IL DERBY ovvero il campionato in due partite
Di Carlo Mia
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IL DERBY ovvero il campionato in due partite - Carlo Mia
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INTRODUZIONE AL DERBY
Tre sono i significati della parola derby, uno è legato all’omonima città inglese, l’altro alla corsa di cavalli che si tiene nella città stessa, detta The Derby
, l’ultimo, quello più noto, è la partita di calcio, la stracittadina
, in quanto viene giocata, tra due squadre della stessa città.
La parola derby, è utilizzata, anche per le sfide tra squadre che, in ambito calcistico e quando giocano nello stesso campionato, si trovano nella stessa provincia, come Empoli e Fiorentina o nella stessa regione, tipo Alessandria e Novara, oppure, nella medesima area geografica, ad esempio, il famoso derby dell’appennino
, giocato tra Bologna e Fiorentina ed ancora, il derby del Sole
o derby del Sud
, tra Roma e Napoli o tra Napoli e Bari.
I derby ovviamente si giocano in tutto il mondo ed alcuni sono storici
, come quello di Glasgow tra Rangers e Celtic, l’Old Firm
oppure quello sudamericano tra Boca Juniors e River Plate, il superclasico
.
Cosiccome alcune partite tra nazionali, sono qualificate come derby, ad esempio Inghilterra-Scozia, Norvegia-Svezia, o Italia-Francia, il derby d'Europa
.
Anche i cinque derby, attualmente disputati, tra squadre della stessa città, assumono delle loro personali definizioni, che in fondo poi, li caratterizzano,per cui:
Il derby di Torino è il derby della Mole
, con riferimento alla Mole Antonelliana.
Il derby di Milano è il derby della Madonnina
, con riferimento alla statua della Madonna Assunta, posta sulla guglia più alta del Duomo milanese.
Il derby di Genova è il derby della Lanterna
, con riferimento al Faro del domina il porto.
Il derby di Roma è il derby della Capitale
, con riferimento al fatto che la città, è la capitale d’Italia.
Il derby di Verona è il derby della Scala o dell’Arena
, con riferimento alla famiglia scaligera che governò la città o all’anfiteatro simbolo della città.
Gianni Brera nel 1967, coniò la definizione derby d’Italia
arrivata fino ai giorni nostri, per quello che si gioca tra Inter e Juventus, poichè all’epoca, erano le squadre che, a sommatoria totale, avevano il maggior numero di titoli nazionali vinti.
Oggi non sarebbe più così, perchè anche il Milan, sommando i successi ottenuti, soprattutto nell’era Berlusconi, con quelli della Juventus, potrebbe fregiarsi unitamente ai cugini, di questo diritto, anche se la storia non si cambia e vale ciò che era, alla fine degli anni sessanta, che fa parte di quel calcio, fatto di poesia, di immagini in bianco e nero sbiadite nel tempo e di un giornalismo romanzato.
Cercherò di raccontare, un po’ per quanto la memoria mi verrà in aiuto, abbinato ad un po’ di ricerca, i derby riguardanti granata e bianconeri, quelli che mi sono rimasti più impressi e dei quali conservo il ricordo, nella mia lunga militanza da tifoso granata, oltre ad altri derby, che si giocano da altre squadre in Italia e nel mondo, aventi la stessa caratteristica per essere così denominati e che sono un pezzo fondamentale, della meravigliosa e nondimeno affascinante, storia del calcio.
Per onestà intellettuale, scriverò dei derby vinti dal Toro, perché è la squadra che mi accompagna fin da quando ho iniziato a seguire il calcio, ma anche di quelli persi, perché credo sia d’uopo riportare sia i successi, quanto le sconfitte, che vanno ad integrare la bellezza di questo gioco, nonché del proprio bagaglio di emozioni.
Il derby, per chi vive in una città dove per l’appunto, giocano nello stesso campionato due squadre, è un campionato dentro al campionato stesso, due appuntamenti che vengono attesi ogni anno, da tutto l’ambiente calcistico, fin dal momento della compilazione dei calendari in estate ed in particolar modo, nella settimana che li precede, grazie anche all’ausilio di stampa, radio e televisione, che tutti i giorni stilano dei veri e propri bollettini di guerra, sullo stato di salute delle due compagini, esacerbando ancor di più un clima in città, di per se, già ben elettrizzato, grazie alla magia, che evoca questa parola.
