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Il romanzo della grande AS Roma
Il romanzo della grande AS Roma
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E-book701 pagine8 ore

Il romanzo della grande AS Roma

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Info su questo ebook

Dal 1927 a oggi la storia del mito giallorosso

Unico grande amore

La storia dell’AS Roma ha inizio nel 1927. Dopo pochi anni sono già migliaia i tifosi che seguono la squadra a Campo Testaccio. L’entusiasmo cresce nella capitale grazie ai gol di Volk, primo grande goleador in giallorosso, alle prestazioni del “Fornaretto di Frascati”, Amedeo Amadei, e del primo capitano Attilio Ferraris, protagonisti del primo scudetto nel 1942. Sono gli anni in cui nasce la rivalità storica con la Lazio, la Juventus e l’Inter. Formazioni che la Roma non riesce sempre a battere, tanto che bisognerà aspettare la rivoluzione di Herrera, e poi quella di Liedholm, culminata nel 1983 nel secondo scudetto. La squadra attraversa anche momenti difficili ma è sempre in grado di rialzarsi. Perché la Roma “non si discute, si ama”. Basti pensare ai suoi grandi presidenti, Renato Sacerdoti, Dino Viola, Franco Sensi. Tutta Italia guarda con stupore e crescente interesse al fenomeno del tifo, che contagia un’intera città, e colora lo stadio Olimpico con coreografie piene d’amore. Come per lo scudetto del 2001, che ricordano bene tutti coloro che sono passati per Roma quell’estate. Una storia perfetta per un romanzo avvincente: è la storia della grande Roma e dei suoi tifosi.
Claudio Colaiacomo
è nato a Roma nel 1970 dove attualmente vive. Laureato in Fisica, lavora per una multinazionale olandese. Si occupa di sviluppo del potenziale umano. Coach professionista, insegna Mindfulness e pratiche meditative in azienda. Da diversi anni si interessa di storia romana antica e moderna. Con la Newton Compton ha pubblicato Il giro di Roma in 501 Luoghi, Roma perduta e dimenticata, I Love Roma, Keep calm e passeggia per Roma e Il romanzo della grande AS Roma.
LinguaItaliano
Data di uscita22 nov 2016
ISBN9788854170766
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    Anteprima del libro

    Il romanzo della grande AS Roma - Claudio Colaiacomo

    266

    I marchi, i nomi commerciali, i logotipi AS Roma sono di titolarità

    esclusiva della Soccer S.a.s. di Brand Management S.r.l.

    e il relativo utilizzo è rilasciato su licenza.

    Seconda edizione ebook: giugno 2017

    © 2016 Newton Compton editori s.r.l.

    Roma, Casella postale 6214

    ISBN 978-88-541-7076-6

    www.newtoncompton.com

    Realizzazione a cura di Librofficina

    Claudio Colaiacomo

    Il romanzo della grande

    AS Roma

    Dal 1927 a oggi, la storia del mito giallorosso

    A papà, che mi ha fatto romanista.

    «Vieni Claudio ti presento mio papà si chiama Cesare Augusto, è molto anziano… pensa che ha giocato nella Roma quando era una squadra appena nata, piccina piccina come te…».

    SERGIO FASANELLI

    Indice

    Introduzione

    Prologo

    Sacro e profano

    Pezzetti giallorossi

    Alba popolare e Fortitudo cattolica

    Chi rappresenta Roma?

    I. Alba

    Qui si fa la storia

    La prima sfida

    L’osteria

    Inizia il campionato

    Il primo trofeo

    Fuffo torna a casa

    Il campionato di Sacerdoti

    La serie A

    II. L’attaccante in più

    Cinodromo

    Monumenti

    Buona la prima

    …e pure la seconda

    Lo scudetto sfiorato

    Errori e scatti d’orgoglio

    Balletto a due

    Un messaggio per la Juventus

    III. Anni di cambiamento

    La zizzania torinese

    Caccia al colpevole

    La via errata

    Il corsaro nero, il coniglietto e la pertica

    Ferraris azzurro

    Ottovolante

    L’ebreo

    Si sfiora ancora lo scudetto

    La toppa

    Lazzaretto

    Gli anni della disillusione

    Er Fornaretto

    Coppa Italia che se ne va

    Crepuscolo

    Addio Campo Testaccio

    Venti di guerra

    IV. Finalmente lo scudetto

    Er nome Roma nun se piega e mai se doma!

    Da Augusto

    Pozione magica

    Ventidue gambe e un solo cervello

    È primavera!

    Vincere ovunque

    Lo sgambetto

    Pernigo!

    Rose gialle e rosse

    V. L’inferno esiste

    Sempre più giù

    Fermi tutti!

    La guerra è finita

    Amadei fa le valigie

    Bernardini allenatore

    Si è spenta la luce

    La spedizione dei Mille

    VI. La Roma non si discute, si ama!

    Una certa rinascita

    Amata serie A

    Et voilà!

    Quel Burini della Lazio…

    Zitto zitto arriva Giacomino

    La Befana vien di notte

    La piccola Europa

    La pergamena sepolta

    Con l’onore delle armi non si fanno punti

    Sacerdoti non andare via…

    Una stagione sbagliata

    L’amaro in bocca

    VII. Scherzetti ai cugini

    Il raggio di luna rubato alla Lazio

    Di nuovo la Befana…

    Mai così tanti

    Carletto!

    Piedone l’argentino

    Affari internazionali

    Macerie laziali

    Daje Roma daje!

    Core de Roma

    Birmingham

    Black Spider

    La vista dal tetto d’Europa

    VIII. Coppa Italia

    Giorgio

    Due galli nel pollaio

    Le interviste di Mirò

    La coppa coi fichi secchi

    La colletta per il conte

    Un mago per evitare il baratro

    Fascisti! Siete dei mafiosi!

    L’amore per il Bulldozer

    Pizzaballa che vale tre Rivera

    Capello romanista

    Il segreto di Oronzo

    L’ultima magia

    Cinica e spietata

    La macchia di Losi

    Animi inquieti

    Il dramma Taccola

    Spegni i riflettori e salva il derby

    La coppa vinta da Nando Martellini

    Una FIAT nuova di zecca

    Lo scudetto di Mussolini

    IX. Nel nome della Sud

    Troppo fragile quel Bruno Conti…

    Problemi arbitrali

    Agostino e Kawasaki

    Conti e il Barone

    A voi lo scudetto, a noi la curva

    L’aquila e la ragnatela

    Profanazione

    Assetati di vittoria

    Quel gol salva Lazio

    Il sassolino nello scarpino di Cordova

    Crack!

    Quando l’inno s’alzerà…

    Come un pugile all’angolo

    Maradona chi?

