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La Stella e il Cerchio
La Stella e il Cerchio
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E-book163 pagine2 ore

La Stella e il Cerchio

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Info su questo ebook

Novembre 2012, indagine del Pew Reaserch Center:
Il 95% dei giovani dai 16 ai 35 anni è costantemente “online”
Il 78% è connesso attraverso gli smartphone
L’81% lo fa in solitudine e senza essere controllato da nessuno

Questo libro è basato su fatti realmente accaduti e documentati nel nostro tempo: l’era di Internet e del digitale. Luca, un ragazzo di buona famiglia, dopo essersi finalmente laureato si perde tra battaglie in realistici videogiochi e amori illusori “via chat”. Persuaso dalle “teorie del complotto” presenti sul web (presunta soluzione ai mali della sua anima), in mezzo all'indifferenza borghese della famiglia, il ragazzo confonde reale e virtuale fino a giungere alla follia. Inneggia alla violenza, all'antisemitismo e alla guerra armato con un coltello. Vuole sposare una “ragazza” che vive in un videogioco: il delirio è ormai inarrestabile. La strada verso la pazzia sarà lenta e inesorabile, poi accadrà qualcosa di straordinario e inaspettato...

LinguaItaliano
Data di uscita13 mar 2014
La Stella e il Cerchio
Autore

Quelli di ZEd

Quelli di ZEd è il Gruppo composto dallo Staff, dagli Autori, dai Collaboratori e dai Lettori delle edizioni Zerounoundici. Quelli di ZEd comprende numerose iniziative, fra le quali: ZEd Lab: un laboratorio creativo mondiale per la collaborazione a progetti comuni di scrittori, traduttori e fumettisti di tutto il mondo. ZEd Mundi: un particolare Gioco di Ruolo basato sulla scrittura e sui fumetti, con interazione collettiva in qualunque lingua.

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    Anteprima del libro

    La Stella e il Cerchio - Quelli di ZEd

    PROLOGO

    L’innovazione è divenuta per la prima volta non l’eccezione ma la regola, e si è talmente accelerata, talmente universalmente diffusa da autoalimentarsi al di là da ogni possibile controllo, producendo simulacri sempre più potenti e sempre meno governabili. Il rischio, ma anche il fascino dell’enorme accelerazione evolutiva delle macchine di calcolo sta superando di colpo, senza soluzioni di continuità e senza possibilità di ritorno, il confine della realtà stessa, entrando nel cuore della matrice.

    Rene Berger, filosofo e storico dell’arte svizzero

    Questo libro s’ispira a fatti realmente accaduti nel tempo odierno, quel tempo in cui l’innovazione tecnologica è un imperativo e la comunicazione viaggia senza limiti grazie alla mediazione di potenti macchine virtuali.

    La storia descrive la vita di Luca, un ragazzo benestante, da poco laureato, che ha la passione per Internet, il computer e ogni altra tecnologia digitale. Uno di noi, simile a noi. Chi di voi non usa il computer, naviga in rete o utilizza uno smartphone per essere sempre aggiornato e presente?

    Ma il ragazzo, progressivamente e senza scampo, si perderà nei meandri del cyberspazio e dell’inganno virtuale. La sua vita sarà travolta, fino ad arrivare a sostituire se stesso con una simulazione virtuale.

    Nel suo Éloge de la simulation Philip Quéau affermava che il progresso della tecnica passa attraverso la progressiva derealizzazione dell’uomo e l’incessante simulazione del reale. La simulazione non è affatto il simulacro della realtà, poiché è essa stessa a crearla.

    Analoga è stata la derealizzazione di Luca. In poco tempo, la sua esperienza reale, fatta di fisicità, si scioglie, fino a liquefarsi completamente in una nuova personalità immateriale, disseminata nel mondo del web e dei videogiochi. Nasce così una nuova persona che cerca di colmare il vuoto di un’esistenza, sperando di riscoprirsi appagato e felice.

    Ma il mondo virtuale, dopo avergli offerto un assaggio di felicità - surrogata e artefatta - lo inghiottirà imprigionandolo drammaticamente nella sua rete, sino a portarlo alla follia e al delirio. Se c’è una rete o per meglio dire una ragnatela (web, appunto, significa ragnatela), deve esserci per forza anche un ragno. Che, se non si è attenti, divora. I rischi del web sono costantemente sotto i nostri occhi: dalla sottrazione dei dati sensibili, al venire a contatto con persone che non esistono realmente. E quotidianamente miriadi di truffe vengono perpetrate a discapito di avventati in cerca del prezzo migliore o di arricchimenti facili.

    Gli antichi alchimisti medievali utilizzavano la formula Solve et coagula per sciogliere il metallo in oro e credo che in qualche modo sia collegata al mito della fenice che rinasce dalle sue ceneri: lo stesso accade a Luca che, dopo essersi liquefatto e disperso nel mondo cyberspaziale, si ricompone miracolosamente, diventando una persona migliore.

    Questa che vi racconto è la sua storia.

    Buona lettura e buon viaggio.

