Gilgamesh Re di Sumeri che voleva donare all'uomo la vita eterna
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La scrittura è stata la prima grande rivoluzione tecnologica dell’umanità, utilizzata all’inizio soltanto a fini commerciali, per registrare impegni economici, documentare debiti e crediti. Poi, piano piano, l’uomo ha cominciato a scrivere per comunicare esperienze, conoscenze e pensieri da una generazione all’altra. Nasce, così, la letteratura e l’Epopea (o Saga) di Gilgamesh, che raccoglie una serie di piccoli poemi, incisi in caratteri cuneiformi su tavolette d’argilla, è la prima opera di narrativa scritta dall’uomo, risale infatti, a circa il 2.600 a.C.
Le moderne traduzioni dell’Epopea integrano i poemetti originali in lingua sumera con alcune versioni successive in accadico (usato dagli Assiri e dai Babilonesi), fonti pervenute a noi in frammenti. Comunque, nonostante alcuni recenti ritrovamenti, l’opera, recitata e letta per due millenni e mezzo, rimane ancora incompleta, infatti con l'avvento del Cristianesimo è stata abbandonata e per questo persa, per fortuna solo in parte.
Limandone la forma per renderlo più leggibile, il poema diventa un vero e proprio romanzo dove le avventurose vicende del Re si mescolano con le prime, grezze, riflessioni filosofiche tra le quali il senso della vita e la paura più profonda dell’uomo: la morte.
Oltre a ciò, contiene parecchie sorprese; mano a mano, nel suo sviluppo nascono situazioni e personaggi che poi rivivranno nelle letterature successive, nei miti greci e nei credo di diverse religioni.
Gilgamesh, Re dei Sumeri, quando combatte è Achille nell’Iliade; quando viaggia verso l’ignoto è Ulisse nell’Odissea; quando vuole donare all’umanità la vita eterna è Gesù Cristo nei Vangeli, venuto a salvare l’uomo; l’amore che prova per Enkidu è lo stesso di Achille per Patroclo e di Alessandro per Efestione.
E poi, la Divina Aruru che dall’argilla fa nascere il ragazzo selvaggio è Dio quando plasma Adamo con la polvere della terra; Gilgamesh ed Enkidu, che scendono negli Inferi sono i primi di tanti eroi che affronteranno la stessa avventura, compreso Dante; il Toro Celeste è il Minotauro di Creta; gli uomini scorpione, sentinelle dell'Arallu, sono un po’ Cerbero e un po’ Caronte; il serpente che sottrae a Gilgamesh la pianta dell’eterna giovinezza è lo stesso che inganna Eva; il meraviglioso Giardino di Shamash non è altro che il Giardino dell’Eden nella Genesi.
È evidente, inoltre, l’analogia tra Utnapishtim, la sua imbarcazione e il cataclisma che distrugge l’umanità per punizione divina e le grandi inondazioni decretate dagli Dei che annientano la civiltà in altre culture, nella nostra il Diluvio Universale, Noè e l’Arca.
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Anteprima del libro
Gilgamesh Re di Sumeri che voleva donare all'uomo la vita eterna - Antero Reginelli
© Copyright 2018 by Antero Reginelli
Via Enrico Ferri 16
00046 Grottaferrata - Roma
e-mail: anteroreginelli@yahoo.it
Finito di scrivere a marzo del 2018
Indice
Immagine: la Mesopotamia
Introduzione
Il Re Gilgamesh
Enkidu
I sogni di Gilgamesh
Dai pastori
Ad Uruk di Sumer
Agga Re di Kish
Guerra contro Agga
L’invenzione della scrittura
Duello a colpi di magia
L’inizio delle guerre
Gilgamesh contro Aratta
Khubaba
Le riunioni con i Giovani e i Senatori
Da Ninsun
Preparativi per il viaggio
Verso la foresta
Dubbi e paure
Combattimento contro Kubaba
La Dea Ishtar, l’Amore
Gugalanna, il Gran Toro Celeste
Il Gran Consiglio degli Dei
Enkidu malato
Lo scuote, lo bacia
Gilgamesh lascia Uruk
La montagna sacra Mashu
Nel giardino del Dio Shamash
Gilgamesh e Urshanabi
Incontro con Utnapishtim
Il Diluvio Universale
Viaggio di ritorno
La Mesopotamia

Introduzione
La scrittura è stata la prima grande rivoluzione tecnologica dell’umanità, utilizzata all’inizio soltanto a fini commerciali, per registrare impegni economici, documentare debiti e crediti. Poi, piano piano, l’uomo ha cominciato a scrivere per comunicare esperienze, conoscenze e pensieri da una generazione all’altra. Nasce, così, la letteratura e l’Epopea (o Saga) di Gilgamesh, che raccoglie una serie di piccoli poemi, incisi in caratteri cuneiformi su tavolette d’argilla, è la prima opera di narrativa scritta dall’uomo, risale infatti, a circa il 2.600 a.C.
