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La notte della Stella
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E-book287 pagine2 ore

La notte della Stella

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Fantascienza - romanzo (156 pagine) - Cosa sarebbe successo se, nell'ormai lontano 1988 la nebbia si fosse diradata anziché infittirsi e il Milan, anziché rigiocare il giorno dopo la gara di ottavi di finale di Coppa dei Campioni contro la Stella Rossa l'avesse conclusa e persa?


Novembre 1988, il Milan impatta male a San Siro contro i giovani della Stella Rossa e si gioca tutto al ritorno a Belgrado. Siamo agli ottavi di Coppa dei Campioni, e i rossoneri guidati da Gullit e van Basten stanno per iniziare un ciclo. Ma la nebbia al Marakana si solleva, e… Renato Villa, esperto di calcio e amante delle ucronie ci conduce stavolta per sentieri calcistici e ci abbozza una timeline inedita. E soprattutto, da filologo dell'est europeo, ci porta a conoscere un mondo poco noto, la Jugoslavia ancora unita di fine anni '80, le tensioni sportive, i nascenti nazionalismi e come il calcio ancora alla vigilia della guerra civile poteva fare da collante alla fine dell'illusione costruita da Tito.


Renato Villa, innamorato di sport e arti varie, è scrittore e poeta a tempo perso, oltre che “insegnante precario per passione”. Si è autoprodotto Ballate di uomini e vicoli, antologia di racconti ambientati nella sua Genova, che essendo timido ha pubblicato via Amazon, e sta per pubblicare Vite in testacoda con Urbone Publishing. Ha partecipato a vari concorsi per poesie e racconti, tra i quali il RiLL e Bordighera/Racconti liguri. Nel 2020 ha collaborato come curatore ed autore alla raccolta Cavalieri d'acciaio per l’editrice Cento Autori.

LinguaItaliano
Data di uscita18 mag 2021
ISBN9788825416237
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    Anteprima del libro

    La notte della Stella - Renato Villa

    Autori.

    Prologo

    Tutto ebbe inizio alla fine del campionato 1987\88.

    La Crvena Zvezda aveva appena vinto il titolo, e tutti i tifosi stavano pensando alla futura Coppa dei Campioni.

    Io ero uno di loro.

    Con un gruppo di amici e compagni di curva mi trovavo nel solito vecchio bar, sotto casa, e leggevo le ultime notizie sui futuri giocatori della Zvezda.

    Era un’interessante caccia ai giovani.

    Pareva che stessimo cercando di acquistare due dei migliori talenti del calcio del nostro paese, due ragazzi che avevano impressionato durante la stagione appena terminata.

    Uno era un centrocampista capace di fare tutto, dal mediano al regista al trequartista, un biondino che sembrava esile e che non lo era, dai piedi fatati e dal cervello fino. Veniva dalla Dinamo Zagreb, portava sulla schiena il numero sette e il suo nome era Robert Prosinecki.

    L’altro era un fantasioso e geniale trequartista, il classico numero dieci, che sembrava perennemente assonnato e al quale avresti offerto un caffè doppio appena a vederlo. Indolente, intuitivo, con un mancino spettacolare e con la solita caratteristica dei trequartisti, il farti giocare a volte uno in più e a volte uno in meno. La sua precedente squadra era il Buducnost Titograd e il suo nome, già più conosciuto, era Dejan Savicevic.

    Se fossero arrivati, la Zvezda sarebbe praticamente diventata un raduno di quella grandissima Jugoslavia under venti che aveva vinto il mondiale l’anno precedente. Con noi c’era già Dragan Stojkovic, Piksi per noi tifosi, un altro genio incostante e spettacolare che ci era entrato nel cuore immediatamente.

    Perché nel calcio jugoslavo ai tifosi non piace chi corre, combatte e lotta per tutta la partita. Quelli sono giocatori fondamentali, ma non attirano l’amore delle folle. Da noi i giocatori che entrano nel cuore sono i matti, i talentuosi, i geni assoluti, perché da noi il calcio è ancora un’arte.

    E noi cerchiamo ancora artisti, non artigiani.

    1.

    Quell’estate la squadra venne potenziata anche in altro modo, in altri ruoli. Era da tanto che non credevamo alla possibilità di giocarci la Coppa, quella che da sempre era il nostro sogno, la nostra ossessione.

    Così, al bar sotto casa, con i compagni di tante avventure, si analizzava tutto quello che poteva accadere al sorteggio.

