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La nemesi. Ipoteca sull'immortalità
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E-book382 pagine3 ore

La nemesi. Ipoteca sull'immortalità

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Info su questo ebook

Ipoteca sull’immortalità, primo volume della trilogia Il banchetto degli immortali, è un romanzo autobiografico che Dmitri Aleksandrovič Bystrolëtov, una delle più importanti spie russe del periodo tra le due guerre mondiali, ha scritto per testimoniare il suo arresto, gli interrogatori e le torture subiti durante il periodo delle “purghe” staliniane, seguiti da una ventennale condanna alla detenzione nei gulag sovietici, insieme ad alcuni ricordi della sua attività spionistica. Il romanzo, basato su fatti veri, costituisce un’interessante testimonianza di prima mano, ovviamente filtrata dall’ottica dell’autore, mosso dal proposito di “poter poi consegnare, in un indeterminabilmente lontano futuro, nelle mani di persone a me ignote, un materiale di prima stesura veridico e preciso sul quale poter svolgere eventuali elaborazioni letterarie e compiere indagini sociologiche e storiche”. Ottimo scrittore, ha saputo creare dialoghi efficaci, scene vivide e intense e ci affida riflessioni e ricordi di grande interesse per il lettore contemporaneo “su di un’epoca violenta, difficile e magnifica”, come la definisce lo stesso Bystrolëtov.
LinguaItaliano
Data di uscita22 lug 2021
ISBN9788855391351
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    Anteprima del libro

    La nemesi. Ipoteca sull'immortalità - Dmitri A. Bystrolëtov-Tolstoj

    La nemesi

    IPOTECA SULL’IMMORTALITÀ

    EEE - Edizioni Tripla E

    Dmitri A. Bystrolëtov-Tolstoj, La nemesi. Ipoteca sull’immortalità

    © EEE - Edizioni Tripla E, 2021 per la traduzione italiana

    Prima edizione italiana.

    Titolo originale: ЗАЛОГ БЕССМЕРТИЯ

    Prima edizione russa: Mosca, Kraft +, 2012, a cura di Sergej Milašov

    Traduzione dal russo di Alberto Zisa.

    Collana Grande e piccola storia, n. 20

    EEE - Edizioni Tripla E di Piera Rossotti

    Str. Vivero, 15

    10024 Moncalieri (TO)

    Tutti i diritti sulla traduzione italiana riservati, per tutti i Paesi.

    In copertina: Nikolai A. Yaroshenko (1846-1898), Il prigioniero (1878, olio su tela). Mosca, Galleria Tret’jakov.

    AVVERTENZA (del traduttore)

    Nella traslitterazione, dall’alfabeto cirillico, dei nomi russi si è seguito per lo più il sistema fondato sulla grafia in uso nei paesi slavi che hanno adottato l’alfabeto latino integrandolo con lettere speciali; pertanto:

    c indica sempre il suono della z italiana in pizza; si vedrà quindi scritto Trockij in luogo del più usato Trotzki

    č indica la c dolce di "cena"

    e viene pronunciata generalmente come je (in alcuni casi, in particolare quando la e è iniziale, ho riportato la trascrizione fonetica, per es. Ježov); in altri casi, se accentata, come jo

    g ha sempre il suono duro di "gatto"

    s ha sempre il suono aspro come in sasso

    š indica la sc di "scena"

    šč come sopra ma più palatale

    y corrisponde ad una i più dura, pressappoco come una u francese (ü tedesca)

    z corrisponde alla s dolce in casa

    ž indica il suono j del francese jour

    j ha sempre suono di i consonantica (mai la pronuncia francese o inglese); dopo l e n serve a palatalizzare queste consonanti, ottenendo il suono del gl di foglia e gn di sogno; come finale dei cognomi non si pronuncia

    ‘ come la j, palatalizza la consonante precedente

    kh indica il suono della ch tedesca in Buch

    N. B.: onde evitare equivoci dovuti all’impiego del vocabolo Lager, usato dall’A., parola tedesca, il cui primo significato è quello di accampamento, ma che a noi riporta alla mente i famigerati campi di sterminio nazisti, ho preferito sostituirla con il termine più decisamente russo "gulag, fusione delle due parole Gosudarstvenni Lager, ovvero Lager di Stato", termine che – dopo i libri di Solženicyn e altri (Arcipelago gulag in prima fila) – evoca in noi italiani un deciso riferimento ai non meno mortiferi "campi di lavoro" punitivi sovietici.