    Il parroco di Morazofra

    Parola di lupetto

    Brutti presagi

    16 minuti di B

    X. L’era Viola

    La zona dei ragionieri

    Cronaca nerissima

    A poker col diavolo

    La domenica delle manette

    E tre! Tancredi dice Roma

    Non sarà Zico ma va bene lo stesso

    Turone e la vecchia signora

    Non c’è nulla da scucire

    Il sinonimo vincente di Roma

    Partenze e arrivi mai arrivati

    La coppa non va in Porto

    La preoccupazione di Pertini e del papa

    L’esordio della sfortuna

    XI. Il secondo scudetto

    Diba libero

    Mazzone romanista

    Il test necessario

    Dolcetti e scherzetti

    In lacrime sotto la Sud

    Arriva lo squadrone…

    A Pisa segno io

    …Hai fischiato la Roma tricolore

    Fuori dalla prigionia del sogno

    Ferraris IV

    XII. Dannato Liverpool

    Ritorno in Svezia

    Ti amo

    Saranno dolori per tutti

    Di nuovo in marcia

    Magica

    Addio!

    Questa coppa resta a Roma…

    Overtime

    La coppa della bandiera

    XIII. Due di Coppe

    Anche gli Agnelli rosicano

    Tenetevi Giordano

    Che sarà sarà

    Svanisce il re, arriva il polacco

    Sveglia ragazzi!

    Il fiato dei lupi sul collo

    Aggancio!

    Masochismo

    La coccarda di piombo

    La resa dei Conti con Eriksson

    Il pomo della discordia

    La curva spezzata

    Il cuore di Franco non batte più

    La prima picconata

    Mister X

    Maradona scolaretto

    A fari spenti

    L’aquilotto al collo

    Radice di ferro

    La maledizione di Manfredonia

    Gloria giallorossa

    Come promesso…

    Atto finale

    Il lupo si fa toro

    Benedetta primavera

    Finale italiano

    Valzer doriano

    Che Dio ve furmini

    Nero

    Dài, scaldati!

    Fine di un’annata funesta

    XIV. La Roma nel cuore

    Pure i carovanieri di Timbuctu

    I principi scendono dal trono

    Un colpo al cuore

    L’arbitro della Roma

    Crazy Horse

    Pagelle

    Daje! Daje! Daje!

    Da 1 a 99

    Balbo Natale

    Signore e Signori

    Freddo dell’Est

    Che il 10 vada a Totti

    Bianchi, Sella e il traghetto del Barone

    XV. Sbuffi di fumo

    Centrocampo difensivo

    Venite allo stadio, c’è spazio per tutti

    Poker

    Farmacisti e matematici

    Figlio di…

    Valanghe di gol

    Questa fascia appartiene a te

    Da Romolo e Remo al grande boemo

    Trasfigurazione

    Questa guerra vale la pena?

    La purga

    XVI. In marcia verso il terzo scudetto

    Cambio della guardia

    Dal Giappone per sostituire il capitano

    Scherzi a parte

    Inutili scuse

    Da 9 a 18

    Gol e lacrime

    Urbis Nostra

    Maledetti Beatles

    Popolo giallorosso

    L’autostrada si colora di Roma

    Aritmetica

    Laterano

    Siamo noi

    Noi al Circo Massimo, voi massimo al circo

    Arte espressione d’amore

    L’estate intera

    XVII. Supercampioni d’Italia

    The show goes on

    Spero che la palla vada fuori

    Segno sempre io

    Lo sgambetto di Carletto

    Blaugrana

    Miracoli

    Milano di traverso

    Inerzia

    Vuoi Francesco? Comprati tutta la Roma!

    436 volte Pluto

    Puntiamo in alto

    Alta tensione

    Ammutinamento in famiglia

    La fuga

    Partenza maledettamente falsa

    Pezzi perduti

    Lezioni di leadership

    Capello caccia Delneri

    …E quattro!

    XVIII. La prima di Spalletti

    Inizia la sfida

    Due dosi

    Orfani

    La città del calcio

    Incantesimo

    Troppo romano

    Bagno con vista

    La maledizione del 7

    Veni Vidi Vici

    Daniè… tiralo tu…

    Gli scudetti si vincono con le piccole

    Luciano l’ispanico

    Grazie lo stesso

    La coppa che sembra uno scudetto

    Flirtando con lo straniero

    Discount

    Addio presidente

    El clasico

    Rivoglio la mia Roma!

    Sabbie mobili

    Coraggio

    Solo una carriera

    Lucky Luciano

    XIX. Arriveranno gli americani

    Er Sir Ranieri

    La Juve tornerà in B

    Sorpasso

    Kolarov vs Taddei

    Chi tifa Roma non perde mai

    Quote

    Così no

    Catenaccio

    Quattro P

    USA

    Roma non è stata costruita in un giorno

    Ironman

    Ki te kaka

    Senza il peso della Coppa…

    Barcellona giallorosso

    XX. James

    Rispetto

    Andreazzoli

    Lulić 71'

    Core Business

    Una telefonata dalla panchina

    Cambio panchina

    L’ultimo sorso

    Tutti attaccanti

    Blowing in the wind

    Condizioni normali

    XXI. Capitano, mio capitano

    Bob Marley

    Bello de nonna

    Nei nostri panni

    Zitta zitta…

    …rimane zitta

    Down Under

    Penniche

    Il feroce Saladino

    Roba da matti

    Disgusto

    Dalla Russia con furore

    Il vecchio

    Miracoli

    Il sogno si avvera

    Fino al 90° anno

    Esigue ambizioni

    E se il Crotone…

    Salsa agrodolce

    Pacchetti regalo

    Triplice fischio

    Io e voi

    Papà ti porta allo stadio

    Appendice

    Bibliografia

    Introduzione

    Che romanzo è un romanzo sulla Roma? Mi sono posto questa domanda più volte prima di iniziare a scrivere. Ero in cerca della tavolozza dei colori più adatta a raccontare la storia della squadra capitolina. Mi chiedevo quale taglio dare alle righe che avrei scritto. Forse un thriller? Oppure un libro drammatico? Un racconto strettamente storico?

    Quando ho iniziato a buttare giù i primi paragrafi non avevo ancora chiaro come procedere, ma ho lasciato che fosse il libro stesso a indicarmi la strada.

    Riga dopo riga mi sono reso conto che la storia della Roma, dalle origini a oggi, è già un romanzo perfetto. Ha tutti gli ingredienti necessari per incantare sia chi ha il cuore giallorosso sia chi è un semplice appassionato di sport. Così ho capito che il mio doveva essere un singolare romanzo d’amore, dove i protagonisti vivono dentro ma anche fuori da righe e paragrafi. Un innamorato sei tu che leggi, il tuo amante è la Roma che si racconta davanti ai tuoi occhi, e solo per i tuoi occhi mostra senza vergogna ogni suo aspetto: tenero, orgoglioso, ma anche debole e persino inconfessabile.

