L'eroe negato: Omosessualità e letteratura nel Novecento italiano
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Anteprima del libro
L'eroe negato - Francesco Gnerre
Francesco Gnerre
L'eroe negato
Omosessualità e letteratura nel Novecento italiano
ATENA
COLLANA DI CULTURA GENERALE
2020
Rogas Edizioni
© Marcovaldo di Simone Luciani
viale Telese 35 – 00177, Roma
e-mail: info@rogasedizioni.net
sito web: rogasedizioni.net
Facebook: Rogas Edizioni
Instagram: @rogasedizioni
ISBN: 9788845294778
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Indice
Prefazione
Introduzione
Gli autori
Umberto Saba (1883-1957)
Aldo Palazzeschi (1885-1974)
Carlo Emilio Gadda (1893-1973)
Giovanni Comisso (1895-1969)
Filippo De Pisis (1896-1956)
Sandro Penna (1906-1977)
Mario Soldati (1906-1999)
Piero Santi (1912-1990)
Dal dopoguerra agli anni Settanta
Carlo Coccioli (1920- 2003)
Giuseppe Patroni Griffi (1921-2005)
Pier Paolo Pasolini (1922-1975)
Giovanni Testori (1923-1993)
Gian Piero Bona (1926)
Furio Monicelli (1929-2011)
Alberto Arbasino (1930)
Dario Bellezza (1944-1996)
Mario Mieli (1952-1983)
Dagli anni Ottanta al nuovo millennio
Pier Vittorio Tondelli (1955-1991)
Verso nuove forme di liberazione
Bibliografia
Note
Ringraziamenti
Prefazione
Il mio interesse per la letteratura gay, che nel corso degli anni è diventato l’argomento predominante delle mie ricerche, nasce nei primi anni Sessanta, quando ero ancora uno studente liceale e ignoravo l’esistenza dei cultural studies o dei gay e lesbian studies . Vivevo allora in un piccolo paese del Sud dell’Italia, dove c’erano solo le scuole elementari e io, per continuare gli studi, dovevo recarmi in un paese vicino dove c’erano le scuole medie e un liceo classico. A casa mia non c’era nemmeno la televisione e non sapevo niente dell’omosessualità.
La maggior parte del tempo libero però la passavo a leggere romanzi che prendevo in prestito dalla biblioteca scolastica. La lettura mi affascinava molto. Avevo la sensazione di vivere, al di là della mia vita che mi appariva poco interessante, le vite degli eroi e delle eroine dei miei romanzi, che mi apparivano più vere della mia vita stessa.
Mi estraniavo da tutto immergendomi nelle storie di Anna Karenina o di Madame Bovary e mi sentivo io stesso Anna Karenina o Madame Bovary. Quando poi avevo tra le mani libri che rappresentavano più esplicitamente situazioni legate alla sessualità, la mia partecipazione e il mio coinvolgimento aumentavano. Ricordo le forti emozioni che ho vissuto leggendo L’amante di Lady Chatterly o I peccati di Peyt on Place . E quando ho scoperto, un po’ studiando i lirici greci, un po’ da solo, spinto dalla curiosità, che in alcuni libri si accennava in qualche modo a emozioni, sentimenti, esperienze che rimandavano, un po’ con allusioni, un po’ in maniera più esplicita, ad amori tutti maschili, ho cominciato a interessarmi ancora di più e ad avere la percezione che, se cercavo, qualcosa che riguardava più direttamente questa specie di amore la trovavo, per esempio, nei Dialoghi di Platone, nei Sonetti di Michelangelo o nella Vita di Benvenuto Cellini.
E infatti ho iniziato a trovare cose di cui nessuna storia della letteratura parlava e a scoprire libri, anche moderni, che l’omosessualità la rappresentavano. Ricordo di aver pianto tanto leggendo Le amicizie particolari di Peyrefitte e ho iniziato a chiedermi perché di questi amori si scriveva così poco, perché questi amori non avevano nemmeno un nome ed erano sempre circondati da un alone di peccaminoso e di proibito e infine perché Georges e Alexandre dovevano essere condannati a un destino così crudele. È così che ho cominciato a cercare nei libri una forma di legittimazione ai miei innamoramenti adolescenziali, legittimazione che non poteva essere prevista nell’ambiente in cui vivevo, dove non c’era nemmeno omofobia, ma l’omosessualità semplicemente non esisteva, se non attraverso qualche vago accenno offensivo e denigratorio, ma fondamentalmente bonario, che accomunava omosessuali e donne. E infatti per offendere qualcuno alludendo a una presunta omosessualità gli si dava del femminiello
.
Dopo il liceo mi sono trasferito a Roma per gli studi universitari, dove avevo più facilità di procurarmi libri da leggere, ma la rappresentazione dell’amore tra uomini faceva scandalo anche qui. Seguivo con apprensione sulla stampa alcuni fatti di cronaca (le accuse e i processi a Pasolini, lo scandalo dei Balletti verdi, il caso Braibanti), riuscivo a procurarmi qualche libro che rappresentava un po’ più chiaramente questa forma di amore, ma dovunque serpeggiava una condanna senza appello che non riuscivo a capire, forse perché provenivo da un ambiente non contaminato da valori piccolo-borghesi e perché mi ero liberato presto dai precetti religiosi ai quali nella mia famiglia non si era mai data eccessiva importanza. La volontà di vedere rappresentata l’omosessualità senza pregiudizi, che era in qualche modo la mia volontà di esistere, di non essere il solo a vivere certe emozioni, mi spingeva a cercare tracce di questi amori negli scrittori che questi amori forse li avevano vissuti o li vivevano. Sapevo di essere in un clima di repressione della sessualità da cui derivavano tanta diffidenza e tanto scandalo, ma non provavo nessun senso di colpa e mi convincevo sempre di più che si trattava di stupidi pregiudizi da combattere.