Le moderne traduzioni dell’Epopea integrano i poemetti originali in lingua sumera con alcune versioni successive in accadico (usato dagli Assiri e dai Babilonesi), fonti pervenute a noi in frammenti. Comunque, nonostante alcuni recenti ritrovamenti, l’opera, recitata e letta per due millenni e mezzo, rimane ancora incompleta, infatti con l'avvento del Cristianesimo è stata abbandonata e per questo persa, per fortuna solo in parte.
Limandone la forma per renderlo più leggibile, il poema diventa un vero e proprio romanzo dove le avventurose vicende del Re si mescolano con le prime, grezze, riflessioni filosofiche tra le quali il senso della vita e la paura più profonda dell’uomo: la morte.
Oltre a ciò, contiene parecchie sorprese; mano a mano, nel suo sviluppo nascono situazioni e personaggi che poi rivivranno nelle letterature successive, nei miti greci e nei credo di diverse religioni.
Gilgamesh, Re dei Sumeri, per due terzi Dio per un terzo uomo, invincibile, quando combatte è Achille nell’Iliade; quando viaggia verso l’ignoto alla ricerca della conoscenza, è Ulisse nell’Odissea; quando vuole donare all’umanità la vita eterna è Gesù Cristo nei Vangeli, venuto a salvare l’uomo; l’amore che prova per Enkidu è lo stesso di Achille per Patroclo e di Alessandro per Efestione; il suo ius primae noctis lo ritroveremo nel Medioevo come un diritto, la cui storicità è dubbia, del signore feudale.
E la Divina Aruru che dall’argilla fa nascere il ragazzo selvaggio è Dio quando plasma Adamo con la polvere della terra; Gilgamesh prima, Enkidu poi, che scendono negli Inferi sono i primi di tanti eroi che affronteranno la stessa avventura, compreso Dante; il Gran Toro Celeste è il Minotauro di Creta; gli uomini scorpione, sentinelle dell'Arallu, sono un po’ Cerbero, il mostruoso cane a tre teste guardia della città infernale, un po’ Caronte, il traghettatore dell’Ade; il serpente che sottrae a Gilgamesh la pianta dell’eterna giovinezza condannando l’uomo ad invecchiare è lo stesso che inganna Eva e obbliga l’umanità ad abbandonare il Paradiso Terrestre; il meraviglioso Giardino di Shamash non è altro che il Giardino dell’Eden nella Genesi.
È evidente, inoltre, l’analogia tra Utnapishtim, la sua imbarcazione e il cataclisma che distrugge l’umanità per punizione divina e le grandi inondazioni decretate dagli Dei che annientano la civiltà in altre culture, nella nostra il Diluvio Universale, Noè e l’Arca.
E, infine il gigantesco Khubaba è il Diavolo con le sue lusinghe, il male del mondo in molte religioni.
Ma l’Epopea di Gilgamesh è storia o leggenda? Come tutti i poemi epici, contiene sia elementi storici che mitici, comunque, un Gilgamesh storico - Bilgamesh in Sumero - che si presume abbia regnato ad Uruk, nell’odierno l'Iraq, in un periodo tra il 3000 e il 2500 a.C., compare nella Lista dei Re Sumeri e in altre fonti.
Dunque, sembrerebbe un personaggio storico, cioè un Re diventato mito in epoca successiva. Ci sono studiosi, però che, all’opposto, credono sia soltanto un eroe della mitologia sumera entrato a far parte della tradizione religiosa.
La lettura proposta è un’interpretazione delle dodici tavole della cosiddetta Epopea di Gilgamesh, integrate da due poemetti Sumeri, Gilgamesh e Agga
e Enmerkar e il signore di Aratta
.
IL RE GILGAMESH
Tanti anni fa, più di mille, gli uomini abitavano in grandi metropoli, tra edifici immensi, alti fino a sette piani. Non distanti tra loro, case lussuose sovrastavano misere catapecchie che sembravano invisibili, come i rifiuti che putrefacevano in ogni angolo delle città e del mondo. L’uomo pensava solo a corrompere o a farsi corrompere, Re, Governanti e Amministratori, gente mediocre, vivevano per arricchirsi e basta, così come la gente, ma avvelenavano l’aria e consumavano il pianeta, disboscavano e i boschi rinsecchivano. Nessuno si accorgeva dei laghi che inaridivano, del mare che diventava nero, dei fiumi pieni di sostanze maleodoranti, e poi, pioveva pochissimo. Insomma, uomini e Stati gareggiavano a violentare la terra e dilagava il malcostume.
