Al tempo dei lumi

Di Adriana Giudice e Vittorio Belfiore

Il racconto propone un pittoresco affresco di vita privata nell'intensa e statica provincia siciliana. Attorno l'io narrante prendono forma tradizioni e leggende di un popolo diviso tra fede e superstizione, mentre sullo sfondo di una terra dura e ammaliante la passione definisce il corso della vita.

• Lingua: Italiano
• Editore: Youcanprint
• Data di uscita: 14 dic 2021
• ISBN: 9791220377256

Anteprima del libro

Al tempo dei lumi, nato dall’intento di conservare nella memoria racconti e gesti quotidiani, accompagna il lettore in un fantastico viaggio nel tempo attraverso la descrizione della vita familiare di due sorelle.

I racconti brevi, quasi cammei nei quali sono intagliati baroccamente personaggi che finiscono col vivere grottescamente le loro passioni, conducono alla scoperta di usi e costumi di una Sicilia di provincia statica e sonnecchiante.

Nel dolore insito, nella morte e nella nascita, nella fuga per amore, nella solennità della Pasqua, nel profumo delle spezie, trova espressione un mondo fatto di piccole cose e di profondi sentimenti, di superstizione e fede, di riti e gesti.

A.G.

Al tempo dei lumi a olio, espressione di un mondo ristretto in cui la fiamma dell’esistenza ardeva al lento consumarsi dello stoppino, durante i Vespri era usanza che le donne di casa recitassero insieme il Rosario.

Senza tralasciare per un solo istante la sacra coroncina, le donne in un modo tutto femminile di svolgere i discorsi, intrecciavano il sacro al profano e così un Ave si concludeva con la notizia del figlio nato alla nipote nubile del prete, mentre il Gloria veniva profanato dal lancio di una noce accompagnato da un paio d’insulti al gatto, avvicinatosi troppo alla credenza.

L’ora pro nobis¹ unito all’acre odore di fumo risvegliava mia nonna che addormentatasi, aveva lasciato scivolare lo scialle dentro la conca.

La casa della mia famiglia, donata insieme a pochi ettari di terra a mio nonno, quale ricompensa del fedele servizio compiuto per sua Signoria, occupava l’angolo interno del cortile di un antico palazzo baronale. Il povero vecchio vistosi arrivare tanta fortuna, con orgoglio si era occupato delle terre ricevute come se fossero state ancora del barone e, sebbene avanti con gli anni, il suo occhio attento ed esperto aveva consentito a mio padre di costruirsi una buona posizione.

Fatta eccezione per la finestra della camera dei miei genitori che si affacciava sulla via principale, le rimanenti davano sul cortile interno abbellito da un portico su colonne nel quale trovavano posto una serie di busti classici. Le finestre della facciata esterna erano ingentilite da ghirlande di fiori, sul portale d’ingresso, il cui accesso c’era consentito solo per le feste comandate, incombeva un sontuoso balcone di ferro battuto, sul quale troneggiava lo stemma araldico.

Gli eredi del barone avevano accettato malvolentieri il generoso lascito e trovavano molesta la nostra presenza in un’ala del loro palazzo, ma a noi bambine poco importava