    Prefazione all’edizione russa

    Caro amico, ecco qui davanti a Lei una pubblicazione messa insieme con i frammentari capitoli di alcuni libri, provenienti dal lascito di Dmitri Bystrolëtov, autore dal destino insolitamente complesso e fino ad oggi del tutto sconosciuto al lettore. Ma prima che Lei si immerga nel vortice degli accadimenti tanto avvincenti quanto atroci, descritti da Bystrolëtov, e facenti parte della sua vita, voglia  conoscere anche quel periodo della sua biografia, che Dmitri Aleksàndrovič non ha trattato nei suoi libri. Spero che ciò possa aiutarLa a comprendere meglio il carattere e l’opera dell’autore. E veniamo a noi…¹

    Il 3 gennaio 1901 in Crimea, da Klavdija Dmitrievna Bystrolëtova e dal conte Aleksandr Nikolajevič Tolstoj², nasceva un figlio. Dmitri ricevette quell’educazione familiare e quell’istruzione che erano usuali a quel tempo presso tutte le famiglie aristocratiche di Russia. In Anàpa³ portò a termine contemporaneamente due corsi di studi: Istituto Nautico e Liceo. Durante la guerra civile, per non doversi arruolare nell’Armata dei Volontari di Denikin, emigrò all’estero. Nella sua residenza abituale in Unione Sovietica tornò nel 1937.

    L’autore ebbe molteplici peculiarità: fu giurista, medico, artista-grafico, marinaio, ma la sua professione fu una in particolare: dal 1925 fu agente segreto dell’Unione Sovietica.

    La conoscenza di una ventina di lingue, la frequentazione di persone dei più svariati strati sociali di molti Paesi del mondo resero Dmitri Bystrolëtov fine psicologo nonché persona di vedute insolitamente larghe. E non poteva essere diversamente, dal momento che ogni minimo errore o trascuratezza nel suo lavoro di spia, al di fuori della legge, gli sarebbero potuti costare la vita.

    Il destino successivo dell’autore è tipico di molti personaggi del suo tempo: nel 1938 l’arresto, le prigioni staliniane e il gulag, oltre al periodo di tre anni di segregazione cellulare nel carcere speciale della MGBla Suhanovka.

    Nel 1954, la liberazione dal carcere-gulag, la riabilitazione e la vita libera di pensionato-invalido nella stanzetta di un appartamento – in coabitazione – a Mosca.

    E malgrado tutto, a D. A. Bystrolëtov – si può dire – era andata anche bene. Molti suoi colleghi alla vigilia della Grande Guerra Patria erano già stati eliminati fisicamente dai sicari di Ježov e Beria.

    A lavorare alle sue memorie l’autore cominciò nel 1939 nel campo di lavoro correzionale di Noril’sk, continuando fino agli ultimi giorni di vita.

    D. A. Bystrolëtov compilò una trilogia, sotto il titolo generale di Il banchetto degli immortali: libri su di un’epoca violenta, difficile e magnifica. Proprio così egli definiva questo periodo della sua vita e della vita della nostra terra. La prima e seconda parte dell’opera narrano della vita dell’autore in vari paesi del mondo pre-bellico, dei suoi viaggi in regioni difficilmente raggiungibili del continente africano, dell’attività del gruppo spionistico da lui diretto. La terza parte è dedicata alla vita dell’autore in Unione Sovietica. Lo scopo della trilogia è quello di descrivere ciò che aveva visto e vissuto l’autore, mostrare il mondo spirituale, il modo di pensare e di agire delle persone che lo attorniavano, trasmettere la musica singolare delle loro parole.

    Si capisce che, lavorando sui suoi libri nei gulag, l’autore non poteva non sapere quanto ciò potesse essere per lui pericoloso. E ciò non di meno scriveva, ben consapevole d’altronde che non sarebbe mai riuscito a far pubblicare i suoi ricordi lui vivente. Si dava da fare per i posteri.

