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Otello
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E-book244 pagine1 ora

Otello

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Info su questo ebook

Otello è un comandante musulmano al servizio della Repubblica Veneta al quale è stato affidato il compito di comandare l'esercito veneziano contro i turchi nell'isola di Cipro. Partito da Venezia in compagnia dell'amico e luogotenente Cassio, Otello viene seguito a breve da sua moglie Desdemona, con cui si è sposato in segreto, scortata dall'alfiere Iago e da sua moglie Emilia. Il viaggio sembra procedere con tranquillità, ma un'inattesa piega degli eventi attende Cassio e Otello al loro arrivo a Cipro: mentre la flotta turca è stata distrutta dalla tempesta, Iago comincia a tramare nell'ombra per destabilizzare la situazione e salire ai vertici dell'esercito.-
LinguaItaliano
Data di uscita2 set 2021
ISBN9788726900521
Otello
Autore

William Shakespeare

William Shakespeare is the world's greatest ever playwright. Born in 1564, he split his time between Stratford-upon-Avon and London, where he worked as a playwright, poet and actor. In 1582 he married Anne Hathaway. Shakespeare died in 1616 at the age of fifty-two, leaving three children—Susanna, Hamnet and Judith. The rest is silence.

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    Anteprima del libro

    Otello - William Shakespeare

    Otello

    Translated by Diego Angeli

    Original title: Othello

    Original language: English

    Immagine di copertina: Shutterstock

    Copyright © 1622, 2021 SAGA Egmont

    All rights reserved

    ISBN: 9788726900521

    1st ebook edition

    Format: EPUB 3.0

    No part of this publication may be reproduced, stored in a retrievial system, or transmitted, in any form or by any means without the prior written permission of the publisher, nor, be otherwise circulated in any form of binding or cover other than in which it is published and without a similar condition being imposed on the subsequent purchaser.

    This work is republished as a historical document. It contains contemporary use of language.

    www.sagaegmont.com

    Saga Egmont - a part of Egmont, www.egmont.com

    DRAMATIS PERSONAE.

    IL DOGE di Venezia.

    BRABANZIO, senatore.

    Altri senatori.

    GRAZIANO, fratello di Brabanzio.

    LODOVICO, parente di Brabanzio.

    OTELLO, nobile Moro al servizio dello Stato di Venezia.

    CASSIO, suo luogotenente.

    JAGO, suo alfiere.

    RODERIGO, gentiluomo veneziano.

    MONTANO, predecessore di Otello nel Governo di Cipro.

    CLOWN, servo di Otello.

    DESDEMONA, figlia di Brabanzio e moglie di Otello.

    EMILIA, moglie di Jago.

    BIANCA, amante di Cassio.

    Marinari, Messi, un Araldo, Ufficiali, Gentiluomini, Musici e personaggi del seguito.

    La scena è nel primo atto a Venezia; durante il resto della tragedia in un porto di Cipro.

    ATTO PRIMO.

    SCENA PRIMA.

    Venezia. – Una strada.

    Entrano Roderigo e Jago .

    Roderigo .

    Zitto: non dirmi più così. Ritengo

    per cosa molto indegna che tu, Jago,

    il quale avesti la mia borsa come

    se fosser tuoi i cordoni, possa dire

    di questo....

    Jago .

    Insomma, non volete udirmi.

    Se ho mai pensato di una tal faccenda,

    aborritemi pure.

    Roderigo .

    Mi hai detto che lo odiavi.

    Jago .

    S’io non l’odio

    disprezzatemi pure. Di persona

    si son da lui recati tre notabili

    della città pregandolo di farmi

    luogotenente suo. So quanto valgo —

    sulla mia fede d’uomo — e son ben degno

    di un posto non minore. Ma tenace

    egli è nei suoi pensieri e nel suo orgoglio:

    dà risposte evasive ed in un gergo

    ridicolo e ripieno orribilmente

    di certi suoi vocaboli guerreschi.

    E, concludendo,

    quei protettori miei lascia sospesi.

    Però che "Certamente„ ei dice loro

    "io mi sono già scelto il mio ufficiale„.

