Questo non è un libro sul COVID
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Info su questo ebook
di Maria Concetta Distefano, Doriana Bruni, Caterina Pagliasso, Giuliana Milia
L’anno appena trascorso e quello da poco iniziato entreranno, molto probabilmente, nei libri di Storia. In ogni caso non saranno da considerare anni normali.
Abbiamo tutti dovuto portare, e ancora portiamo, un pesante fardello di conseguenze legate alla pandemia.
Ma non è di questo che tratta il volume. Le illustrazioni, le storie, le filastrocche, le cronache semiserie, i racconti, le recensioni di film, il glossario semiserio sono libere interpretazioni ironiche e divertenti di un momento buio.
L’intento è quello di intrattenere chi legge e fornire piccoli spunti di riflessione, ma sempre in punta di sorriso.
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Anteprima del libro
Questo non è un libro sul COVID - Maria Concetta Distefano
Introduzione
Lo dica pure con parole mie
aforisma di Giuseppe Pontiggia
Sicuramente l’anno 2020, con i suoi ripetuti lockdown più o meno severi, a colori decisi o sfumati a chiazze, sarà studiato nei libri di Storia.
Probabile che qualcuno, più votato nella sociologia che nelle statistiche e nei dati epidemiologici, scriverà che la maggior parte degli italiani, costretti a casa durante il primo lockdown, passava il tempo su Facebook. Soprattutto gli over cinquanta, perché i giovani e i giovanissimi snobbavano quel social già da un po’. Erano da tempo passati a Tik Tok, Instagram et similia perché con più immagini e meno parole. Tant’è…
Probabilmente si dirà che si erano fatte le ipotesi più fantasiose sulle modalità di contagio: il virus
vola motu proprio, si trasforma, sta in apnea, non muore nemmeno a colpirlo forte col mattarello, entra ed esce dai più piccoli pertugi, è invisibile, si palesa solo a pochi eletti, va, ammazza e torna.
Si studieranno, probabilmente, i post sui social del periodo e la trasformazione dei loro contenuti nel tempo in questione.
Da una prima tendenza altamente culinaria si dirà che si era passati da un’ondata animalista
– in cui spopolavano post e foto con gatti, cani, pets in generale, perfino con pesci rossi e tartarughe di terra e d’acquario, di solito poco considerati – a una linea catastrofista e complottista; dai selfie (di quando si era ancora freschi di parrucchiere) alle foto d’antan color seppia ripescate nei cassetti della memoria; dal tempo reale al passato remoto.
Tutto questo senza scordare l’abnegazione di medici e infermieri e di tutte quelle persone che continuavano a lavorare per permettere a tanti di stare a casa, al sicuro, e uscire dal dramma migliorati come persone seppure dubitamus ergo sumus su quest’ultima speranza.
Scriverne o non scriverne?
Scriverne. Ecco quello che noi abbiamo fatto cercando di interpretare
il periodo a modo nostro. Guardandolo da quattro punti di vista differenti e convergenti verso un’opera a otto mani che cercasse di venire a patti col periodo e il Covid-19.
Partendo dalle nostre esperienze e dal nostro sentire, ecco quattro fotografie dei nostri stati d’animo, quattro approcci differenti a un momento di difficoltà comune a tutti:
Una paziente/impaziente fra diagnosi, prognosi e anamnesi, corse in corsia in tempi di pandemia.
Una nonna alle prese con due nipotini in tempo di scuole chiuse, che si concede un’appendice adulta
scrivendo racconti inquietanti.
Una narratrice di storie surreal-fantastiche.
Un’artista distopista.
L’opera comprende anche due appendici. Una con recensioni di film che aiutano a ritrovare il benessere e una con un breve glossario semiserio e ironico.
Le Autrici
Tra un ricovero e una recovery: cronaca semiseria di una diagnosi e di un’insolita primavera
di Doriana Bruni
20 febbraio 2020
È andata così: dovevo andare alle terme e invece la sorte mi ha riservato due sorprese, perché, si sa, two is better than one.
Prima mi hanno chiamato dalla Breast Unit dove avevo fatto lo screening Prevenzione Serena
per approfondimenti
sulle mie tette (da tempo nessuno approfondisce più niente in quella zona) e poi si è saputo che il virus, che sembrava girare solo a Wuhan, adesso è arrivato in Italia.
29 febbraio
Codogno è già zona rossa e si parla spesso del paziente uno
e del paziente zero
– questo sconosciuto - nei vari notiziari e mass media.
Scrivo su Facebook un consiglio per le amiche e gli amici: State diventando l’impaziente uno a furia di sentire parlare sempre dello stesso argomento al TG, alla radio e nei giornali? Fate così: ascoltate Mina che canta Città vuota e fate una rivisitazione della canzone, per esempio: Le strade sono… vuote a Codogno e poi… non si va a scuola… ma c’è una chat lo sai
.
Poi ascoltate Il triangolo
di Renato Zero e provate a fare la stessa cosa. Potete iniziare così: Il virologo no, non l’avevo considerato… la biologia non è un reato…
. Se vi viene da ridere è un buon segno: l’ansia è passata; per il momento, le difese immunitarie sono aumentate. Un buon inizio.