    Per scriverlo ho dato voce al mio cuore romanista. La mia relazione era come un dialogo tra due amanti che si osservano e si capiscono senza scambiarsi una parola.

    Ho raccontato questo dialogo amoroso attraverso episodi e personaggi anche meno conosciuti. A calciatori, presidenti e allenatori di grande fama, ho affiancato la gente comune e chiunque abbia incarnato il sentimento romanista più limpido.

    È un libro scritto idealmente a più mani. Al fianco della mia penna si sono seduti a turno monumenti come Ferraris IV, Fasanelli, Sacerdoti ma anche glorie più recenti come De Sisti, Rocca, Dino Viola, Franco Sensi, Giannini e Totti. Ognuno con il suo personalissimo romanzo già scritto e io a dargli forma e armonia, esaltando certi aspetti e scovandone altri.

    Ho lasciato che la città di Roma e la Roma intrecciassero eventi storici ed episodi sportivi. L’Urbe e la sua storia sono diventate la scenografia dinamica all’interno della quale si svolge il romanzo. I tifosi, i luoghi cittadini, le rivali di sempre (spesso nel ruolo del cattivo o del guastafeste) ne sono parte integrante.

    La mia penna si è mossa con l’intenzione di suscitare forti ricordi ai meno giovani e di raccontare le origini e i passaggi più emozionanti agli adolescenti. La conoscenza della propria genesi è l’unico modo per apprezzarne l’essenza odierna.

    Alla soglia del suo novantesimo compleanno, la Roma prosegue nel dipingere un’opera perfetta in continua evoluzione, fatta di colori sgargianti, sfumature ma anche tinte sbiadite. Il pennello è lo stesso che da un secolo a questa parte si passano generazioni di atleti e tifosi come fosse il testimone di una gara a staffetta. Ciò che la Roma è oggi è un tutt’uno con quello che la Roma è stata nelle gesta di chi l’ha amata e nelle intenzioni di chi l’ha fondata. Ogni gol, ogni vittoria ha un pezzetto, seppur piccolo, dell’intera storia romanista dentro di sé. Quando la palla vola verso la porta avversaria, volteggia anche grazie a chi non c’è più. In un certo senso ogni gol odierno è un gol di Bernardini, ogni intervento in difesa ha lo zampino di Losi, ogni parata è fatta anche da Masetti. Ogni punizione ha la precisione di Falcão, ogni discesa sulla fascia è in parte quella di Conti, ogni tiro fuori area ha l’energia di Di Bartolomei, ogni esultanza è quella di Montella, ogni abbraccio alla curva è quello di Batistuta, ogni coro alzato al cielo ha la voce del Commando Ultrà.

    Il romanzo della grande Roma

    Prologo

    La carrozza reale esce dall’enorme portale del Quirinale trainata da quattro cavalli bianchi comandati da un elegantissimo cocchiere. Al seguito un piccolo drappello di guardie anche loro a cavallo. Un giro lento attorno all’obelisco, poi più veloce sul selciato che costeggia il palazzo reale lungo il rettifilo che conduce fino ai confini della città. In lontananza s’intravede il profilo di Porta Pia. Oggi non ci sono capi di Stato da incontrare o eventi istituzionali cui presiedere. È un tranquillo mercoledì di fine estate, nulla di speciale, una giornata qualsiasi anche per chi regna su una nazione intera. Roma viene passata in rassegna silenziosa dal re Umberto I e dalla regina Margherita di Savoia. Una dopo l’altra sfilano le meraviglie della città eterna, San Carlo alle Quattro Fontane, Santa Susanna, Santa Maria della Vittoria, le rovine delle terme di Diocleziano. Lungo via XX Settembre compare la facciata del nuovissimo ministero delle Finanze, poi Porta Pia e l’omonima breccia da pochi anni elevata a monumento nazionale.

    Il drappello s’inoltra verso l’allora periferia romana, destinazione il Velodromo Salario stretto tra via Salaria e via Po, pressappoco dove oggi scorre via Isonzo, a due passi dalle verdi distese e dagli alberi di Villa Borghese. È il luogo riservato per le gare e gli allenamenti degli atleti su due ruote, una pista ad anello che avvolge un piccolo quanto inutile rettangolo di terra. Il ciclismo è tra gli sport più praticati a Roma, ed esistono diversi circoli sportivi a esso dedicati.

    Oggi l’attenzione si concentra proprio sul piccolo rettangolo di terra all’interno della pista, spianato e ripulito dai ciuffi di erbacce e dalle margherite cresciute spontaneamente in primavera. È il 18 settembre 1895 e nessuno può immaginare che quell’anonima giornata fisserà un caposaldo della storia sportiva tricolore. In programma c’è la prima dimostrazione in Italia di Foot-Ball, un nuovissimo sport, praticato oltremanica da pochi anni. Il nome football deriva da una buffa sfera di cuoio cucito, del diametro di circa un foot, unità di misura britannica che corrisponde a una trentina di centimetri. È uno sport ancora del tutto sconosciuto alle nostre latitudini, così anonimo che il re e la sua regina non hanno idea di cosa vedranno. Ad accogliere i reali una folla di quasi ventimila persone provenienti da ogni rione della città e confluite nel quartiere Salario per curiosità e per vedere dal vivo il re. Roma è la capitale del Regno d’Italia da quasi venticinque anni e osservare un re, che per la prima volta nella storia non coincide con il pontefice, ha ancora il sapore della novità.

    Dopo secoli di chiusura, Roma si apre al cambiamento e diventa un fulcro di energia e sviluppo. Nascono quartieri moderni, si tracciano nuove strade, si inaugurano uffici e ministeri, flussi di immigrati arrivano in una città che muove i primi passi da metropoli europea. Liberi dal peso dell’austerità ecclesiastica e dai ritmi scanditi dalle preghiere, gli abitanti di Roma si divertono con la ginnastica, l’atletica, il ciclismo ma sono anche interessati a discipline d’importazione come il cricket, il canottaggio, il polo e, appunto, il football.