Sono partite, che si giocano, su un precario equilibrio nervoso, la posta in palio è alta, vale la supremazia cittadina.
Emotivamente è quella più sentita dai tifosi, una volta lo era anche per i giocatori, è la cosiddetta partita dell’anno
, la madre di tutte le partite
, quella che ti permette, se la tua squadra del cuore la vince, di vivere di rendita fino a quella successiva e che, oltre alle interminabili discussioni da bar, mette in moto quella pratica goliardica, che viene detta sfottò
.
Lo sfottò era divertimento puro, già prima dell’avvento dei social, i tifosi si inventavano ogni cosa per schernire il rivale, cori, striscioni, canzoni, magari adattando i testi, alle musiche di quelle più famose.
Con l’avvento dei cellulari prima e degli smartphone poi, oltre a quelli abituali, ci si sfotte con gli sms, whatsapp, facebook, twitter e via dicendo, inviando un secondo dopo che l’arbitro ha decretato la fine delle ostilità, a risultato ormai acquisito, frasi, fotografie e filmati, che alla fine, anche chi li subisce, non può non provare divertimento, perché il tutto è la conseguenza del gioco, un volta tocca a te ed un’altra a me, questo in definitiva, è il succo della cosa.
E’ superfluo ripetere, che ad ogni sfottò c’è un limite ed al suo superamento, questa parola decade dall’intrinseco significato di puro divertimento, diventando un qualcosa, verso il quale il vero tifoso, non si dovrebbe mai avvicinare, ossia quello, di generare violenza.
Ho ancora negli occhi gli episodi, per citarne due di questi ultimi anni, uno riguardante il tifo granata ed uno quello bianconero, che sono veramente incredibili.
Quello che mostra le immagini riguardanti la tifoseria granata, di quel bimbo, che incitato dal padre, lancia oggetti verso il pullman dei giocatori della Juve, correndo oltrettutto il rischio di farsi male lui stesso ed ottenendo anche, un pessimo insegnamento di vita, da parte di chi invece, dovrebbe esserne il mentore, ossia il genitore, dal quale al contrario, viene incitato a compiere l’insano gesto.
Non da meno, anzi e non perché sia ad appannaggio della tifoseria juventina, lo avrei scritto anche se lo avessero compiuto i nostri tifosi, ma per la gravità delle conseguenze che avrebbe potuto causare, quello della bomba carta, lanciata dal settore ospiti, dove alloggiavano i tifosi bianconeri, verso la curva Primavera, che per fortuna, non ha causato danni gravi alle persone.
Nei derby torinesi, diverse volte, ma questo da sempre non solo oggi, ci sono stati scontri, anche violenti, che hanno portato alla guerriglia tra le tifoserie e le Forze dell’Ordine.
Il risultato ottenuto in questi casi, è di avere la polizia in divisa da sommossa, lancio di lacrimogeni, randellate da parte dei poliziotti e di conseguenza, gente ferita, corse negli ospedali, perché a volte chi subisce simili angherie, ne patisce poi anche delle gravi conseguenze ed oltrettutto, in alcune occasioni, con queste dimostrazioni di violenza, non c’entra proprio nulla, perché si trovava per caso, a passare in mezzo al caos generale.
Tutto è di un’assurdità inaudita, non si riesce mai a capire il motivo del perché succedono questi episodi, dove l’unica cosa che conterebbe, dovrebbe essere il divertimento.
Anche se credo vivamente, che chi compie atti simili, sovente con il calcio abbia ben poco da spartire.
Indossando una maglia o una sciarpa, ci si crea un alibi, per nascondere i motivi, volti a provocare i tumulti, con i quali però, si danneggia la società, per la quale si pseudo-tifa
.
Ovviamente non è sempre così, la rivalità tra tifoserie opposte, esiste e nei decenni abbiamo visto episodi riprovevoli, decisamente da condannare.
