Pot-pourri
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Anteprima del libro
Pot-pourri - Paolo Angeloni
Paolo Angeloni - Sonia Angeloni
Pot-pourri
Racconti a quattro mani
Youcanprint
Dell’autore Paolo Angeloni in edizione Youcanprint
La talare mancata - 2017
CHIKA - 2019
Il Barbiere dello Stalag VI C (Il mio nome è 78769) – 2020
Titolo | Pot-pourri
Autori | Paolo Angeloni - Sonia Angeloni
ISBN | 979-12-20378-50-5
© 2021 - Tutti i diritti riservati agli Autori
Questa opera è pubblicata direttamente dagli Autori tramite la piattaforma di selfpublishing Youcanprint e gli Autori detengono ogni diritto della stessa in maniera esclusiva. Nessuna parte di questo libro può essere pertanto riprodotta senza il preventivo assenso degli Autori.
Youcanprint
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Pot-pourri
Racconti a quattro mani
Ai sognatori piccoli e grandi
"La maggior parte delle persone
credono che la mente sia uno specchio,
che riflette più o meno accuratamente il mondo esterno,
senza rendersi conto, al contrario,
che la mente stessa è l’elemento principale della creazione."
(Rabindranath Tagore)
Introduzione
Di solito una raccolta di racconti ha un filo conduttore, un tratto comune sia per stile che per argomenti. Pot-pourri, come il sottotitolo fa intendere, è stato scritto a quattro mani e, già questo, non favorirebbe certo uno stile unitario della scrittura, ma spaziare tra la psicologia, la parapsicologia e il fantastico, seppur spezzi l’unicità degli stili, nello stesso tempo abbraccia mondi e argomenti nei quali è agevole orientarsi senza togliere il piacere di conoscere come ciascuna storia andrà a finire. È come ritrovarsi in una casa dove ogni finestra si apre su un paesaggio diverso e l’esterno lo si osserva da più angolazioni mostrando svariati panorami, insomma, una sorta di multicanalità tra i generi, dove ognuno si ritrova a osservare dall’angolo che in quel momento gli è più favorevole.
C’è una affinità tra lettore e racconto dove ci si immerge tra l’illusorio e il reale che si incontrano e scontrano senza poterne distinguere i contorni. La raccolta, Pot-pourri, denota questa mescolanza: una sorta di miscela eterogenea di ingredienti diversi che si abbracciano e generano un piatto unico, così come nella variegata selezione dei racconti dove il reale e il fantastico si fondono a tal punto da non identificarne i confini.
Queste peculiarità si notano nella "scultura; ma anche
l’uomo col cappello e
un caffè per August" manifestano analoghe caratteristiche.
"L’angolo della leggerezza conclude con ironia la raccolta, così come un caffè un pranzo impegnativo: l’umorismo rappresentato nella
tensostruttura o
per un pugno di polpo", seppur in contrasto con la maggior parte dei racconti, vuole lasciare una nota finale con un leggero retrogusto di dolcezza.
Un caffè per August ¹
Tra le colonne del portico filtrava una luce ancora debole che a fatica arrivava fino alla parete opposta dove i cartoni, ormai logori, perimetravano la casa di August.
Il traffico rumoroso sulla Cristoforo Colombo era quello solito, senza distinzioni di stagioni e orari, senza ostacolare il tranquillo torpore degli occupanti di quei fragili monolocali. Una fila di palme di San Pietro abbelliva il lato più corto, quello che affacciava sulla strada, come a voler conferire una parvenza di esoticità al luogo e formare una ingannevole barriera antiintrusione.
Quell’emiciclo, sul piazzale delle Nazioni Unite, sembrava abbracciare la fontana che spruzzava acqua solo per le circostanze importanti, poche volte l’anno e, intorno a essa, il parcheggio si riempiva fin dalle prime ore del mattino. Gli sguardi di alcuni erano orientati dalla sua parte fosse solo per un saluto veloce e distante, altri preferivano non voltarsi da quel lato per timore di una richiesta di aiuto che non avevano alcuna voglia di soddisfare: parcheggiavano e, con passo più veloce di sempre, raggiungevano i propri uffici.
Pluto gli era sempre accanto, la sua ciotola ormai l’aveva lucidata; non era insolito che la razione fosse più abbondante di quella del suo padrone. Pensava lui a svegliare August, puntuale, alle otto di ogni mattina, che fosse un giorno feriale o uno di festa; che ci fosse il brusio e il vociare indistinto dei passanti o quando gli uffici e i bar dell’Eur restavano chiusi e il parcheggio vuoto. Gli leccava e sbavava sulle mani come a richiedere una carezza desiderata che precedeva la smorfia dell’uomo. La scena gli ricordava quando la mamma lo svegliava per andare a scuola e lui, tra sbuffi e lamenti, svogliatamente e lentamente, barcollando come un ubriaco, muoveva i primi incerti passi della giornata.
«Buongiorno! Il tuo caffè.»
La voce di Anna era la prima che rimbombava, amplificata, sotto il portico, per cinque giorni la settimana, ogni volta che si recava in ufficio. La sua infanzia da trovatella la rendeva sensibile verso chiunque fosse in difficoltà.
Ricordò di aver conosciuto August qualche mese prima, quando ritrovò l’auto, al parcheggio, con una ruota a terra, dopo una giornata di lavoro e ben poca voglia di metterci le mani. Rimase a guardare e maledire silenziosamente quel pneumatico irrimediabilmente afflosciato.
«Vuole una mano?»
