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La Juventus dalla A alla Z
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E-book306 pagine3 ore

La Juventus dalla A alla Z

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Info su questo ebook

Tutto quello che devi sapere sul mito bianconero

Miti, curiosità e leggende della squadra più vittoriosa d’Italia

Questa non è solo una guida all’universo juventino, è una sorta di nuovo vocabolario per chi guarda il mondo a strisce zebrate. Perché la parola “carpentiere” per un tifoso bianconero significa laterale destro dalla devozione indefessa? Perché “postino” significa centrocampista instancabile nel consegnare il pallone ai compagni? Perché “arancia” fa pensare a un giocoliere dal nasone adunco e i piedoni delicati? Perché “capelli” rimanda a un secolare presidente con la mania delle forbici? Queste e altre centinaia di parole-chiave saranno tradotte in “lingua” juventina, raccontando gli aneddoti a esse legati e i personaggi che le hanno interpretate, espresse, definite, tratteggiate, fatte proprie.
Claudio Moretti
dal 2007 è autore del programma televisivo Sfide. Ha scritto più di venti documentari e trasmissioni TV, l’ultima è Boss in incognito. Per il CONI inventa e realizza brevi format sui campioni azzurri. Ha curato per «La Gazzetta dello Sport» una collana di DVD sulla vita di Marco Pantani. Ha collaborato al libro Sfide, lo sport come non l’avete mai letto. Per Newton Compton ha pubblicato 1001 storie e curiosità sulla grande Juventus che dovresti conoscere, I campioni che hanno fatto grande la Juventus e La Juventus dalla A alla Z.
LinguaItaliano
Data di uscita4 nov 2015
ISBN9788854187658
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    Anteprima del libro

    La Juventus dalla A alla Z - Claudio Moretti

    e-manuali.jpg

    307

    Illustrazioni di Fabio Piacentini

    Icone di Thomas Bires

    Prima edizione ebook: novembre 2015

    © 2015 Newton Compton editori s.r.l.

    Roma, Casella postale 6214

    ISBN 978-88--541-8765-8

    www.newtoncompton.com

    Realizzazione a cura di Il Paragrafo, www.paragrafo.it

    Claudio Moretti

    La Juventus

    dalla A alla Z

    Tutto quello che devi sapere

    sul mito bianconero

    Newton Compton editori

    OMINO.jpg

    A Michele, il nuovo principino della famiglia

    Si ringrazia Fabio Purgatori per la collaborazione nelle ricerche e nella scrittura del testo.

    INTRODUZIONE

    Ogni parola ha un significato diverso per un tifoso di una squadra rispetto a quelli delle altre. Ci vorrebbe un vocabolario del cuore per spiegare cosa rappresenta davvero una parola per chi lega le proprie palpitazioni a quelle di una squadra; qualcosa che vada al di là della fredda definizione di un dizionario, qualcosa capace di sintetizzare esperienze, sensazioni e storie accese da quella parola ogni volta che qualcuno la pronuncia.

    Nessuna parola è innocua per un tifoso. Non puoi dire cigno a un milanista senza tener conto che nella sua testa apparirà il flashback di un regale gol di Marco van Basten; non puoi dire aereo a un granata senza fargli tornare alla mente la tragedia di Superga; non puoi dire foglia a un tifoso interista senza accendere nei suoi occhi le punizioni a foglia morta di Mariolino Corso; non puoi dire razzo a un tifoso della Lazio senza sapere che il ricordo del lutto di Vincenzo Paparelli bagnerà di lacrime i suoi occhi.

    Insomma, ci vorrebbe un vocabolario per capire di cosa parliamo quando parliamo a un tifoso bianconero. Ci vorrebbe un vocabolario per ogni squadra. Ci vorrebbe un vocabolario bianconero: anzi, c’è. Basta girare pagina e iniziare un’appassionata consultazione.

    Ecco il libro per cercare di comunicare con gli altri tifosi bianconeri, ma anche per capire come spiegare ai tifosi delle altre squadre il significato che per loro ha una parola. Insomma per evitare di finire Lost in translation, persi nella traduzione.