    Da evitare, a tutti i costi, il Milan e il Real Madrid per la loro storia e il loro fascino internazionale. Sarebbe stata una sfida improba per i ragazzi giovani che avevamo in squadra, anche se sono sicuro che, dal punto di vista tecnico, avremmo potuto giocarcela alla pari.

    Poi, sarebbero state da evitare Steaua, Porto e PSV Eindhoven, le ultime tre vincitrici della Coppa dei Campioni. Tutte e tre erano squadre differenti l’una dall’altra, ma erano sostanzialmente letali. La Steaua era praticamente imbattibile sul suo campo, il fortino dei militari, come li chiamavamo noi, e poteva contare su un giovane fuoriclasse di nome Gheorghe Hagi. Il Porto era squadra di grande talento e che si esaltava nel suo stadio, e poteva contare sul fatto di essere la squadra probabilmente più esperta e pericolosa del lotto. Il PSV Eindhoven lo si definiva con una parola sola. Campioni. Perché loro la Coppa l’avevano vinta nel maggio precedente, battendo ai rigori il maledetto Benfica, che scontava ancora le parole di Bela Guttman, in una delle finali più noiose della storia del calcio.

    E, dopo di loro, c’era un lotto di squadre forti, che potevano tutte essere le sorprese della Coppa. Oltre alla Crvena Zvezda, cioè noi, ce n’erano diverse che avrei preferito evitare, almeno al primo turno. C’era il Celtic, il cui stadio era un ambientino paragonabile al Marakanà e che dava una carica incredibile ai giocatori, oltre al fatto che quella scozzese era una squadra di estrema nobiltà nel calcio europeo. C’era lo Spartak Mosca, che aveva interrotto il dominio assoluto e regale della Dinamo Kiev del Colonnello Lobanovski. C’era il Werder Brema, che aveva vinto una Bundesliga appassionante superando il Bayern Monaco grazie ad un solidissimo impianto di squadra. C’era il Bruges, unica squadra belga ad aver giocato una finale di Coppa dei Campioni e che era sempre difficile da affrontare. C’era il Goteborg IFK, che aveva vinto una Coppa UEFA solo due anni prima eliminando diverse grandi nel suo percorso. C’era lo Sparta Praga, che andava a periodi ma che pareva fosse in uno dei suoi momenti buoni, e che quindi era da evitare. E c’era il Galatasaray, che solo per l’ambientino infuocato era sconsigliabile, oltre al fatto che il calcio turco era in ascesa.

    Poi, c’erano le altre, quelle abbordabili.

    E, alla fine del mese, ci sarebbe stato il sorteggio, e l’avremmo visto in televisione, rubacchiandolo alla RAI, come ormai facevamo tutte le volte. Perché, sapete, in Jugoslavia la televisione italiana si prende abbastanza facilmente.

    2.

    Il bar era discretamente pieno, e il barista aveva appeso al muro le quote per il sorteggio. Sì, perché in quel bar si scommetteva sui risultati della Zvezda, e non si vincevano soldi ma crediti. C’era stato un periodo nel quale avevo avuto la fortuna di bere gratis, anche se avevo undici anni allora e mi toccava bere succhi di frutta.

    La squadra che, al momento, aveva la quota minore era il Vitocha Sofia. Forse non si credeva che si potesse incontrare una squadra così di livello medio all’inizio, o forse si sperava che il nome cambiato, a causa di una memorabile scazzottata in finale di coppa di Bulgaria, rappresentasse anche un calo nel valore della squadra.

    Quella che risultava più gettonata, forse a causa del fatalismo slavo, era il Real Madrid. Molta gente con la quale avevo chiacchierato in quei giorni se la sentiva, quella partita. Era certa che l’avremmo incontrato, il Real.

    A dire il vero, lo pensavo anch’io, ma non nel primo turno. Lì credevo ad un accoppiamento meno duro, anche perché in Europa di squadre veramente forti ce n’erano una decina, e su trentadue. Insomma, bastava che tutto andasse secondo logica e non avremmo avuto avversari poi così pericolosi.

    Al secondo posto dietro gli spagnoli, quasi a dimostrare quanto siano differenti le idee, c’era una grande decaduta, la Honved Budapest. Certo, non mi sarebbe dispiaciuto andare in Ungheria al primo turno, visto che probabilmente come squadra eravamo superiori e avremmo passato il turno senza problemi. Ma c’era sempre il problema di giocare al Nepstadion, che faceva sempre la sua impressione specie quando era pieno per le grandi sfide di coppa.