    Ogni libro della trilogia è nato dalla penna di D. A. Bistrolëtov come produzione indipendente. L’autore l’ha fatto intenzionalmente, perché non risultasse spezzettato il soggetto del racconto, perché dai frammenti di libro il futuro lettore potesse rappresentarsi il quadro epocale del tempo vissuto dall’autore.

    Nel 1962 l’autore consegnò i tre libri dell’epopea in lettura al Comitato Centrale del Partito Comunista Sovietico (CKPSR), e nel 1966 consegnò otto libri in custodia alla sezione manoscritti delle Biblioteche di Stato.

    Alla fine del 1968 D. A. Bystrolëtov fu chiamato alla Prima Amministrazione generale del KGB dell’URSS, il servizio segreto estero. Di lui si era saputo – del tutto casualmente – in occasione della censura di un suo articolo scritto per la rivista Novyi Mir. Su sollecitazione dei collaboratori del servizio segreto estero e per intercessione di Ju. V. Andropov fu concesso a Dmitri Aleksàndrovič un appartamento tutto per lui e gli si cominciò a offrire anche un aiuto materiale. L’uomo che era riuscito a introdursi nei segreti dei Ministeri degli Affari  Esteri di Inghilterra, Francia, Austria, Germania, Italia e di molti altri paesi; l’uomo che era riuscito a riunire molti antifascisti nella lotta contro la nera peste del ventesimo secolo; l’uomo che era riuscito ad avere il controllo di molti dei progetti segreti nazisti... quell’uomo fu allora indicibilmente felice: ci si ricordava di lui dunque, non l’avevano dimenticato!

    La qualità della sua vita si modificava, ma non il suo modo di vivere. Dmitri Aleksàndrovič continuò la sua opera letteraria. Comparvero la sceneggiatura per il film L’uomo in borghese e la novella Para bellum. Alla preparazione e alle riprese del film Bystrolëtov prese parte direttamente, fu addirittura filmato in uno degli episodi. Il film uscì sugli schermi di tutta la nazione alla fine del 1973 e all’inizio del 1974 cominciava la pubblicazione sulla rivista Naš Sovremennik (Il nostro contemporaneo) del racconto Para bellum.

    Una sera d’inverno del 1974 diede alle fiamme gli esemplari del Banchetto degli immortali da lui conservati fino ad allora. Si possono soltanto fare congetture sul perché di questo. Ed il 3 maggio del 1975 Dmitri Aleksàndrovič Bystrolëtov moriva.

    Al principio del 1990, con una serie di articoli, L’altra vita di Dmitri Bystrolëtov, il giornale Pravda rese di pubblico dominio il nome e alcuni episodi della vita e del lavoro dell’agente segreto sovietico. Ma né i giornalisti né i čekistisapevano dell’esistenza dei libri della trilogia, consegnati da Dmitri Aleksàndrovič alla sezione manoscritti della Biblioteca di Stato. Il volere del destino ha condotto me al loro recupero.

    È ora dunque arrivato il momento di pubblicare Il banchetto degli immortali.

    Sergej Milašov (1993)

    Prefazione alla prima edizione italiana

    Qualche parola sull’autore e la sua produzione.

    Coetaneo del XX secolo, Dmitri Aleksàndrovič Bystrolëtov ha collocato la storia della sua vita su alcune migliaia di pagine dattiloscritte, definendo i suoi ricordi come libri su di un’epoca violenta, difficile e magnifica. Già fin dall’inizio del suo viaggio creativo l’autore scelse come titolo collettivo per tutti i libri IL BANCHETTO DEGLI IMMORTALI. Ognuno di questi libri era stato creato come produzione separata e indipendente con un suo titolo e una sua dedica, nello stesso tempo che il contenuto dei singoli libri veniva collegato l’uno all’altro dall’epoca e dai luoghi dell’azione. Così undici libri narrano della Russia e dell’URSS, hanno come titolo comune LA NEMESI e furono rilegati dall’autore in pegamoide nera. I libri sull’Africa, Europa e America, sotto il titolo CATENE E FILI, sono rilegati in pegamoide verde. Scelse il rosso per i libri di GENEROSITÀ DI CUORE, dedicati agli agenti segreti clandestini, assieme ai quali l’autore aveva lavorato in diversi Stati del mondo negli anni precedenti la guerra.