    La Juventus dalla A alla Z è una guida all’universo bianconero. L’ordine alfabetico fornisce una mappa per orientarsi e ordinare una storia ultracentenaria. Una storia fatta di mille cose e di mille parole.

    Parole che schiudendosi aprono interi mondi. Definizioni, come in un vero e proprio vocabolario.

    Perché la parola carpentiere per un tifoso bianconero significa laterale destro dalla devozione indefessa? Perché postino significa centrocampista instancabile nel consegnare il pallone ai compagni? Perché arancia fa pensare a un giocoliere dal nasone adunco e i piedoni delicati? Perché capelli rimanda a un secolare presidente con la mania delle forbici?

    Queste e altre centinaia di parole sono qui tradotte in bianconero, raccontando le storie che contengono al loro interno, i personaggi che le hanno interpretate, espresse, definite, tratteggiate, fatte proprie.

    immagineimmagine

    A

    Simbolo della serie maggiore del calcio italiano, la patria abituale della Juventus nella sua lunga storia, esclusa una stagione di esilio, quella 2006-2007. Un feeling, quello tra la Juve e la Serie A, scoccato nell’estate del 1929, quando il presidente della FIGC Leandro Arpinati decise di abolire il sistema allora vigente che assegnava il titolo nazionale al termine di una duplice sfida fra la squadra qualificatasi prima nella Lega Nord contro la migliore della Lega Sud. Il lungimirante Arpinati reputò che i tempi fossero maturi per istituire un torneo a girone unico: più competitivo e in linea con il resto d’Europa. Il primo campionato di Serie A era perciò pronto a mollare gli ormeggi e a salpare verso un’inedita avventura. Lo storico varo avvenne il 6 ottobre di quell’anno: alla Juventus toccò esordire in casa contro il Napoli e i ragazzi allenati dallo scozzese George Aitken ebbero un immediato segno di buon auspicio per la loro storia futura in A. Al 10', infatti, il partenopeo Zoccola combinò un autentico pasticcio. Cercando di respingere il tiro di Cevenini, finì per deviarlo in rete, spiazzando il proprio portiere Cavanna. Tuttavia, nonostante un simile regalo, la prima partita bianconera a girone unico si mise male a metà secondo tempo, quando il Napoli si ritrovò in vantaggio per 2-1. La Juve non si diede per vinta e si protese tutta all’attacco, con i partenopei asserragliati nella propria area di rigore. Un gol di Cevenini al 64' e uno di Munerati all’86' segnarono in extremis la prima splendida rimonta bianconera del nuovo corso. Il presagio, dunque, diceva che ci sarebbe stato da soffrire, ma alla fine sarebbero arrivate le vittorie. A quasi un secolo di distanza dall’Anno Zero del campionato a girone unico, la Juventus è stata capace di attestarsi saldamente come la squadra più titolata della Serie A.

    ADDIO [ad-dì-o] s.m.

    Resiste indimenticato quello commovente e misterioso che il pubblico assiepato allo Juventus Stadium tributò ad Alessandro Del Piero, l’ultima bandiera juventina. Un cavaliere non lascia mai la sua Signora era il suo motto, ma il 10 bianconero per antonomasia, contravvenendo ai precetti del proprio ordine cavalleresco, il 13 maggio del 2012 deve dire addio alla sua Juve. Tuttavia non al calcio, come era lecito aspettarsi dopo 19 esaltanti stagioni. Il paladino di tante battaglie sceglie di fare un passo indietro per lasciare spazio ai bianconeri del futuro. E lo fa senza che nessuna polemica trapeli, come è sempre stato nel suo stile. Contro l’Atalanta si presenta in maglia rosa, i colori con i quali nacque la Juventus. Poi trova anche un pregevole gol, perché Pinturicchio non può finire l’opera senza mettere la firma. Quando il mister Conte lo sostituisce, lo stadio esplode in un applauso all’unisono, interminabile, che costringe il beniamino di tre generazioni bianconere a un lento giro di campo, mentre dagli spalti piovono sciarpe e maglie, come le rose per un grande tenore. È un addio struggente: tutti piangono e ringraziano. Anche Alex si commuove, pur sorridendo. Un sorriso malinconico, uno sguardo imperscrutabile. La Juve rimane orfana di Del Piero. Non un capitano. Il capitano.

