La complice segreta di Gabriele D’Annunzio
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A partire dal diario di Aélis e da altre fonti storiche e letterarie, da questo romanzo scaturisce la figura inedita di uno degli uomini più amati e discussi del Novecento, con il suo coraggio e le sue debolezze, l’eroismo e le ossessioni che hanno caratterizzato soprattutto l’ultima parte della vita. Emergono sullo sfondo i rapporti, spesso difficili, col regime fascista, pronto a osannarlo e al tempo stesso a relegarlo in quella specie di gabbia dorata che è stato il Vittoriale e riaffiorano anche fatti inquietanti, finalizzati a evitare la sua entrata in politica nel periodo prefascista, che avrebbe addirittura potuto cambiare la storia del paese.
La vita del Poeta viene così rievocata dall’interno, esplorandone la complessa personalità, i suoi rapporti con le donne e la sfrenata ambizione per le gesta memorabili, svelando i lati oscuri della gloriosa e insieme travagliata vicenda di un uomo che concepiva la sua stessa esistenza come un’opera d’arte.
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Anteprima del libro
La complice segreta di Gabriele D’Annunzio - Franco Donatini
Prefazione
Nell’ottobre 2003 si è costituita l’associazione Dannunziana a Pisa, città e il cui litorale sono ricchi di memorie dannunziane. Allora non avremmo mai pensato di iniziare un percorso tanto stimolante e denso di emozioni. Lo scopo dell’associazione era quello di dare impulso alla vita culturale, artistica e sociale del litorale pisano, allora assai trascurato se non durante la stagione balneare quando venivano organizzati eventi per lo più di carattere ludico o sportivo. Abbiamo lavorato molto tra Marina di Pisa e Tirrenia, ma abbiamo dato il nostro contributo anche in città. Allora, nelle scuole, Gabriele D’Annunzio era relegato nelle antologie, catalogato come poeta decadente
e di lui venivano studiate solo La pioggia nel pineto, I pastori, a malapena quell’altro capolavoro che è La sera fiesolana. A parte l’intitolazione a lui del bellissimo viale che unisce la città alla foce dell’Arno e a Marina di Pisa, sembrava che egli fosse condannato all’oblio, a una sorta di damnatio memoriae
, più che altro noto per alcune liriche sublimi e per le incontrollabili smanie amorose, che avevano coinvolto numerose donne di ogni ceto sociale. Si riteneva compromesso con il regime fascista! e pertanto da relegare appunto nelle antologie scolastiche, rappresentante di una società al declino.
Nel corso degli anni abbiamo approfondito la conoscenza e fatto conoscere Gabriele D’Annunzio nei numerosi, straordinari aspetti della sua complessa vicenda umana: D’Annunzio non solo poeta, ma anche drammaturgo, romanziere, uomo politico, soldato, giornalista, patriota, inventore di parole e definizioni, uomo di profonda cultura classica e anche musicale – basti pensare ai suoi rapporti con Debussy e Wagner – innovatore e visionario oltre che, ovviamente, grandissimo amante, spesso di donne di nobile lignaggio e di grande fascino e notorietà.
Ogni anno abbiamo dedicato a D’Annunzio parecchi eventi, da quelli di analisi più propriamente letteraria, ad altri che riguardavano la sua vita privata, anche attraverso i personaggi che avevano interagito con lui.
Abbiamo approfondito quello che è stato non solo il suo contributo politico in favore dell’intervento italiano nella Prima Guerra Mondiale, ma anche la rilevanza della sua partecipazione personale al conflitto, al punto da rimanere privo della vista a un occhio. Ci hanno interessato la passione per il volo, volare necesse est
scriveva, della quale il volo su Vienna con lancio di manifestini rappresentò un momento epico, la realizzazione moderna della guerra psicologica.
Una parte della vita di D’Annunzio a cui abbiamo dato rilievo con spettacoli e convegni è stata quella relativa all’impresa fiumana, alla costituzione della Reggenza Italiana del Carnaro, retta dalla Carta del Carnaro
, corpo di leggi fondamentali, moderno e, sotto certi aspetti, antesignano della carta costituzionale italiana.
Dopo la fine dell’avventura di Fiume col Natale di sangue del 27 dicembre 1920, il governo italiano, che da tempo riteneva ormai ingombrante se non imbarazzante la figura di D’Annunzio, lo confinò a Gardone nella residenza magnifica de Il Vittoriale degli Italiani, che rappresenta la sintesi e il simbolo della sua straordinaria esistenza.
Qualche anno fa abbiamo visitato il Vittoriale. Inoltrandoci per le stanze della villa, dove tutto è rimasto immutato e pare che il tempo si sia fermato a quella sera del 1° marzo 1938, quando morì per emorragia cerebrale, non si può fare a meno di immergersi in una sorta di realtà virtuale. Immaginiamo così D’Annunzio che si muove da un ambiente all’altro, poco illuminato a motivo della sua semicecità, che sfiora gli innumerevoli oggetti. Oggetti che hanno un significato preciso e arredano ambienti sovraccarichi di ricordi e di simboli dei momenti della sua inimitabile vita, di eventi e di amori travolgenti e relazioni amicali profonde, che egli aveva posizionato in modo evocativo e immutabile.
Pare di vedere D’Annunzio immerso nei libri della sua immensa biblioteca, seduto nel suo studio ricco di cimeli, immaginiamo D’Annunzio che pensa alla morte e predispone l’inquietante stanza del lebbroso con il suo catafalco, un D’Annunzio ormai anziano ripiegato su se stesso, isolato nella sua gabbia dorata.
