Che pacchia ragazzi! Storie dis-umane
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Che pacchia ragazzi! Storie dis-umane - Carmelo Pecora
Carmelo Pecora
CHE PACCHIA, RAGAZZI!
Storie dis-umane
Prima Edizione Ebook 2022 © Edizioni del Loggione srli, Modena
ISBN: 9788893472036
img1.pngIn copertina opera di Massimo Sansavini, fotografata dallo stesso autore.
Edizioni del Loggione S.r.l.
Via Piave 60 - 41121 Modena
http://www.damster.it e-mail: damster@damster.it
catalogo su
www.librisumisura.com
Carmelo Pecora
CHE PACCHIA, RAGAZZI!
Storie dis-umane
Racconti
img1.pngINDICE
Prefazione di Franco Ronconi
Nota dell’Artista Massimo Sansavini
LIPA
PAURA
FATAWHIT
TOCCO AL CUORE*
JAVED
YOUSSEF
AHMED
DONNE
MARIO, L’APOLIDE
MOUCTAR
KATARYNA
KATARYNA
Epilogo
MI CHIAMO OMAR*
KOFI
IBRAHIM
MUHAMMAD
LO ZIO
, IL CAPO
CLANDESTINO*
RINGRAZIAMENTI
Forlì Città Aperta
DICHIARAZIONE UNIVERSALE DEI DIRITTI UMANI
L’AUTORE
CATALOGO
A Viola, Tommaso e Manuel, pezzi del mio cuore.
Vi auguro un mondo più umano e libero da pregiudizi!
"Se voi avete il diritto di dividere il mondo
in italiani e stranieri allora io reclamo il diritto
di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall’altro.
Gli uni sono la mia patria, gli altri i miei stranieri."
Don LORENZO MILANI
Nota dell’Autore
Le storie che troverete raccontate in questo libro sono basate su ricordi di quando ero un Ispettore della Polizia Scientifica, altri su fatti accaduti e dei quali ho sentito parlare e letto e molti si basano su episodi immaginari ma assolutamente veritieri.
I nomi che troverete sono il frutto della mia fantasia e se qualcuno si dovesse riconoscere sappia che è solo un fatto casuale.
Prefazione di Franco Ronconi
- Referente Libera, Provincia Forlì-Cesena -
Parlare di immigrazione è sempre argomento difficile: più facile evitarlo che affrontarlo.
Narrare storie, come ha fatto Carmelo in questo libro, non richiede solo profonda conoscenza, ma anche una dose di umanità e di sensibilità non comuni.
Condividere con l’Associazione Libera questi approfondimenti è un naturale rapporto di considerazioni, di conoscenza, di lotte e azioni che da sempre portiamo avanti in nome di una vera Umanità, in nome di una vera Giustizia Sociale.
Aver organizzato solo un anno fa assieme all’artista Massimo Sansavini la mostra Touroperator per narrare i genocidi del Mediterraneo diventa oggi un momento di congiunzione con l’opera di Carmelo.
Filo di congiunzione che continua quando con tante associazioni del territorio e con gli invisibili
, ragazze e ragazzi che vivono nei territori di Romagna, abbiamo chiesto la regolarizzazione universale degli immigrati.
Un tema di una portata Umanitaria Universale che ci pone di fronte a scelte identitarie non facili, che ci chiede di spogliarci delle nostre fragilità per comprendere quelle altrui, che ci obbliga ad avere rispetto per le persone e per tutto ciò che ci circonda, a partire dall’Ambiente.
Non siamo gli unici esseri viventi di questa meravigliosa Astronave chiamata Terra
, ma di certo siamo gli unici che possono riuscire a distruggerla. E di strada, in questo senso, ne abbiamo già fatta parecchia.
Nonostante questa evidenza, pare non sia così scontato trovare soluzioni logiche nella direzione di una ridistribuzione più equa delle ricchezze, di un vero cambio di rotta nelle politiche climatiche ed energetiche quale presupposto per una convivenza globale dove la Vita sia degna di essere vissuta, di un vero Rinascimento Umanitario.
