Eroi nascosti
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Info su questo ebook
Eroi nascosti rievoca la terribile guerra di trincea e le prime battaglie sull’Isonzo, i MAS, temibili motoscafi armati siluranti, ma ci porta anche “dietro le quinte” della guerra, a vedere quello che non si può raccontare: un romanzo d’azione dal ritmo incalzante, con un protagonista capace di conquistare l’attenzione dei lettori.
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Anteprima del libro
Eroi nascosti - Paolo Fiorino
Paolo Fiorino
Eroi nascosti
EEE - Edizioni Tripla E
Paolo Fiorino, Eroi nascosti
©EEE - Edizioni Tripla E, 2021
ISBN: 9788855391580
Collana Grande e piccola storia
, n. 23
EEE - Edizioni Tripla E
di Piera Rossotti
https://www.edizionitriplae.it
Tutti i diritti riservati, per tutti i Paesi.
Copertina: rielaborazione grafica di una fotografia della I Guerra Mondiale.
1 – (anno 1916)
Morte.
Condannato a morte.
Non riusciva a pensare ad altro.
Com’era finito così?
Quale oscura maledizione aveva trascinato la sua vita aveva in quel baratro?
Luigi Galli se ne stava sdraiato, in preda allo sconforto e alla delusione, sulla branda di quell’angusta cella del carcere militare di Peschiera Del Garda. Durante tutta la sua vita era sempre stato uno scapestrato abituato a vivere alla giornata, uno che se ne infischiava delle regole, sempre pronto a sfidare l’autorità. Il gioco gli era riuscito bene fino a quel momento ma qualcosa a un certo punto della sua vita si era inceppato nel meccanismo e tutto era andato a rotoli in un modo così completo e definitivo che ancora faticava a capacitarsene. Questa volta aveva superato ogni limite: non si trattava più di un furtarello o di una rissa e non se la sarebbe cavata con qualche giorno di prigione come in passato, questa volta si era macchiato di duplice omicidio e diserzione. Ammazzare due carabinieri lo avrebbe spedito dritto al patibolo anche in tempo di pace e a maggior ragione ora, con la guerra che infuriava in tutta l’Europa. Il destino di un disertore come lui era segnato, senza possibilità di scampo: a soli ventiquattro anni la sua vita era già arrivata alla fine. Non gli restava altro da fare che raccomandarsi l’anima al signore: lo attendeva una fine ingloriosa.
Anche se ormai sapeva di non poter più fare nulla per uscire da quella brutta situazione, nel profondo dei suoi pensieri non riusciva ancora a rassegnarsi del tutto. Eppure doveva mettersi l’animo in pace e attendere con serenità che arrivasse la fine. Mentre tentava con tutte le sue forze di scacciare quei cupi pensieri la porta del corridoio si aprì rumorosamente, sorprendendolo nel mezzo delle sue riflessioni. Il cigolio dei cardini arrugginiti cessò e il rumore di passi si diffuse nel silenzio, facendolo rabbrividire come un oscuro presagio di sventura.
Eccoli, sono già venuti a prendermi. Stavolta è davvero finita, pensò Luigi con rammarico. Di tutti i modi in cui avrebbe potuto morire questo per lui era senz’altro il peggiore. Riuscì a distinguere il rumore prodotto dai passi di almeno tre persone, poi una guardia carceraria, un uomo pallido e magro dall’aria annoiata, si affacciò tra le sbarre della cella e lo chiamò.
«Alzati stronzo, ci sono visite per te.»
«Lasciami in pace, non voglio vedere nessuno» ribatté Luigi.
«Pensi di poter scegliere?» disse la guardia, in tono sprezzante. «Sei solo un rifiuto umano senza diritti…»
Luigi non replicò, non sarebbe servito ad altro che a sprecare fiato. Dalla voce della guardia aveva intuito tutto il suo odio e il suo dispregio: per tutti ormai era l’assassino dei carabinieri. Un attimo dopo la porta della cella si aprì. La guardia entrò, seguita da un prete, un uomo sulla sessantina, alto e magro, con dei penetranti occhi azzurri.
