P.ier P.oujourdui
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Info su questo ebook
In questo romanzo non esiste un’unica idea, ma proveremo a dare un’idea del contenuto.
Serena apre la porta di casa e se ne va per dare corda alla sua diversità. Il marito, Pier, terremotato dall’abbandono, ritrova un equilibrio imparando poesie a memoria. Il pacchetto marito/padre ideale si è disfatto, ha perso un pezzo e tutto l’incartamento si è nullificato.
Dopo essere inciampato su sé stesso, Pier incontra Sara ed è solo amore, ma i figli, Luca e Giacomo, faticano ad accettarlo. Fuori dai ruoli, possiamo contare solo su noi stessi e trovare quell’amore gratuito che non conosce abbandoni.
Altre storie – di Isabella, Saverio e Barbara – incrociano quella dei protagonisti; sarà una pandemia ad accostarne i lembi e ricucirle insieme.
L’Autrice scrive di sé: “La buona abitudine a creare mi accompagna dall’infanzia, formata alla scuola autorevole delle favole che mio padre inventava per noi. E fu proprio mio padre a volere per me questo nome, Novella, che, a cavallo tra due stimolanti valori semantici – novità e fiaba –, ha caratterizzato la mia vita”.
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Anteprima del libro
P.ier P.oujourdui - Maria Novella Sammarco
Nuove Voci
Prefazione di Barbara Alberti
Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.
È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.
Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi
Non esiste un vascello come un libro
per portarci in terre lontane
né corsieri come una pagina
di poesia che s’impenna.
Questa traversata la può fare anche un povero,
tanto è frugale il carro dell’anima
(Trad. Ginevra Bompiani).
A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.
Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.
Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.
Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterly. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov
.
Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.
Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.
Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.
PRIMA PARTE
Ho liberato il campo, tutto ok, un bacio a presto
.
Il WhatsApp di Sara, Pier lo legge dopo aver congedato l’ultimo cliente della sera, il sorriso iniziale si è spento a favore di una profonda ruga centrale nella fronte. Quale campo era stato liberato?
Sono sette giorni che tornare a casa gli dà l’allegria di un bambino che va alle giostre, ma stasera ha la sensazione che le troverà chiuse.
Rallenta le pratiche di fine giornata, il passaggio al bagno, il ripristino della soneria del cellulare, le telefonate da fare, che Silvia, la segretaria, gli ha passato, ma neanche il rigido senso del dovere che lo ossessiona fortemente sul lavoro, lo convince a farle.
Mette il cervello su modalità automatico e mentre scende le scale e raggiunge l’auto al parcheggio, ascolta le ansie/problematiche di tre clienti, che meccanicamente risolve con i dovuti consigli.
Montato in auto non ha più nessuna altra incombenza, se non quella di conoscere il significato del messaggio, per cui deve chiamare Sara.
Da quando Sara si è stabilita da lui, sente un’onda di calore ogni volta che ci pensa, è contento di vedersela girare dentro casa allegra e fattiva, mai invadente, sempre con in testa un’idea nuova. La sua calma lo rilassa, niente è più dovuto, tutto è piacevole.
I suoi figli invece hanno preso le distanze e appena torna a casa dopo un ciao sibilato si chiudono in camera, per poi avere sempre una scusa per uscire.
«Ciao Sara, tutto bene?».
«Sì Pier, tutto ok, sono in cerca di una sistemazione per questa sera, ma ho già avuto tre proposte di ospitalità».
«Cosa?».
«Sì Pier, il fatto è che quando sono tornata a casa tua, la mia chiave non apriva, ho suonato e mi ha aperto tuo figlio Giacomo, le mie valige erano all’ingresso allineate e pronte per essere portate via, la serratura era stata cambiata e il messaggio era molto chiaro: me ne dovevo andare. Quella è anche casa loro, evidentemente non sono d’accordo sulla mia presenza quotidiana».
«Ma che dici».
«Pier, penso che abbiano ragione».
«Ma non dovevi andare via!».
«Mi faceva fatica disfare le valige».
Sara ride.
«Quando arrivo a casa mi sentono».
«Pier, sono grandi, forse è meglio parlarne».
«Ma tu devi tornare, ne parliamo tutti insieme».
«No Pier, i figli sono tuoi, loro ed io non abbiamo scelto di condividere una casa e per quanto ognuno abbia una sua vita, gli spazi sono in comune. Mio caro Pier, non vedo l’ora di rivederti, ma torna a casa dai tuoi figli, hanno già sofferto la separazione e ora hanno paura di perdere definitivamente chi, oltre a mantenerli, li ama».
«Ma Sara, ora dove sei?».
«In auto in cerca di qualcosa di buono da mangiare per non pensare troppo».
«Se vuoi ti raggiungo e mangiamo insieme».
«Sentiamoci domani Pier, sono un po’ stanca».