    Nel creare IL BANCHETTO DEGLI IMMORTALI l’autore sapeva bene fin dall’inizio dell’impossibilità di pubblicare i suoi ricordi in Unione Sovietica e cercava di conservare i suoi manoscritti per i posteri. Io sollecitai l’autore a decidere per una pubblicazione all’estero dei libri e ne ricevetti una risposta non equivoca: la prima pubblicazione dovrà avvenire in Russia. Ecco perché ogni libro è stato concepito dall’autore come produzione isolata e indipendente. L’omissione di uno o più manoscritti non danneggerebbe l’opera; i rimanenti già narrano molto. Per la prima pubblicazione ho dovuto aspettare 40 anni!

    Nel 1966 l’autore scelse i manoscritti di alcuni libri e li portò alla Biblioteca Statale dell’Unione Sovietica V. I. Lenin, di Mosca. Dopo visione di uno dei libri, la commissione degli esperti restituì con procedura d’urgenza i manoscritti all’autore, dimenticando addirittura di compilare la dichiarazione a carico della Biblioteca di presa visione dei manoscritti. Il direttore della sezione manoscritti della Biblioteca Pubblica Statale M. E. Saltykov-Ščedrin di Leningrado (ora San Pietroburgo) si dimostrò più coraggioso dei suoi colleghi moscoviti e accettò di tenere in custodia i manoscritti. Per la sua decisione affrettata Aleksandr Sergeevič Myl’nikov andò incontro a grossi dispiaceri, nel mentre che i manoscritti di Bystrolëtov venivano sistemati sotto custodia speciale, dove soggiornarono detenuti per 22 anni.

    Il primo libro, rilegato dall’autore in pegamoide nera con il titolo Ipoteca sull’immortalità viene ora presentato da questa casa editrice ai lettori per la prima volta fuori dalla Russia. 

    Sergej Milašov

    Ad Anna Mikhajlovna Ivanova, amata amica

    e compagna, che con le sue mani mi trasse dal baratro, dedico quest’opera con GRATITUDINE!

    INTRODUZIONE

    Questo libro è una dettagliata e onesta testimonianza della vita vissuta nei luoghi di reclusione all’epoca del culto della personalità di Iosif Vissariònovič Stalin (settembre 1938 – febbraio 1956).

    Ho preso su di me un lavoro così gravoso, perché vedo in questo il compimento di un mio dovere di cittadino. L’età avanzata, la salute compromessa, la mole enorme di lavoro all’Istituto scientifico di ricerca, l’assoluta impossibilità di pubblicare me vivente le mie annotazioni, sono tutti fattori che si opporrebbero alla realizzazione di questo compito. Talora esso mi appare superiore alle mie forze e insensato. E ciò non di meno continuo ostinatamente a privarmi di preziose ore di riposo per ricomporre a mozziconi, un po’ alla volta, al tavolo dell’Istituto Pansovietico di Scienza e Ricerche Scientifiche per l’Informazione Medica e a casa, il quadro di avvenimenti svoltisi nel passato, per poter poi consegnare, in un indeterminabilmente lontano futuro, nelle mani di persone a me ignote, un materiale di prima stesura veridico e preciso sul quale poter svolgere eventuali elaborazioni letterarie e compiere indagini sociologiche e storiche.

    Presumo che una simile testimonianza sia indispensabile al popolo sovietico, dato che è inevitabile che arriverà un tempo quando si potrà e dovrà parlare tranquillamente e liberamente dei metodi di governo statale e sarà allora necessario disporre di materiali che non evidenzino unicamente le parti luminose della nostra vita. Risulta molesto continuare ad assicurare che il passato non si ripete e allo stesso tempo opporsi recisamente a un dibattito sociale sugli errori che sono stati tollerati: ciò non è ammissibile, ciò rende più complicato il processo di risanamento. Per capire, è necessario sapere, perciò considero il mio lavoro un aiuto prezioso ai sovietici del futuro, da parte d’un contemporaneo e testimone oculare.