Le estati erano sempre più calde, soffocanti, gli inverni miti e aveva smesso di nevicare. I ghiacciai si scioglievano, anche ai poli: il mondo collassava tra sciatteria, menefreghismo e disonestà.
La dignità era rimasta un retaggio dei tempi passati.
Ad un certo momento, però, gli Dei decisero di punire l’aggressività e l’immoralità del genere umano. Gli scatenarono contro la natura e un cataclisma, durato sette giorni, distrusse la terra. Dal cielo nero vennero giù fulmini, saette, tuoni, pioggia a scrosci violenti, grandine a chicchi grandi come mele e il vento spazzò via ogni cosa. I mari ribollirono, sommersero perfino le montagne.
Le città sprofondarono negli abissi, i popoli sparirono nei turbini delle acque tumultuose.
L’umanità fu annientata, solo Utnapishtim, l’illuminato che adesso abita su un’isola alla foce di un fiume ai confini della terra, si salvò dalla furia devastatrice del Diluvio Universale, insieme alla sua famiglia, ai figli dei migliori artigiani e agli animali domestici, quelli della steppa e quelli della foresta: avvertito dagli Dei Onnipotenti, li aveva caricati a bordo di una grande barca, robusta da resistere all’acqua, al fuoco e al vento.
Utnapishtim è l’eroe che ha rifondato l’umanità, l’uomo che con la sua imbarcazione ha salvato gli animali e ripopolato la terra, dove, piano piano, i prati sono tornati ad essere verdi, i fiori a nascere, gli alberi a crescere, le foreste a infoltirsi. Grazie a lui, poi, sono stati ricostruiti villaggi, paesi e Tempi, e gli Dei, per onorarlo, lo hanno reso simile a loro: immortale.
Adesso, la più grande, e più bella, città del mondo è Uruk, nel paese di Sumer, protetta da mura ciclopiche, un tempo governata da Gilgamesh, un giovane molto valoroso. Anche se figlio del precedente Sovrano, era diventato Re per le sue straordinarie qualità.
Comandante perfetto
guida per eccellenza
combattente indomito.
Gilgamesh, colui che vide e conobbe ogni cosa,
l’uomo andato ad esplorare le regioni più lontane,
che scoprì i segreti più nascosti,
che raggiunse la completa saggezza.
Gilgamesh di statura imponente, magnifico e terribile,
colui che ha aperto i passi in montagne sconosciute,
colui che ha scavato pozzi persino nei loro fianchi,
colui che ha superato ogni ostacolo,
colui che ha attraversato il grande Oceano, il mare che si estende dal punto in cui sorge il sole a dove tramonta,
colui che è arrivato fino ai confini del mondo alla disperata ricerca della vita eterna per donarla agli uomini,
colui che è riuscito a raggiungere Utnapishtim e a parlare con lui.
Il Re che ha costruito le ciclopiche mura di Uruk.
Non è mai esistito un guerriero che lo abbia eguagliato nell’uso delle armi, sia spada che ascia; il suo corpo era bellissimo, l’acconciatura dei capelli, la barba e il portamento gli davano un aspetto che lo distingueva dagli altri. Nessuno osava contrastarlo né dire che non fosse Sua Immensa Maestà dei fertili territori di Sumer.
Potente, superava di gran lunga in valore i Sovrani dei popoli vicini e aveva una forza talmente straripante che i Sumeri dicevano fosse figlio di un toro selvaggio. In effetti, era per due terzi Dio e per un terzo uomo in quanto era stato partorito da Ninsun, Regina, Dea e Sacerdotessa, mentre il padre Lugalbanda, autorevole Re di Uruk per mille e duecento anni, era diventato Dio soltanto dopo aver sconfitto il Gran Toro Celeste.
La Divina Aruru, la Creatrice del nuovo mondo, ormai vecchio di mille e più anni, aveva disegnato l'immagine del suo straordinario corpo; Enki, la Sapienza e l’Arte, il protettore dell’astuzia, l’aveva dotato d’ingegno mentre il caldo e luminoso Dio Shamash, il Sole, gli aveva fornito la forza e Adad, Dio della Tempesta, il coraggio, tanto, come a nessun altro.
Imbattibile, in battaglia era una furia selvaggia che travolgeva i nemici, abbatteva le mura più resistenti e, da solo, formava un riparo dietro il quale i suoi guerrieri si sentivano al sicuro.
Uruk di Sumer è, tuttora, una città bellissima, nella mastodontica cinta muraria che la protegge, piatta nella parte superiore e percorribile, sono incisi artistici bassorilievi.