Non possiamo fare a meno di chiederci chi si fosse preso cura di lui, chi gli fosse vicino nel suo esilio fino alla morte. A questa domanda risponde il bel libro di Franco Donatini, ingegnere prestato alla letteratura, frutto di accurate ricerche, di approfondita conoscenza storica e di grande passione per il Poeta Soldato. L’autore porta alla luce la figura di una donna, Aélis Mazoyer, poco conosciuta nell’universo femminile dannunziano, che fu accanto a Gabriele D’Annunzio per molto tempo, dal periodo in cui il Poeta visse in Francia ad Arcachon, fino alla morte. Ella lo seguì al Vittoriale, la villa acquisita da D’Annunzio nel 1921, di cui ricorre quest’anno il centenario, edificio che fu non soltanto la sua dimora, ma il luogo che rappresentava l’emblema della storia e dell’eroismo italiano nella Prima Guerra Mondiale, il simbolo delle sue imprese, dell’amore per la Patria, dell’eroismo, la tangibile espressione di una vita inimitabile.
Il libro inizia poco dopo la morte di D’Annunzio con la narrazione, fatta in prima persona da Aélis Mazoyer, della sua vita quale governante, amica e amante del Poeta, testimone dei momenti eroici, delle relazioni amicali e degli amori sfrenati, sia con donne famose e bellissime, che con donne di qualunque ceto sociale. Questi amori, cui talvolta la narratrice non era solo spettatrice passiva, erano espressione anch’essi dell’arte di D’Annunzio, per cui la lussuria non è concepita come un peccato, ma come la sublimazione del piacere. Aélis è testimone, così come le mura del Vittoriale, anche delle tristezze e delle angosce che attanagliavano D’Annunzio, descrive i momenti in cui sembrava chiudersi in se stesso, le sue debolezze, e i tormenti interiori che oscuravano talvolta le sue giornate.
L’autore con grande abilità riesce a immedesimarsi perfettamente nella figura di Aélis, il cui diario, conservato negli archivi del Vittoriale è stato fonte preziosa per la ricostruzione di quegli anni e ci propone, attraverso la narrazione della donna, un’immagine più intima e personale del Poeta, che fu una delle figure più rilevanti della sua epoca, non solo in Italia.
Come Associazione Dannunziana, che ha sede a Pisa, dove D’Annunzio visse alcuni dei periodi più belli della sua vita e scrisse liriche meravigliose, siamo lieti che, ormai, sia sotto il profilo letterario che storico e umano, nel mondo della cultura si stia dando all’opera di D’Annunzio la fama e la conoscenza che merita. Questo libro colma una lacuna nella ricostruzione della vita di quest’uomo straordinario, narrata da una donna che certamente ebbe un ruolo centrale in un lungo periodo della sua vita, consentendoci di conoscerlo così com’era, nel bene e nel male, artefice del suo percorso terreno come un’opera d’arte.
Pisa, 25 ottobre 2021
Patrizia Ciardi
Presidente dell’Associazione Dannunziana
Gardone, marzo 1938
È una tipica giornata di marzo. Nuvole rade sospinte da raffiche di vento s’incuneano tra le montagne e il lago, lasciando filtrare sprazzi di sole.
Dopo il tumulto del giorno precedente la villa è piombata in un silenzio profondo, un’atmosfera di abbandono che avvolge le stanze, il giardino e la natura intorno, non ancora uscita dal letargo invernale.
Ho aperto le finestre per arieggiare la casa, un modo per liberarla dalla presenza latente del Vate, che se n’è andato da poco. Ne avverto ancora la presenza, come se fosse chiuso nello studio, immerso nei libri disposti sul tavolo in maniera disordinata.
Invece è di là, su quel letto angusto. Lo chiamava il letto delle due età. Doveva sembrare al tempo stesso una culla e una bara, che simboleggiasse la morte come l’inizio di una nuova vita.
È in quella stanza dal nome terrificante, la Stanza del Lebbroso. Non mi è mai piaciuta, c’è sempre stato odore di morte, vi entravo sempre con disagio. Mi ero immaginata spesso la scena di oggi e ogni volta l’avevo rimossa con forza dalla mia mente. Un incubo ricorrente provato ogni volta che vi entravo, dove si chiudeva a meditare nella penombra quasi notturna, un’ombra, un presagio. L’aveva voluta così, ma a me sembrava, più che una camera, una cappella di cimitero.
Una specie luogo di passaggio tra la vita e la morte, tra la terra e il cielo.
I – L’esilio di Arcachon
Ho conosciuto D’Annunzio, molti anni prima di entrare in questa casa. Il nostro primo incontro è avvenuto in Francia nel giugno del 1912. Il signor Tom¹ mi riferì che un personaggio molto importante di origine italiana, tacendo il nome per riservatezza, era in cerca di una cameriera o qualcosa di più e che io potevo essere la persona adatta.
Seppi poi che si era trasferito in Francia per sfuggire ai creditori che lo perseguitavano, dopo che aveva accumulato una montagna di debiti causati dagli sprechi della vita lussuosa durante la relazione con Eleonora Duse². Solo successivamente, quando ormai avevamo raggiunto un rapporto di confidenza, mi confessò che non era solo questo il motivo della sua fuga. Era stato soprattutto il tradimento con Alessandra, figlia del primo ministro italiano Antonio di Rudinì e vedova del marchese Parlotti del Garda, morto dieci anni prima. Un amore travolgente, vissuto