche certo che, col tempo, il volgo dimenticò il Dio nel simbolo ed adorò solo ciò che i loro padri avevano onorato. L’Egitto fu la sorgente di queste idolatrie e fu in Egitto che i sacerdoti applicarono per primi attributi reali al sole ed alla luna, che chiamavano sua moglie.
Può forse essere interessante ascoltare la prima leggenda del mondo.
Dal centro del caos nacque Osiride ed alla sua nascita fu udita una voce proclamare Il governatore di tutta la terra è nato.
Dal medesimo utero oscuro e travagliato nacquero Iside, la Regina della Luce, e Tifone, lo Spirito dell’Oscurità.
Questo Osiride viaggiò in tutto il mondo e civilizzò i suoi abitanti ed insegnò loro l’arte dell’agricoltura. Ma, al suo ritorno in Egitto, il geloso Tifone progettò uno stratagemma e, nel mezzo di un banchetto, lo rinchiuse in una cassa che si adattava esattamente al suo corpo. Egli fu inchiodato nella sua prigione che, gettata nel Nilo, discese nella corrente verso il mare attraverso la bocca Taitica, che ancora al tempo di Plutarco non veniva menzionata dagli Egiziani se non con odio.
Quando Iside scoprì la triste notizia si tagliò una ciocca di capelli, indossò gli abiti da lutto ed errò lungo tutto il paese alla ricerca della cassa che conteneva il corpo morto di suo marito.
Alla lunga, venne a sapere che la cassa era stata trascinata dalle onde alla riva di Byblos ed aveva preso dimora tra i rami di un cespuglio di tamerice, che presto mutò e divenne un grande e bellissimo albero che crebbe attorno alla cassa così da nasconderla alla vista.
Il re del paese, meravigliato delle vaste proporzioni che l’albero aveva acquistato così velocemente, ordinò che venisse abbattuto e trasformato in un pilastro affinché sostenesse il tetto del suo palazzo – la cassa era ancora celata nel tronco.
La voce che aveva parlato dal Cielo alla nascita di Osiride rese note queste cose alla povera Iside, che andò alla riva di Byblos e si sedette in silenzio presso una fontana a piangere. Le damigelle della regina la videro e le si accostarono e la regina la nominò bambinaia del proprio figlio. Ed Iside sfamò il bambino con le proprie dita invece che con il seno ed ogni notte lo metteva nel fuoco per renderlo immortale mentre ella, trasformata in una rondine, volava intorno al pilastro che era la tomba di suo marito e lamentava il proprio infelice destino.
Accadde quindi che la regina la scoprì e gridò quando vide il proprio figlio circondato dalle fiamme. Con questo urlo ella ruppe l’incantesimo e lo privò dell’immortalità.
A quel grido, Iside mutò nuovamente nella propria forma di Dea e ristette davanti alla regina spaventata splendente di luce e spandendo dolci fragranze intorno a sé.
Essa aprì il pilastro, prese con sé la bara e la aprì in un deserto. Là ella abbracciò il freddo cadavere di Osiride e pianse amaramente.
Ritornò quindi in Egitto e nascose la bara in un posto remoto; ma Tifone, in caccia alla luce della luna, ebbe la sorte di trovarla e smembrò il corpo in 14 pezzi. Nuovamente Iside riprese l’estenuante ricerca in tutto il paese, traversando le paludi con una barca fatta di papiro. Recuperò tutti i frammenti eccetto uno, che era stato gettato in mare; ognuno di essi fu da lei seppellito nel luogo in cui fu trovato, il che spiega perché in Egitto vi sono tante tombe di Osiride.
Ed invece dell’arto perduto ella diede agli Egiziani il phallus – la cui disgustosa adorazione venne da lì portata in Italia, in Grecia ed in tutti i paesi dell’Est.
Quando Iside morì, venne seppellita in un boschetto vicino a Memphis. Sulla sua tomba fu eretta una statua ricoperta da capo a piedi da un velo nero. Ed ai piedi della statua furono incise queste divine parole:
Io sono tutto ciò che è stato, ciò che è e ciò che sarà e nessuno tra i mortali ha ancora osato sollevare il mio velo.
Sotto a questo velo sono celati tutti i misteri e gli insegnamenti del passato. Un giovane studente, le unghie coperte dalla polvere di venerabili pagine, gli occhi stanchi ed arrossati dal duro lavoro notturno, potrà tentare ora di sollevare un angolo di questa misteriosa e sacra copertura.