Intanto leggevo tutto ciò che aveva a che fare con l’omosessualità. Leggere certi libri mi faceva sentire meno solo e mi aiutava a difendermi dalle offese della vita. Così, facendomi coraggio e cercando le parole per dire ciò che volevo dire, e farfugliando di poeti e scrittori maledetti
o censurati, ho provato a proporre una tesi di laurea al professore di letteratura moderna e contemporanea, ma non se n’è fatto niente e sono stato costretto a laurearmi presto in storia romana, che non mi interessava affatto. Ma il proposito di provare a parlare di omosessualità e di come veniva rappresentata nella letteratura, diventato ormai un’idea fissa, non mi abbandonava. E così negli anni Settanta, quando già facevo l’insegnante, ho deciso di studiare sociologia, con il proposito non esplicitato, ma a me chiarissimo, di provare a proporre una ricerca in questa direzione alla cattedra di sociologia della letteratura. Certo quando a metà degli anni Settanta ho parlato alla professoressa Graziella Pagliano della mia idea di fare una tesi sull’omosessualità, tremavo egualmente, ma ero un po’ più sicuro di me, anche se l’argomento era ancora tabù. Debbo dire però che Pagliano è stata molto disponibile: non solo mi ha aiutato, ma mi ha incoraggiato. E così ho approfondito la metodologia che poteva essermi utile e ho concentrato la mia ricerca sul personaggio omosessuale nella narrativa italiana del dopoguerra, con lo scopo di indagare se la repressione antiomosessuale (oggi diremmo l’omofobia), diffusa nella cultura e nella società, trovasse un rispecchiamento anche nella letteratura o se invece nella letteratura si potessero trovare momenti di destrutturazione dei modelli dominanti e una visione più problematica, se non liberatoria, dell’omosessualità.
Dalla mia ricerca, che ovviamente presentava dei limiti perché le opere esaminate non erano tutte quelle pubblicate dal dopoguerra (non esistendo un repertorio tematico, mi ero affidato alle mie conoscenze e alcuni romanzi certamente mi erano sfuggiti), emergeva che, a parte rarissime eccezioni, nella letteratura italiana l’interdizione era molto più pesante che altrove e il mezzo più efficace di repressione era il silenzio. La tipologia del personaggio omosessuale era sconfortante. Negli scrittori presumibilmente eterosessuali (si analizzavano anche romanzi di Alberto Moravia, di Elsa Morante, di Vasco Pratolini, ecc.) quando si faceva cenno a personaggi omosessuali, trovavo figure di viziosi o corruttori, o tutt’al più malati
bisognosi di comprensione. Negli scrittori omosessuali, in cui evidentemente agiva fortemente l’interdizione e una forma di omofobia interiorizzata, tremendi sensi di colpa o snobistici ricami linguistici alla Arbasino, in ogni caso una scrittura che poteva anche essere scandalosa, ma solo nella misura in cui era complementare alla condanna e alla rimozione. Rimaneva il fatto, per me importantissimo, che la critica letteraria ignorava del tutto l’argomento. Emergeva però il fatto che nella letteratura, sia pure in maniera distorta, nel dopoguerra si cominciava a rappresentare una realtà per secoli taciuta o comunque interdetta.
Dopo la tesi, discussa con dei professori un po’ sconcertati che esprimevano curiosità per il tema, ma anche imbarazzo, la professoressa Pagliano, che è rimasta un punto di riferimento fondamentale per me, avanzò l’idea di provare a pubblicarla. In quegli anni esistevano delle case editrici alternative, era nato il Fuori, di omosessualità si cominciava timidamente a parlare e così non fu difficile pubblicare la mia ricerca. Il libro, pubblicato da Gammalibri di Milano con il titolo L’eroe negato – Il personaggio omosessuale nella narrativa italiana contemporanea , era, con poche semplificazioni, la mia tesi di laurea. Rileggeva, da un punto di vista omosessuale, la narrativa del dopoguerra dove erano presenti personaggi esplicitamente omosessuali. Il libro non passò inosservato; ebbe, tra le altre, una recensione appassionata di Domenico Starnone sul Manifesto , di Dario Bellezza su Paese Sera , una segnalazione di Elio Pecora sull’ Espresso . Fui invitato al Cassero di Bologna a presentarlo e mi scrisse, entusiasta, Giovanni Dall’Orto, allora giovanissimo, ma già militante del movimento gay ai suoi primi passi. La circolazione del libro restava però circoscritta agli ambienti gay o, in parte, alla cultura cosiddetta alternativa. A me invece sarebbe piaciuto arrivare a un pubblico più vasto, perché ero sempre più convinto che il rifiuto dell’omosessualità che sperimentavo nella mia quotidianità, nasceva dall’ignoranza e che l’ignoranza si combatte con la cultura e con la conoscenza.