Questo Carmelo lo ha capito molto bene e ha deciso di trattare un così scottante tema alla sua maniera, narrando storie: di immigrazione, di dolore, andate a buon fine e finite in tragedia. Appunto, Storie.
Racconti di bambini, di giovani, di donne e uomini che fuggono dalle guerre, dalla miseria in cerca di una vita migliore, dignitosa. E nel fare questo, lo scrittore si immedesima a tal punto da diventare compagno di viaggio, confessore, protagonista, spettatore di tutto ciò che accade in ognuno dei suoi emozionanti racconti, viaggi.
Il titolo, Che pacchia ragazzi!
, vuole essere una decisa risposta a coloro che così la definirono nel pieno delle tragedie che avvenivano nel muro più liquido del mondo, il mare Maditerraneo.
Ponti, dobbiamo costruire Ponti e non muri se vogliamo sconfiggere la divaricazione ormai troppo ampia tra i pochissimi ricchi del Pianeta e i tantissimi, troppo poveri. La forbice che li divide è ampia a dismisura, di una disumanità talmente assurda, oserei dire criminale, da fare apparire quasi impossibili le storie che Carmelo ci racconta in questo meraviglioso viaggio con Muhammad, Ibrahim, Kofi, Kataryna, Mouctar, Mario, Saberen, Selam, Araya, Wendummo, Ahmed, Youssef, Javed, Fatawhit, il bambino con una splendida maglietta e con chi ti chiama Zio.
Grazie Carmelo e buon viaggio a tutti.
Franco Ronconi
Referente Libera, Provincia Forlì Cesena
img2.jpgNota dell’Artista Massimo Sansavini
Con piacere accetto l’invito di Carmelo, per portare il mio contributo artistico
all’interno dei suoi racconti di vite migranti. Le immagini che accompagnano questo volume fanno parte di una mostra che si chiama "Touroperator". La mostra è nata nel 2015, quando già da tempo anche io con la mia arte sentivo l’esigenza di dare voce al fenomeno delle migrazioni, che allora quotidianamente rimbalzava nei notiziari e sulla stampa. Il progetto, nato qualche anno prima, ha avuto il suo esordio a seguito di mie insistenti e ripetute richieste al Procuratore Generale del Tribunale di Agrigento, per fare sì che mi venisse concesso un nulla osta per potere accedere al cosiddetto cimitero delle barche di Lampedusa, al fine di potere prelevare gli scafi utilizzati per il trasporto dei migranti. Il cimitero delle barche di Lampedusa in realtà non è altro che la ex base militare americana Loran, collocata nel punto più alto dell’isola, dove lo Stato italiano custodisce quei corpi di reato, destinati per legge a essere distrutti al termine di ogni procedimento penale che riguarda il trasporto delle persone dalle coste dell’Africa a Lampedusa.
Originariamente questi scafi erano custoditi nel porto dell’isola, ma i ripetuti furti messi in atto per potere continuare queste tratte hanno fatto sì che le barche fossero trasportate in questa base protetta. A settembre del 2015, dopo circa un anno di richieste a varie autorità, ho ricevuto il nulla osta al prelievo di parte di quei barconi dal Tribunale di Agrigento, autorità competente sul territorio di Lampedusa. Qui nasce il viaggio di "Touroperator. Ci siamo recati in tre nell’isola di Lampedusa, con tutto il necessario allo smantellamento e al prelievo degli scafi; in quel luogo ci si trova come all’interno di un mondo sospeso, quasi surreale, dove gli unici rumori sono quello del vento e quello della sega che taglia quei pezzi di memoria. È occorsa una settimana per potere raccogliere tutto il materiale e un anno è servito per realizzare il progetto
Touroperator", che si è inaugurato poi nel settembre del 2016.