3 marzo
Ecografia e mammografia approfondite. Ci sono delle calcificazioni. E dire che avevo poco calcio nelle ultime analisi, ma magari ha a che fare con la calce, che ne so. La dottoressa mi parla in modo troppo veloce e capisce che non sono dinamica, ma io mi sento un po’ trattata da scema.
In ogni caso, devo tornare il 12 marzo per ago biopsia su guida stereotassica
, qualsiasi cosa voglia dire questa espressione. Scopro poi che non è identica a un ago aspirato ma gli assomiglia molto.
5 marzo
Telefono alle amiche che possono aver fatto questa esperienza. Mi parlano di grossi aghi inseriti nella mammella e io mi immagino già di svenire davanti alla radiologa.
Intanto imparo le risposte da dare alle ancelle del triage
all’ingresso dell’ospedale: no, non sono tornata dalla Cina, non ho frequentato persone positive
– frequento proprio dei tipacci io, delinquenti e drogati. (Così, almeno in questo periodo, finirà il continuo esortare a frequentare solo persone positive, da new age eccheppalle, mica possiamo accettare la dittatura del pensiero positivo.)
12 marzo
Chiedo se mi faranno l’anestesia (la voglio, la pretendo!) e in effetti l’ago che sento più distintamente è quello dell’anestesia. Nel frattempo mi hanno fatto stendere su un fianco (meraviglioso, non rischio di accovacciarmi per sottrarmi al colpo dell’ago.) Come siete comprensive, dottoresse. Come siete umane, voi!
Esco felice dall’ospedale.
13 marzo
Come si fa a non pensare mentre si aspetta un referto? Mi rivedo Little Miss Sunshine
, poi una dose degli Aristogatti
, poi passo al cruciverba di Bartezzaghi. Ecco, il più è fatto… trafitta da un ago aspirato ed è subito sera.
Intanto è arrivato il lockdown anche a Torino e nel resto d’Italia. Siamo tutti chiusi in casa.
Le strade sono più vuote di quelle di Mina, le polveri sottili diminuite in modo drastico. Mi sembra di sentire Greta Thunberg che dice Ve lo avevo detto io, che bisognava darci un taglio.
Si invidiano le persone che hanno un cane, così possono uscire. C’è chi lo noleggia. Quasi quasi me lo faccio fare di lana pelosa, che sembri vero, però.
Cerco di riordinare qualche angolo della casa, ma non sono molto portata per queste operazioni; mi metto a leggere dépliant di venti o trenta anni fa; ritrovo, per esempio: Corsi per diventare consigliere di orientamento professionale
(che mestiere è?); Corsi attivati all’Università per Stranieri di Perugia per le professioni in campo pubblicitario
(sì, mi sarebbe piaciuto fare la copywriter, in tutti i test veniva fuori che avevo l’attitudine); I mestieri per il turismo
; Come si scrive un curriculum vitae
.
Tanta roba così, e dire che ho passato i sessanta già da un po’.
Scrivo su Facebook: Non so voi, ma, restando in casa, io scopro risorse che non pensavo di avere, sia oggetti fisici sia risorse interiori. Ogni tanto mi sembra di esplorare la casa di un’altra persona.
17 marzo
Mi telefonano per dirmi che il referto è pronto. Arrivo inquieta e tremante davanti all’ospedale e, surprise, non ci sono le ancelle del triage. La receptionist mi dice che non posso entrare perché nessuno può misurarmi la febbre. Spiego che mi hanno chiamato e che sono puntuale. Niente da fare. Intanto c’è aria di chiusura, perché da poco hanno scoperto che ci sono stati dei casi positivi lì, proprio lì, e devono stare in quarantena per due settimane. A maggior ragione devo proprio ritirarlo oggi, questo referto. Dico che aspetterò l’uscita della dottoressa Limoncelli Buoni. Mi scongiurano di andarmene. Allora faccio un sit-in come si faceva negli anni Settanta, respiro aria da figli dei fiori, una ventata di gioventù, chi lo avrebbe detto. Passa un’infermiera che, mossa a pietà, mi conduce dalla dottoressa Limoncelli Buoni. Finalmente! Anche lei, purtroppo, è presa da furia podistica e iperattivismo da podio che in confronto il coniglio bianco di Alice nel Paese delle Meraviglie
è una lumaca. Comincia a scrivere dei moduli comunicandomi il giorno in cui devo andare all’ospedale Santa Cugina della Madonna, e io oso chiedere: «Sì, ma prima posso leggere il referto?»
«È un carcinoma, naturalmente!»
«Maligno?»
«Ma certo!»
Credo che se il salumiere mi avesse chiesto: «Un etto e mezzo, che faccio, lascio?» avrebbe avuto meno fretta e più garbo. Ma tant’è, sono lasciata sola a digerire la notiziona.
Esco con un misto confuso di sentimenti: incredulità, paura, rabbia e anche curiosità di sapere come sarà questa esperienza estrema. Mi viene in mente la frase della Bignardi in Storia della mia ansia
: "Nella vita di Lea improvvisamente irrompono una malattia e nuovi incontri, che lei accoglie con curiosità, quasi con allegria: nessuno è più di buon umore di un ansioso,