    Davide De Palo

    1. LA FESTA DI LAUREA

    Il reame dell’iperreale è più reale del reale e attraverso di esso i modelli, le immagini e i codici dell’iperreale controllano il pensiero e il comportamento.

    Jean Baudrillard, filosofo francese

    Stavano ormai giungendo al termine i preparativi per il festeggiamento della laurea in Economia Navale, conseguita da Luca il 4 novembre del 2009. Il ragazzo era visto da molti suoi amici e da alcuni parenti come un incapace, tanto che molti di loro stentavano a credere alla notizia.

    Da sempre considerato uno stupido, un figlio di famiglia come si dice a Napoli, e cioè un giovane che, non avendo problemi economici, pensava solo a divertirsi senza dedicare il giusto tempo allo studio, né tantomeno al lavoro.

    Ma gli anni passavano e ormai del ragazzino, come amava definirlo ancora la madre, non era rimasto più nulla.

    La sua vita era caratterizzata da una frenetica e compulsiva ricerca di potenza tecnologica: ogni giorno sfogliava avidamente riviste specializzate, sia scaricandole da internet, sia comprandone in edicola, per cercare connessioni super veloci, smartphone a otto processori, console di ultima generazione e computer fissi da far invidia alla NASA. E ogni nuovo gadget tecnologico era subito tra le sue mani, per essere puntualmente sostituito qualche settimana dopo. Era il prototipo di ragazzo della nuovissima generazione, quella hi-tech, come qualche sociologo paventava di tanto in tanto in qualche trasmissione televisiva: da quando aveva sedici anni, era vissuto e cresciuto parallelamente alla tecnologia d’avanguardia del mondo digitale, sviluppando e consolidando negli anni una conoscenza e una passione per tutto ciò che fosse elettronico e informatico. Agli albori della digitalizzazione della nostra società, il papà gli regalò, ancora adolescente, il mitico Commodore 64, esteticamente grossolano e di un bruttissimo colore grigio, ma che all’epoca era considerato il non plus ultra della tecnologia. Non tutti potevano permetterselo, visto il costo elevato e l’assenza quasi totale di benefici per chi lo utilizzava. In seguito, abbandonò il vecchio 64 per comprare l’Amiga 500, fino a utilizzare i primi IBM, più professionali, meno indicati per i videogiochi ma utili per studiare, fino a giungere ai giorni nostri, con i potenti processori Intel i7.

    Il giovane laureato viveva costantemente in quella che viene definita realtà aumentata.

    Infatti, non c’era cosa che facesse nella quotidianità senza l’ausilio di una tecnologia. Si parlava di come preparare un tiramisù in famiglia? E subito il ragazzo, attraverso una veloce ricerca su Google, trovava decine di ricette e copiose varianti. Bisognava raggiungere una località? E lui con sicurezza indicava la strada grazie al navigatore incorporato nel suo smartphone di ultima generazione. Se è vero che siamo nell’era dell’informazione in tempo reale, il laureato ne era la prova vivente.

    La mamma di Luca era una donna sulla cinquantina, leggermente in sovrappeso, ma molto curata. I capelli dorati, costantemente legati, incorniciavano un viso dalla pelle ancora fresca. Gli occhi chiari, grandi ed espressivi, erano lievemente a mandorla. Una donna bella e interessante, anche se non più giovane, con un look da far invidia anche alle signore più chic dell’alta borghesia della collina di Posillipo. Di nome Elena, proveniva dal nord, precisamente da Reggio Emilia, anche se da tantissimi anni viveva a Napoli, dove il marito lavorava e viveva da sempre. Era felicissima per il titolo conseguito dal suo unico figlio e aveva organizzato la cena/evento in suo onore con orgoglio e meticolosità. E adorava il ragazzino, viziandolo oltremodo. Ma dopotutto che problemi ha mai dato alla famiglia?, aveva sempre pensato la donna con convinzione e sicurezza.

    Sicuramente passava molte ore di fronte al computer e su quei telefoni di nuova generazione, chiamati smartphone, dove si è sempre connessi con qualcosa o qualcuno, ma questo lo fanno moltissimi giovani. In fondo il figlio era un bravissimo ragazzo, ancora di più ora che si è laureato. Adesso inizierà anche a lavorare, pensava la donna dai capelli biondi e magari farà lo stesso mestiere del padre.

    Trepidante e con le lacrime agli occhi, che puntualmente scioglievano il rimmel nero, era una donna che non si truccava molto, nonostante curasse il suo corpo e il suo aspetto in maniera morbosa. Indossava guanti dalla doppia protezione sia per non rovinare le unghie perfette, smaltate a opera d’arte, sia per proteggere le mani da dama dell’ottocento; mani di chi non aveva mai lavorato, ma che per l’occasione erano intente a preparare, con cura maniacale, il rinfresco e la cena, non lasciando nulla al caso. Il menù della serata era diviso in due parti: un ricco buffet composto da salatini, salsicce su stuzzicadenti, formaggi vari e olive, ali di pollo fritte, involtini primavera, patate fritte, vol au vent, arancini di riso, crocchè, insomma, tutto cibo da mangiare in piedi e con le mani, seguito poi da un’abbondante cena calda, rigorosamente a base di ottimo pesce e freschissimi frutti di mare.