Si voltò di scatto verso chi le stava fornendo un servizio, come se lei non fosse in grado di risolversi il problema. Non era pronta a rispondere. Non voleva dare l’impressione della donna incapace di sostituire una ruota, in realtà sapeva farlo benissimo, ma quella sera non aveva alcuna intenzione di sporcarsi le mani e stava seriamente pensando di accettare l’invito. La sciattaggine, i capelli lunghi e brizzolati raccolti in un codino che uscivano dal basco dell’uomo, finendogli sulle spalle, la stavano frenando, ma doveva pur sempre tornare a casa; in quel momento poteva andar bene anche l’aiuto di un tizio che fino al mattino aveva solo visto come un occupante abusivo del portico. Che figura avrebbe fatto con suo marito se gli avesse raccontato di essersi fatta aiutare da un perfetto sconosciuto che parlava senza alcuna inflessione, tanto da non potergli attribuire un’origine, ma che per cambiare la ruota ha impiegato dieci minuti? E che figura avrebbe fatto suo marito se gli avesse rinfacciato i suoi quarantacinque minuti per la stessa operazione dell’anno prima?
«Signora, vuole che l’aiuti?» ribadì August con un tono di voce più rassicurante.
«Ah. Si, certo, se non ti dispiace.»
Sembrava esperto. La ruota di scorta fortunatamente era utilizzabile e poco dopo era tutto sistemato. Anna osservava i movimenti decisi dell’uomo e dalla tasca del suo pastrano vide far capolino un libretto che lasciava intravvedere parte del titolo: ‘la Divina Commedia - L’inferno’.
‘Cosa ci fa nella tasca di un senzatetto la Divina Commedia?’ Se lo chiese per sé senza avere la prontezza di chiedere nulla a lui. Non ebbe il tempo di ringraziarlo: August non gliene concesse. Neanche riuscì ad abbozzare un’elemosina porgendogli qualche soldo. La donna rimase con il portafogli tra le mani e una curiosità da soddisfare. Lo vide allontanarsi verso il colonnato, rialzare le pareti del suo fragile appartamento e sdraiarsi. Approfittò di un intreccio rapido degli sguardi per indirizzargli un saluto e un ‘grazie’ raccolto e appena percepito.
Guidava decisa verso casa. La cena da improvvisare, immaginando cosa ci fosse di pronto nel surgelatore: dei bastoncini di pesce con alcune patatine da buttare in forno e in una quindicina di minuti sarebbe arrivato tutto sulla tavola. Ci sono quelle giornate dove niente e nessuno potrebbe risollevare un umore scadente e Anna era in una di quelle giornate dove avrebbe fatto fatica a cuocere anche un uovo al tegamino. Suo marito doveva accontentarsi di quello che avrebbe trovato nel piatto, ma non aveva mai sollevato obiezioni, anzi, a volte si alternava con lei in cucina. Un accordo, preso fin dal loro primo giorno di convivenza, prevedeva che la preparazione della cena spettasse a chi per primo fosse rientrato dal lavoro. Sembrava una regola perfetta, in effetti lo era, ma a rientrare per prima era prevalentemente lei.
«Secondo te cosa ci fa la Divina Commedia nella tasca di un senzatetto?» chiese Anna, come se il marito conoscesse August e le sue preferenze culturali.
«La Divina Commedia. Mah! Gli servirà per imparare la lingua.»
«Dubito. Parla benissimo la nostra lingua. No, non è per questo!»
«Allora non saprei. La prossima volta prova a chiederglielo.»
«Non so quando, ma lo farò! Non credo stia ricoprendo il ruolo del falso intellettuale per fare colpo su di me.»
La provocazione di Anna non aveva raggiunto l’obiettivo. Il suo fascino di quarantenne non le attribuiva automaticamente la patente di rubacuori e, in quel momento, neanche riuscì a stuzzicare il desiderio di suo marito: era più simile a un richiamo non ascoltato senza riuscire a sedurre la preda, tanto da produrre in lui un ghigno che ne certificò l’inconsistenza.
Il caffè, dopo cena, lo prendeva solo Anna. Non la spaventava l’insonnia cronica di cui soffriva da tempo, non poteva essere un caffè a peggiorare il suo stato. Aspettava ad andare a letto, lo faceva quando non ne poteva più e, sul divano, rimaneva solo lei con un libro tra le mani e, quella sera, anche con un pensiero persistente sulla Divina Commedia nella tasca del pastrano di August.
«Dormi?»
«Fino a un attimo fa» rispose suo marito e, girandosi verso di lei, le chiese che ora fosse.
«Le tre e mezzo,» replicò leggendo dal cellulare e, mortificata, continuò: «non avrei voluto svegliarti.»
«Già, ma lo hai fatto!»
La luminosità del display progressivamente si affievolì, il buio tornò nella stanza, infranto solo dalla flebile lampada notturna a led provenire dal corridoio. Anna non riuscì a vedere l’espressione scocciata del suo uomo, ma la immaginava; poi, come nulla fosse, la camera da letto si rianimò di sussurri e sospiri ansimanti.
Quella mattina si era data appuntamento al bar con Veronica. Il solito bar, la solita colazione e il solito caffè a portar via.
«Smettila di trattarmi come un’idiota, ti assicuro che era qui!»
«Dove?»
«Proprio qui.» Anna indicava alla sua amica la parete dove aveva visto August l’ultima volta.
«Tu vedi tracce? Io non vedo neanche un pezzo di cartone.»
«Ho capito. Mi stai dicendo che