Una quindicina di anni dopo, dalla casa editrice Baldini&Castoldi mi si propo s e di ampliare e ripubblicare quella mia prima ricerca. Accett ai , ma nel frattempo tutto era cambiato e del rapporto tra omosessualità e letteratura anche io sapevo un po’ di più. Dalla mia ricerca originaria, circoscritta a un periodo delimitato, e non dei più felici della letteratura italiana, rimaneva fuori tutta la prima parte del Novecento, dove, se si leggono attentamente i testi, si scopre tutta un’atmosfera omoerotica per molti aspetti più interessante della letteratura della seconda parte del secolo. E poi rimanevano fuori opere importanti, che, sia pure scritte nel secondo dopoguerra, avremmo letto molto tempo dopo, come alcuni testi di Pasolini, pubblicati postumi. Così, recuperando da una parte molta letteratura dei primi decenni del Novecento, inserendo dall’altra opere pubblicate dopo gli anni Ottanta e prendendo in esame anche la produzione più recente di scrittori che cominciavano a non avere più paura di essere sospettati di omosessualità e che proponevano, a livello di immaginario letterario, situazioni e realtà inimmaginabili solo pochi decenni prima, l’intento di ampliare quella mia prima ricerca si trasformava fino a diventare un altro libro.
A poco a poco prendeva forma il progetto, forse più ambizioso, di una lettura che in qualche modo desse conto del difficile e accidentato percorso dell’omosessualità attraverso tutta la letteratura del secolo, dalle censure e autocensure di Saba, Palazzeschi, Gadda e di altri scrittori della prima parte del secolo alla consapevolezza di sé di autori contemporanei che dagli anni Ottanta del Novecento, al di là delle rivendicazione di diritti negati, sembravano aver trovato modi e forme per raccontare una realtà finora inedita senza restare impigliati nei paradigmi normativi di una cultura fondamentalmente omofoba. Il libro suscitò curiosità e interesse, ma, al di fuori dell’ambiente gay, il tema rimaneva un tabù e chi se ne occupava sulla stampa generalista lo faceva tra lo scandalizzato e il diffidente . Alcuni trovavano che la letteratura non ha niente a che vedere con l’omosessualità o addirittura che accostare letteratura e omosessualità è un’operazione inutile, quando non pericolosa
.
Naturalmente queste critiche non mi convincevano. La mia analisi, che poneva l’attenzione, più che sul testo letterario, sul rapporto tra il testo e la società, faceva emergere la complessa rete di rapporti che si stabilisce tra i due poli della comunicazione letteraria (autore-lettore) quando sia l’autore che il lettore sono omosessuali. Un rapporto interessante su cui potremo sorvolare solo in un ipotetico e utopico mondo dove i vari orientamenti sessuali fossero considerati equivalenti, ma non in quel contesto specifico dove, tra l’altro, emergevano le difficoltà incontrate dagli scrittori omosessuali a scrivere e a pubblicare i loro testi e le difficoltà dei lettori a trovare anche nella letteratura un qualche rispecchiamento delle proprie esperienze di vita. Analizzare le vicissitudini anche editoriali di libri come Gioco d’infanzia di Comisso, Amado mio di Pasolini, Ernesto di Saba, Interrogatorio della contessa Maria di Palazzeschi, per fare qualche esempio, non mi pareva di poco conto. Tutta la letteratura del Novecento appariva modificata, stravolta da un clima culturale omofobico e sessuofobico. E ancora non sappiamo se, per analoghi motivi di censura o di autocensura, altre opere siano rimaste in qualche cassetto o nella penna. Qualcuno aggiungeva che l’omosessualità non ha nulla a che vedere con la sintesi estetica inalienabilmente propria dell’autore
e cose di questo genere derivanti da una concezione idealistica della letteratura di stampo crociano.
A me pare invece sempre più chiaro che, a prescindere dalla sintesi estetica inalienabilmente propria dell’autore
, i libri producono senso, propongono modelli di comportamento, raccontano storie in cui i lettori si identificano alternando assenso o rifiuto. E allora mi appariva legittimo chiedersi perché le storie raccontate nei romanzi veicolano sempre eterosessualità e se si parla di omosessualità si deve specificare che l’autore affronta un tema particolare e scabroso. Perché si deve presumere sempre che uomini e donne siano eterosessuali, finché non sia provato il contrario? E io continuo a cercare di provare il contrario col proposito di smascherare il clima di silenzio e di omertà che circonda ancora l’omosessualità.
Un lettore dell’ Eroe negato mi ha scritto: Nonostante abbia frequentato il liceo classico agli inizi degli anni Ottanta, ignoravo i tormenti di Umberto Saba e di Carlo Emilio Gadda, non conoscevo affatto Carlo Coccioli ed ero all’oscuro del ‘lato gay’ di Palazzeschi. Ciò mi ha fatto molto riflettere. L’accettazione della mia identità di omosessuale è stata graduale e non facile. Molto probabilmente, se durante i miei studi superiori fossi stato a conoscenza di ciò che il suo libro chiaramente rivela, chissà, mi sarei sentito meno solo e il mio cammino sarebbe stato più facile
.