    AFFARE [af-fà-re] s.m.

    Colpaccio di mercato che solo i più lungimiranti e scaltri dirigenti calcistici sanno concludere con profitto. In Casa Juventus, il fiuto per gli affari è stato da sempre una questione familiare e famigliare. Edoardo Agnelli, indimenticato presidente del Quinquennio d’oro, fu un vero maestro nell’arte di acquistare talenti per la causa bianconera. E suo figlio Gianni, quando prese in mano le redini della società, dimostrò di non essere da meno, regalando ai tifosi juventini un’autentica divinità del pallone da adorare e idolatrare: Michel Platini. Che l’Avvocato avesse buon naso è cosa risaputa, ma il miglior affare che gli capitò di portare a compimento, non senza qualche difficoltà, risaliva addirittura al suo primo anno di presidenza e si chiamava Giampiero Boniperti: l’uomo che sanguinava in bianconero. Un’altra vicenda che merita di essere menzionata, in quest’ottica, fu quella intitolata "L’affaire Hansen": un’avvincente storia che si svolse nella calda estate del 1948 e che vide Gianni Agnelli coinvolto in una trama degna del miglior 007. Il romanzo di spionaggio racconta che il signor Bernard Langvold, direttore di una ricca azienda danese di vini, giunto nel capoluogo piemontese per piazzare i suoi prodotti pregiati, incontrò per puro caso un dirigente del Grande Torino che, sapendolo appassionato di calcio, gli domandò se ci fosse una mezzala di valore in Danimarca. La casualità volle che Mr Langvold fosse oltretutto il presidente di un club calcistico, il Frem di Copenaghen. Subito l’imprenditore iniziò a tessere le lodi del miglior giocatore in forze alla sua squadra. Si trattava nientemeno che di John Hansen, un perticone alto più di un metro e novanta che, solo due mesi prima, era salito alla ribalta mondiale firmando 4 dei 5 gol con i quali, smentendo tutti i pronostici della vigilia, la piccola Danimarca umiliò la blasonata Nazionale italiana durante la finale delle Olimpiadi di Londra. Appreso che quello danese era ancora un campionato dilettantistico e che quindi il giovane attaccante non sarebbe costato nulla, il dirigente granata si affrettò a manifestare il proprio interesse e anzi sembrò che l’affare fosse già cosa fatta. A quel punto, però, ecco un colpo di scena: il telefono di casa Hansen squillò e dall’altro capo della cornetta c’era il dottor Boella della Nordisk Fiat di Copenaghen, incaricato dall’Avvocato Agnelli di convincere John a firmare con la Juventus. Il sotterfugio andò a buon fine e il dottor Boella riuscì ad aggiudicarsi i servigi del talentuoso spilungone, soffiato sotto al naso ai cugini del Toro per la felicità della storia bianconera. Perché l’acquisto di John Hansen si rivelò un affare davvero vantaggioso, se consideriamo che l’ex dilettante danese divenne ben presto la punta di diamante della Juve più prolifica di tutti i tempi.

    AGNELLO [a-gnèl-lo] s.m.

    Nato della pecora di età inferiore ai 12 mesi. Simbolo di purezza, innocenza e obbedienza; animale sacrificale per eccellenza, da quasi un secolo è anche sinonimo di Juventus. Il connubio inscindibile tra la famiglia Agnelli e i colori bianconeri ebbe inizio già nel 1923, quando la Vecchia Signora era ancora piuttosto giovane. Il fautore di questa sorta di fusione societaria fu Edoardo Agnelli, illuminato imprenditore col pallino del football, il quale ebbe l’abilità e la sagacia di assemblare il primo prototipo di macchina-da-gol che il calcio nostrano ricordi: un bolide ben oliato capace di ottenere addirittura 5 scudetti consecutivi (primato italiano). Alla tragica scomparsa del presidente Edoardo Agnelli, avvenuta nel 1935, seguì per i bianconeri un prolungato digiuno di allori. Ma ecco che nel 1947 tornò un Agnelli (Gianni) al volante della Juve nuova fiammante che subito estrasse le ruote dal pantano dell’insuccesso e ripartì a tutto gas verso un nuovo ciclo glorioso. E si dovette sempre attendere la provvidenziale presidenza di un altro Agnelli, stavolta Umberto, affinché fosse infranto il sortilegio che per 9 interminabili anni tenne il tricolore lontano dalle maglie zebrate, fino al 1995. L’insigne casata degli Agnelli, il cui stemma è bianconero da quasi un secolo, ha saputo infatti evolversi in una dinastia: una progenie votata al trionfo juventino, il cui blasonato emblema è riconoscibile ancora oggi nel lignaggio del rampollo Andrea.