    Senza alcuna speranza di essere ascoltato in vita, io credo fermamente nel nostro futuro e in favore e a causa di esso sto lavorando… Tredici anni di lotta e di lavoro pieni di abnegazione nel nostro servizio segreto e diciotto anni di prove morali e fisiche tra le più dure da prigioniero mi hanno temprato talmente, che nemmeno alla fine della mia vita posso sottrarmi all’adempimento del mio dovere sociale e fino all’ultimo resterò un patriota. Sia come vorrà essere, per ora i miei scritti esistono solo come mio bagaglio personale, ma ho la profonda convinzione che, un giorno, la mano di qualcuno troverà queste pagine e le utilizzerà secondo le giuste indicazioni: per il bene comune, per il ristabilimento della verità.

    I crimini di un gruppetto di farabutti non potranno oscurare l’immortale azione gloriosa di tutto un popolo, volto alla costruzione di una nuova vita.

    Non scrivo un’opera letteraria con fatti di vita filtrati, che all’autore servono solo come sfondo per convalidare una sua idea attraverso atti, parole e pensieri di personaggi immaginari che agiscono sulla scena. Per me i fatti della vita sono il fine ultimo della descrizione testimoniale. Qui non ci sono né stilizzazione letteraria, né personaggi, come pure valutazioni con pretesa di farle risultare definitive: queste le faranno i miei futuri lettori, allorquando tutti gli avvenimenti sinora nascosti diverranno largamente noti. Se darò un qualche giudizio, sarà solo perché la gente di altre generazioni sappia quale fosse il nostro modo di pensare: anche questi giudizi avranno valore di fatti della vita e niente di più.

    L’epoca staliniana fu vivida e grandiosa, grande nel bene e nel male, e non sta a me insozzarla e denigrarla senza ragione: io sono fiero di esser vissuto in quell’epoca violenta, difficile, ma anche magnifica!

    Scrivo unicamente di ciò che ho vissuto e che ho visto personalmente, senza la pretesa di aver messo nella giusta luce e in modo esauriente qualsiasi questione. I ricordi non sono indagini. Sono le impressioni vive di un testimone oculare, di una persona sana e forte, che, ad onta di tutto, si è sempre sforzata di conservare in sé la sua essenza di sovietico. La lotta per ciò che di umano vi è in noi stessi: ecco uno dei temi di questi appunti, ma il più importante è il tentativo di trasmettere l’originalità di quel tempo, la profondità delle cadute e l’altezza degli slanci dell’eroe collettivo di questa che è la tragedia di tutto un popolo: dell’uomo sovietico, della sua grandezza e tenacia.

    Penso che sia lui l’Uomo, con la maiuscola.

    Arriverà un tempo che alle vittime del culto della personalità di I. V. Stalin verrà innalzato un monumento. Che le mie memorie possano costituire quel pizzico di terra sovietica da deporre nelle sue fondamenta.

    Mosca, giugno 1965.

    1 – IN CHE MODO SONO MORTO

    E allora… sia lode a te, o Peste!

    A. S. Puškin

    «Svegliati, caro, ci sono loro, sono arrivati…»

    Non occorse che sollevassi il capo dal cuscino per rendermi conto subito di tutto: i grandi occhi lucidi sul viso dal pallore mortale di mia moglie e due uomini in berretto con visiera, mantello dell’uniforme senza mostrine, e dietro, a distanza, come in una nebbia, il resto: allo stipite della porta, a testa bassa, si stringeva una giovane signorina, la nostra nuova upravdom⁷ e, accanto a lei, sbadigliava rumorosamente l’attempato portinaio, pieno di sonno…

    «Dove sta la pistola? Allora?» sottovoce domandarono quelli all’unisono.

    «Nel fodero. Là, sullo scaffale dei libri.»

    I due scattarono a prendere la mia pistola. Uno dei due se la ficcò in tasca. La fondina la gettò a terra.

    Entrambi tirarono un respiro di sollievo, poggiando le mani sui fianchi, da vincitori.

    «Si alzi. Si vesta, svelto!»