    Umberto I si accomoda sul palco reale frettolosamente allestito per l’occasione. Il picchetto d’onore, le coccarde tricolore e le bandiere sono il degno contorno alla sua presenza. Margherita è al suo fianco, con lo sguardo scruta i sudditi e quel curioso campo da gioco; qualche striscia bianca disegnata sul terriccio e due strani rettangoli costruiti con pali di legno lungo i due lati corti. Si fronteggiano ventidue atleti in rappresentanza di due gruppi sportivi del Nord Italia: la Società Udinese Scherma e Ginnastica e la Società Rodigina di Ginnastica. Un incaricato speciale siede a fianco del re per spiegare le semplici regole del gioco, mentre le due compagini si danno battaglia. Gli atleti, in calzoncini che arrivano sotto le ginocchia e magliette a maniche corte, si lanciano all’inseguimento dello strano pallone e tentano di piazzare la palla dentro le porte difese dall’atleta che ricopre il ruolo di portiere, «l’unico che può toccare la palla con le mani» spiega l’assistente al re. In pochi minuti va in scena uno spettacolo che presto farà sognare generazioni per i decenni a venire. Le parate dei portieri, i passaggi smarcanti, gli interventi in difesa, i falli e la splendida emozione di vedere il pallone volare sospinto da calci o colpi di testa oltre le mani dell’estremo difensore fino a centrare lo spazio delimitato dai pali. «Si chiama gol», bisbiglia l’assistente, «è una parola inglese che significa che l’obiettivo è stato raggiunto». Quella breve dimostrazione è quanto basta per alimentare curiosità ed entusiasmo da parte dei sovrani e dei loro sudditi. Nei giorni seguenti, bar e osterie diventano i catalizzatori di chiacchiere e opinioni su quella strana partita, anche se nessuno crede davvero nello sviluppo del football in Italia. Gli aristocratici lo guardano con sospetto mentre la gente del popolo ha altro a cui pensare, sono anni duri, c’è da lavorare e sfamare famiglie, non c’è molto tempo per giocare. Nelle poche società sportive esistenti, gli atleti sperimentano il nuovo sport. Sono pochissimi a conoscere le regole, nessuno ha le scarpe adatte e persino i palloni sono introvabili, spesso sostituiti da agglomerati di pezza malamente cuciti assieme.

    Sacro e profano

    Da qualche parte in città, oltre i muri di lussuose residenze e accademie, c’è chi gioca a calcio… Sono giovani seminaristi e preti d’oltremanica giunti in città per studiare alla corte del papa, nelle scuole e nelle università pontificie di cui Roma è piena. Forse è la malinconia oppure la voglia di evadere dalla rigidità dei seminari romani che spinge giovani irlandesi, scozzesi e inglesi a incontrarsi nei pomeriggi della bella stagione, per praticare lo sport inventato nella loro terra. I campi di gioco sono i giardinetti, i parchi dei conventi e delle università, ma anche gli spazi incolti della giovane periferia romana. È così che all’ombra del cupolone il calcio si fa lentamente strada, umile e silenzioso, sospeso tra il sacro e il profano, l’aristocratico e il popolare.

    Tra giovani atleti, seminaristi, gente comune e qualche imprenditore che intuisce l’importanza di dare forma al calcio romano, c’è il sor Alberto Canalini, falegname. Per trovarlo non serve andare a bottega, basta fare visita la domenica mattina ai pratacci erbosi che presto saranno il quartiere delle Vittorie. È la zona disabitata erede del Campo Marzio dell’antica Roma, un luogo riservato alle adunate militari. Si chiama infatti Piazza d’Armi ma a guardarla bene è poco più di un’immensa distesa di fango, buche ed erbacce. Alberto è intento a intersecare assi di legno, chiodo dopo chiodo, per dare forma a due primitive porte da calcio. Così, grazie al cuore buono di Alberto, intenerito da quei ragazzotti che sognano terreni su cui giocare, nasce il primo campo di calcio di Roma: un rettangolo lungo più o meno cento passi e largo cinquanta. Alberto ha la sua bottega in zona ed è ben contento di improvvisare le porte. «Chissà che ce troveranno de divertente a inseguì ’na palla», ripete divertito mentre siede al fianco dei suoi legni a osservare le sfide. A volte gli tocca pure intervenire per sedare l’entusiasmo agonistico nel momento in cui si tramuta in zuffa o improvvisarsi arbitro per sentenziare se la palla ha superato o no le ideali linee che segnano il campo. Dopotutto quello spazio lo ha inventato lui, misurato passo dopo passo, una creazione fatta di vuoto delimitato dalle sue porte. A loro insaputa, quei gruppetti di stranieri in tunica e atleti italiani in calzoncini stanno nutrendo i semi di quello che in pochissimi anni diventerà lo sport più popolare d’Italia e del mondo.

    Pezzetti giallorossi

    Non è una sorpresa che le prime sezioni di calcio nascano proprio tra le società podistiche romane. Dopotutto si tratta di correre dietro a un pallone e i podisti, con pallone o senza, questo sanno fare. Già alle soglie del XX secolo si contano diversi centri sportivi, molti di piccola entità, nati attorno alle palestre, i campetti delle scuole e delle parrocchie. È questo il caso della Società Ginnastica dei Canottieri del Tevere (oggi Tevere Remo), fondata addirittura nel 1872, e del fantomatico Football Club Roma, istituito tra le aule del liceo Ennio Quirino Visconti in piazza del Collegio Romano già nel 1896. Mentre storici e appassionati dibattono ancora in cerca delle prove definitive, nel 1901 nasce certamente il Roman Club, fondato da un gruppo di cittadini scozzesi e alcuni esponenti della nobiltà romana, che due anni più tardi formeranno la divisione calcistica con il nome di Football Club di Roma, meglio conosciuto come Roman Foot-Ball Club. Nonostante la forte presenza straniera, il club prende senza esitazione i colori e i fregi della Roma imperiale. La squadra è giallorossa, il suo stemma la Lupa capitolina.

    Negli stessi anni nasce il Club Sportivo Audace, con le inconfondibili casacche biancorosse a scacchi, anch’esso con la Lupa capitolina cucita sul petto. Sembra incredibile, ma tra le squadre di rilievo di questo primitivo scenario calcistico, che in due decenni porterà alla fondazione dell’AS Roma, spunta fuori anche la Società Sportiva Juventus Roma, per nulla legata all’omonima compagine piemontese, ma con i medesimi colori bianconeri. In questa sorta di zuppa primordiale del calcio romano sguazzano anche il Club Sportivo Virtus e la Società Podistica Lazio.

    Pochi anni dopo debuttano altre due società cardine di questo scenario in formazione: la biancoverde Società Sportiva Alba Roma, e la rossoblu Società Ginnastica e Scherma Fortitudo. La prima è una compagine di popolo, sbocciata letteralmente tra i tavoli e i fiaschi di vino di un’osteria del centro; la seconda nasce all’ombra di Castel Sant’Angelo tra le stanze dell’istituto religioso dei frati Fratelli di Nostra Signora della Misericordia. Non esiste un vero e proprio campionato, si tratta perlopiù di sfide spesso improvvisate e prestigiose solo nel nome. È questo il caso del cosiddetto campionato romano, una manifestazione tra squadre dilettantistiche che a stento supera i confini delle mura aureliane.