I libri quindi possono produrre questi effetti liberatori, certo non programmati né previsti dai loro autori. A me questi effetti liberatori sembrano di grande importanza. Eppure alcuni hanno parlato di gossip , ancora evidentemente convinti che rivelare l’omosessualità di uno scrittore o cercarne tracce nelle sue opere sia in qualche modo sminuirlo e fare pettegolezzi. Altri hanno espresso perplessità di fronte alla commistione tra un dato biografico come l’orientamento sessuale e l’espressione artistica di uno scrittore. Qualcuno, pur aderendo alla tesi di fondo del mio libro, ha detto che il mio Eroe negato era un libro importante, ma che per fortuna non c’era più bisogno in futuro di libri analoghi perché l’omosessualità è stata ormai metabolizzata dalla cultura italiana. Io invece sono ancora convinto che, nonostante le innegabili trasformazioni culturali in questa direzione e nonostante ci sia finalmente una legge sulle unioni civili tra persone dello stesso sesso, di libri di questo tipo c’è ancora bisogno, tanto che ho deciso di ripubblicare il mio Eroe negato . Molti degli autori esaminati nel mio libro sono ormai dei classici e vengono studiati nelle nostre scuole, ma la loro omosessualità viene ancora taciuta o nascosta o allusa con giri di parole mistificanti. E mi piacerebbe, come già auspicavo nel 2000, che il libro finisse finalmente anche tra le mani di qualche insegnante e di qualche studente. È con questo intento che ripubblico il libro e auspico che si scrivano altri libri di questo genere. Perché la lotta contro l’omofobia è appena agli inizi. E la repressione è durata tanti secoli che si ha bisogno di libri che portino alla luce le discriminazioni subite e i momenti di resistenza di tanti omosessuali delle generazioni precedenti.
Si può realmente liberare il presente se si libera anche il passato e il nostro passato è pieno di voci nascoste che aspettano di venire alla luce e di storie che aspettano di essere raccontate. E infine davvero qualcuno pensa che essere omosessuali sia ormai una caratteristica senza alcuna importanza per uno scrittore e per un lettore? Come avere gli occhi verdi o azzurri? Non lo credo, se ancora oggi un termine come omofobia
fa fatica ad avere la stessa dignità di xenofobia o di antisemitismo. Forse un giorno non si parlerà più di omosessualità o di eterosessualità, ma di amore e attrazione tra due persone, a prescindere dal loro sesso biologico e dal loro orientamento, ma quel giorno è ancora lontano. La gente, Bruno mio – scriveva Umberto Saba all’amico Bruno Pincherle – ha un bisogno urgente di ‘mettersi in libertà, di essere insomma liberata dalle inibizioni. Questo sarebbe il mestiere della mia vecchiaia…’
Penso che questo sia un po’ anche il mestiere degli scrittori e dei critici della letteratura: cercare di operare un mutamento d’orizzonte rispetto al modello d’attesa abituale, scardinare pregiudizi e luoghi comuni, sperimentare l’utopia di un diverso futuro, creare ciò che non c’è finché non sia stato scritto.
Gennaio 2018
Le modifiche apportate rispetto all’edizione di Baldini&Castoldi del 2000 si trovano soprattutto nell’ultimo capitolo riguardante la letteratura contemporanea. Ho ritenuto opportuno invece intervenire massicciamente sulla bibliografia, che negli ultimi anni si è arricchita di nuove opere e di molti interventi di studiosi gay oriented .
Introduzione
Il Novecento: Repressione e Liberazione
" Che cosa è per te la cosa più umana?
– Risparmiare vergogna a qualcuno –
Che cosa è il sigillo della raggiunta libertà? –
– Non provare più vergogna davanti a se stessi "
(F. Nietzsche)
Una caratteristica fondamentale di tutta la cultura del Novecento è quella di aver ampliato enormemente i discorsi sulla sessualità, e quindi anche sull’omosessualità, pressoché innominabile nel secolo precedente. Questo processo ha interessato anche l’Italia, ma nel nostro paese il lungo e difficile cammino verso la legittimazione di comportamenti di tipo omosessuale è stato molto più lento che altrove e non può dirsi ancora del tutto compiuto. I motivi di questa particolarità italiana sono molti e molto complessi. Conosciamo la posizione rigida della Chiesa cattolica di negazione di qualsiasi forma di sessualità disgiunta dalla procreazione e la sua opposizione a qualsiasi forma di legittimazione del comportamento omosessuale. Nel corso del secolo ad alcuni è sembrato di vedere qualche apertura, ma la negazione dell’omosessualità è rimasta un punto fermo della Chiesa, ribadito anche nel corso del Giubileo del 2000, quando tra le richieste di perdono
(per le Inquisizioni, le Crociate, le persecuzioni, le discriminazioni ed altre efferatezze, errori fatti in difesa della verità
) non è stata spesa una parola sulle persecuzioni agli omosessuali, anzi si sono scagliati nuovi anatemi e preparate nuove crociate contro il riconoscimento giuridico delle unioni di fatto esteso anche a persone dello stesso sesso: gli omosessuali, per la Chiesa, sconvolgono ancora il progetto di Dio
.
Un discorso a sé meriterebbe l’atteggiamento del fascismo, la cui influenza è andata anche oltre il ventennio, e il regime, come sappiamo, per un periodo di tempo gli omosessuali li ha condannati al confino e comunque ha propagandato sempre una virilità eterosessuale che, nella sua retorica poteva anche suscitare fantasie omoerotiche, come suggerisce Arbasino che vede nelle statue dello stadio dei marmi la sodomia littoria lussureggiante
[¹] , ma che di fatto non lasciava certo spazio a forme di sessualità di tipo omosessuale [²] .
L’Italia ha anche avuto il Partito Comunista più forte d’Europa, e i comunisti, sul fronte delle libertà civili e in particolare dell’emancipazione e liberazione della sessualità, almeno fino agli anni Settanta, hanno considerato l’omosessualità una degenerazione borghese
.