    ALLENATORE [al-le-na-tó-re] s.m. (f. -trice)

    Incarna la fondamentale figura di raccordo fra una società sportiva e i suoi giocatori: un allenatore, difatti, offre garanzie di supervisione tecnica, tattica e comportamentale rispetto alla filosofia di gioco che lui stesso ha l’obbligo di impartire agli atleti, ma rappresenta altresì una leadership riconoscibile alla quale la dirigenza delega il compito di onorare consegne, misure e obiettivi imposti dalla proprietà. Nel corso di un secolo di calcio, un gran computo di tecnici rispettati e vincenti si sono alternati sulla panchina bianconera: a cominciare dal mitico Carlo Carcano, Vate dello stile metodista e deus ex machina del Quinquennio d’oro dal 1930 al 1935, per finire con Massimiliano Allegri, artefice dell’ultimo trionfo juventino. Nel mezzo, un susseguirsi di ere tecniche di sgargiante successo, fra le quali spicca quella di Marcello Lippi, con un totale di 5 tricolori nel corso del suo duplice mandato, oltre a un ricco bottino di allori europei. Impossibile dimenticare, inoltre, le tre fantastiche stagioni in panchina dell’ex bandiera Antonio Conte, entrato appunto nel ristretto novero dei tecnici capaci di conseguire tre titoli italiani consecutivi. Tuttavia, con buona pace dei restanti, l’allenatore bianconero per antonomasia risponde al nome di Giovanni Trapattoni: vera e propria istituzione del ruolo che, con 14 trofei in 13 stagioni, si è attestato saldamente come il mister più vincente di sempre nella storia della Juventus. Il Trap rimase alla guida della squadra per 10 anni di fila, dal 1976 al 1986, per poi restaurare la propria egemonia nel quadriennio compreso tra il 1991 e il ’94. Niente male, se si considera che tanto il numero di stagioni consecutive quanto quello totale sono record per tecnici di club italiani. Potenti fischiacci con le dita in bocca per richiamare l’attenzione dei suoi giocatori e bottigliette di acqua benedetta da spargere sul campo per scaramanzia, interviste esilaranti e carattere genuino, un’idea di calcio solidamente made in Italy forgiata durante l’apprendistato nelle officine meneghine del grande Nereo Rocco, quella vecchia volpe di Trapattoni non è solo un allenatore. Lui è L’allenatore bianconero.

    AMETISTA [a-me-tì-sta] s.f.

    Pietra che gli antichi greci consideravano un amuleto portafortuna. Ametiste sono nel calcio alcuni gol che sembrano entrare nella porta avversaria con grande semplicità, pur nascondendo storie interminabili, intricate e labirintiche alle quali riescono a porre fine. È quanto accadde al 24' della ripresa di Panathinaikos-Juventus, quando David Platt, servito di petto da Roberto Baggio, scagliò una saetta a filo d’erba che s’infilò nella porta greca, mettendo KO il nemico e annullando una maledizione decennale. Quel gol, infatti, non solo era valso la vittoria nella gara d’andata del secondo turno di Coppa UEFA, ma soprattutto aveva cancellato la dannazione dello Olympiakó Stádio di Atene. Platt calciò in rete il pallone dalla stessa posizione in cui il tedesco Magath, nell’aprile del 1983, aveva sorpreso Zoff con un pallonetto avvelenato, strappando la Coppa dei Campioni dalle grinfie bianconere. Non solo: cinque anni prima, nella medesima porta, Marino Magrin aveva segnato un gol che avrebbe salvato la Juve dalla sconfitta contro lo stesso Panathinaikos, se l’arbitro non avesse inspiegabilmente deciso di annullarlo. Ma il 20 ottobre del 1992, finalmente, David Platt divenne un’ametista: la pietra che, secondo i greci, neutralizza le negatività.