    E, al terzo posto, c’erano una squadra e un luogo che amavo sopra tutto sportivamente. A parte la Zvezda, ovviamente. Una squadra che faceva della sua storia e del suo essere qualcosa di unico. Il Celtic. Sarebbe stata una grande sfida, ma al primo turno sarebbe stato un peccato perdere una delle due. Sarebbe stato meglio giocare questa partita negli ottavi o, meglio ancora, nei quarti.

    La cosa ridicola era la squadra meno votata. Va bene che andare a giocare in Islanda a settembre non è il massimo, ma non è una buona ragione per non scegliere di giocare contro una squadra oggettivamente debole.

    Siamo proprio matti noi, se preferiamo il Milan o il Porto a una impronunciabile squadra islandese!

    Comunque, sabato vedremo cosa ci riserverà il sorteggio.

    Nessuno di noi è disposto a non passare il primo turno. Venderemmo l’anima al diavolo pur di arrivare nelle prime sedici, e gli venderemmo anche quella dei familiari per arrivare nei primi quattro posti. Ma tanto, l’anima non esiste.

    Ah, io, ve lo dico giusto per farvelo sapere, ho votato Dundalk. Il motivo è che votare Celtic non mi andava, era una sfida da quarti, e allora ho deciso per un’altra squadra celtica, ma non scozzese, irlandese.

    Vediamo se ci prendo.

    3.

    Il giorno del sorteggio il bar era tanto pieno che non si riusciva neanche ad ordinare da bere. Il televisore era sintonizzato sulla RAI, come accadeva ogni volta che c’era qualche evento di questo genere.

    La trasmissione iniziò con le solite chiacchiere, con l’analisi delle favorite e con gli eventuali rischi che potevano correre. Noi facevamo parte della terza categoria: le mine vaganti.

    Poi, mezz’ora dopo, iniziarono a sorteggiare la coppa UEFA. Trentadue partite da sorteggiare non sono poche, anche perché si deve lasciare un minimo di spazio per i commenti tra una squadra e l’altra.

    Fu un sorteggio lungo e interessante. La cosa però non ci toccava minimamente, non faceva parte delle nostre scommesse.

    Poi, toccò alla Coppa delle Coppe. Perché era giusto che si procedesse per importanza, e quindi alla seconda coppa per valore. Anche qui, ci si sarebbe potuti divertire nel vedere alcune partite. Ma non era il motivo per il quale tutti noi ci eravamo radunati lì, al bar. Noi aspettavamo il sorteggio della Coppa dei Campioni, che era ancora da venire.

    Alla fine, toccò anche alla Coppa dei Campioni.

    Si fece silenzio, nessuno in quegli attimi ordinò da bere. Il barista dispose sul bancone due file di bicchierini, e chi voleva andava a prendersene uno, e lui segnava su un taccuino il nome e la quantità di vodka consumata.

    Il primo accoppiamento fu quello del Werder Brema. Il secondo quello del Milan, che prese il Vitocha. Poi passarono lunghi minuti. Circa a metà del sorteggio uscirono Porto, Real e Celtic. Ormai erano rimaste otto squadre, e di quelle accettabili ne erano rimaste un paio. Le altre erano tutte affrontabili ma dure da battere.

    Fu sorteggiato il Dundalk.

    Sospirai. Era la mia speranza. E fu esaudita.

    Dundalk-Crvena Zvezda. L’avevo prevista, e quando esultai, primo fra tutti, alcuni amici mi guardarono perplessi e sorridenti. L’ottimismo paga, disse uno di loro.

    Ce l’avremmo fatta, e io avevo vinto un po’ di bevute gratis. Ma sapevamo tutti che quello sarebbe stato solo l’inizio. Perché dopo la sfida con gli irlandesi la strada sarebbe stata ancora lunga, e tortuosa.

    Perché tutte le favorite avevano avuto turni abbastanza tranquilli, e si sarebbero incontrate negli ottavi, come era ampiamente previsto.

    Ma l’avremmo visto due mesi dopo, a fine settembre.

    Adesso, mi potevo godere tutto agosto con una certa serenità.

    4.