    Mi alzai e cominciai a vestirmi. La signorina sulla soglia era immobile e non alzava la testa; il portinaio continuava a sbadigliare coprendosi la bocca con la mano tatuata; loro stavano in piedi accanto al tavolo, in attesa, uno dei due con un foglio di carta in mano. Non guardavo mia moglie: mi era insopportabilmente doloroso vedere quegli occhi pieni di lacrime e quelle labbra, bianche, tremanti. Rabbrividendo si stringeva nella sua vestaglia leggera.

    «Non piangere, Iola, ti prego» le sussurrai.

    «Non temere, caro. Tengo duro.»

    Minuti di silenzio, da incenerire. Impossibili da tradurre in parole. Uno fece un passo avanti.

    «Ecco qui l’ordinanza di perquisizione e di arresto. Firmi.»

    Firmai senza guardare. Mi ricordo solo della data: 18 settembre 1938. Mi sedetti su una sedia accanto al tavolo. Mia moglie, in piedi dietro di me, mi pose le mani tremanti sulle spalle. Quelli velocemente, senza rumore e muovendosi da esperti incominciarono a svuotare armadi, tavoli, scaffali. I documenti li accatastavano sul tavolo, le altre cose le buttavano sul pavimento, in un angolo della stanza.

    «Sono solo vecchie lettere di mia madre» pronunciai a fatica, cercando con tutte le mie forze di parlare con pacatezza, quando uno trovò due pacchetti e li depose sul tavolo.

    «Ora servono a noi! So io, quel che faccio.»

    Ero vissuto all’estero dal ’20 al ’37, ricevevo un assegno consistente e, dato il genere di lavoro, era indispensabile che andassi ben vestito. Mia moglie era nata all’estero e aveva lavorato con me. Tuttavia nessuno di noi due faceva il rigattiere, e la perquisizione si concluse in quindici minuti. Dopo di che uno si recò con mia moglie nell’ingresso, scelse dall’attaccapanni i miei soprabiti invernali e li gettò nell’angolo, sul pavimento, nel mucchio formatosi. Da questo capii che tutto quello che avevano accumulato lì era destinato alla requisizione.

    «Cosa sono tutte quelle cornici nel corridoio e nella stanza piccola?»

    «Sono i miei quadri. Li ho portati con me dall’estero. Al principio dell’inverno mi è stata promessa una mostra personale. Io sono membro dell’Unione degli Artisti Sovietici.»

    «D’accordo. Dobbiamo portar via tutto, Mikheev. Senti tu, portinaio, qua, dacci una mano!»

    Alla svelta e senza far rumore trascinarono i quadri nella mia stanza sistemandoli in tre alte cataste sul pavimento.

    «Fate più attenzione! Non rovinate le tele!» non potei trattenermi.

    Uno mi guardò di sbieco e storse la bocca. Nessuno dei due rispose. Poi il più giovane domandò:

    «Compagno capo, la di lui madre sta dormendo nell’altra stanza; devo svegliarla?»

    «Va be’, lascia, non la disturbare. E lei» si rivolse a mia moglie «svelta e senza far rumore si porti via da qua le sue cose personali. Ora procederemo a sigillare questa stanza. Ehi, dove vuol portare quella macchina da scrivere?»

    «È mia, personale. Mio marito non l’adopera!»

    «Niente discussioni! La rimetta là, nel mucchio!»

    Quindi, sedendosi al tavolo, mi porse la ricevuta per l’orologio, il portasigarette, l’anello, i gemelli.

    «Cos’è che ha messo nel formulario, che significa questo: … di metallo giallo? È oro!» protestai.

    «Noi non ci portiamo dietro il laboratorio. Ci regoliamo a occhio. È sufficiente anche così.» Si alzò. «Andiamo!»

    Ma l’altro aveva notato in mezzo ai libri gli album con le fotografie da me fatte in Africa, Europa e America: circa un tremila ottime foto raccolte nel corso di diciott’anni di viaggi per il mondo.

    «Ehi, ehi, senti un po’, guarda qua: ve’, ragazze nude! E quante! Ah? Andiamo bene, no?!» entrambi si sedettero al tavolo e si immersero negli album. L’Africa richiamava evidentemente la loro attenzione. I testimoni in piedi cadevano dal sonno accanto alla porta. Mia moglie furtivamente mi accarezzava le spalle e la testa.

    «Uh

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