Il mostro è fra noi
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Info su questo ebook
Un romanzo che affronta tematiche delicate e attualissime e che guarda indietro nel tempo con rabbia, a quando certi delitti restavano (e restano) impuniti, segnando per sempre la vita di creature innocenti.
Luciana Pietraccini, madre fiamminga e padre italiano, nasce in Italia dove vive e lavora. Giovanissima, appena diplomata al Liceo Classico, inizia a lavorare nell’editoria occupandosi di moda e giornali femminili. Diventa presto giornalista pubblicista e direttrice di alcune riviste specializzate e continuerà a lavorare per anni in questo settore. Si laurea poi in Lingue e Letterature Straniere presso lo IULM di Milano. Successivamente si dedica all’editing per alcuni editori, realizzando riviste di cucina, maglia, ricamo e scrivendo racconti per i giornali interessati. Tre figli e una vita molto intensa per i numerosi interessi che nutre, continua ad occuparsi di giornalismo e a scrivere con passione.
Ha pubblicato con il Gruppo Albatros il romanzo Cristiano e così sia (2019).
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Anteprima del libro
Il mostro è fra noi - Luciana Pietraccini
Luciana Pietraccini
Il mostro è fra noi
© 2021 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l., Roma
www.gruppoalbatros.com - info@gruppoalbatros.com
ISBN 978-88-306-2887-8
I edizione febbraio 2021
Finito di stampare nel mese di febbraio 2021
presso Rotomail Italia S.p.A. - Vignate (MI)
Distribuzione per le librerie Messaggerie Libri Spa
Il mostro è fra noi
Ai miei figli:
Laura, Paolo, Marco
Tre cose ci sono rimaste del paradiso: le stelle, i fiori e i bambini
.
Dante Alighieri
Nuove Voci
Prefazione di Barbara Alberti
Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.
È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile:
Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere.
Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.
Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi
Non esiste un vascello come un libro
per portarci in terre lontane
né corsieri come una pagina
di poesia che s’impenna.
Questa traversata la può fare anche un povero,
tanto è frugale il carro dell’anima
(Trad. Ginevra Bompiani).
A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.
Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.
Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.
Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterley. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov
.
Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.
Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.
Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.
Prologo
Milano, 1989
La bimba dondola sull’altalena. Caschetto biondo, occhi marroni con pagliuzze dorate, circa sei anni.
Sul prato di casa piega e allunga le gambe per assecondare il movimento. È felice, l’aria tiepida d’inizio primavera le accarezza il volto, mentre sorride.
All’improvviso lo vede: di colore verde, l’enorme bocca spalancata, tanto grande da inghiottirla intera, dai piedini alla testa, i denti acuminati.
Segue i movimenti della bambina, alitandole in faccia il fetore del suo alito.
«Mamma!» grida la bimba terrorizzata, scendendo di corsa dall’altalena, inciampando nei piedi e correndo in casa.
«Mamma!».
Si rifugia tra le sue braccia calde e sicure, dove si quietano tutte le paure.
«Lo hai visto ancora?» chiede la mamma.
«Sì, voleva mangiarmi, ho avuto tanta, tanta paura».
Alessia
Milano, 1990
Sotto la pianta che Alessia ha scelto come nascondino, tutto il mondo è mascherato di verde. Il Viburno ha foglie di un verde scuro e fiori bianchi, con un odore intenso che le dà leggermente alla testa. Alessia non lo sa, ma sua mamma, anni prima, si era battuta strenuamente in una furiosa riunione di condominio perché venissero stanziati i fondi per abbellire adeguatamente il giardino. Sua mamma era già incinta di lei e all’epoca si era convinta che il verde avrebbe reso quel cortile di un condominio milanese più adatto a una bambina, più accogliente.
Nascosta dietro le foglie Alessia spia Marina che ride e corre alla ricerca di lei e di Marta. Marta è la più alta di tutte le bambine della loro età, e normalmente Alessia la invidia per questo, perché l’amica è flessuosa, agile e bravissima in tutti gli sport… vince regolarmente le gare di nuoto, viene sempre scelta per prima quando si fanno le squadre di qualunque gioco… soprattutto Marta riesce a saltare molto più in alto di Alessia e tira delle schiacciate fortissime come quelle di Mila Azuki. Per quanto Alessia ci provi e ci riprovi, non le vengono mai delle schiacciate così forti.
