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Il racconto d'inverno
Il racconto d'inverno
Il racconto d'inverno
E-book200 pagine1 ora

Il racconto d'inverno

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Info su questo ebook

Polissene e Leonte sono due grandi amici di infanzia, rispettivamente re di Boemia e di Sicilia. Rimasto per nove mesi alla corte dell'amico in Sicilia, Polissene si accinge adesso a tornare nel proprio regno, ma Leonte, dispiaciuto per la partenza, lo supplica di restare e prega anche la propria moglie, Ermione, di dissuaderlo dall'andar via. Inizialmente inamovibile, Polissene diventa prima titubante e infine cede alle lusinghe di Ermione, decidendo di prolungare il soggiorno; Leonte si scopre però turbato dall'eccessiva confidenza tra i due, e ordina che l'amico venga avvelenato. Inizia così una storia dal sapore agrodolce, fatta di equivoci, gelosia e penitenza, narrata con i toni tipici della tragicommedia shakesperiana. -
LinguaItaliano
Data di uscita27 ago 2021
ISBN9788726900538
Il racconto d'inverno
Autore

William Shakespeare

William Shakespeare is the world's greatest ever playwright. Born in 1564, he split his time between Stratford-upon-Avon and London, where he worked as a playwright, poet and actor. In 1582 he married Anne Hathaway. Shakespeare died in 1616 at the age of fifty-two, leaving three children—Susanna, Hamnet and Judith. The rest is silence.

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    Il racconto d'inverno - William Shakespeare

    Il racconto d'inverno

    Translated by Diego Angeli

    Original title: The Winter's Tale

    Original language: English

    Cover image: Shutterstock

    Copyright © 1611, 2021 SAGA Egmont

    All rights reserved

    ISBN: 9788726900538

    1st ebook edition

    Format: EPUB 3.0

    No part of this publication may be reproduced, stored in a retrievial system, or transmitted, in any form or by any means without the prior written permission of the publisher, nor, be otherwise circulated in any form of binding or cover other than in which it is published and without a similar condition being imposed on the subsequent purchaser.

    This work is republished as a historical document. It contains contemporary use of language.

    www.sagaegmont.com

    Saga Egmont - a part of Egmont, www.egmont.com

    PERSONAGGI RAPPRESENTATI.

    LEONTE, re di sicilia.

    MAMILLIO, suo figlio.

    CAMILLO signori siciliani.

    ANTIGONO signori siciliani.

    CLEOMÈNE signori siciliani.

    DIONE signori siciliani.

    Ufficiali di una Corte di Giustizia.

    Gentiluomini siciliani.

    RUGGERO, gentiluomo siciliano.

    POLISSENE, re di Boemia.

    FLORIZEL, suo figlio.

    ARCHIDAMO, signore boemo.

    Un marinaio.

    Un carceriere.

    UN VECCHIO PASTORE, creduto padre di Perdita.

    CLOWN, suo figlio.

    Un servo del vecchio pastore.

    AUTOLICO, furfante.

    IL TEMPO, che rappresenta il coro.

    ERMIONE, moglie di Leonte.

    PAOLINA, moglie di Antigono.

    EMILIA, sua dama d’onore.

    Altre dame d’onore di Ermione.

    PERDITA, figlia di Leonte e di Ermione.

    MOPSA pastore.

    DORCAS pastore.

    Signori e signore siciliani, personaggi del seguito, satiri, pastori, pastore, ecc.

    La scena è parte in Sicilia e parte in Boemia.

    ATTO PRIMO.

    SCENA PRIMA.

    Sicilia. Anticamera nel palazzo di Leonte.

    Entrano Camillo e Archidamo .

    Archidamo.

    Se vi accadrà Camillo, di visitare la Boemia, in un’occasione simile a quella che mi ha condotto qui pel mio servizio, vedrete, come vi ho detto, una grande differenza fra la nostra Boemia e la vostra Sicilia.

    Camillo.

    Credo che la prossima estate il re di Sicilia intenda di restituire a Boemia la visita che li deve così giustamente.

    Archidamo.

    La nostra ospitalità ci farà arrossire forse, ma sarà giustificata dal nostro affetto, perchè in verità....

    Camillo.

    Vi prego....

    Archidamo.