È da considerare ancora la persistenza in Italia di una struttura familiare che, soprattutto negli ultimi decenni, ha concesso sempre più ampi spazi di libertà, ma che è rimasta fondamentalmente la stessa. Ogni tentativo di liberazione, anche di forme di sessualità inconciliabili con l’istituto familiare come l’omosessualità, non si è mai caratterizzato in Italia come liberazione e emancipazione dalla famiglia, ma sempre come liberazione e emancipazione entro la famiglia, che in questo modo ha continuato a conservare forti elementi di dipendenza, di controllo e di conformismo [³] .
Schiacciati da una condanna, o da un assoluto silenzio, che una volta tanto metteva d’accordo tutti, cattolici, fascisti e comunisti, gli omosessuali che avessero voluto vivere la loro omosessualità e rappresentarla non hanno avuto molto spazio.
Nei primi anni del secolo l’argomento era semplicemente tabù, e se vi si faceva cenno era solo per stigmatizzarlo in maniera violenta e senza appello. Si vedano, per fare solo qualche esempio, gli interventi di Matilde Serao e di Paolo Valera di fronte allo scandalo scoppiato intorno a Oscar Wilde.
La Serao, che firma su Il Mattino
di Napoli una rubrica con lo pseudonimo di Gibus, così commenta la notizia dell’arrivo in Italia di Oscar Wilde in compagnia di Alfred Douglas:
Qualcuno ha annunziato che in Napoli si trovi Oscar Wilde, il ‘decadente’ inglese che diede così larga copia di argomenti ai cronisti alcuni anni or sono a proposito di un processo ripugnante. Questo annuncio ha messo molte persone, tra le quali l’umile sottoscritto, in una certa trepidazione confinante col panico. […] Vi ricordate il putiferio che si fece, lungamente, assordantemente intorno a questo nome resosi celebre nel mondo assai per gli immondi errori di chi lo porta che per le opere, pregevolissime per forma eletta, del suo ingegno acuto e scintillante? […] Poi, finalmente, le trombe della trista fama immodestamente acquistatasi da colui che era stato ad un pelo per diventar poeta laureato della corte inglese si tacquero, per stanchezza o per tardiva pietà per le orecchie del prossimo e Oscar Wilde fu lasciato alla sua sciagura, ai suoi pentimenti, alle sue pene. […] Stia o non stia a Napoli, l’esteta raffinato – raffinato a suo modo, s’intende! – io protesto in nome della gente per bene, in nome della gente che vuol vivere tranquilla, in nome della pace del Wilde stesso (il quale ha diritto di chiedere mercé e discrezione, dappoi che anche ai grandi colpevoli è consentito questo diritto) perché non ci si infligga più una cronaca wildistica!
[⁴] .
Quanto al suo complice
, quel giovane lord Douglas che porta così poco decorosamente il nome di una delle maggiori famiglie storiche della Gran Bretagna […] il Signore gli usi misericordia
[⁵] .
E Paolo Valera, scrittore e giornalista socialista:
" L’oscarwildismo è la religione degli invertiti. Non è una malattia di certi uomini o di certi degenerati che molti suppongono. È dell’estetismo coltivato, propagandato, diffuso, penetrato in tutte le classi. Gli uomini che adorano gli uomini non sono ancora giunti alla sfacciataggine di affiggere pubblicamente le loro perversioni sessuali né a cercare i compagni di gozzoviglie carnali nelle inserzioni a pagamento, ma in conversazione nei ritrovi mondani non hanno paura a sostenere il diritto degli uomini a matrimoni socratici, ai deliri sadici, alle turpitudini del sesso unico. Coloro che assumono la funzione femminile appartengono tutti alle classi alte, alle classi blasonate… Oscar Wilde è un partito, è una religione delle tendenze à rebours , è un la
piantato nella vita delle nazioni moderne come una bandiera dell’estinzione femminile…
Io voglio che si parli di me – dice Wilde – alla indifferenza pubblica preferisco l’insulto e il dileggio.
La società degli Oscar Wilde è troppo turpe, troppo nauseosa, troppo latrinesca per lasciarlo vivere. Sia perseguitato ovunque" [⁶] .
Nei decenni successivi le cose non vanno certo meglio. Il regime fascista ostenta il più totale disprezzo per tutto ciò che mette in discussione la virilità italiana e se non applica rigidamente contro gli omosessuali le leggi razziali (lo fa solo per tre anni, dal 1936 al 1939) è perché trova molto più efficace la repressione tutta italiana e ben collaudata del silenzio, della negazione di qualsiasi visibilità, fosse pure deviante. Intanto le opere letterarie sono soggette a censura. Curzio Malaparte dice di detestare la letteratura francese perché una letteratura di pederasti e Antonio Gramsci, per stigmatizzare i suoi avversari, ironizza sarcasticamente sull’ipotesi di una loro presunta omosessualità. Così Giovanni Papini che allude spesso all’omosessualità a proposito di grandi personaggi della storia e della cultura dall’imperatore Adriano ad Alcibiade a Socrate o avanza ipotesi di rapporti omoerotici tra Gesù Cristo e il suo discepolo Giovanni, viene stroncato da minacce di azioni giudiziarie oltre che dall’ironia sferzante dei suoi critici, tra cui appunto Antonio Gramsci, secondo il quale se Papini avesse fatto ancora un passo avanti in questo discorso sarebbe arrivato alla conclusione di rapporti necessari tra il cristianesimo e l’inversione
[⁷] .
