Il racconto d'inverno
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William Shakespeare
William Shakespeare is the world's greatest ever playwright. Born in 1564, he split his time between Stratford-upon-Avon and London, where he worked as a playwright, poet and actor. In 1582 he married Anne Hathaway. Shakespeare died in 1616 at the age of fifty-two, leaving three children—Susanna, Hamnet and Judith. The rest is silence.
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Anteprima del libro
Il racconto d'inverno - William Shakespeare
Il racconto d'inverno
Translated by Diego Angeli
Original title: The Winter's Tale
Original language: English
Cover image: Shutterstock
Copyright © 1611, 2021 SAGA Egmont
All rights reserved
ISBN: 9788726900538
1st ebook edition
Format: EPUB 3.0
No part of this publication may be reproduced, stored in a retrievial system, or transmitted, in any form or by any means without the prior written permission of the publisher, nor, be otherwise circulated in any form of binding or cover other than in which it is published and without a similar condition being imposed on the subsequent purchaser.
This work is republished as a historical document. It contains contemporary use of language.
www.sagaegmont.com
Saga Egmont - a part of Egmont, www.egmont.com
PERSONAGGI RAPPRESENTATI.
LEONTE, re di sicilia.
MAMILLIO, suo figlio.
CAMILLO signori siciliani.
ANTIGONO signori siciliani.
CLEOMÈNE signori siciliani.
DIONE signori siciliani.
Ufficiali di una Corte di Giustizia.
Gentiluomini siciliani.
RUGGERO, gentiluomo siciliano.
POLISSENE, re di Boemia.
FLORIZEL, suo figlio.
ARCHIDAMO, signore boemo.
Un marinaio.
Un carceriere.
UN VECCHIO PASTORE, creduto padre di Perdita.
CLOWN, suo figlio.
Un servo del vecchio pastore.
AUTOLICO, furfante.
IL TEMPO, che rappresenta il coro.
ERMIONE, moglie di Leonte.
PAOLINA, moglie di Antigono.
EMILIA, sua dama d’onore.
Altre dame d’onore di Ermione.
PERDITA, figlia di Leonte e di Ermione.
MOPSA pastore.
DORCAS pastore.
Signori e signore siciliani, personaggi del seguito, satiri, pastori, pastore, ecc.
La scena è parte in Sicilia e parte in Boemia.
ATTO PRIMO.
SCENA PRIMA.
Sicilia. Anticamera nel palazzo di Leonte.
Entrano Camillo e Archidamo .
Archidamo.
Se vi accadrà Camillo, di visitare la Boemia, in un’occasione simile a quella che mi ha condotto qui pel mio servizio, vedrete, come vi ho detto, una grande differenza fra la nostra Boemia e la vostra Sicilia.
Camillo.
Credo che la prossima estate il re di Sicilia intenda di restituire a Boemia la visita che li deve così giustamente.
Archidamo.
La nostra ospitalità ci farà arrossire forse, ma sarà giustificata dal nostro affetto, perchè in verità....
Camillo.
Vi prego....
Archidamo.
Vi assicuro che vi parlo sinceramente: noi non possiamo con tanta magnificenza.... in un modo così raro.... Non so che cosa dirvi. Vi daremo bevande oppiate, affinchè i vostri sensi, ignari della nostra insufficenza, possano se non lodarci almeno risparmiarci le accuse.
Camillo.
Pagate troppo caro, quello che vi è dato gratuitamente.
Archidamo.
Credetemi: vi parlo come mi dettano i miei sentimenti e come mi suggerisce la mia franchezza.
Camillo.
Sicilia non può mostrarsi troppo cortese con Boemia. Nella loro fanciullezza furono educati insieme e questo fatto radicò in loro tale un’amicizia, che ora non può far altro che crescere. Da quel tempo le dignità inerenti ad uomini maturi e molti obblighi proprii al loro rango di Re hanno resa necessaria la loro separazione e interrotto il loro commercio quantunque sia stato regalmente alimentato con scambio di doni, di lettere, di ambasciate affettuose sì che sembrava quasi che fossero insieme sebbene assenti e che si fossero stretti la mano attraverso lo spazio e abbracciati ai due limiti dell’orizzonte. Che il cielo continui la loro amicizia!
Archidamo.
Io credo che non vi sia nel mondo malizia o cosa alcuna che possa turbarla. Avete nel vostro giovine principe Mamillio un indicibile soggetto di conforto per l’avvenire: è uno dei gentiluomini più promettenti che io abbia mai incontrato.
Camillo.
Sono intieramente d’accordo con voi intorno a queste speranze. È un bravo fanciullo. Uno di quelli che rinvigoriscono i proprii sudditi e rinfrescano i vecchi cuori. Coloro che andavano sulle stampelle prima che fosse nato, desiderano di prolungare la vita per vederlo uomo.
Archidamo.
Credete che senza quel pretesto sarebbero contenti di morire?
Camillo.
Sì, se non avessero altra ragione per desiderare di vivere.
Archidamo.
Se il re non avesse figliuoli, desidererebbero di vivere con le stampelle finchè non ne avesse uno.
Exeunt.
SCENA II.
Sicilia. Una stanza nel palazzo Reale.
Entrano leonte, Polissene, Ermione, Mamillio, Camillo e personaggi del seguito.
Polissene.
Nove volte il Pastor l’umida stella
sorger vide e svanir fino da quando
lasciato vuoto ha il nostro seggio: e un tempo
di egual misura o mio fratel sarebbe
di nostre grazie empito, chè pur anche
debitori saremmo eternamente.
