Ortiche
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Anteprima del libro
Ortiche - Alessio Fabbri
Prima parte: RIVOLUZIONE
Capitolo I
La via verso il fiume
Era l’alba di un nuovo giorno. Il profumo dell’erba tagliata stava già pervadendo le stanze di quell’antica dimora, fatta di ricordi, risate, strepiti e lacrime. L’estate regalava tante fatiche quante soddisfazioni sensoriali, e Villanova si trasformava in un tripudio di tutto ciò che di agreste può rendere felice un essere umano. La Vittorina amava svegliarsi presto, perché a lei piaceva poco il baccano e riusciva a fare tante più cose in quelle poche ore di quante ne riuscisse a fare nel corso della giornata. Scendeva le scale ogni mattina senza farsi sentire e poi, senza troppi indugi, svegliava bruscamente il fratellino Pierino che, nel suo candore di bimbo addormentato, quasi come in un rituale ormai consolidato, scalpitava nervoso all’arrivo della sorella, già divenuta per lui messaggera di fatiche e laboriosità. Sveglia, grillo!
Ogni singola mattina. Era lei a dare anima alla casa, a portare con sé la scintilla del primo sole del mattino, e a stuzzicare i dialoghi e le conversazioni più animate in famiglia.
Il babbo ha portato via anche il biroccio?
, domandò con aria inquisitoria dopo aver gettato lo sguardo sul cortile.
Nella grande cucina di casa, la madre Adele e la nonna Livia avevano già preso posto nelle sedie accanto al camino e, che fosse inverno o fosse estate, non facevano altro che impagliare con una grandissima lentezza, fasci d’erbe per mille ragioni diverse. "Beh, za. ‘Is sarà avjé che ‘e s’rà sté prèst prèst!¹", rispose la madre.
Era uno di quei giorni in cui il babbo, il tenace Domenico, aveva deciso di andare dai parenti di Passo Segni, là verso Bologna, come diceva sempre, così che potessero vendergli delle cose e potessero parlarsi di affari.
Manetto è andato a bighellonare?
, incalzava la giovinotta. Guarda che tuo fratello è andato assieme a tuo babbo. Si dà anche troppo da fare.
Vado a svegliare le altre?
, chiese allora la Vittorina facendo finta di niente, ed osservando i lenti gesti della madre mentre intrecciava quelle fascine così verdi.
"No, no. Che piò al sta a là e mej l’è!²"
Le sorelline erano, infatti, le principesse della casa. Ridevano e scherzavano, prendendo in giro quasi tutto ciò che vedevano. Tale era la differenza d’età e di carattere che, a tratti, la Vittorina ne soffriva. Nel tornare in camera per riprendere la bisaccia, si soffermava spesso ad assaporare la sua malinconia, ricordando le chiacchiere con la Laurina e le marachelle dei tempi andati.
Mi fermo in chiesa, e poi vado al mercato
, disse scendendo dalle scale, ed interrompendo quel silenzio fatto di ansiosi pensieri.
La madre tornò ad annuire, senza proferir parola. Fatti dare delle fragole dalla Laurina!
, urlò a sorpresa qualche secondo dopo in un Italiano un po’ improvvisato. E allora, in sella alla vecchia bicicletta di suo fratello Manetto, partì per andare in chiesa. La distanza era veramente minima, ma poi sarebbe partita da lì per andare dalla sorella e trascorrere una mattinata a fare del trebbo come una volta. Arrivata dinnanzi alla chiesa, vide che il parroco, Don Claudio, stava discutendo con un paio di giovani, che si allontanarono pochi istanti dopo. Uno di loro aveva un forcone sulla spalla, e sembrava quasi provenire direttamente dai campi. L’altro, che all’apparenza si mostrava alquanto trasandato, non le fece una migliore impressione. Alla vista della Vittorina, che lui conosceva bene, il prete scosse la testa e, guardando il cielo lamentò: Ma dove andremo a finire? Questa gente ribelle è ormai dappertutto!
Perché? Cosa è successo?
, domandò lei, vi hanno importunato?
–
Non avete saputo che i socialisti hanno spaccato tutte le lampade pubbliche della strada?
Solo in quel momento fu chiaro che, quanto accaduto la sera prima, non era stata una cosa da poco.
Il parroco non diede altre spiegazioni, e fece solo intendere che i sentimenti anticlericali della popolazione si stavano facendo ancor più tenaci.
Eppure nell’aria c’era già il sapore dell’estate, ed il tepore del mattino iniziava a scaldare la piazza di Villanova e ad invitare le genti ad incontrarsi. Qualcuno imboccava la via verso il fiume, luogo di incontri ed accadimenti, veloce collegamento fra Villanova e l’altro centro abitato più vicino, Santerno. Là la famiglia aveva diversi conoscenti, ma la Vittorina si rese conto che non aveva per nulla voglia di andarci. Vide la sarta ed il fornaio che stavano discutendo, due sue amiche che passeggiavano verso il fiume ed una delle sue zie che avanzava verso la via principale del paese. Tutto d’un tratto capì che non era dell’umore per un po’ di mondanità, e neppure per scambiare due chiacchiere con la sorella. Il mercato di Santerno poteva attendere, e decise di riscrivere i suoi programmi per quella bella mattinata di prima estate.
Salutato il prete, che mestamente andava a pregare e a preparare la messa, la ragazza tornò in sella e, pedalando, si avviò sulla via della Chiesa ed andò a cercare il suo fidanzato, che con molta probabilità l’aspettava ancora a casa. La lunga sottana grigia a volte s’incagliava nei raggi della bicicletta, e sperava quindi di giungere a destinazione al più presto. C’era qualcosa di immensamente poetico nel vedere il moto di quel mezzo fra gli infiniti filari di viti e le grandi distese di grano. Tutto pareva sgorgare da un quadro.
Dopo aver percorso qualche metro sulla lunga e bianca strada sterrata che l’avrebbe portata a casa dei Bumbara, si rese conto del fervore brulicante che circondava una piccola casetta posta su di una carraia laterale. Scrutava spesso da lontano il fare di quella famiglia di contadini un po’ burberi ma buoni. Aveva sempre provato simpatia per quel piccolo edificio in pietra che si ergeva fra i vecchi olmi ed i prugnoli che, in quel periodo, erano pieni di frutti.
Quando ne parlava con altri, la chiamava la casa vecchia, e quelle poche volte che passava da lì col sole già dietro l’orizzonte, ne ammirava il poetico illuminarsi delle finestre al crepuscolo. Si rese conto che, rapita da quella