BodyLess: La storia di Julian
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Questa è la storia di Julian e del suo viaggio per ritornare nel proprio corpo.
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Anteprima del libro
BodyLess - Antonio Cracolici
BODYLESS
Antonio Cracolici
BodyLess
La storia di Julian
Ricordi Di Un Passato Futuro
Se dovessi spiegare come mi sono ritrovato in questa situazione avrei difficoltà a dirlo anche a me stesso.
Cercherò comunque di fare un sunto dei principali avvenimenti che si sono succeduti, uno dopo l’altro, quasi a formare un disegno che difficilmente può essere imputato al caso, ma che invece ne esprime tutta la creatività.
Ma andiamo per passi.
Gli anni ‘30 sono stati anni di grandi aspettative. La conquista di Marte e i primi insediamenti degli avventurosi (e incoscienti) coloni che sono andati a dispetto di una morte orribile ma che contrariamente a tutte le aspettative sono sopravvissuti.
Lo sfruttamento delle risorse minerarie degli asteroidi aveva creato le basi sia per nuovi posti di lavoro che per nuove scoperte scientifiche; inoltre, la crescente necessità di fare calcoli sempre più complessi in ogni campo scientifico aveva scatenato un vero e proprio business sull'acquisto e la creazione di computer sempre più potenti nonché sullo sviluppo di algoritmi quantistici che ne sfruttassero appieno le potenzialità.
Quest’ultimo divenne uno dei business principali per le multinazionali, e, neanche alla fine degli anni ‘40, ogni famiglia poteva usufruire di un Q-PC, sostanzialmente come un PC ma con logica Q-bit basata sulla meccanica quantistica.
Tutto ciò portò come naturale conseguenza a sviluppi informatici impensabili e a tratti discutibili. La rete Internet divenne solo un ricordo di una vetusta tecnologia, soppiantata interamente dalla rete nanonet composta da miliardi e miliardi di piccoli nanobot sparati in orbita tutti interconnessi tra loro e che erano in grado di fornire enormi quantità di informazioni in tempo reale con libero accesso da parte di chiunque.
I social di Internet evolsero verso gli ambienti virtuali, mondi creati ad hoc nei quali poter incontrarsi, e il reale e il virtuale divennero quasi la normalità. Le aziende sfruttarono subito questa nuova tecnologia creando ambienti di lavoro virtuali a basso costo e rivoluzionando il concetto di posto di lavoro
.
Ho detto a tratti discutibili
perché, pur sembrando che questo tipo di tecnologia stesse migliorando la qualità della vita dell’uomo, in effetti, come ogni nuova tecnologia, poneva degli aspetti negativi e la nascita di nuovi malesseri e nuove imposizioni.
Il primo, senza ombra di dubbio, era dovuto all’astrazione dal mondo reale che, specialmente tra i giovani, si tendeva ad avere.
Il secondo invece, molto più subdolo, era dovuto all’impianto cibernetico che ogni persona che voleva avere una vita sociale doveva possedere per potere comunicare attraverso la rete nanonet.
Chiamiamola pure una evoluzione del cellulare, solo che questa prevedeva una piccola ma invasiva variazione rispetto all’antico smartphone. Occorreva impiantare alla base della colonna vertebrale, proprio tra l’atlante e l’epistrofeo, una porta di comunicazione, chiamata B-Link. Il B-Link, una volta innestato, lentamente instaurava una serie di collegamenti tra sé stesso e il cervello ponendosi come alloggiamento per il trasduttore di segnali della rete nanonet, chiamato B-Synk.
Nel gergo comune ci si era abituati però a chiamarli Link e Synk.
Nomi all’apparenza innocui ma che nel loro profondo portavano dentro tutta la potenza di sofisticate Intelligenze Artificiali – AI – che rendevano possibili la conversione dei segnali digitali provenienti da nanonet in quello che potremmo definire pensieri, sensazioni e ... sentimenti.
Ma come tutte le AI che si rispettino, era necessario un periodo di training in cui essa comprendeva come poter interfacciarsi tra la rete e il cervello del proprio ospite, definito dall’AI stessa col generico nome di host.
Per questa ragione il Link veniva impiantato nei primi 2 anni dalla nascita ma solo al 14-esimo anno si riceveva un Synk da potere utilizzare. Molti in passato avevano provato a usare i Synk in una età precedente, ma i risultati erano stati catastrofici. I ragazzini non distinguevano più la realtà dal mondo virtuale e, generalmente, incorrevano in tumori cerebrali o schizofrenie gravi.
D’altra parte, il Link da solo era dotato di software specializzati nel trattamento delle informazioni e, come valore aggiunto, consentiva un livello di apprendimento superiore. Già al sesto anno, poteva essere utilizzato per memorizzare ed imparare a velocità di gran lunga superiore al normale. C’è da dire però che la capacità di memorizzazione dipendeva da persona a persona e dal modo in cui l’AI riusciva a connettersi con il suo host.
Insomma, i primi della classe c’erano sempre. Certe cose non cambieranno mai. Sembra una cosa strana da dire, ma questa diversità mi dava, conoscendo particolarmente la tecnologia che c’è dietro ai Link, tutto sommato, un senso di sicurezza.
Ho detto particolarmente non a caso. Nel 2024, anno in cui tra l’altro nacqui, fu proprio mio padre assieme ad altri due suoi colleghi a gettare le basi della tecnologia dei Link. Questa tecnologia, nata per risolvere gravi traumi alla colonna vertebrale che impedivano il normale passaggio dei segnali nervosi consentendo di interfacciare protesi meccaniche, successivamente fu sfruttata nei campi delle comunicazioni.
Infatti, dopo appena 5 anni, nel 2029, fece la sua prima apparizione il Synk.
Da lì a poco la società di mio padre decollò in modo vertiginoso, e la richiesta di Synk crebbe in modo esponenziale. Nel 2032 ogni persona possedeva un Synk e nel 2035 fece la sua apparizione la rete nanonet che cambiò completamente il concetto di vita.
Ricordo ancora il momento in cui potei ricevere il mio Synk.
Era il 2038 e finalmente avevo compiuto i fatidici 14 anni. Ricordo perfettamente il momento in cui quella mattina mi svegliai e in fretta e furia andai in stanza dai miei per farmi fare gli auguri. Aprii la porta e gridai a squarciagola HO 14 ANNI!!!
. Certo… forse non fu una buona idea visto che erano