    E chi era questo?

    un grande matematico, in parola!

    un tal Michele Cassio, un fiorentino,

    un personaggio quasi condannato

    ad una bella moglie, che sul campo

    non ha ancora schierato uno squadrone....

    e sa della manovra quanto appena

    ne può sapere una zitella. Dotto

    sol di libri teorici, sui quali

    quanto lui può discutere qualunque

    leguleio togato. Molta chiacchiera

    senza pratica. Questa è tutta quanta

    l’arte sua di guerriero. Ma — signore —

    egli fu eletto, ed io, che pure ho fatto

    sotto i suoi occhi le mie prove a Cipro

    e a Rodi e in altre terre cristiane

    o pagane, debbo esser sorpassato

    e messo indietro da quel tenitore

    di conti, da quel facitor di somme.

    Egli, in buon punto, è il suo luogotenente

    ed io — che Iddio lo benedica — resto

    il sottoposto di Sua Altezza Mora!

    Roderigo .

    Pe ’l cielo! Vorrei essere più tosto

    impiccato!

    Jago .

    Non c’è rimedio: è il danno

    del servizio. L’avanzamento è fatto

    per amicizie e per protezioni

    e non già coi sistemi antichi, quando

    il secondo facean seguire al primo.

    Ora, signore, giudicate voi

    s’io possa ragionevolmente amare

    il Moro.

    Roderigo .

    Allora io non lo seguirei.

    Jago .

    Oh, signore, aspettate.

    Lo seguo per servire i miei disegni

    sopra di lui. Noi tutti non possiamo

    esser padroni, nè i padroni tutti

    posson esser serviti fedelmente.

    Avrete visto in gran copia furfanti

    umili e pronti a inginocchiarsi, i quali

    assetati di loro ossequioso

    servaggio, vanno consumando il tempo

    come l’asino del padrone loro

    unicamente per la greppia, e quando

    si fan vecchi li scacciano. Frustatemi

    quelli onesti furfanti. Altri, vi sono,

    che pur fingendo l’abito ed il volto

    del dovere conservan dentro il cuore

    la preoccupazion di loro stessi

    e ai lor signori la parvenza solo

    dell’ossequio gettando, a loro spese

    divengon ricchi; poi — quando han guarnito

    le proprie vesti — allor si fanno omaggio

    da loro stessi. Questi tali han qualche

    spirito e son con loro, lo confesso.

    Perchè, signore,

    come è vero che siete Roderigo,

    se fossi Moro esser non vorrei Jago.

    Servendo lui, servo me solo. Il cielo

    mi è giudice: non per divozione

    o per amor, ma sotto quell’aspetto

    per mio fine speciale. Poi che quando

    si sveleranno i miei visibili atti

    e le idee più secrete del mio spirto

    con esterna azione, allora il mio

    cuor porrò sulla manica, per darlo

    in pasto alle cornacchie. Io non son quello

    ch’io sono.

    Roderigo .

    Che fortuna ha dunque l’uomo

    dai grossi labbri, se gli è dato in tale

    maniera di condursi?

    Jago .

    Or su, chiamate

    il padre suo. Svegliatelo, mettetevi

    ai suoi fianchi, sciupategli ogni gioia,

    gridate per le strade il nome suo,

    irritate i parenti della sposa,

    e se bene egli viva sotto un clima

    propizio, tormentatelo con ogni

    sorta di insetti. Perchè se la sua

    gioia sarà pur sempre gioia, almeno

    sia da tali tormenti tormentato

    che scolorisca un poco.

    Roderigo .

    Ecco la casa di suo padre: io chiamo.

    Jago .

    Sì, chiamate: con tale un pauroso

    accento e tale un urlo di terrore

    come se — per l’incendio e per la notte —

    il fuoco fosse segnalato in una

    popolosa città.

    Roderigo .

    Olà Brabanzio! Olà signor Brabanzio!

    Jago .

    Su, svegliatevi! Olà! Brabanzio, al ladro!

    State attento alla vostra casa! ai vostri

    beni! alla vostra figlia! Al ladro! Al ladro!

    Brabanzio

    comparendo a una finestra.