A proposito dell’atteggiamento comunista è significativa la testimonianza di Altiero Spinelli che nel rievocare in un libro autobiografico il periodo passato nel carcere di Viterbo negli anni 1931-1932, quando militava nel Partito Comunista, racconta una sua esperienza su cui è opportuno soffermarsi.
Un suo compagno, vicino di cubicolo
, lo interessa in maniera particolare:
Il colore dei suoi capelli era il rarissimo nero corvino cui faceva da contrappunto l’azzurro degli occhi; il viso ed il corpo di poco più che diciottenne non avevano ancora perso la grazia dell’adolescenza ed alla sua vivacità si mescolava una tal quale timidezza, quasi che la sua bellezza lo opprimesse un po’
[⁸] .
Alterando il cognome del ragazzo, Spinelli dice di cominciare a chiamarlo Charis, senza però dire all’altro né che questa parola è femminile, né che in greco significa grazia
, bellezza
. Tra i due si viene stabilendo, scrive Spinelli:
" quell’attrazione – che molti anni dopo avrei scoperta analizzata da Platone nel Simposio – la quale si sviluppa così facilmente, ad animi puri pura, fra il maestro che dà con attenta generosità il suo sapere ed il discepolo che con attenta gratitudine l’accoglie; e quando questo dare e ricevere sono perfetti, l’unione dei corpi non è volgare ma bella, non è solo desiderabile per entrambi, ma meritevole di essere realizzata, ed è indipendente dal sesso del maestro e del discepolo" [⁹] .
Spinelli continua con la descrizione di carezze e sfioramenti tra le sbarre che fanno pensare all’atmosfera genettiana di Chant d’amour , fino alla rinuncia, nonostante l’intraprendenza del ragazzo che azzarda un appuntamento in infermeria:
Ciò significava inventarci davanti al medico una malattia immaginaria, farci trasferire nel reparto malati, dormire per alcuni giorni in una stessa camera. ‘Ci penseremo’, gli risposi non poco turbato e corsi avanti nel mio cubicolo
[¹⁰] .
La conclusione dell’episodio è amara:
Tutto questo racconto apparirebbe oggi così banale da non meritare nemmeno di essere ricordato, ma allora si trattava di cosa vituperevole, ed i comunisti in particolare, non conformisti in tante altre cose, erano in materia di rapporti omosessuali di un puritanesimo totale. […] Le difficoltà andavano crescendo fra me e il partito, e non volevo permettere che a decidere delle mie relazioni con esso potessero pesare altri motivi che non fossero, puri e aridi, quelli politici e di dottrina. Soffrii tutta la notte per la rinunzia, ma lasciai il ragazzo senza risposta. Per mia fortuna dopo pochi mesi egli giunse al termine della sua pena e se ne tornò in libertà
[¹¹] .
Eppure durante il fascismo operano scrittori che sono omosessuali o che comunque vivono esperienze omosessuali e in alcuni casi riescono anche a pubblicare opere che alludono abbastanza esplicitamente a comportamenti di questo tipo, come Giovanni Comisso, Umberto Saba, Sandro Penna, ma si tratta di pubblicazioni quasi clandestine, di poesie che hanno un pubblico limitato e che di fatto non scalfiscono l’ostentata visione maschilista e antiomosessuale della cultura dominante. In Italia si assiste così ad uno strano paradosso: molti scrittori sono omosessuali e scrivono, sia pur con tante precauzioni, di omosessualità e nello stesso tempo si sviluppa tutta una retorica maschile e antiomosessuale.
Dopo il fascismo la situazione non migliora di molto. Alcuni cominciano a rappresentare aspetti della sessualità legati all’omosessualità, e questo è certamente un passo avanti rispetto al silenzio dei decenni precedenti, ma gli scrittori raramente si spingono a sconvolgere gli stereotipi dominanti: se l’omosessuale non è il pervertito corruttore è il malato da compiangere [¹²] .
Nell’immediato dopoguerra personaggi omosessuali cominciano ad apparire timidamente in alcune opere di Vasco Pratolini e di Alberto Moravia, ma si tratta di personaggi che se da una parte portano l’omosessuale fuori dalla tradizionale zona di silenzio in cui è stato sempre relegato, dall’altra non si allontanano dagli stereotipi più convenzionali. Così in Agostino di Moravia del 1944, l’omosessuale o è il pederasta libidinoso, repellente già nel suo aspetto fisico, che corrompe giovani adolescenti, o è il ragazzo femmineo, corrotto e ripugnante. In Il quartiere del 1945 di Vasco Pratolini il personaggio omosessuale è un po’ il simbolo della corruzione del mondo che è arrivata quasi a scardinare quel viluppo di affetti, di solidarietà, che costituisce il sentimento del quartiere
. Più interessanti e complessi appaiono alcuni personaggi di omosessuali in testi scritti da donne, come L’isola di Arturo del 1957 di Elsa Morante, che ritorna sullo stesso tema, ma in modo meno felice, nel 1982 con Aracoeli , o come i due romanzi brevi di Natalia Ginzburg, Valentino del 1957 e Caro Michele del 1973.