    Tutto cibo squisito e prelibato, composto da un’infinità di portate, così come vuole la miglior tradizione culinaria napoletana. Insalata di pesce e frutti di mare, sauté di vongole e cozze, gamberetti in salse varie per passare, sorseggiando dell’ottima Falanghina di annata, ai classici spaghetti con vongole, astici e gamberoni ai ferri, senza dimenticare l’immancabile aragosta farcita in tanti modi. Perché, anche se reggiana di nascita, Elena aveva coltivato la passione per i piatti a base di pesce grazie a sua madre, una donna romagnola che, proprietaria ai tempi di un piccolo ristorante a Milano Marittima, le aveva tramandato molti dei segreti della cucina di mare.

    L’appartamento del festeggiato era in via Scarlatti al Vomero, storica strada dell’attraente quartiere napoletano, costellata da tanti edifici colorati e lussuosi in stile umbertino, al settimo piano di un bellissimo edificio di colore giallo ocra. Un condominio molto confortevole, dotato di custode in divisa, come nei grandi alberghi di lusso, di video citofono di ultima generazione e di un enorme ascensore con grandi specchi al suo interno. Un bel quartiere di Napoli, una zona residenziale che sembrava Milano, dove vivono i nuovi ricchi, la borghesia emergente e qualche milionario caduto in disgrazia. Ed era una zona in collina, dove si respirava un’aria diversa rispetto a quella del centro della città. Al Vomero, la vita era migliore, si sentiva, si viveva: sembrava che, tutto sommato, la contraddittoria e complessa Napoli, patria della cultura, dell’arte e della camorra, fosse un bel posto in cui vivere.

    Gli invitati erano all’incirca una quarantina, tra amici di Luca e parenti. Stranamente non era presente nessun consanguineo di suo padre. C’erano, però, gli zii Giacomo e Luigi, fratelli della madre e affermati titolari di un’azienda parafarmaceutica della bassa modenese. Due gemelli monozigoti, uguali e identici in tutto, che spesso anche la sorella faticava a riconoscere. Non a caso la donna, quando li aveva sentiti telefonicamente, gli aveva proposto scherzosamente di vestirsi in modo diverso e loro, ridendo, avevano affermato che, per assistere al miracolo della laurea del nipote sarebbero venuti anche senza vestiti, se fosse stato necessario.

    Elena, che teneva molto alla forma e all’apparire, poteva annunciare – e con ancora più orgoglio agli scettici – la lieta notizia della laurea del figlio. In fondo l’unica cosa che davvero le interessava era quella di mostrare di avere una relazione perfetta e la migliore famiglia al mondo.

    La cameriera filippina, nata e cresciuta nella stupenda isola di Luzon, una donna sulla cinquantina, bassa e tarchiata, poco femminile, servile e lavoratrice, roteava intorno ai tavoli in maniera goffa e allo stesso tempo funzionale al totale comando di Elena: il suo compito era semplicemente eseguire tutto ciò che le veniva chiesto e ordinato (non sempre in maniera comprensibile, data l’agitazione della madre di Luca per i preparativi). Sistematicamente e con una frequenza preoccupante, la filippina subiva i rimproveri di Elena, chinando il capo con cieca obbedienza, indipendentemente dal fatto di capire o meno, sorridendo e scusandosi in continuazione, per riprendere in maniera grossolana dal punto in cui si era fermata.

    La fretta e la ricercata perfezione dell’evento portavano le due donne ad avere numerosi problemi di coordinamento, trovandosi spesso, comicamente, a scontrarsi. Ed effettivamente il tempo era poco: erano quasi le diciotto e alle venti e trenta sarebbero arrivati tutti gli invitati.

    Il papà di Luca, di nome Alessandro, lavorava come export manager per una grossa azienda del napoletano di cui ormai era anche socio, con una quota di partecipazione di tutto rispetto. Da un po’ di tempo nei vertici aziendali si ventilava l’idea che presto sarebbe stato lui il futuro amministratore delegato della società. L’importante incarico lo portava a viaggiare moltissimo e in tutto il mondo. Una laurea, anche lui in economia, e una carriera rapida e vincente. Conosceva e parlava in maniera fluente ben quattro lingue.

    Era nato in una famiglia di umili origini, vissuto nella Napoli povera – quella delle grandi zone popolari – non in collina, ma verso il centro della città. Il quartiere Sanità, portato alla ribalta al grande pubblico grazie alla commedia dell’immortale Eduardo De Filippo e spesso citato dalla cronaca locale per gli omicidi della criminalità organizzata. L’uomo occupava una posizione economica e sociale di assoluto prestigio e negli ambienti era molto rispettato (e anche invidiato) per il successo, la sua professionalità e l’impeccabile stile nel modo di vestire. Un uomo sulla sessantina, capelli brizzolati corti, vestito sempre in maniera classica: cravatte sgargianti e coloratissime, impeccabilmente abbinate, quasi tutte della sartoria Marinella, sita nella lussuosa Via dei Mille. La sua cura

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