La gente ci passeggia volentieri nelle soleggiate giornate primaverili, quando le rose variopinte, sbocciate innumerevoli nei grandi giardini cittadini, profumano l’aria d’inebrianti sensazioni multi aromatiche. Gli orti sempre verdi all’interno, le grosse cisterne d’argilla rossa, le abitazioni pitturate con calce bianca e le case degli Dei scintillanti d’oro, d’argento e di preziosi lapislazzuli colorano il centro abitato.
Oltre ad essere bella, Uruk era stata bene amministrata dal grande Re Gilgamesh ma il potere ha una pessima caratteristica: con il crescere corrode l’anima di chi lo possiede. E il giovane Sovrano non scampò alla sua tremenda forza devastatrice: piano piano cominciò a diventare presuntuoso, a ricevere i cittadini a testa alta, da borioso, pieno di sé.
Prese a girare per le vie della città come fosse un toro, mostrava il possente fisico con superbia e intimidiva l’intera comunità: trattava uomini e donne da sudditi. Queste ultime, poi, cominciò ad usarle per soddisfare i propri piaceri lussuriosi. Piano, piano aveva concentrato nelle sue mani il governo, la funzione legislativa e l’amministrazione della giustizia, cosicché il popolo di Sumer era rimasto senza diritti e tutele. Inoltre, da vero tiranno, non consultava più sia il Consiglio degli Anziani che l’Assemblea dei Giovani Sumeri, organismi democratici che avrebbero dovuto aiutare il Sovrano a regnare.
Con sempre maggior prepotenza, appena percuoteva il pukku, il tamburo di guerra, e lo percuoteva spesso, pretendeva che gli uomini in età abbandonassero le loro attività per accorrere, senza fiatare, ad impugnare le armi. Vessava gli Urukiti: non consentiva al figlio di aiutare il padre e al giovane marito di andare a letto con la moglie.
Insomma, ci godeva a comandare, ad angustiare la gente e a tenerla in soggezione.
In seguito, divenne addirittura il marito nella prima notte di nozze di ogni giovane donna Sumera che si sposava: amante per obbligo, prepotente, violento.
Presto, però, la città e i Sumeri s’impoverirono, non solo economicamente, anche nello spirito, perché ogni giorno che passava il governo diventava sempre più oppressivo e il Re sempre più arrogante. Le ragazze sedotte e abbandonate o le spose insoddisfatte che avevano perso gli sposi e i vecchi padri in miseria per l’assenza o la morte dei figli, si lamentavano. Nelle case delle famiglie c’erano solo sofferenze e il cibo scarseggiava. Ad un certo punto, quando non ce la fecero più a sopportare le angherie del Sovrano, gli Urukiti decisero di rivolgersi agli Dei. Si riunirono nel Tempio, piangevano, supplicarono gli Onnipotenti in lacrime:
«Numi della volta celeste, Gilgamesh, il nostro Re, è grande e potente ma da un po’ di tempo ci soffoca. Chiama di continuo i giovani in guerra, così lascia spesso i poveri padri senza l’aiuto dei figli e le spose senza le carezze degli sposi. Ora, poi, si è pure abbandonato, con smoderatezza, ai piaceri dei sensi e la vita per le donne Sumere si è trasformata in un inferno: le usa, a turno, per soddisfare le sue insane voglie sessuali.
Addirittura, ritiene suo diritto trascorrere la prima notte di nozze con ogni ragazza del regno che si sposa: lui la inizia al sesso, poi tocca al marito….. Per mancanza di giovani i campi desertificano, gli orti vanno in malora e quello che raccogliamo è di qualità scadente e non sufficiente a sfamarci: soffriamo e basta! Non riusciamo più a reggere oltre, ci stiamo dissanguando, impoverendo Vi imploriamo, aiutateci altrimenti saremo costretti ad abbandonare Uruk, ad emigrare chissà dove o moriremo di fame!»
Senza fronzoli, un’invocazione diretta: era l’abitudine dei Sumeri, devoti ma di poche parole, concreti.
E i Signori del cielo si preoccuparono parecchio, tanto che dopo aver ascoltato la preghiera, convocarono subito il Gran Consiglio.
Di solito, quando gli Onnipotenti riuniscono il Gran Consiglio, sono dolori per gli uomini sulla terra.
Maestosi sui loro seggi divini, dissero in coro al Dio An, il Cielo, il padre della maggior parte di loro:
«Padre, hai voluto come Re di Uruk un toro selvaggio! È vero che non ha rivali nell’uso delle armi e che possiede una forza fisica straordinaria. Sappiamo tutti che non