Il religioso si fermò davanti a lui, lo guardò sorridente e disse: «Sono venuto per portare un po’ di conforto alla tua anima mentre ti prepari al tuo ultimo viaggio».
«Non mi serve nessun conforto» ribatté Luigi, acido, guardando la luce che penetrava dalla finestrella e divideva la cella in due: una parte luminosa e una parte oscura come la notte. Per un secondo fu divertito di quella divisione perché in un certo senso rispecchiava il modo in cui si sentiva: diviso tra bene e male, tra luce e oscurità. Il pensiero durò solo un attimo, poi la sua mente tornò con sconforto alla dura realtà che lo attendeva.
«Non abbandonarti alla rabbia, la tua anima può ancora essere salvata» continuò il prete, ignorando le parole di Luigi.
«Ormai è troppo tardi per me e la mia anima l’ho già persa molto tempo fa.»
«Non devi disperare, nostro Signore ha in serbo ancora molte sorprese per te.»
Luigi era seccato da quell’ostinata insistenza: in quel momento non gli importava niente della sua anima, che Dio o il demonio ne facessero ciò che volevano.
«Ho detto che non voglio parlare con te, prete.»
«Ti è già stato detto che non hai scelta» ribatté subito il religioso, con un tono che si fece sorprendentemente duro.
Luigi fu sorpreso da quelle parole, che non si sarebbe mai aspettato di sentire da un sacerdote, e si alzò di scatto dalla branda. Il movimento gli causò una fitta di dolore che si irradiò dalle ferite ancora non guarite. La guardia si frappose tra lui e il sacerdote, temendo che Luigi potesse aggredirlo, ma questi lo fermò mettendogli una mano sulla spalla e disse, con ostentata calma: «Lasciaci soli, questo ragazzo non mi farà alcun male».
«Ma padre…»
«Vai, ti chiamerò se avrò bisogno di te» replicò il sacerdote, con un tono di voce di nuovo autoritario, che fece rabbrividire Luigi.
La guardia ostentò una smorfia di sorpresa poi, quasi che si fosse reso conto all’improvviso di non avere alcuna possibilità di convincere il prete, sospirò e uscì dalla cella. Luigi, vedendo come il prete teneva in pugno la guardia, intuì che in quella situazione niente era ciò che sembrava. Qualcosa di strano e incomprensibile stava accadendo in quella cella, e ne era incuriosito, ma a quel punto lui, con il destino ormai segnato e il plotone di esecuzione che lo attendeva già schierato nel cortile, poteva permettersi di non stare al gioco.
«La mia anima è proprietà del diavolo» disse, rivolgendosi al prete con l’aria di chi, non avendo più nulla da perdere, lanciava una sfida a cui non voleva rinunciare anche sapendo di non poterla vincere.
«Non ci scommetterei, se fossi in te. Ci sono molte cose che non sai e che potrebbero farti cambiare idea» replicò il prete, lasciando Luigi di stucco.
«Cosa vuoi dire, padre?»
«Smettiamola con questa farsa e non chiamarmi padre. Hai già capito che non sono un sacerdote.»
Luigi ci pensò per qualche secondo poi, non riuscendo a darsi una spiegazione razionale domandò: «Non sei un prete? E allora perché sei conciato così?»
«Diciamo che preferisco che la mia vera funzione rimanga riservata, almeno fino a che non avremo un accordo.»
Luigi sentì un brivido che gli risaliva lungo la colonna vertebrale. L’uomo che aveva davanti, chiunque fosse, pareva del tutto a suo agio in quella situazione, come se il suo restare in incognito, senza rivelare nulla di sé, fosse un gioco a cui era abituato. Il ragazzo rifletté per qualche secondo, poi ribatté: «Come pretendi che possa fidarmi di te se nemmeno vuoi dirmi chi sei?»
La risposta non si fece attendere, evidentemente quell’uomo misterioso era preparato a ogni evenienza.
«Nella tua posizione non hai alcun bisogno di fidarti. Ti basti sapere che posso salvarti, e intendo la tua vita terrena non la tua anima, oppure mandarti immediatamente al patibolo.»