    Perchè questo terribile fracasso?

    Che cosa accade?

    Roderigo .

    Signore! È in casa tutta la vostra famiglia?

    Jago .

    Sono chiuse le porte?

    Brabanzio .

    E perchè mai

    mi dimandate questo?

    Jago .

    Per Iddio!

    Signore, vi han rubato! Abbiate un poco

    di pudore: passatevi una veste.

    Il vostro cuore è infranto: avete perso

    metà della vostra anima. Ed anche ora,

    ora, proprio ora un vecchio caprio nero

    monta la vostra pecorella bianca.

    In piedi, in piedi! A suono di campane

    svegliate i cittadini sonnacchiosi

    chè altrimenti vi fa nonno il demonio.

    In piedi ho detto!

    Brabanzio .

    Hai perso la ragione?

    Roderigo .

    Signor, riconoscete la mia voce?

    Brabanzio .

    No: e chi siete mai?

    Roderigo .

    Mi chiamo Roderigo.

    Brabanzio .

    Tanto peggio!

    T’avea detto di non avvicinarti

    alla mia porta. Con franchezza onesta

    mi udisti dir che mia figlia non era

    per te. Ed ora come un pazzo, dopo

    di aver cenato, saturo di vini

    inebrianti, vieni a disturbare

    con smargiassate piene di perfidia

    la mia quiete....

    Roderigo .

    Signor, signor, signore!

    Brabanzio .

    Ma sii certo

    che il mio potere e l’ira mia son tali

    da farti ancor pentire.

    Roderigo .

    Pazienza,

    buon signore.

    Brabanzio .

    Che mi parli di furti?

    Questa è Venezia e non è la mia casa

    un granaio.

    Roderigo .

    Degnissimo Brabanzio,

    io venni a voi con puro e franco il cuore.

    Jago .

    Insomma, signore! Siete di quelli uomini che ricuserebbero di servire Iddio, se glie lo dicesse il diavolo! Perchè veniamo a rendervi un servizio, ci prendete per mascalzoni e lasciate montare vostra figlia da uno stallone di Barberia. Volete avere dei nipoti che vi nitriscano. Volete avere dei poliedri per cugini, e dei ginnetti per parenti!

    Brabanzio .

    Che miserabile pagano sei tu?

    Jago .

    Io sono uno — signore — il quale vi viene a dire che vostra figlia e il Moro, in questo momento stanno facendo la bestia a due schiene.

    Brabanzio .

    Tu sei un marrano!

    Jago .

    E voi.... un senatore.

    Brabanzio .

    Me ne renderai conto! — Vi conosco,

    Roderigo!

    Roderigo .

    Signore, d’ogni cosa

    vi saprò render conto. Ma, di grazia:

    se è per vostro piacere e con il vostro

    saggio consenso — come ormai comincio

    a creder —che la vostra bella figlia

    a questa inconsueta ora dell’alta

    notte è andata con guardia non peggiore

    nè migliore di un uomo preso a nolo,

    di un gondolier di grossolani abbracci,

    di un vizioso Moro, e se tal cosa

    a voi fu nota e fu da voi permessa,

    allor vi abbiamo fatto un impudente

    ed orgoglioso torto. Ma se voi

    non sapevate tutto quello, il mio

    buon costume mi avverte che ci avete

    rimproverato ingiustamente. In questo

    caso, non supponete che lasciando

    ogni senso di civiltà da parte

    abbia voluto ridermi e burlarmi

    di Vostra Reverenza. Ha fatto un grave

    atto di ribellione abbandonando

    il suo dover, la sua bellezza, il suo

    spirto, la sua fortuna a un vagabondo,

    a uno straniero che ha gironzolato

    di qua e di là. Cercate da voi stesso

    di sincerarvi subito. Se è in casa

    ed in camera sua, fate cadere

    su di me la giustizia dello Stato

    per avervi, così, tratto in inganno.

    Brabanzio .

    Battete l’acciarino! Olà! recatemi

    una torcia! Chiamate le mie genti!

    Un tal fatto non è molto diverso

    dal mio sogno ed ormai questa credenza

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