Come non ricordare quello che uccise il laziale Vincenzo Paparelli, prima di un Roma-Lazio del 28 ottobre 1979, colpito da un razzo a paracadute di tipo nautico, che volò da una curva all’altra, per ben 160 metri!
Venne centrato in un occhio a soli trentatrè anni, mentre stava mangiando un panino con la frittata, attendendo con la moglie, che iniziasse la partita e dove, senza ombra di dubbio, la sua massima aspirazione, era quella di assistere in pace al derby capitolino, magari veder vincere la propria squadra, ma non certo sicuramente, quella di trovare questa inopinata e quanto mai assurda morte.
Non è possibile e totalmente inaccettabile, per quello che, al di la dei soldi che ormai la fanno da padrona, rimane comunque un gioco, che diverte ed appassiona milioni di persone ad ogni latitudine, farsi male o nel peggiore dei casi, come abbiamo visto, perdere la vita.
Grave e per fortuna senza conseguenze, anche se non riguarda un derby, l’episodio accaduto a San Siro, il 6 maggio 2001 durante la partita tra Inter ed Atalanta.
Un episodio tremendo, che avrebbe potuto causare ingenti danni alle persone, catalogabile come quando il calcio diventa follia
.
Si era ormai ai titoli di coda, ossia mancavano pochi minuti al fischio finale, con i nerazzurri meneghini in vantaggio per 3-0, quando, come venuto fuori dal nulla, apparve uno scooter, introdotto in curva dagli ultras interisti nel secondo anello.
Già di per se rimane sconcertante e da capire, come ci sia entrato sugli spalti di uno stadio, un oggetto così voluminoso e ingombrante, che per questo, non poteva non dare nell’occhio a chi avrebbe dovuto effettuare i controlli all’ingresso dei tifosi, ma a questo punto, il condizionale diventa d’obbligo.
San Siro o Meazza, è uno stadio conosciuto in tutto il mondo, fiore all’occhiello del nostro calcio, per la storia scritta dalle due compagini milanesi.
Il motorino dopo essere stato preso a calci dai tifosi, chissà per quale colpa, venne scaraventato dal secondo al primo anello, fortunatamente senza causare feriti o nella peggiore delle eventualità, anche morti.
C’è una causa in tutto ciò, che viene fatta risalire al 1972, quando i tifosi atalantini fecero uno sgarbo agli interisti, cercando di rovesciare le automobili di Boninsegna e Corso.
Da allora è stata tutta una serie di schermaglie, delle quali l’ultima, chiude una escalation, veramente inconcepibile.
Vedremo più avanti, altri fenomeni di intemperanza dei tifosi, anche all’estero, soprattutto in campionati, come quello greco ed argentino, nei quali diverse volte si è arrivati addirittura alla loro sospensione, per la gravità dei fatti accaduti.
Senza parlare del fenomeno degli Hooligans, anni ‘80 e ’90, sia inglesi, che olandesi, risolto con norme, specie nel Regno Unito, veramente restrittive, ma altamente efficaci.
Infine come dimenticare l’Heysel, che, a mia memoria, rimane l’episodio simbolo, diventato l’icona di queste violenze, dove quella che doveva essere una festa del calcio, aldilà del risultato, ovvero la finale di Coppa Campioni, si trasformò in una tragedia, trasmessa oltrettutto in diretta TV e che costò la vita a 39 persone innocenti e sottolineo innocenti e nell’inciviltà, per fortuna di pochi, questi morti vengono sbeffeggiati, ancor oggi a tanti anni di distanza dai fatti, con cori ignobili e striscioni ancor peggio.
I morti di qualunque squadra siano, non si insultano, MAI, lo dico perché, sempre per essere equi nel giudizio, anche i nostri morti, quelli del Grande Torino, sono stati più volte oggetto di questa manifestazione, veramente becera e disgustosa, che nulla ha a che fare, con il tifo e di anni da quella immane tragedia, ne sono passati molti di più!
Oggi ci indigniamo per i BUUU
che vengono definiti razzisti, anche se secondo me, il razzismo è un’altra cosa, perché è tale e quale a quanto veniva fatto, magari in altri termini, verso i giocatori meridionali, specie negli anni sessanta/settanta, ad esempio, verso il siciliano Pietro Anastasi, attaccante juventino, ma anche a tanti altri, nativi del Sud della penisola.