«Ma che vai dicendo?» ribatté nervosamente Luigi, sempre più indispettito dall’atteggiamento inatteso di quello strano personaggio che ancora non riusciva a comprendere. Le domande si affollavano nella sua testa: perché qualcuno avrebbe dovuto introdursi in quel modo nella sua cella? Che segreto custodiva quel falso prete?
«Sono stato condannato a morte da un tribunale militare e ormai niente e nessuno può più salvarmi» proseguì Luigi, tenendo a freno per quanto poteva i suoi dubbi.
«Galli, ti ho già detto che ci sono molte cose che non sai. Non mi piace ripetermi e soprattutto non mi piace che le cose che dico non siano prese sul serio, quindi ora ti do un’ultima possibilità di ascoltarmi. Se la cosa non ti interessa dimmelo che me ne vado subito. Non ho tempo da perdere con un morto che parla» lo stroncò l’uomo con un tono seccato, girandosi e facendo un passo deciso verso la porta della cella.
«Aspetta» lo fermò un istante più tardi Luigi, che voleva con tutte le sue forze restare attaccato a quell’ultima, insperata, possibilità. «Mi interessa.»
«Molto bene, vedo che in fondo sei un ragazzo saggio.»
2 – (anno 1915)
Le tre vecchie biciclette impolverate riposavano sotto il sole, pigramente accostate al muretto malfermo che divideva la strada sterrata dalla fattoria, un vetusto rudere che sopravviveva a stento appena fuori dalla città di Lecco, e che in quella fresca mattinata di primavera sembrava voler cedere da un momento all’altro sotto il peso dei tre ragazzi che discutevano animatamente tra loro.
«Quegli stronzi non mi avranno mai, io me ne vado» disse Santino Benvenuti, il più alto dei tre, sventolando con foga la cartolina gialla sotto il naso degli amici come avrebbe fatto con una bandiera. Era da sempre un neutralista e si riteneva socialista anche se, come per molti altri, la sua formazione politica era molto superficiale. Non aveva di certo velleità da intellettuale e solo il richiamo alle armi aveva accentuato questa sua naturale propensione.
«E dove pensi di andare?» replicò Luigi, saltando agilmente giù dal muretto su cui era seduto e mettendosi di fronte agli altri due come a voler ribadire la sua presenza. «La cartolina l’abbiamo ricevuta tutti, lo sai?»
Santino scese anche lui dal muretto e si avvicinò all’amico. La differenza di altezza tra di loro era notevole e vicino a lui Luigi, che non era basso, sembrava quasi un bambino.
«Certo che lo so. Mi prendi per stupido?» ribatté Santino offeso, strabuzzando gli occhi color nocciola e agitando il pugno stretto sotto il naso sottile di Luigi. Tra gli amici Santino non era certo il più brillante, lo sapeva bene ma non accettava che qualcuno si permettesse di ricordarglielo.
«No, non sei stupido. Anzi, hai avuto un’ottima idea» disse Luigi, mettendo amichevolmente una delle sue grandi mani da manovale sulla spalla dell’amico, per calmarlo. Conosceva il suo carattere focoso e sapeva che non doveva provocarlo.
«Davvero?» domandò Santino stupito, quasi incredulo, abbassando di colpo il pugno come se le parole inaspettate dell’amico avessero improvvisamente estinto la sua collera. «Non stai scherzando?»
«Certo che non scherzo, anzi, sono davvero molto serio. Dobbiamo andarcene via tutti e tre» disse Luigi, assumendo improvvisamente un tono grave e prendendo, con assoluta naturalezza, il controllo della situazione.
«Stai forse dicendo che dobbiamo disertare?» intervenne Vittorio, che fino a quel momento, come suo solito, aveva preferito restarsene in disparte a riflettere fumando la sua sigaretta.
La frase del giovane, un ragazzo biondo e sottile, risuonò nell’aria come una fucilata e spezzò il filo dei pensieri e le voci dei tre amici. Quello della diserzione era un pensiero terribile, quasi inconcepibile, e una strada dalla quale non c’era via di ritorno. Nonostante si trovassero in aperta campagna, nel bel mezzo di una strada deserta, Luigi si voltò per controllare che non ci fosse nessuno ad ascoltare i loro discorsi. Parlare di certi argomenti poteva essere terribilmente pericoloso, specialmente in un piccolo paese come il loro nel quale tutti si conoscevano e nel quale le voci correvano più veloci dei treni a vapore che attraversavano la pianura padana.