    È il 1908 e, nonostante il calcio sia ancora una questione rionale, la tavolozza di colori che presto sarà l’AS Roma è quasi completa: ci sono le squadre, l’entusiasmo e validi appassionati, abili sia sul campo di gioco sia nella gestione societaria. Ma ancora nessuno immagina che i primi mattoni della squadra capitolina sono ormai saldamente al loro posto a formare le fondamenta di un sogno che presto sarà realtà.

    Alba popolare e Fortitudo cattolica

    È primavera, una domenica pomeriggio come tante altre. Roma è sorniona e tranquilla, tra le vie del centro, nel rione Parione, la gente passeggia lenta, i bambini corrono in piazza della Chiesa Nuova, qualcuno prende a calci un pallone, altri sfogliano il giornale. C’è chi si sfida a morra, chi improvvisa un simposio e chi si gode le primizie di stagione dai venditori di strada. Un uomo distinto in giacca e cravatta supera l’enorme facciata della chiesa e svolta a sinistra fino a intrufolarsi nel cuore della città, dove gli ampi spazi di corso Vittorio lasciano il posto alla cupezza dei vicoli, dove Roma si fa popolare e intima. Piazza Navona, Il Pantheon, via del Corso fino al civico 32 di via del Gambero, dove un tipo severo con il grembiule unto e costellato da infinite macchie di sugo lo attende sulla soglia. Lo conoscono tutti come er Guercio, si chiama Umberto Farneti, un omone che sembra un corazziere a guardia della sua taverna. L’osteria del Gambero non è solo uno dei templi dove si osserva religiosamente la dottrina della tradizione popolare romana del buon mangiare, è anche la sede ufficiale della Società Sportiva Alba Roma, e Umberto è il suo fondatore. C’è poco da stupirsi, il calcio è uno sport apprezzato da pochi e Roma è un paesone che tenta goffamente d’improvvisarsi capitale degna del giovane Regno d’Italia. «Guercio, che ce l’hai du’ minuti pe’ ffa du chiacchiere? Sono un giornalista del Messaggero!». Sul suo viso sboccia un ghigno che diventa un sorriso prima sospettoso poi sincero. Umberto non teme i giornalisti, è un uomo di cuore, non fa differenze. Se gli stai simpatico ti apre le porte del suo cuore e dell’osteria. In pochi minuti i due uomini sono al tavolo, un litro di vino rosso dei Castelli da sorseggiare. Snocciolano chiacchiere su tutto, parlano delle poesie che Trilussa continua a pubblicare, di un giovanissimo Ettore Petrolini e del suo clamoroso debutto all’Ambra Jovinelli. Si soffermano anche sugli sventramenti che Roma sta subendo. Lo stesso corso Vittorio, che il giornalista ha percorso per arrivare all’osteria, è stato completato da pochissimi anni spezzettando i rioni storici della città; si dice addirittura che tra piazza Navona e il Pantheon costruiranno un vialone che arriverà fino a Sant’Andrea della Valle, si chiamerà corso Rinascimento… «Roma nun è ppiù quella de ’na vorta», sbuffa Umberto, «c’è ggente de ogni angolo d’Italia, qui finisce che perdemo l’identità romana».

    Con l’aiuto del vino, in poco tempo la conversazione approda allo sport. Umberto racconta di lealtà e amicizia con la squadra di Aurelio Cappabianca, suo amico e presidente del Club Sportivo Audace. «Aurelio mica le fa le riunioni all’osteria! Quello c’ha ’na sede vera dentro a un palazzone a corso Umberto! Me pare ar civico 12 a du’ passi dall’Obelisco der Popolo», sbotta in una fragorosa risata pensando alle sfide sui campi improvvisati al Flaminio o dentro il Velodromo Salario. Il bicchiere si riempie ancora una volta, si fa vivo il gusto di quella rivalità sportiva agguerrita seppur agli albori. Er Guercio ce l’ha con il Roman e la Fortitudo: «Squadre de’ potenti, de ggente che conta ma c’ha er còre freddo e le tasche piene de sòrdi… mica come noi che semo ggente der popolo». La Fortitudo a sentire Umberto è «’na squadraccia de’ preti», nata grazie a una generosa elargizione del papa a un certo fra Porfirio Ciprari, ben insediata tra i ricchi palazzi di piazza Adriana nel rione Borgo, «mica all’osteria come noi…», borbotta ancora prima di accanirsi sul Roman: «Li giallorossi co’ la laurea e l’amici in politica, quelli c’hanno pure er campo vero, ai Due Pini, proprio sotto le ville de li monti Parioli». Pochi anni più tardi, il 28 agosto 1911, viene fondata la sezione calcistica della Pro Roma, una piccola squadra mossa più da spavalderia e passione che da virtù atletiche. Rincorrono il pallone tra la polvere di un campetto poco fuori Porta San Paolo all’ombra della Piramide. Il campionato romano è di scarsissimo livello rispetto ai campionati del Nord composti da squadre ben organizzate e più preparate, non solo atleticamente ma anche economicamente.

    Chi rappresenta Roma?

    Lo scoppio della prima guerra mondiale nel 1915 porta allo stop dell’attività agonistica e molti atleti finiscono al fronte. Le trincee, fortunatamente, sono lontane da Roma, gli incontri anche al di fuori dei campionati ufficiali possono proseguire. Nel 1917, in pieno conflitto, viene addirittura fondata l’Unione Sportiva Roma, ultimo pezzetto mancante nel mosaico che prenderà forma nel decennio a venire. Unica vittima della guerra è l’Alba, che si scioglie per riformarsi solo dopo la cessazione delle ostilità. L’anima rionale di tutte le compagini capitoline è da un lato il seme della splendida rivalità giunta fino ai giorni nostri, ma dall’altro è un vero e proprio freno allo sviluppo del calcio romano, sempre più arretrato al cospetto delle squadre settentrionali e di quelle europee.

    Nel 1926 il Comitato olimpico nazionale dà nuovo impulso allo sviluppo del calcio italiano istituendo una commissione con l’obiettivo di raggruppare le 44 squadre esistenti in un’unica divisione nazionale che ne comprende solo 20, l’antenato della moderna serie A. Fino a quel momento il campionato nazionale è uno spezzatino di gironi e sezioni regionali sparse qua e là per l’Italia. Esiste la Lega Nord divisa in due gironi che comprende 24 formazioni. C’è poi la piccola Lega Sud divisa in 5 minuscole sezioni: la Campana, Marchigiana, Laziale, Pugliese e Siciliana, che comprende in totale 20 formazioni. Per scegliere le 20 squadre si ricorre ai risultati raggiunti nella stagione appena conclusa, solo le migliori saranno elette. L’Alba e la Fortitudo hanno il privilegio di rappresentare Roma nella divisione nazionale perché prime nel campionato regionale. Il Roman e la Lazio finiscono nella serie minore, la cosiddetta prima divisione, antenata della moderna serie B.