    Vi assicuro che vi parlo sinceramente: noi non possiamo con tanta magnificenza.... in un modo così raro.... Non so che cosa dirvi. Vi daremo bevande oppiate, affinchè i vostri sensi, ignari della nostra insufficenza, possano se non lodarci almeno risparmiarci le accuse.

    Camillo.

    Pagate troppo caro, quello che vi è dato gratuitamente.

    Archidamo.

    Credetemi: vi parlo come mi dettano i miei sentimenti e come mi suggerisce la mia franchezza.

    Camillo.

    Sicilia non può mostrarsi troppo cortese con Boemia. Nella loro fanciullezza furono educati insieme e questo fatto radicò in loro tale un’amicizia, che ora non può far altro che crescere. Da quel tempo le dignità inerenti ad uomini maturi e molti obblighi proprii al loro rango di Re hanno resa necessaria la loro separazione e interrotto il loro commercio quantunque sia stato regalmente alimentato con scambio di doni, di lettere, di ambasciate affettuose sì che sembrava quasi che fossero insieme sebbene assenti e che si fossero stretti la mano attraverso lo spazio e abbracciati ai due limiti dell’orizzonte. Che il cielo continui la loro amicizia!

    Archidamo.

    Io credo che non vi sia nel mondo malizia o cosa alcuna che possa turbarla. Avete nel vostro giovine principe Mamillio un indicibile soggetto di conforto per l’avvenire: è uno dei gentiluomini più promettenti che io abbia mai incontrato.

    Camillo.

    Sono intieramente d’accordo con voi intorno a queste speranze. È un bravo fanciullo. Uno di quelli che rinvigoriscono i proprii sudditi e rinfrescano i vecchi cuori. Coloro che andavano sulle stampelle prima che fosse nato, desiderano di prolungare la vita per vederlo uomo.

    Archidamo.

    Credete che senza quel pretesto sarebbero contenti di morire?

    Camillo.

    Sì, se non avessero altra ragione per desiderare di vivere.

    Archidamo.

    Se il re non avesse figliuoli, desidererebbero di vivere con le stampelle finchè non ne avesse uno.

    Exeunt.

    SCENA II.

    Sicilia. Una stanza nel palazzo Reale.

    Entrano leonte, Polissene, Ermione, Mamillio, Camillo e personaggi del seguito.

    Polissene.

    Nove volte il Pastor l’umida stella

    sorger vide e svanir fino da quando

    lasciato vuoto ha il nostro seggio: e un tempo

    di egual misura o mio fratel sarebbe

    di nostre grazie empito, chè pur anche

    debitori saremmo eternamente.

    Così, non altrimenti fa una cifra

    numerativa; io vo’ moltiplicare

    con un sol grazie quelle mille e mille

    che le stanno davanti.

    Leonte.

    Ora lasciate

    ogni grazie da parte: lo direte

    sul punto di partire.

    Polissene.

    O mio signore

    sarà dimani: sono angustiato

    dal mio timor di quanto può avvenire

    o maturarsi nella nostra assenza.

    Chè può soffiarvi uno stridulo vento

    il qual ci faccia dire: "Ecco: è accaduto

    come avevo predetto.Inoltre sono

    rimasto tanto tempo da stancare

    La Vostra Maestà.

    Leonte.

    Troppo robusti

    siamo, o fratello, perchè voi possiate

    giungere a questo.

    Polissene.

    Non starò più a lungo.

    Leonte.

    Un’altra settimana.

    Polissene.

    No: da vero,

    sarà dimani.

    Leonte.

    Ebbene, dividiamo

    questo tempo: ed in ciò non voglio udire

    un rifiuto.

    Polissene.

    Vi prego: in tal maniera

    non insistete. Non v’è lingua alcuna,

    in questo mondo, alcuna, che mi possa

    persuadere così facilmente

    come la vostra. E lo farebbe; ed anche

    se la vostra dimanda aver potesse

    per voi, vera importanza, io pur dovrei

    rifiutarla senz’altro. I miei negozî

    mi sospingono a casa e ritenermi

    sarebbe come se nel vostro affetto

    fosse per me celato uno staffile.

    Il mio restar sarebbe qui per voi

    un peso ed una noia: a liberarvi

    d’entrambi, addio, fratello.

    Leonte.

    Ha la regina

    annodata la lingua? Or su parlate.

    Ermione.