Così, non altrimenti fa una cifra
numerativa; io vo’ moltiplicare
con un sol grazie quelle mille e mille
che le stanno davanti.
Leonte.
Ora lasciate
ogni grazie da parte: lo direte
sul punto di partire.
Polissene.
O mio signore
sarà dimani: sono angustiato
dal mio timor di quanto può avvenire
o maturarsi nella nostra assenza.
Chè può soffiarvi uno stridulo vento
il qual ci faccia dire: "Ecco: è accaduto
come avevo predetto.„ Inoltre sono
rimasto tanto tempo da stancare
La Vostra Maestà.
Leonte.
Troppo robusti
siamo, o fratello, perchè voi possiate
giungere a questo.
Polissene.
Non starò più a lungo.
Leonte.
Un’altra settimana.
Polissene.
No: da vero,
sarà dimani.
Leonte.
Ebbene, dividiamo
questo tempo: ed in ciò non voglio udire
un rifiuto.
Polissene.
Vi prego: in tal maniera
non insistete. Non v’è lingua alcuna,
in questo mondo, alcuna, che mi possa
persuadere così facilmente
come la vostra. E lo farebbe; ed anche
se la vostra dimanda aver potesse
per voi, vera importanza, io pur dovrei
rifiutarla senz’altro. I miei negozî
mi sospingono a casa e ritenermi
sarebbe come se nel vostro affetto
fosse per me celato uno staffile.
Il mio restar sarebbe qui per voi
un peso ed una noia: a liberarvi
d’entrambi, addio, fratello.
Leonte.
Ha la regina
annodata la lingua? Or su parlate.
Ermione.
Ero decisa, o sire, a rimanere
tacita, fino a che voi non l’aveste
spinto a giurare che non rimarrebbe.
Voi lo avete richiesto, o sire, troppo
freddamente. Narrategli che siete
certo che tutto è in ordine in Boemia.
Questo sapemmo certamente il giorno
scorso: ditegli questo e gli torrete
il suo miglior pretesto.
Leonte.
Avete detto
bene, o Ermione.
Ermione.
Avesse egli affermato
che gli premeva rivedere il figlio
sarebbe stata una ragione assai
forte: lo dica e noi lo lasceremo
partire. Ma lo giuri e allor più a lungo
non rimarrà, con le conocchie nostre
lo cacceremo via di qua.
A Polissene.
Ma intanto
la presenza real vostra, vi imploro
per una settimana ancora. Quando
nella vostra Boemia il mio signore
riceverete, io li darò licenza
di rimanere un mese oltre quel tempo
fissato al suo partire e pure è certo
o Leonte, ch’io ti amo non un solo
attimo meno di qualunque dama
ami il signore suo. Dunque, restate?
Polissene.
No, signora.
Ermione.
Restate.
Polissene.
Veramente
non posso.
Ermione.
Veramente! Mi tenete
a bada, con cedevoli argomenti
ma io quand’anche i giuramenti vostri
travolgesser le stelle, vi direi
"Signor, niente partenza.„ Veramente!
Voi non dovete andare e il veramente
di una dama ha potere quanto quello
di un gentiluomo. Voi vorreste ancora
partire? In questo caso mi forzate
a costudirvi come un prigioniero
e non già come un ospite: in tal modo
sul punto di partir voi paghereste
le spese, ed i ringraziamenti vostri
risparmiereste. Che mai dite? Mio
prigioniero volete essere o mio
ospite? Perchè l’uno o l’altro dopo
quel terribile vostro veramente
dovete essere.
Polissene.
Vostro ospite, allora:
perchè esser vostro prigioniero, tale
offesa importerebbe che a me stesso
sarebbe più difficile di fare
che non a voi punirmi.
Lrmione.
Carceriera
vostra non sarò dunque, ma gentile
ospite. Andiamo: voglio dimandarvi
delle imprese commesse insiem col mio
signore, quando eravate fanciulli
entrambi. Ed eravate due bei tipi
di signorini!
Polissene.
Eravamo o mia bella
regina, due ragazzi che nè meno
supponevano come mai potesse
esistere un dimani differente
dall’oggi e che credevan di restare
fanciulli eternamente.
Ermione.
Non era il mio signore il più birbante?
Polissene.
Eravamo siccome due agnelletti
gemelli che sgambettan sotto il sole
belandosi l’un l’altro. Scambiavamo
l’innocenza con l’innocenza; entrambi
ignoravamo quel che fosse il male
nè pensavamo che potesse farsi.
Se questa vita avessim perseguito
ed i nostri due deboli intelletti
non si fossero più innalzati, spinti
da più gagliardo sangue, si sarebbe
potuto dire al cielo arditamente:
"Innocenti!„ la macchia originale
messa da parte.
Ermione.
Ed impariam da questo
che avete corso, dopo.
Polissene.
O sacra mia
signora, son per noi nate, d’allora
in poi, le tentazioni. In quei tempi
inesperti era ancora una fanciulla
la moglie mia, mentre la preziosa
vostra persona non avea pur anche
incontrato lo sguardo del compagno
giovinetto dei miei giuochi.
Ermione.
La grazia
del cielo mi protegga! Non traete
conclusione alcuna dalle vostre
parole. Temo che dobbiate dirci
che la vostra regina ed io siam diavoli.
Ma andate oltre: del male che vi abbiamo
fatto rispenderemo se per primi
con noi peccaste e con noi sole ancora
peccate, senza uscir dalla via retta
con altre, fuori che con noi.
Leonte.
È dunque
vinto?
Ermione.
Rimane, o mio signore.
Leonte.
Quando