    Tutti in città sanno che è giunto il tempo delle fusioni, bisogna mettere da parte ogni tipo di rivalità, è necessario superare le barriere rionali, sociali e persino quelle di religione. Prima dell’inizio del campionato, quattro grandi società si fondono e danno vita a due nuove squadre: l’Alba-Audace e la Fortitudo-Pro Roma. La fusione aiuta, ma non è sufficiente, entrambe le formazioni concludono la stagione disastrosamente in ultima e penultima posizione. Serve ben altro, è necessaria un’azione risoluta per dare alla capitale d’Italia una squadra che ne rappresenti l’importanza a livello nazionale.

    I. Alba

    Il tintinnio della tazzina di caffè accompagna il cucchiaino che gira con lentezza. Palcoscenico di questo rito italiano è l’elegante tavolino di un bar di Roma. Il maestro d’orchestra è un uomo di quarantatré anni, distinto, corporatura atletica, di bell’aspetto. Ha lo sguardo rivolto verso la strada, il viavai dei passanti, i colori di una qualsiasi domenica mattina di primavera del 1927. I suoi occhi non incrociano nulla, si perdono nella dimensione fisica e mentale tra le forme dei palazzi e le congetture dei suoi pensieri. Prende la tazzina, l’odore e il gusto familiare del caffè coccolano questo momento, mentre lo sguardo continua a vagare senza mai fermarsi. Italo Foschi non è un uomo qualsiasi, è membro del CONI e ricopre anche la carica di federale del Partito fascista, un ruolo che interpreta per dare ordine e organizzazione allo sport capitolino. Meno di un anno prima aveva partecipato alle importanti riunioni che in agosto dettero vita alla Carta di Viareggio, uno dei documenti chiave che portarono alla creazione del campionato di calcio come lo conosciamo oggi, con un unico girone nazionale, la moderna serie A. Quelle consultazioni rivoluzionarono anche l’organigramma federale, ma soprattutto aprirono la porta al professionismo. Tra le disposizioni della carta, in sintonia con i valori nazionalistici del fascismo, anche il blocco degli stranieri. Dal 1928 nessuna squadra avrebbe potuto schierare in rosa calciatori non italiani.

    «Buongiorno Italo, come andiamo oggi?». Un ragazzone sulla trentina si siede al tavolo, sorride mentre gli porge la mano. «Ciao Ulisse, è un po’ che ti aspettavo!», gli dice ricambiando il sorriso. La stretta di mano è forte e decisa. Entrambi sono uomini di potere, entrambi reduci del primo conflitto mondiale. Ulisse Igliori è un giovane politico e imprenditore, con lo sguardo di chi ne ha già viste tante nella vita, un uomo, come si dice, con il pelo sullo stomaco. Italo è presidente della società sportiva Fortitudo-Pro Roma. Anche Ulisse presiede una società calcistica romana, si tratta dell’Alba-Audace. I due uomini sanno che per competere con le compagini del girone unico, sancito dalla Carta di Viareggio, è necessario superare le differenze e unire forze atletiche e societarie. L’incontro serve per sondare informalmente gli intenti e immaginare una nuova fusione ben più importante che coinvolga non solo le squadre presiedute dai due uomini, ma anche una terza realtà importante nel panorama calcistico di Roma, il Football Club di Roma o come lo chiamano in molti, il Roman. Una triplice fusione garantirebbe alla città una squadra di prestigio, solida finanziariamente e con numerosi atleti di primissimo livello. Nel cuore dei due uomini, Roma non può essere inferiore alle altre città. La capitale d’Italia deve avere una grande squadra. L’operazione è ambiziosa e quell’incontro è solo l’inizio di tante consultazioni che coinvolgono tutte le parti, inclusi calciatori e alcuni tifosi.

    La fede calcistica di allora è una questione non solo di rione di appartenenza ma anche di classe sociale. Le squadre si connotano per essere più o meno popolari o borghesi, con sfumature che sfiorano persino gli ideali politici, laici o religiosi. «Dimmi un po’ Italo», chiede curioso Ulisse mentre si accosta all’orecchio del suo interlocutore, «ma… la fusione con la Lazio?». La Lazio di quegli anni è una società solida, una squadra forte che può contare su atleti di alto livello, buoni rapporti con la politica e persino un campo di allenamento tutto suo: la Rondinella alle pendici dei monti Parioli. Ulisse scuote il capo e confessa che pochissimi giorni prima si è incontrato con i dirigenti della Lazio per discutere la fusione con la Fortitudo. «Non si può ragionare con quella squadra, i soldi li rendono spocchiosi, vogliono dettare troppe condizioni». «Troppe condizioni?», chiede Ulisse. «Sì! Tipo il nome. Vorrebbero una squadra che si chiami Lazio-Fortitudo! Io sogno la squadra della capitale del Regno! Sogno la gloria millenaria di Roma fatta calcio!». I due sono in perfetta sintonia. Italo rappresenta il CONI a Roma e gli appoggi politici non gli mancano, inoltre la sua squadra conta calciatori di alto livello e un buon seguito di pubblico anche tra le file della scena cattolica romana. Ulisse ha dalla sua parte validi giocatori e l’entusiasmo di gente che proviene dai quartieri popolari. Manca la copertura finanziaria, i due imprenditori potrebbero farcela solo con enormi sforzi. Troppo rischioso vedersela con la solidità delle altre compagini del campionato. Italo riflette intensamente davanti alla sua tazzina ormai vuota. Ha lo sguardo fisso, attraverso gli occhiali. Poi, all’improvviso si desta, guarda il suo amico Ulisse e dice: «Ci vediamo domani? Ti aspetto a casa mia, via Forlì 16, è una palazzina proprio all’angolo di via Imperia a due passi da piazza Bologna».