E’ solo ipocrisia, magari da sfruttare politicamente per portare a casa qualche voto in più alle elezioni, anche perché nei nostri campionati, fino a quelli giovanili, tutte le squadre hanno giocatori di colore, che potrebbero indignarsi, quando i tifosi delle proprie squadre deridono i loro fratelli, ma che di fatto quando accadono, nessuno, se non raramente, prende posizione, quindi di che stiamo parlando?
Con l’avvento dei social, questi episodi hanno avuto un enorme risalto mediatico, poiché la gente scrive, pubblica foto e video e quindi la risonanza che viene data, per cose a volte anche banali, cresce in maniera esponenziale, provocando l’ira e il successivo sfogo di quei tifosi, i quali al posto del cervello, hanno veramente un bidone dell’immondizia
, parafrasando Buffon, di una recente notte madrilena.
Se non si desse eco a queste notizie, probabilmente sarebbe come quando si faceva il verso o si insultavano i meridionali, una volta finita la partita, finiva tutto, senza togliere che siano ovviamente, episodi da condannare e si debbano trovare correttivi, verso questo malvezzo unicamente italiano, al pari di quello di tifare contro la squadra avversaria, cose che non succedono da nessun’altra parte del mondo, perché portano poi solo violenza e di questa, non ne sentiamo oggettivamente, il bisogno.
Basterebbe ignorare, non dare voce ai cretini, isolarli, in quanto sono solo un manipolo per ogni tifoseria e più se ne parla e più si sentono forti ed al centro dell’attenzione.
Al contrario in queste polemiche, ci sguazza come sempre, l’informazione, che invece di parlare di sport, diventa così con le sue trasmissioni ed i giornali, una mera cascata di notizie, di un gossip del quale non se ne sente più la necessità.
Tutto ciò, dimenticandosi che dovrebbe essere il calcio, la partita, con i suoi episodi, i suoi errori, i suoi gesti atletici a dominare la discussione, non queste sterili diatribe, le quali esasperano solo i tifosi, già di per se ben caricati a molla, con il risultato che poi la domenica successiva, sfogheranno questa loro rabbia sugli spalti degli stadi o anche nelle strade adiacenti.
Da ricordare, l’episodio accaduto allo stadio Madrigal, quando un semplice gesto avrebbe potuto fare scuola, essere cioè seguito in altre occasioni, per prendere con ironia, che diventa anche perdono, verso chi ha perpetrato, il gesto incivile.
Durante la gara Villareal-Barcellona, il giocatore blaugrana Dani Alves, si accingeva a calciare un corner, quando dagli spalti, al suo indirizzo, venne tirata una banana, al suo indirizzo.
Con tutta la naturalezza di questo mondo, senza scomporsi più di tanto e senza neanche degnare di uno sguardo, i tifosi avversari, il calciatore raccolse il frutto, che è oltremodo utile per chi fa dello sport, dato il suo alto contenuto di potassio e dopo averlo sbucciato, ne mangiò un pezzo.
Un’esibizione che da sola paga il prezzo del biglietto e nel contempo smonta quello che doveva essere un insulto, in una scenetta che, in poche ore, è diventata virale, un vero spot antirazzismo.
La rappresentazione ironica verso questi episodi, che però più mi ha colpito, non riguarda il mondo del calcio e nemmeno il razzismo, ma una forma ancor peggiore, quella cioè, di deridere i disabili.
Questa ironia riguarda quel meraviglioso sportivo, rimasto vittima di un grave incidente in una gara automobilistica, svoltasi in Germania nel 2001, che risponde al nome di Alex Zanardi.
L’incidente, per il quale rischiò di morire, gli costò l’amputazione di entrambe le gambe, ma lui non si perse d’animo e con una forza di volontà incredibile, ricominciò da zero, diventando un campione di handbike, arricchendo il suo palmares con un numero incredibile di medaglie, la maggior parte d’oro e partecipando anche alla Maratona di New York, ma soprattutto spronando tutti coloro che subiscono delle menomazioni a reagire, a