    AMORE [a-mó-re] s.m.

    Quando Edoardo Agnelli, dopo un duro braccio di ferro con la federazione ungherese, riuscì finalmente a portare alla Juventus la strabiliante Gazzella magiara Ferenc Hirzer, l’erede di Casa Fiat se ne innamorò perdutamente e decise che il biondissimo fuoriclasse straniero sarebbe diventato il proprio idolo di gioventù, dimostrando quanto fosse precoce il suo proverbiale edonismo. Solo che, all’epoca, il futuro Avvocato era ancora troppo piccolo e non seppe trovare le parole giuste per esprimere la propria passione. Amante del bello e della numero 10 bianconera, oltre che fine conoscitore della storia dell’arte, Gianni Agnelli si sperticò in elogi prima per Sívori, poi per Baggio e Del Piero, che non esitò ad affiancare a due sommi maestri quali Raffaello e Pinturicchio, distinguendoli perfettamente a seconda dello stile che ognuno degli artisti juventini sapeva dimostrare quando c’era da dipingere capolavori con i piedi. Perché, oltre a essere un sopraffino cantore bianconero, l’eclettico Avvocato seppe anche riciclarsi a sua volta come pittore, estraendo dalla tavolozza del proprio ingegno una serie di pennellate folgoranti che rimasero indelebili nella memoria di ogni juventino. Come quella dedicata al talento cristallino del fantasista bianconero del nuovo millennio, Zinédine Zidane, che Agnelli scelse di dipingere come un Re Sole, forse lasciandosi ispirare dal ricordo dell’altro amatissimo monarca transalpino apparso alla corte della Vecchia Signora: Le Roi Platini. Non a caso, il numero 10 del quale maggiormente il patron della Fiat subì il fascino fu proprio Michel Platini. Al gioiellino francese ogni cosa poteva essere perdonata, perché le sue prodezze donavano l’incanto di cui il cuore del vecchio Avvocato aveva ardente bisogno. E di lettere d’amore lui ne compose un’infinità per il suo geniale pupillo: «L’abbiamo comprato per un tozzo di pane e Platini ci ha messo sopra il foie gras». O ancora: «Nella Juve nessuno è mai stato al livello di Platini e, se in futuro ci sarà qualcuno che lo supererà, lo ammetteremo a malincuore». Insomma, data la finezza e l’acume di cui disponeva, non stupisce che Gianni Agnelli sia stato il miglior esegeta del suo più grande amore: la Vecchia Signora.

    ANIMA [à-ni-ma] s.f.

    Principio vitale dell’uomo. L’anima di una squadra è l’epicentro del sentimento, della passione e della volontà della stessa. Per trovarla bisogna cercare a lungo. Occorre guardare bene fra le pieghe di ogni partita e nei meandri dello spogliatoio, perché l’anima di una squadra può nascondersi ovunque. La Juventus di Marcello Lippi, indiscussa regina di metà anni Novanta, aveva un’anima di ferro e la mostrò in tutta la sua crudeltà in una partita di metà gennaio del 1997 valida per l’assegnazione della Supercoppa Europea. All’improvviso, in mezzo a sei gol, l’esultanza di un bianconero svelò che faccia avesse quell’anima di ferro. Al 35', con la Juve già sul 2 a 0 contro il Paris-Saint Germain, Ciro Ferrara siglò la terza marcatura ed esultò in modo frenetico. L’esperto difensore partenopeo mischiò sul suo corpo gioia e rabbia, rivelando perfettamente i contorni della vera anima juventina: quella che non ha paura di niente e non guarda in faccia nessuno. Spietata e passionale.