    Qui si fa la storia

    L’indomani è martedì 7 maggio 1927, giornata storica per la Roma. A casa di Foschi, oltre Ulisse Igliori, c’è anche l’avvocato Vittorio Scialoja, un uomo distinto sulla settantina, presidente del Roman. Tre uomini che condensano il calcio romano che conta, al di fuori di quello rappresentato dalla Lazio, che ormai ha perso l’occasione per la grande fusione. Le discussioni vanno avanti per ore affrontando ogni aspetto dell’unione tra le tre squadre. Si tratta su assetto societario, finanziamenti, campo di gioco, cartellini dei giocatori e ruoli dirigenziali. Si discute anche sul nome, i colori societari e i simboli. Sono passati oltre trent’anni da quella primitiva rappresentazione sotto gli occhi del re e della regina. Il calcio, ancora alle prime armi, richiede spiccate abilità imprenditoriali, la passione da sola non basta più. L’accordo giunge in serata, la copertura finanziaria è garantita da Scialoja così come da gran parte del gruppo dirigenziale. Foschi e Igliori mettono a disposizione la stragrande maggioranza dei giocatori, ormai destinati a fare la storia del calcio capitolino. Il mosaico è completo. Il Roman contribuisce con i colori sociali, il giallo oro e il rosso porpora eco del glorioso passato della città. La Fortitudo-Pro Roma partecipa con il simbolo della città, lo scudetto con la Lupa capitolina. L’Alba-Audace mette a disposizione il suo campo di gioco fuori città, il motovelodromo Appio e un campetto di allenamento a Testaccio. Sul nome l’accordo è rapido. Si chiamerà Associazione Sportiva Roma con sede in via Uffici del Vicario 35. Italo Foschi assume il ruolo di presidente mentre Ulisse Igliori è consigliere delegato. Il giorno seguente i quotidiani «Il Messaggero», «La Tribuna» e «Il Tevere» danno risalto allo storico sodalizio con un trafiletto che fa storia. L’atto notarile vero e proprio sarà redatto il 22 luglio 1927 quando l’AS Roma già si allenava in vista del campionato.

    La prima sfida

    Il 17 luglio del 1927 è un tranquillo martedì d’estate, negli spogliatoi del motovelodromo Appio iniziano ad arrivare gli atleti della neonata AS Roma. Oggi è in programma un’amichevole con lo Újpest, forte squadra ungherese. L’impianto sportivo ha poco a che vedere con il calcio, è una cattedrale nel deserto della periferia sud di Roma. Sorge nello spazio oggi solcato da via Albano e via Rocca di Papa ed è riservato alle sfide in bicicletta, con un’enorme pista parabolica in legno, che avvolge un rettangolo di terra da anni adattato a campo di calcio dalla Fortitudo. Per invogliare il pubblico ad affrontare il lungo viaggio, la Roma ha messo in piedi un programma accattivante che prevede sfide di atletica e persino l’incontro di spareggio del girone finale del campionato di calcio di seconda divisione tra Terni e Savoia. L’atmosfera è surreale nello spogliatoio e sugli spalti si respira un misto di trepidazione, entusiasmo e tensione. La Roma è una mescolanza di squadre fino a quel momento avversarie. L’eco di rivalità antiche e screzi si fa sentire vivo come in un enorme derby dove tutti tentano di andare d’accordo. Per la prima volta nella giovane storia del calcio capitolino, tifosi, calciatori e dirigenti sono uniti per rappresentare l’unica squadra che porta il nome della città.

    Foschi è seduto nello spogliatoio ben prima dell’arrivo dei suoi uomini. È pensieroso, con gli occhi scruta una a una le casacche giallorosse adagiate sulle panche di legno nel silenzio dello spogliatoio. Tra poco quelle maglie e quei calzoncini si animeranno sul campo di gioco, anche se lui stenta ancora a crederci. Si chiede se il progetto AS Roma abbia basi solide, s’interroga per quanto tempo e a quale livello la sua squadra sarà in grado di farsi rispettare in campionato. Uno a uno, alla spicciolata, gli atleti popolano lo spogliatoio. Sono arrivati con ogni mezzo, chi in bicicletta, chi in tram e chi a piedi. I ragazzi della Fortitudo-Pro Roma sono: il portiere Rapetti, Bianchi, Bramante, Canestrelli, Cappa, De Micheli, Ferraris IV, Preti, Scocco, Scardola, Vittori e Zamporlini. Quelli dell’Alba-Audace: Bianchi, Celestini, Corbjons, Chini, Degni, Fasanelli, Mattei, Rovida e Ziroli, e quelli Del Football Club di Roma: Carpi, Fosso, Isnardi e Maddaluno. C’è anche il primo ingaggio esterno, un certo Mario Bussich, punta della Triestina. L’allenatore provvisorio è József Ging, fugace meteora, già pronto a cedere il posto a sir William Garbutt, primo allenatore di sempre. Garbutt proviene dal Genoa, pronto per l’ambiziosa sfida di guidare la neonata Roma attraverso il suo primo campionato.

    L’amichevole si conclude con la prima vittoria della Roma per 2 reti a 1 contro i forti ungheresi. Il primo gol della storia è del centrocampista Enrico Cappa, curiosamente uno dei soli quattro giocatori a non essere di origine romana insieme al portiere piemontese Rapetti, l’argentino Chini e il neoarrivato Bussich, nato a Spalato ma che iniziò la carriera agonistica nella compagine della Juventus Roma, una delle prime squadre capitoline.

    L’osteria

    La sera Italo Foschi riunisce tutti in un’osteria del centro. I ragazzi devono fare gruppo, molti di loro sono arcigni rivali piuttosto che compagni. È il primo ad arrivare, puntualissimo come ci si aspetta da un gentleman come lui. Prende posto a capotavola e, insieme a un quartino di rosso, osserva i suoi atleti entrare alla spicciolata. Attilio Ferraris arriva insieme al compagno Enrico Cappa, entrambi glorie della Fortitudo. Foschi aveva detto a Garbutt che Ferraris era una grande promessa, così legato alla sua città che rifiutò persino un ingaggio sicuro alla Juventus. L’inglese lo teneva d’occhio, era un leader, ma a volte un po’ esuberante. Entra Corbjons, difensore dal nome straniero ma col cuore romano. Poi l’attaccante Cesare Augusto Fasanelli, appena ventenne, seguito dall’altissimo Giuseppe Rapetti, il giovanissimo guardiano della porta giallorossa, e da Luigi Ziroli, velocissima ala sinistra. La tavolata si riempie velocemente, il vino inizia a scorrere così come fumanti piatti di pasta ad apparire. Entra Attilio Mattei, imponente difensore soprannominato Bibbitone, poi ultimo a varcare la soglia è il vigoroso attaccante jugoslavo Mario Bussich, naturalizzato italiano. Foschi è serioso, si gode la sua nuova squadra ma non ha ancora chiaro come l’allenatore organizzerà il gioco per competere nel campionato nazionale, ha bisogno di vedere i ragazzi giocare, allenarsi, deve capirne la psicologia e i delicati equilibri tra amicizia e competitività. Mancano appena due mesi prima del debutto in campionato. C’è tanto entusiasmo ma altrettanto bisogno di lavorare.

    Inizia il campionato

    Il campionato nazionale non è ancora strutturato in un’unica divisione. Ci sono due gironi, uno denominato A e l’altro B che disputano due mini campionati separati fino a far confluire otto squadre nel girone finale per l’assegnazione del titolo di campione d’Italia. La Roma difende i colori della capitale nel gruppo B, la Lazio è nel gruppo A.