    L’estate finì, e le chiacchiere iniziarono. Subito dopo il sorteggio molta gente si chiese come avremmo fatto, a vedere la partita in Irlanda. Cercammo, tra tutte le televisioni che riuscivamo a prendere, quella che avrebbe potuto trasmetterla.

    Forse, la vecchia cara Koper.

    In fondo, era una delle televisioni che si curavano di più del nostro calcio.

    Provammo ad informarci, in fondo non costava nulla. Qualche compagno che lavorava nel ramo decise di provare lui, e la cosa produsse pochi risultati.

    Però, pareva che la partita della Zvezda sarebbe stata trasmessa.

    Anche se non si sapeva da chi, ancora.

    Così, tra una vodka e una birra, passammo il rimanente dell’estate. In fondo, aspettavamo tre cose, noi ragazzi: l’inizio della scuola, l’inizio del campionato di calcio e l’inizio delle coppe.

    E se il primo era un inizio che potevamo anche odiare, perché studiare non piace a nessuno, specialmente a sedici anni, quando puoi sognare di fare una vita diversa, gli altri due erano cose che sarebbero state seguite con tensione fino alla fine, specialmente se la Zvezda avesse dimostrato di essere competitiva.

    E tutti noi sapevamo che lo era, competitiva.

    Sapevamo che si stava creando una grande squadra, bastava solo avere la pazienza di aspettare che i giovani venissero inseriti ed accettati.

    Era forse arrivato il momento giusto per entrare nella storia, per scrivere pagine di leggenda. E io ero convinto che l’avrei viste scritte, quelle pagine.

    Ero sicuro che sarebbe successo qualcosa di indescrivibile, che avremmo potuto raccontare per anni e anni ancora. Qualcosa che avrebbe oscurato la finale fatta dal Partizan più di vent’anni prima. Perché noi, in finale, ero sicuro che quando mai ci fossimo arrivati, avremmo vinto.

    Avremmo vinto, lo ripeto.

    5.

    Iniziò la scuola, e l’argomento principe era sempre lo stesso.

    La Zvezda.

    Campionato o coppe, poco contava. Si parlava quasi esclusivamente di lei, del nostro grande amore calcistico.

    Delle possibilità che aveva di tornare tra le grandi d’Europa, sia pure con una squadra così tanto ringiovanita.

    Dei sogni di tutti noi ragazzi che non avevamo visto giocare i campioni del passato, e che speravamo in quelli del presente e nel futuro per tornare a colorare Belgrado di bianco e rosso.

    Poi, c’erano tutte le materie di studio, che ci risultavano pesanti e fastidiose, perché ci toglievano dalla nostra occupazione primaria, lo sport.

    Perché noi tutti seguivamo il calcio, ma anche il basket, perché in Jugoslavia le società sono quasi tutte polisportive. E quando c’era Zvezda-Partizan di basket la differenza col derby di calcio non esisteva. Solo che loro avevano una squadra che dava diversi giocatori alla nazionale, noi un po’ meno. Loro avevano Vlade Divac. Era l’unico giocatore che gli invidiavo.

    I miei amici grobari, perché qualche amico mio tifa per loro, mi prendevano in giro per la mia ammirazione per quel loro giocatore. La mia risposta era sempre la stessa.

    – E perché, voi non ammirate forse Stojkovic? – dicevo, e loro erano costretti ad annuire. Non potevano negare la realtà dei fatti.

    E quindi, non potevo farlo nemmeno io.

    Però, quell’anno, si parlava delle possibilità che aveva la Zvezda di arrivare tra le prime quattro in Coppa dei Campioni. Tutti credevamo che la possibilità ci fosse, anche molti insegnanti, che ogni tanto partecipavano alle nostre chiacchierate, quando avevano finito la lezione.

    Il professore di chimica, un giovane alto e dinoccolato, era assolutamente convinto che ci sarebbe stata la possibilità di vincere la Coppa, che sarebbe stata la stagione giusta, a meno che non avessimo la sfortuna di incontrare l’unica squadra che avrebbe potuto crearci difficoltà su trentadue.

    Gli chiedemmo quale fosse, perché quell’anno di squadre forti ce n’erano tante, forse troppe. E lui fece una sua analisi della cosa.

    6.

    – Ora – disse, all’inizio di una lezione – anche nel calcio esiste una chimica. Perché, dovunque esistano elementi diversi da combinare, esiste una chimica – concluse.

    Ci stava interessando alla sua materia parlando di calcio.

    – La Zvezda è probabilmente la

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