Sara non è stanca , ma le rode il fatto di sentire dentro un senso di fallimento, quei ragazzi si sono chiusi a riccio fin dal loro primo incontro, ma lei era sicura che li avrebbe conquistati, non poteva essere diversamente, invece ogni giorno che passava andava sempre peggio, dopo aver tentato discretissimi approcci, aveva deciso di diventare invisibile, cercando di incrociarli il meno possibile, ma la sera, quando arrivava Pier, era inevitabile ritrovarsi tutti intorno al tavolo, dove Giacomo e Luca mangiavano ciò che si erano comprato e cucinato, assolutamente indifferenti a ciò che Sara e Pier dicessero.
D’altra parte fin dall’inizio Pier era stato chiaro, ognuno doveva provvedere a se stesso, nessuno doveva pesare su gli altri coinquilini per quanto riguardava la gestione della cucina o della spesa, per il resto, Barbara veniva due volte a settimana per le pulizie generali ed era diventata grande amica e confidente di Sara.
Sara decide di passare la serata al Mitra dove Sofy il lunedì organizza serate a tema. Dentro il salone, Sofy distribuisce vestiti a tutti coloro che entrano, a Sara lancia una sottoveste merlettata verde brillante, tutti gli avventori scrivono e dibattono perché sono diventati ministri di una ipotetica e ideale repubblica e ognuno deve stabilire ed enunciare il suo ministero, solo Sara all’angolo sinistro della sala stringe la sua sottoveste e si gode il movimento e il vociare dei convenuti, ma si ritrova poi coinvolta in un ordine in cui, arrivato il suo turno , deve enunciare il suo ministero.
«Ministro del Recupero, ma accetterò l’incarico solo se il mio portafoglio avrà almeno il 75% dei soldi che questa repubblica metterà a disposizione di tutti i ministeri, perché il recupero e il restauro dei gioielli di archeologia, di arte e architettura di questo Paese, frutterà alla comunità ricchezza, qualità, cultura e piacevole benessere!».
Le ultime parole Sara le dice in un crescendo di teatrale enfasi, sventolando la sottoveste come la bandiera della vittoria del 1945 a Berlino e anche se non è il 30 aprile, sono esattamente le 22:50.
Seguono ovazioni e applausi e la serata si risolve tutta intorno alla proposta di Sara con commenti ironici e grasse risate.
Alle tre passate Sofy chiude il grande portone del centro culturale, sociale, nonché bar, sala da the e volendo ristorante con musica dal vivo.
«Sei stata grande Sara, hai svoltato la serata a tutti, a volte basta una piccola maledetta idea per tirare fuori il meglio dalla gente. Ma stasera come mai hai abbandonato la famigliola? Il grande Pier dopo una settimana ti ha già deluso, non gli si alza più l’uccello perché glielo hai consumato?».
«No Sofy, questo non potrebbe succedere mai. I figli di Pier hanno cambiato la serratura e mi hanno fatto trovare le mie cose pronte all’ingresso, una vera fortuna, perché avrebbero potute lanciarle dalla finestra».
«Che personcine simpatiche e perbene».
«Hanno sofferto molto per la separazione dei genitori e la mia presenza la sentono come una imposizione».
«Naaa, ricordati che oggi i peggio teppisti, delinquenti nonché stupratori, si nutrono alla mensa di seri e brillanti professionisti».
«Ma che dici Sofy, sono sempre figli di Pier, mica del primo avvocato stronzo, costruito, vacuo, decadente, anaffettivo che pensa solo ai cazzi suoi. Mi ospiti stasera?».
«Solo se ti fermi più di una settimana. Sei fortunata perché non posso permettermi di cambiare serrature, il fabbro costa più del chirurgo plastico».
Si è fatto giorno nel soggiorno di Sofy, nel divano letto fucsia un gomitolo di lenzuola, coperte, cosce e braccia umane. Un cellulare si illumina con la scritta P.aujourdhui
accompagnato dal debole verso di una zanzara, suoneria udibile solo a chi percepisce ultrasuoni e a Sara.
«Ciao Sara, come stai? Possiamo vederci stasera a cena?».
«Certamente, ho già fame».
Al ristorante Sara e Pier siedono affiancati sullo stesso divanetto come fanno le coppie in Grecia.
«Non dovevi andartene, ma rimanere e ostinarti a prendere la felicità che volevi, sei sempre rinunciataria e troppo gentile con il tuo prossimo».
«Ma non posso essere felice di qualcosa che crea disagio e infelicità ad un altro, ci penserei continuamente e finirebbe la mia serenità, mi fa fatica e preferisco andarmene, si trova sempre qualcos’altro nel mondo di divertente, piacevole, devo dire che ho chiuso la serata con abbondanti risate in un posto dove non sarei mai capitata, se un fabbro non fosse stato invitato a casa tua».
«E alla mia felicita hai pensato? Pensi sempre a tutti meno che a te e a quelli che si legano a te che dovrebbero sempre accontentarsi, mai affermare i propri desideri e mandare a quel paese quelli che li osteggiano! E poi, tutto diventa uguale… se non puoi assecondare il tuo desiderio, c’è qualcos’altro nel mondo