Per un attimo Luigi si fermò a riflettere sulle parole di Vittorio: era forse suo dovere sacrificare la vita per la sua patria oppure aveva una scelta? Avrebbe dovuto prendere una decisone diversa? Avrebbe dovuto omologarsi a quello stuolo quasi infinito di persone che inneggiavano alla guerra, che vi aspiravano per partito preso, il più delle volte senza nemmeno conoscerla? Alzò lo sguardo: il cielo limpido e il sole che splendeva già alto gli infondevano un desiderio di libertà che a fatica riusciva a dominare. Fuggire era la sua risposta al dubbio, il suo unico pensiero e desiderio. Scappare lontano dalla guerra e liberarsi dai doveri che le istituzioni volevano imporgli ma che non gli appartenevano davvero.
«Certo che lo sto dicendo. Che alternative abbiamo? Preferisci forse andare in guerra a farti ammazzare dagli austriaci per la bella faccia del nostro Re o per l’ingordigia di Cecco Beppe?»
«Quelle sono fanfaluche, il vero motivo di questo conflitto è ben altro» contestò Vittorio che, anche se aveva paura della guerra, in cuor suo sentiva che prendervi parte sarebbe stato un suo preciso dovere di italiano.
«E quale sarebbe, allora? Ti prego, fammelo sapere!» domandò sarcasticamente Luigi. «Forse da un anno a questa parte si combatte in mezza Europa per difendere la democrazia borghese?»
«Anche per quella» ribatté Vittorio, con convinzione.
«O magari pensi che dovremmo andare a farci ammazzare per Trento e Trieste?» lo incalzò Luigi, mentre Santino osservava con interesse lo scontro tra i due amici.
«Sono città italiane!» sbottò Vittorio.
«Sai quanto me ne frega di Trento e Trieste? E poi tu sai cosa ne pensano gli abitanti?»
«Vogliono essere liberati!»
«E tu come diavolo fai a saperlo? Te lo hanno detto loro?» il tono di Luigi diventava sempre più alto e acceso.
«No, questo no... ma io...» si oppose debolmente Vittorio.
«E gli austriaci? Pensi davvero che siano tuoi nemici? Ne conosci qualcuno? Ti hanno mai fatto qualcosa?»
Vittorio non rispose subito ma preferì abbassare lo sguardo e rimettersi la sigaretta in bocca. «Io credo semplicemente che invece di scappare dovremmo fare il nostro dovere. L’Italia potrebbe essere presto invasa dagli austriaci» disse infine.
«Io ho più paura degli ungheresi» commentò Santino. «Si dice che siano delle vere bestie.»
Luigi si voltò verso Santino, lasciando per un attimo Vittorio solo con i suoi pensieri. «Poco importa chi ti spara, che siano austriaci o ungheresi» sbottò Luigi. «Non ho intenzione di farmi fare un buco in testa da un cecchino. Non abbiamo nessun dovere verso questa nazione. L’unico dovere che abbiamo è verso noi stessi».
Vittorio annuì debolmente. Non era ancora pronto a cedere ma la forza delle sue convinzioni stava iniziando a vacillare: «Forse hai ragione, ma la diserzione è un reato grave. Fino a che si tratta di svaligiare una gioielleria o svuotare un treno sono con te ma in tempo di guerra per i disertori c’è la fucilazione».
«Voi interventisti siete tutti uguali» sentenziò Luigi. «Siete pieni di ideali ma, stringi stringi, alla fine vi resta solo la paura.»
«Non voglio essere fucilato» intervenne Santino, più spaventato dalla prospettiva di finire davanti a un plotone di esecuzione che da quella di ritrovarsi in trincea. Al fronte almeno avrebbe potuto combattere, avrebbe avuto una seppur minima speranza di cavarsela, invece davanti a un plotone di esecuzione non ci sarebbe stata alcuna possibilità di scampo.
«Possono