Del 1957 è anche il romanzo di Giorgio Bassani Gli occhiali d’oro , uno dei romanzi più belli tra quanti rappresentano il tema dell’omosessualità. A raccontare la vicenda del dottor Athos Fadigati, distinto medico della borghesia bene di Ferrara negli anni del fascismo che vive in segreto la sua omosessualità, è un narratore che sperimenta su se stesso l’emarginazione e la solitudine, quando, per l’applicazione delle leggi razziali, viene perseguitato perché ebreo. Questo incontro tra vittime è molto bello, e l’inevitabile ombra di morte che accompagna la figura dell’omosessuale è anche la denuncia di un mondo spietato dove un po’ di solidarietà può venire solo da un altro perseguitato.
Figure omosessuali le troviamo ancora negli anni Cinquanta in Il ragazzo morto e le comete di Goffredo Parise e in Il conformista di Moravia del 1951, e poi in scrittori che vivono in prima persona problemi legati all’omosessualità come Pasolini, Testori, Patroni Griffi, Arbasino e altri, che tra la fine degli anni Cinquanta e gli anni Sessanta, pur tra problemi di censura e di autocensura, cominciano a imporre, almeno a livello di rappresentazione letteraria, personaggi e situazioni legati all’omosessualità.
Il ritardo rispetto agli altri paesi europei è enorme, se pensiamo che già negli anni Venti erano apparsi in Francia il Corydon di André Gide (1922) e Il libro bianco di Jean Cocteau (1928).
Dunque anche la letteratura, che pure si caratterizza come eversione di linguaggi e di valori codificati, come sperimentazione di situazioni e di rapporti interpersonali che vanno oltre la Norma, che sperimenta l’utopia del possibile, raramente ha osato rappresentare amori omosessuali, e quando qualche scrittore lo ha fatto ha dovuto fare i conti con enormi e spesso insormontabili problemi di censura e di autocensura o con un indifferente silenzio, spesso più oltraggioso della stessa condanna. Problemi e preoccupazioni di tipo censorio hanno avuto un po’ tutti gli scrittori omosessuali e non solo nel periodo fascista. Giovanni Comisso si appellava perfino a Mussolini perché intervenisse in suo favore [¹³] , e Sandro Penna, prima che dalla censura fascista, veniva censurato dai suoi stessi amici, tra cui Umberto Saba, un po’ sconcertato dall’esclusività dei temi
[¹⁴] e Eugenio Montale che scrivendo a Saba parla di "scabroso penchant che le poesie di Penna
rivelano (o ostentano?)" [¹⁵] .
E la censura non finisce con la fine del fascismo, ma continua nel dopoguerra (si pensi in particolare a Pasolini e a Testori) e fino agli anni Ottanta e Novanta con i casi di Tondelli e Busi. Nella giurisdizione italiana non è contemplato un reato specifico legato all’omosessualità, e per colpire i libri che trattavano questo tema si è fatto ricorso agli articoli del Codice penale che condannano
chiunque, allo scopo di farne commercio o distribuzione ovvero di esporli pubblicamente, fabbrica, introduce nel territorio dello Stato, acquista, detiene, ovvero mette in circolazione, scritti, disegni, immagini o altri oggetti osceni di qualsiasi specie
[¹⁶] .
E l’articolo successivo chiarisce che agli effetti della legge penale, si considerano osceni gli atti e gli oggetti che, secondo il comune sentimento, offendono il pudore
[¹⁷] . Ovviamente la censura ha colpito anche molta produzione di argomento eterosessuale, ma si è sempre avuta un’attenzione particolare per l’omosessualità per il semplice motivo che la rappresentazione di atti omosessuali offenderebbe, più della rappresentazione di atti eterosessuali, il comune senso del pudore, come chiariscono i giudici del Tribunale di Trento, ancora nel 1990, in occasione del processo contro Aldo Busi per il suo libro Sodomie in corpo 11 . In quell’occasione infatti si dice che nel contesto storico italiano non è mediamente maturata un’evoluzione tale da escludere offesa al comune senso del pudore dei più
specie in riferimento al fenomeno dell’omosessualità, che solo di recente sta rapidamente conquistando, nella coscienza collettiva, l’attributo di equipollenza, e quindi di ‘accettazione socio-biologica, che naturalmente caratterizza quello della eterosessualità’. Sotto tale aspetto, dunque, l’opera letteraria, ancora oggi, a seconda dei contenuti, può essere classificata oscena per offesa al ‘comune sentimento del pudore’
[¹⁸] .
Nel 1990 il processo fu una anacronistica farsa e Aldo Busi fu assolto con formula piena, perché per la legge italiana, come recitava già un articolo del Codice Rocco , non si considera oscena l’opera d’arte o l’opera di scienza
. Ma, essendo il concetto di arte
aleatorio e ambiguo quanto quelli di osceno
e di comune senso del pudore
, a questo articolo (529 del Codice Rocco ) si è fatto ricorso sempre in maniera arbitraria e discutibile. Così, per esempio, nel caso di Busi, ci si è affidati all’autorevolezza del Dizionario Bompiani degli Autori di tutti i tempi e di tutte le letterature che inserisce lo scrittore tra i letterati del nostro tempo come autore di un’opera indiscutibilmente originale come Seminario sulla gioventù , e si è concluso che Sodomie in corpo 11 è da annoverare tra le opere d’arte . Questo significa che il libro, se fosse stato un’opera prima e Aldo Busi un autore non ancora noto, sarebbe stato condannato, a meno che i giudici, come hanno fatto in altre occasioni, trasformati in esperti di estetica, non avessero deciso essi del livello artistico del libro.