    Il 25 settembre 1927 è domenica, la Roma scende in campo per la prima sfida ufficiale contro il temibile Livorno, compagine con oltre dieci anni di esperienza alle spalle. Un’enormità a confronto dei pochi mesi di vita che vanta la Roma. Gli spalti si colorano velocemente di giallo e di rosso con quasi diecimila spettatori assiepati sulla pista del motovelodromo Appio, giunti da ogni parte della città. Raggiungere la zona dei Cessati Spiriti dove sorge lo stadio è un viaggio avventuroso pieno d’imprevisti. Non tutte le strade sono asfaltate e i mezzi pubblici che arrivano fin qui sono scarsi e malfunzionanti. C’è addirittura chi arriva a piedi, chi con carretti di fortuna o traballanti autocarri. Il terreno è così malmesso che diventa una trappola per l’autobotte d’irrigazione che s’impantana nel bel mezzo del campo e rende impossibile il calcio d’inizio per oltre un’ora. «Non si può giocare con un’autobotte in campo!», tuona il direttore di gara che non crede ai propri occhi. A nulla servono i tentativi degli operai per smuovere quelle dannate ruote dal campo. Devono intervenire i pompieri, con funi e ganci per oltre un’ora fino a sgombrare il terreno di gioco, sistemare le zolle e colmare le buche.

    Finalmente arriva il fischio deciso dell’arbitro e il primo undici romanista, in tenuta completamente bianca, inizia a dialogare con il pallone sull’onda dell’entusiasmo, imponendo da subito un ritmo serrato con frequenti contrasti anche duri. Già alle prime battute il Livorno perde una pedina importante. Il forte attaccante amaranto Magnozzi entra in collisione con il gigantesco Bibbitone Mattei che lo stende a terra. Non esistono ancora le sostituzioni, Magnozzi non ce la fa e deve lasciare il campo dolorante. Alla fine del primo tempo Garbutt scende negli spogliatoi per incitare i suoi uomini: «La sentite la gente che grida? Nessuno di voi ha mai visto tanta gente tutta insieme! Sono qui per voi, non possiamo deluderli». Garbutt si comporta da vero psicologo, sa bene che il gruppo deve ancora formarsi e che, per adesso, può solo contare sull’agonismo dei suoi giovani atleti, nessuno schema e ancora poco affiatamento. La Roma torna di nuovo sul rettangolo di terra battuta con un altro piglio e in pochi minuti è Luigi Ziroli a trovare la porta al 58'. Poco più tardi è sempre lui a servire Fasanelli che insacca a pochi metri dalla porta. Roma ha vinto! I volti tristi e le teste chine dei livornesi stridono con la gioia quasi infantile dei giallorossi. Rapetti, Mattei, Corbjons, Ferraris, Degni, Rovida, Ziroli, Fasanelli, Bussich, Cappa, Chini sono i nomi che passeranno alla storia. Primo capitano Attilio Ferraris, leader irrequieto e indiscusso.

    Una settimana più tardi, la Roma non va oltre il pareggio a reti inviolate a Genova contro la squadra della Dominante. Le cronache sono impietose, i giallorossi avrebbero meritato di perdere se non fosse stato per la superba performance del portiere Rapetti e del forte terzino Corbjons. Molto più convincente la seconda gara al motovelodromo contro l’Hellas Verona. I romanisti chiudono il match in appena 27 minuti trovando la rete prima con Cappa poi con Bussich e infine con Fasanelli. Il Verona accenna a scuotersi solo nella ripresa ma non riesce a segnare se non grazie a un rigore.

    Seguono ben sei gare prima che la Roma ritrovi la vittoria contro la Pro Patria imponendo un rotondo 3-0 fuori casa. Il fattore campo e l’entusiasmo del pubblico sono il vero dodicesimo uomo. La Roma perde in casa solo una volta e, davanti al suo pubblico, rifila ben tre reti all’Inter e quattro al povero Novara che crolla al motovelodromo. I fedeli e coraggiosi tifosi accorrono fino ai confini del quartiere Appio e sono testimoni anche del bel pareggio contro la Juventus, salvata in extremis dal portiere Combi. L’ultimo uomo bianconero devia, a pochi secondi dal termine, un tiro deciso di Fasanelli. «La Stampa» di Torino definisce la gara «cavalleresca», e questa è una notizia perché la rivalità, non sempre cortese, tra giallorossi e juventini sta per prendere l’abbrivio che colorerà numerosissimi campionati.

    Il 26 dicembre la Roma batte la Dominante con quattro reti e si assesta all’ottavo posto del gruppo B. Purtroppo l’ottavo piazzamento non è sufficiente per la qualificazione al girone finale riservato a quattro squadre del gruppo A e quattro del gruppo B che si battono per il titolo di campione d’Italia. I giallorossi accedono invece alla prestigiosa Coppa CONI, un girone formato dalle rimanenti 14 squadre.

    Il primo trofeo

    Nella fase a gironi della Coppa CONI, la Roma sgomita in un gruppo non proprio facile insieme al Napoli, il Novara, la Dominante, la Cremonese, il Brescia e la Pro Patria. Ne esce egregiamente classificandosi al primo posto, collezionando due sole sconfitte su 12 gare disputate. Sono due le superstar indiscusse delle partite casalinghe al motovelodromo. Contro la Pro Patria, Antonio Maddaluno è il protagonista di una bella doppietta che contribuisce al roboante 5-1 finale. Contro la Dominante ci pensa Cesare Augusto Fasanelli a realizzare ben quattro reti e fissare il tennistico risultato finale sul 6-0.

    La finale è contro il Modena il 22 luglio del 1928, in un match che i canarini emiliani interpretano chiudendosi a riccio nella loro metà campo. A nulla valgono le incursioni di Chini, Bianchi e Bussich, il risultato non si scuote dall’equilibrio delle reti inviolate. Nell’incontro di ritorno è ancora pareggio, questa volta inseguito con affanno dalla Roma che riesce per ben due volte a recuperare grazie ai gol di Fasanelli e di capitan Ferraris a tempo scaduto. Le due compagini si sono date battaglia con lealtà e agonismo e questo sembra essere sufficiente per i dirigenti modenesi che chiedono alla Roma di scendere a patti assegnando la coppa ex equo a entrambe le squadre. Italo Foschi non ci pensa due volte e rimanda l’invito al mittente con tante cordialità e un telegramma che dice:

    Riteniamo che l’improvvisa sospensione del torneo, senza un incontro definitivo, danneggerebbe e amareggerebbe gli sportivi della Capitale, che richiedono alla loro squadra un ultimo sforzo per raggiungere l’ambita meta. Perciò, benché il provato valore della cavalleresca avversaria ci faccia scendere sul campo con qualche brivido d’ansia, preferiamo il leale combattimento all’assegnazione amichevole.

    Lo spareggio si gioca sul campo neutro di Firenze il 29 luglio, con le squadre in perfetto equilibrio, rotto nel

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