Dalla sua prima esposizione ad oggi il progetto ha ottenuto un grande interesse, tant’è che "Touroperator è stata ospitata in 13 tra Musei, Istituzioni e Fondazioni.
Touroperator" è un viaggio nella memoria e nel ricordo e il suo viaggio continuerà per dare voce a chi in quel tratto di mare non è riuscito a farsi sentire.
Massimo Sansavini
La storia della vita è di chi la vive,
di chi la racconta,
di chi la legge…
LIPA
Inizio con raccontarvi una storia dei nostri giorni, una di quelle che lasciano l’amaro in bocca e che non prevedono almeno per adesso un lieto fine, purtroppo.
Se qualcuno pronuncia il nome Lipa cosa vi viene in mente?
Nulla?
Non avevo dubbi, che fosse una località situata nel centro dell’Europa era, fino a qualche mese fa, del tutto sconosciuto anche a me.
E lo era anche per Yasser, scappato dalle bombe siriane insieme alla moglie Afaf. Erano sposati da meno di sei mesi, due giovani che avrebbero voluto vivere in serenità dopo aver perso tutto sotto i bombardamenti che hanno raso al suolo la loro città e che, stremati dalla fame, non hanno visto nessuna prospettiva nel loro prossimo futuro. Solo pochi anni fa l’avevano chiamata Primavera Araba
, e loro credevano alla possibilità di un vero rinascimento
siriano, ma si sono dovuti arrendere a quella che è diventata una vera e propria guerra civile.
Così sono partiti alla ricerca di qualcosa che li potesse far sentire vivi, forse solo un po’ di serenità.
Ahmed di soli 26 anni e Afaf di 22 non avevano idea di cosa la sorte potesse riservare loro e non pensavano nemmeno lontanamente di arrivare a Lipa. Per arrivare fin qui, partendo da Islamabad, hanno attraversato Afghanistan, Iran, Turchia, Grecia, Albania, Montenegro e quindi sono giunti fino a qui nella parte nord della Bosnia con la speranza di attraversare la Croazia e giungere magari in Italia o in Germania, dove la speranza di avere una vita migliore era l’unico scopo di un’esistenza misera.
Avete presente cosa vuol dire percorrere quasi 6.500 chilometri a piedi e con mezzi di fortuna?
Potete immaginare per un solo istante alla fine di questo viaggio stremante cosa vuol dire imbattersi nei manganelli della polizia croata che colpendo duramente i polpacci fino a spaccare le ossa impedisce a chiunque di attraversare quella nazione, rimandandoli in quello che una volta era un campo profughi, distrutto da un incendio, molto sospetto, avvenuto lo stesso giorno della decisione di chiudere quel campo?
Il caldo quel giorno lo hanno avuto e pure tanto, il fuoco ha portato via quelle poche cose che i migranti erano riusciti a portare con loro.
Avete idea cosa vuol dire dormire a -10 gradi, in mezzo alla neve, con ai piedi delle ciabatte e addosso dei giubbotti che neanche a primavera tengono il vento?
Provate a chiedere cosa si prova a sostare in un bosco, sotto dei teli di plastica, accalcati e con della legna tossica che brucia e che è l’unico modo per non morire assiderati. E bollire un po’ di acqua non potabile per fare del tè, unico modo per non disidratarsi.
Riuscite a concepire, con la fantasia, quello che prova una di quelle bambine, di 5-6 anni, con addosso solo una gonnellina corta, a stare sulla neve? Lei che dovrebbe abitare in una casa calda e giocare con una bambola di pezza, aiutata dalla nonna a cucire dei vestitini per la sua compagna di giochi.
Chiedete a Mohammed cosa si prova ad avere la gamba bruciata dal ferro rovente usato dalla polizia per torturarlo più e più volte.
Se si potesse, bisognerebbe chiederlo a quei tremila esseri umani trattati come animali, bloccati senza via di scampo in quel lembo di terra.