    ANTICONFORMISTA [an-ti-con-for-mì-sta] s.m. e f. (pl. m. -sti)

    Sono anticonformisti tutti quei campioni di egocentrismo che nel corso degli anni hanno fatto a pugni con il proverbiale stile Juve. Personaggi, per la verità, difficili da reperire all’interno dell’irreggimentato ambiente bianconero. Tre esempi possono bastare, ognuno legato al successivo da un’affinità elettiva: Renato Cesarini, Omar Sívori e Gianfranco Zigoni. L’oriundo Cesarini, fantasiosa mezzala degli anni Trenta rimpatriata da Buenos Aires, fu sì l’eroe che in maglia azzurra riuscì a segnare in extremis lo storico gol che sconfisse la Grande Ungheria, ma più che altro si segnalò per il suo spirito caliente e la sua condotta stravagante. Circense prestato al calcio, il Cé era un autentico estro ambulante, tanto in campo quanto soprattutto fuori: tra nottate brave in piazza Castello, con una scimmia in spalla, ballando il tango, fumando e bevendo sconsideratamente, imparando l’italiano dalle maîtresse e inscenando virtuosismi con la chitarra come uno showman consumato. Negli anni Sessanta approdò alla Juventus il Cabezón argentino Omar Sívori, sedotto dalle favolose avventure bianconere che proprio la vecchia gloria juventina Cesarini amava raccontargli nel dialetto di Buenos Aires. Una volta divenuto allenatore della Juve, Cesarini fu anche l’unico in grado di tenere a freno le famose bizze del furetto argentino dal sinistro implacabile. Sívori, infatti, era un indisciplinato del gol, un sadico che godeva a irridere gli avversari e a scatenare risse da saloon in campo, un viziato che declinava il calcio sempre e solo in prima persona singolare. El Cabezón: un testone in tutti i sensi! Al tempo in cui la stella di Sívori stava ormai tramontando, nella primavera juventina spiccava un astro nascente di nome Zigoni. Il giovane Zigo venerava letteralmente l’intemperante numero 10 argentino e non tardò a emularlo in tutto: tanto per le straripanti capacità tecniche, quanto per l’indole da scavezzacollo. Zigoni era il 10 del futuro bianconero, ma l’ambiente zebrato mal digeriva l’animo ribelle del suo talentuoso gioiellino. Chioma zingaresca, rivoluzionario che amava Che Guevara, nemico giurato degli arbitri-dittatori, idolo delle folle: per un ragazzaccio come Gianfranco Zigoni la Signora non era Vecchia, era proprio antiquata!

    ANTIDOTO [an-tì-do-to] s.m.

    Fu miracoloso quello che il nuovo allenatore bianconero Marcello Lippi fece bere ai suoi giocatori all’inizio della stagione 1994-95. Da quando sua maestà Platini aveva lasciato la Juve e il calcio, un sortilegio che durava da un intero decennio stava tenendo il tricolore lontano dalle maglie zebrate e nessuna scaramanzia si era rivelata fin lì efficace. Non era servito cambiare lo stadio, passando dal Comunale al Delle Alpi, né avvicendare allenatori, giocatori e sponsor. Insomma, nessun antidoto aveva mai funzionato. Quella volta, invece, la musica cambiò e il segreto lo volle rivelare proprio il nuovo tecnico viareggino: «Meno campioni e più fuoriclasse», vale a dire nessuna primadonna, bensì tanto talento al servizio del collettivo, tanta qualità dentro ma soprattutto fuori dal campo. Parole di Lippi e musica dei suoi giocatori, per un successo che spopolò per oltre quattro anni in testa alle hit-parade d’Italia, d’Europa e del mondo. A cominciare dallo scudetto che, in quella stagione di rinnovamento, tornò di proprietà della Juventus. Dopo nove anni l’incantesimo era spezzato: merito del fluido benefico di Lippi.

    ANZIANO [an-zià-no] agg., s.m.

    È l’ingrato appellativo che, a onor di statistica, occorre affibbiare al roccioso perno della retroguardia Pietro Vierchowod, il giocatore più maturo fra quanti abbiano esordito con la maglia zebrata: per l’esattezza il giorno 27 agosto del 1995, alla veneranda età di 36 anni, 4 mesi, 21 giorni. Un matusalemme in cerca della sua seconda giovinezza calcistica in bianconero.

    APACHE [a-pa-che] agg. e s.m. e f. invar.

    Il nome della famosa tribù di nativi americani è il nome di battaglia di Carlito Tévez, lo straripante numero 10 argentino in forza alla Juve per due campionati dal 2013 al 2015, il guerriero più

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