    Ero decisa, o sire, a rimanere

    tacita, fino a che voi non l’aveste

    spinto a giurare che non rimarrebbe.

    Voi lo avete richiesto, o sire, troppo

    freddamente. Narrategli che siete

    certo che tutto è in ordine in Boemia.

    Questo sapemmo certamente il giorno

    scorso: ditegli questo e gli torrete

    il suo miglior pretesto.

    Leonte.

    Avete detto

    bene, o Ermione.

    Ermione.

    Avesse egli affermato

    che gli premeva rivedere il figlio

    sarebbe stata una ragione assai

    forte: lo dica e noi lo lasceremo

    partire. Ma lo giuri e allor più a lungo

    non rimarrà, con le conocchie nostre

    lo cacceremo via di qua.

    A Polissene.

    Ma intanto

    la presenza real vostra, vi imploro

    per una settimana ancora. Quando

    nella vostra Boemia il mio signore

    riceverete, io li darò licenza

    di rimanere un mese oltre quel tempo

    fissato al suo partire e pure è certo

    o Leonte, ch’io ti amo non un solo

    attimo meno di qualunque dama

    ami il signore suo. Dunque, restate?

    Polissene.

    No, signora.

    Ermione.

    Restate.

    Polissene.

    Veramente

    non posso.

    Ermione.

    Veramente! Mi tenete

    a bada, con cedevoli argomenti

    ma io quand’anche i giuramenti vostri

    travolgesser le stelle, vi direi

    "Signor, niente partenza.„ Veramente!

    Voi non dovete andare e il veramente

    di una dama ha potere quanto quello

    di un gentiluomo. Voi vorreste ancora

    partire? In questo caso mi forzate

    a costudirvi come un prigioniero

    e non già come un ospite: in tal modo

    sul punto di partir voi paghereste

    le spese, ed i ringraziamenti vostri

    risparmiereste. Che mai dite? Mio

    prigioniero volete essere o mio

    ospite? Perchè l’uno o l’altro dopo

    quel terribile vostro veramente

    dovete essere.

    Polissene.

    Vostro ospite, allora:

    perchè esser vostro prigioniero, tale

    offesa importerebbe che a me stesso

    sarebbe più difficile di fare

    che non a voi punirmi.

    Lrmione.

    Carceriera

    vostra non sarò dunque, ma gentile

    ospite. Andiamo: voglio dimandarvi

    delle imprese commesse insiem col mio

    signore, quando eravate fanciulli

    entrambi. Ed eravate due bei tipi

    di signorini!

    Polissene.

    Eravamo o mia bella

    regina, due ragazzi che nè meno

    supponevano come mai potesse

    esistere un dimani differente

    dall’oggi e che credevan di restare

    fanciulli eternamente.

    Ermione.

    Non era il mio signore il più birbante?

    Polissene.

    Eravamo siccome due agnelletti

    gemelli che sgambettan sotto il sole

    belandosi l’un l’altro. Scambiavamo

    l’innocenza con l’innocenza; entrambi

    ignoravamo quel che fosse il male

    nè pensavamo che potesse farsi.

    Se questa vita avessim perseguito

    ed i nostri due deboli intelletti

    non si fossero più innalzati, spinti

    da più gagliardo sangue, si sarebbe

    potuto dire al cielo arditamente:

    "Innocenti!„ la macchia originale

    messa da parte.

    Ermione.

    Ed impariam da questo

    che avete corso, dopo.

    Polissene.

    O sacra mia

    signora, son per noi nate, d’allora

    in poi, le tentazioni. In quei tempi

    inesperti era ancora una fanciulla

    la moglie mia, mentre la preziosa

    vostra persona non avea pur anche

    incontrato lo sguardo del compagno

    giovinetto dei miei giuochi.

    Ermione.

    La grazia

    del cielo mi protegga! Non traete

    conclusione alcuna dalle vostre

    parole. Temo che dobbiate dirci

    che la vostra regina ed io siam diavoli.

    Ma andate oltre: del male che vi abbiamo

    fatto rispenderemo se per primi

    con noi peccaste e con noi sole ancora

    peccate, senza uscir dalla via retta

    con altre, fuori che con noi.

    Leonte.

    È dunque

    vinto?

    Ermione.

    Rimane, o mio signore.

    Leonte.

    Quando

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