Una parte di Alessia invidia un po’ Marta, ma non quando giocano a nascondino. Marta ormai non riesce a trovare dei buoni nascondigli, spunta da tutte le parti; mentre Alessia, che è ancora piccola e minuta, riesce a infilarsi praticamente ovunque.
E infatti Marina trova per prima Marta, che si era sdraiata sotto una macchina parcheggiata.
«Presa!» grida, e Marta si alza ridendo, spazzolandosi i capelli e i vestiti. Marta non si arrabbia mai, non mette mai il broncio, neanche quando a scuola si distrae e la maestra le segna una nota, neanche quando la prendono in giro perché è alta come un lampione. È il motivo per cui ad Alessia piace così tanto (oltre che per le schiacciate, ovviamente).
Marina e Marta riprendono a cercare, ora insieme, controllando dietro le colonne e negli angoli bui del cortile, gridando: Presa!
tutte le volte che credono di averla scovata. Camminano vicine, in silenzio, coordinandosi con dei gesti, indicando prima l’androne del palazzo, poi lo spazio tra un camion e il muretto del parcheggio, poi iniziano a cercare dietro gli alberi e le piante… Alessia si fa ancora più piccola, stringendosi sotto i rami della siepe.
Il Viburno – Alessia sa che si chiama così perché glielo ha detto sua mamma – in genere le piace, è uno dei suoi rifugi preferiti, anche quando scende da sola a giocare in cortile, con il camper di Barbie o i Transformers, a seconda dell’umore.
Il Viburno è piccolo, rotondo, accogliente e le ricorda le casette dei Puffi. Oggi però vorrebbe uscire dal nascondiglio e liberarsi dalla morsa della pianta. Non le importa se Marina e Marta la stanno ancora cercando. Il Viburno è più stretto del solito, i rami le graffiano le braccia, le si infilano tra le gambe e le tirano i capelli.
L’odore dei fiori, soprattutto quello, è insopportabile.
Alessia si ricorda di quando, un anno prima, tutta la famiglia era partita in macchina per andare a un matrimonio. Il papà si era messo il completo più elegante, ritirato dalla tintoria, la mamma era andata dal parrucchiere e si era comprata un vestito nuovo. Quella mattina anche Alessia era stata sottoposta a un lungo e complicato rituale di vestizione e acconciatura dei capelli. Poi lei e i suoi fratelli, lucidati e vestiti a festa, erano stati caricati in macchina. Durante il viaggio, salendo sulle curve, Alessia aveva iniziato a sentirsi male. La vista si sfuocava e gli occhi non riuscivano a seguire la strada, ogni curva era una piccola centrifuga che le strizzava lo stomaco. Si ricorda proprio di aver detto: «Mamma, sto male». Sua mamma aveva proposto: «Ci fermiamo, vuoi salire davanti?». Ma il papà le aveva detto di guardare davanti e di stare buona, che tanto erano quasi arrivati, era inutile fermarsi sul bordo della strada, lì dove era anche pericoloso.
Alessia aveva vomitato dopo due curve, cercando di rimettere tutto in mezzo alle gambe, tenendosi lontana dalla gonna verde chiaro che la mamma le aveva stirato la mattina, ma niente… si era sporcata il vestito della festa e aveva macchiato anche quello di Vittorio, che le sedeva vicino. Papà aveva accostato la macchina inchiodando di botto e urlando una parolaccia, di quelle che neanche Andrea e Vittorio avrebbero mai potuto dire. Poi la mamma l’aveva tirata giù dai sedili cercando di tamponarla con delle salviettine profumate.
Da allora, per Alessia, il vomito sa dell’odore delle salviettine profumate mescolato a quello dello Chanel della mamma.
Forse è per questo che adesso non sopporta più di stare nascosta sotto la pianta, con i rami che la stringono e il profumo dolciastro dei fiori che le entra nella gola. Alessia si impone di calmarsi, per quanto se lo possa imporre una bambina di sei anni.
Non vuole uscire prima che Marina e Marta la trovino, non vuole rinunciare al gioco in cui è più brava, non vuole essere presa in giro… e non vuole ripensare al vomito. Ma la gola le si stringe sempre di più, le sembra di soffocare, come se dell’acqua le fosse entrata nei polmoni togliendole il fiato di respiro in respiro.