Si capirà mai quante persone hanno perso la vita?
Ci sarà mai nessuno che pagherà per questo?
Quante domande che rimarranno senza risposta in questa storia.
Adesso cominciate a capire cos’è Lipa?
Sappiate infine che è situata a venti chilometri da una cittadina chiamata Bihać, i cui governanti non hanno il minimo senso di umanità e ricacciano indietro coloro che tentano di raggiungerla impedendo, inoltre, a chi vuole portare degli aiuti di attraversare quella striscia di terra.
Com’è accaduto pochi mesi fa, con non poca frustrazione, al medico e Parlamentare Europeo Pietro Bartolo, che di vite a Lampedusa ne ha salvate tante e ha tatuata nella mente cos’è la sofferenza, lui, insieme ad altri parlamentari italiani eletti in Europa, sono stati tra i pochissimi a interessarsi della vicenda.
Sono stati trattati dalle autorità croate e bosniache come dei delinquenti!
A Lipa c’è la negazione dei diritti umani
hanno dichiarato nel silenzio sempre più assordante.
Del resto l’unico argomento che conta oggi è il Covid-19, la pandemia che sta mietendo vittime in ogni parte del mondo e lì, come in Libia e in altre parti del pianeta, manca ogni tipo di protezione per quelli che non vengono nemmeno considerati esseri umani. Ma questa è un’altra storia.
Ebbene, se vi informate di certo capirete, anche solo per un istante, tutto ciò che è avvenuto e che continua ad accadere in quello che, senza ombra di dubbio, è un vero inferno.
Tutto questo, statene certi, vi provocherà un gran senso di rabbia, e se la notte continuerete a fare sogni sereni fatemelo sapere, perché io non ci riesco.
PAURA
Eccomi, finalmente!
Sembra quasi che io baci questa Terra, che doveva essere luogo di libertà, e invece sono qui, carezzato dalla sabbia bagnata e cullato dalle onde, impossibilitato a muovermi.
Da lontano sembro un puntino rosso, il colore della maglietta che la mamma ha scelto convinta che sarei stato visibile in caso di bisogno.
Ed è vero, mi hanno individuato.
Chissà se anche la mia mamma mi ha visto.
Io sono qui, non mi muovo.
Paura?
Io?
No, non so nemmeno cosa vuol dire avere paura.
Ho quattro anni, io.
Però la fame, quella sì che la conosco e da un bel po’.
Ed è per questo che la mia mamma ha scelto di andare via dalla Somalia, così ha detto che si chiama la mia Nazione.
Oltre alla fame, ciò che mamma conosce veramente bene è la paura, soprattutto da quando papà non c’è più.
Non lo ricordo bene il mio papà, lo hanno ucciso tanti anni fa, io avevo pochi mesi: vennero nel nostro villaggio e lo presero a forza per farlo combattere, lui si ribellò, voleva essere libero di scegliere, ma era un illuso, gli spararono alla schiena, davanti agli occhi di mamma. Per fortuna io non vidi la scena, mamma mi copriva gli occhi con la sua mano.
Ed è proprio da quel giorno che la paura, quella vera, si impadronì della mia mamma.
Succedeva tutte le volte che gli assassini del mio papà tornavano e abusavano di lei, che io non so bene cosa voglia dire, so però che se si rifiutava di fare quello che dicevano la picchiavano duramente e la minacciavano dicendo che avrebbero ucciso anche me.
Ma queste cose io non le capivo.
Una notte, senza dirmi nulla, mi svegliò e mi fece salire, con lei, su di un camion; mi sembrava un gioco e anche se ero assonnato mi piaceva.
Per la mamma non era affatto una cosa divertente, lei aveva venduto le sue poche cose, aveva messo in uno zaino quello che poteva e aveva deciso di scappare da quelle violenze oramai diventate quotidiane.
La strada da fare era tanta, ma lei aveva