Insomma, anche se nella legislazione c’è la possibilità di rispettare l’autonomia dell’arte rispetto alla visione più moralistica e pedagogica dell’Ottocento, gli interventi censori su libri di argomento omosessuale nel corso del secolo sono stati molti e alla censura esterna spesso si sono affiancate forme di autocensura non meno coercitive e inibitorie.
Quando l’amore omosessuale diventa nell’immaginario letterario un amore possibile, spesso scatta infatti quello che potremmo definire un processo di differimento. L’autore rimanda a un altro momento, magari a dopo la morte, la pubblicazione dell’opera, e questo differimento molto spesso è dovuto a problemi di non accettazione interni agli scrittori stessi: al processo di liberazione che avviene a volte a livello di creazione artistica, non corrisponde poi il coraggio di rendere pubblica questa liberazione
; anzi ci troviamo di fronte a una sorta di rimozione della liberazione. Si pensi al caso di Settembrini nell’Ottocento, ma anche ai casi di Comisso, Saba, Pasolini e di tanti altri in pieno Novecento.
Luigi Settembrini scrive il romanzo di argomento omosessuale I neoplatonici tra il 1849 e il 1859, lo camuffa come traduzione di un testo greco di un certo Aristeo di Megara e lo invia dal carcere alla moglie:
… Mi dirai tu: ‘E come ti viene in capo di tradurre scritture dove è qualche oscenità?’ Ecco qui, Gigia mia: le opere greche sono piene di queste oscenità, quale più, quale meno: ma era il tempo, era la gente voluttuosa: e le più belle opere ne sono piene. Anche noi altri italiani patiamo questo. Le opere di Boccaccio e del Firenzuola sono bellissime, eppure sono lorde della medesima pece. Anche il rigido Machiavelli nelle sue commedie ne è infetto. Scrivendo io da me, mi guarderei bene da queste sozzure
[¹⁹] .
Frase straziante
, scrive Giorgio Manganelli in una nota al libro di Settembrini, giacché egli, dall’ergastolo, doveva mentire a sua moglie e doveva oltraggiare ciò che di sé aveva capito, e far scempio di sé per non essere scacciato, e lavorare di furbizia per ‘dire’ ciò che egli doveva, ma non gli era concesso di ‘dire’
[²⁰] .
Il libro, scoperto e conosciuto da illustri critici fin dal 1937, è rimasto inedito fino al 1977, per volontà tra gli altri di Benedetto Croce, perché si temeva che la sua pubblicazione potesse infangare la figura dell’eroe e martire del Risorgimento [²¹] .
Altro caso emblematico è quello di Umberto Saba, che scrive Ernesto nel 1953, ma non si stanca negli ultimi anni della sua vita di raccomandare alle poche persone che hanno letto il libro, di non farlo conoscere a nessuno
[²²] .
Anche Comisso si rassegna ad abbandonare in un cassetto il suo libro più esplicito sull’omosessualità, Gioco d’infanzia , scritto agli inizi degli anni Trenta; e quando lo pubblica nel 1965 egli stesso toglie molte parti che ritiene ancora scabrose e che possiamo leggere solo in un’appendice di Nico Naldini in una edizione del romanzo del 1994 [²³] . Lo stesso Pasolini abbandona in un cassetto le opere di ispirazione autobiografica legate all’omosessualità degli anni Quaranta, che abbiamo letto solo negli anni Ottanta e alcune alle soglie del Duemila [²⁴] .
Ora, il fatto che questi romanzi e questi racconti vengano pubblicati, sia pure anni dopo la scomparsa dei loro autori, è indiscutibilmente importante, ma induce a qualche considerazione. Innanzitutto, scoperti e pubblicati dopo tanto, questi libri forse non riusciranno mai ad agire
realmente nelle coscienze, come notava lo stesso Pasolini a proposito di E. M. Forster, che aveva differito a dopo la sua morte la pubblicazione del suo romanzo di argomento omosessuale Maurice . Dopo tanti anni la rappresentazione dell’omosessualità di Settembrini, Saba, Comisso o Pasolini non è certo dirompente e provocatoria come poteva esserlo nei confronti del modello d’attesa del lettore quando quei libri venivano scritti.
Inoltre sembra di intravedere una tendenza a mistificare, a rimuovere la portata drammatica di questi romanzi presentati spesso come idilli
, opere scritte in un particolare stato di grazia che quasi nulla sembra abbiano a che fare col dramma di non poter dire quello che si ha assoluto bisogno di dire, col contesto culturale di pregiudizi e ipocrisia in cui sono stati scritti.
La gente, Bruno mio, ha un bisogno, un bisogno urgente di mettersi in libertà, di essere insomma liberata dalle inibizioni
scriveva Saba a Bruno Pincherle parlandogli di Ernesto , e critici autorevoli parlano di aerea leggerezza
, di straordinaria trasparenza
, di classicità
a proposito di questo romanzo senza nemmeno dire che si tratta di omosessualità.
" Due romanzi ‘di grazia’ nel senso mettiamo, di quel capolavoro del manierismo alessandrino che è Dafni e Cloe di Longo Sofista" scrive Attilio Bertolucci in una presentazione ai due brevi romanzi di Pasolini Amado mio e Atti impuri , e Paolo Milano non vede alcun conflitto nelle "modeste e garbate pagine dei