Ora Alessia ha capito. Lì sotto non ci sono solo foglie, sassi e formiche. C’è anche il mostro. Il mostro è grande e odora sempre di profumo e ha dita lunghe, sottili e storte come i rami degli alberi. Dita che si allungano come fossero di gomma. Il mostro è lì, l’ha trovata di nuovo e ora se la mangerà perché Alessia lo sa che il mostro esiste.
La mamma e il papà glielo dicono spesso che i mostri non esistono, ma Alessia sa che i genitori dicono spesso le bugie.
I genitori non credono ai mostri perché non li conoscono, o forse solo perché li hanno dimenticati… ma il suo mostro esiste. Lei ogni tanto crede che il mostro se ne sia andato per sempre, a volte scompare per qualche giorno, una settimana… chissà se va a trovare altri bambini… ma poi lui ritorna. Torna di notte, quando è sola e le parole dei genitori non la possono proteggere più da niente.
Prova a fare un respiro profondo, ma l’aria non entra, l’acqua ha riempito tutti i polmoni. Le gambe formicolano, i piedi sono insensibili, troppo stretti dentro le scarpe da ginnastica, e intorno ci sono solo i rami e l’odore dei fiori bianchi.
«Aiuto!» prova a gridare Alessia con un filo di voce. «Aiuto» ripete, e un grumo di saliva le scivola in gola rischiando di strozzarla.
Alessia tossisce, tira una boccata d’aria, altra saliva le va di traverso e tossisce più forte.
È quello il suono che finalmente richiama Marina e Marta.
Alessia sente il suono delle scarpe che si avvicinano, sente le risate. «Presa, presa… hai tossito!» dicono, ma lei sa solo che sta per svenire come quella volta che ha avuto la febbre altissima e si è alzata in piedi troppo velocemente, sa che non respirerà mai più e che morirà lì, sotto il Viburno, con le dita del mostro che le stringono sempre più forte la gola.
Marta e Marina la trovano così, accucciata dentro la pianta, rannicchiata con le mani sulle ginocchia.
«Alessia, presa!» grida Marta, ma Alessia non si muove e non dice nulla, o forse bisbiglia solo qualcosa.
«Alessia, esci fuori da lì!» riprende Marta.
«Ha detto aiuto
…» interviene Marina.
«Cosa?».
«Ha detto aiuto
!», insiste Marina. «Sta male! Tiriamola fuori».
Marta e Marina si infilano sotto la pianta. È vero che l’odore dei fiori è forte, ma loro non lo percepiscono minimamente come fastidioso.
Prendono Alessia da sotto le spalle e la tirano fuori. Alessia fa due passi e si accascia per terra.
«Alessia, ma che hai?» le chiede Marina.
«Alessia, se è un gioco smettila subito!» prova Marta.
Ma non è un gioco. Anche Marta e Marina lo capiscono, perché Alessia non è mai stata il tipo di bambina a cui piace fare scherzi, soprattutto scherzi cattivi. E questo sarebbe uno scherzo cattivissimo perché Alessia è bianca e trema.
«Alessia, che hai, chiamiamo qualcuno? Tuo fratello? Andrea è a casa?» riprova Marta.
Allora Alessia si anima, quasi salta in piedi pulendosi i jeans e la felpa, asciugandosi con le mani sporche di terra le guance umide e lasciandosi lunghe strie marroni sulla faccia.
«No, no, non chiamate nessuno!» quasi urla.
«Ma perché?» insiste Marina. «Che succede? Stai male? Hai la febbre?».
Marina sa che in classe quasi tutti hanno avuto la febbre, per un mese hanno fatto lezione con la classe semivuota… anche Alessia è stata a casa una settimana, Marina le aveva portato i compiti… ma forse è di nuovo malata, perché ha lo stesso viso rosso e gli stessi occhi lucidi di quando l’aveva vista sotto le coperte, con lo sciroppo per la febbre accanto al letto.
Alessia ha gli occhi sgranati, sente di essere sull’orlo del pianto, di un pianto profondo e inconsolabile, ma poi si controlla.
«Tanto se ve lo dico non ci credete…».
«E tu diccelo!».
«Sì, diccelo, che ti succede?».
Alessia guarda Marta e Marina e pensa che loro davvero le vogliono bene, ma che anche sua mamma le vuole bene… eppure lei non crede al mostro. Forse Marta e Marina ci crederanno, perché sono ancora bambine, anche se Marta è tanto alta, e le