Queste due Divinità, Iside ed Osiride, furono i genitori di tutti gli Dei e le Dee dei Pagani, o erano questi stessi Dei che venivano adorati sotto differenti nomi. La leggenda stessa fu incorporata nelle mitologie degli Indù e dei Romani. Si dice che Sira mutilò Brahma come Tifone fece con Osiride e che Venere compianse il suo Adone assassinato così come fece Iside per il suo marito-dio.
Finora il sole e la luna venivano adorati solo con questi due nomi. E, come abbiamo visto, oltre a questi due spiriti gemelli benefici, gli uomini - che avevano cominciato a riconoscere il peccato nei loro cuori - avevano creato un Maligno che lottava con il potere della luce e lottava con loro per le anime degli uomini.
E’ naturale per l’uomo inventare qualcosa di peggiore di se stesso. Anche nella teologia degli Indiani d’America, che è la più pura del mondo moderno, si trova un Mahitou, o Spirito oscuro.
Osiride, o il sole, veniva ora adorato in tutto il mondo, anche se sotto nomi diversi. Egli era il Mithra dei Persiani, il Brahma dell’India, il Baal o Adone dei Fenici, l’Apollo dei Greci, l’Odino della Scandinavia, il Hu dei Britanni ed il Baiwe dei Lapponi.
Iside ricevette anche i nomi di Islene, Ceres, Rhea, Venere, Vesta, Cibele, Niobe, Melissa – Nehalennia nel Nord, Isi tra gli Indiani, Puzza tra i Cinesi e Ceridwen tra gli antichi Britanni.
Gli Egiziani furono sublimi filosofi ed imposero al mondo la teologia. Ed in Caldea nacquero i primi astrologi, che guardavano i corpi celesti con curiosità così come con rispetto e che fecero divine scoperte e chiamarono se stessi Gli Interpreti di Dio.
Ad ogni stella diedero un nome ed a ogni giorno dell’anno diedero una stella.
Ed i Greci ed i Romani, che erano poeti, ammantarono questi nomi di leggende. Ogni nome era una persona, ogni persona era un dio.
Da queste storie di stelle ebbero origine gli angeli degli Ebrei, i genii degli Arabi, gli eroi dei Greci ed i santi della Chiesa Cattolica Romana.
Ora, la corruzione crebbe sulla corruzione e la superstizione gettò un orribile velo nero sulle dottrine della religione. Una religione è perduta nell’istante in cui perde la propria semplicità: la verità non ha misteri – solo l’inganno si nasconde nell’oscurità.
Gli uomini moltiplicarono Dio in mille nomi e Lo crearono sempre a propria immagine. Ed ora Lui, che un tempo veniva considerato non degno di alcun tempio che fosse meno nobile del pavimento della terra e della vasta volta del cielo, essi adorarono in caverne e quindi in templi fatti di tronchi d’albero rozzamente scolpiti e disposti in file ad imitazione dei boschetti, con altri tronchi posti sopra di loro trasversalmente.
Tali furono le prime costruzioni di adorazione erette dall’uomo non per venerazione della Divinità, ma per mostrare ciò che senza dubbio essi concepivano essere una stupenda opera d’arte.
Può non essere inutile ricordare ad alcuni dei miei lettori che un essere superiore dovrebbe vedere gli eleganti templi dei Romani, le graziose pagode dell’India e le nostre cattedrali gotiche con sentimenti simili a quelli con cui noi contempliamo le rozze opere degli antichi Pagani, che pensavano essere Dio non degno dei frutti e dei fiori che egli stesso aveva fatto e gli offrivano i visceri degli animali ed i cuori degli esseri umani.
Potremmo paragonare un’antica religione decaduta alla nave degli Argonauti che i Greci, desiderosi di preservarla per la posterità, ripararono in così tante maniere che alla lunga non rimase un solo frammento di quel vascello che portò nella Colchide il conquistatore del Vello d’Oro.
Andiamo avanti di alcuni anni e contempliamo dunque la condizione di queste nazioni in cui nacque per prima la religione. Troviamo che gli Egiziani adorano la più comune delle piante, la più disprezzabile delle bestie (in realtà non esistono bestie disprezzabili – n.d.t.), il più spaventevole dei rettili. La solennità e la pompa delle loro assurde cerimonie li ha resi ridicoli davanti al mondo intero.
Clemente di Alessandria descrive uno dei loro templi (Poedag. lib. iii):
"I muri splendono di oro e argento e d’ambra, e brillano di gemme dell’India e dell’Etiopia: ed i recessi sono nascosti da splendide cortine. Ma se entrate nei