IL DIRITTO DI VIVERE La voce di Angela
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Recensioni su IL DIRITTO DI VIVERE La voce di Angela
1 valutazione1 recensione
- Valutazione: 5 su 5 stelle5/5“Il diritto di vivere” di Imma Pontecorvo è un romanzo breve che parla di disabilità, affrontando questo spinoso tema con la delicatezza, la forza e l’equilibrio che sono caratteristiche distintive di questa brava autrice.
Imma lo fa attraverso la voce della giovanissima Angela, alla quale, prima dell'incidente che le cambierà la vita, non manca niente: una famiglia che la ama, amiche affezionate, l'agiatezza, un aspetto gradevole, buoni risultati a scuola. Una quattordicenne che comincia ad affacciarsi alla vita con tutti i suoi sogni finché, un giorno, proprio quando è in sella al suo amato cavallo, durante una lezione d’equitazione, sport nel quale eccelle, viene disarcionata, batte violentemente la schiena e perde per sempre l’uso delle gambe ritrovandosi su una sedia a rotelle.
Da allora la sua esistenza, come è immaginabile, subisce un brusco, radicale cambiamento. Oltre a non essere più autonoma nello svolgimento delle attività quotidiane, non può recarsi nella pizzeria più vicina, quella frequentata dalle sue amiche, né in piscina o al mare.
Anche andare all’ambulatorio medico, per una visita, o a scuola diventa complicato per lei, a causa delle barriere architettoniche, argomento riguardo al quale ci sarebbe molto da dire e soprattutto da fare, per garantire a quanti sono affetti da disabilità una vita migliore e più piena.
A questa triste condizione, che limita notevolmente la libertà della ragazzina, si aggiungono gli atti di bullismo e le menzogne di un compagno di scuola che la spingono a chiudersi ancora di più in sé stessa.
La stato di Angela, fin dal principio, ha inevitabilmente delle ripercussioni sull’equilibrio dei suoi cari: la madre rifiuta di accettare la realtà e la trascina da uno specialista all’altro, nella speranza di vederla nuovamente camminare; il fratellino, traumatizzato dall’accaduto, ne soffre terribilmente; la nonna ostenta un'allegria esagerata per mascherare la sua sofferenza. Solo il padre riesce a mantenersi equilibrato e saldo, nonostante il dolore.
In questa storia ricca di pathos, Imma Pontecorvo ha saputo sondare gli stati d'animo di Angela e della sua cerchia familiare e amicale sottolineandone le sfumature con empatia e cura estreme, come se si trattasse di persone in carne e ossa e non dei “semplici” protagonisti di un'opera di fantasia. In particolare, di Angela ha saputo rendere con maestria l’alternarsi di fasi di abbattimento e dimostrazioni di forza, di illusioni e delusioni, consegnando i suoi pensieri più struggenti alle pagine di un commovente diario, specchio di un’anima sofferente e, al contempo, affamata di vita.
Non voglio svelarvi altro, perché così facendo vi rivelerei il finale. Aggiungerò semplicemente che, sulla sua strada, Angela, a un certo punto, si imbatterà in qualcuno e in qualcosa che saranno fonte d’ispirazione e di forza per lei, trasformando questa ragazzina altruista, dall’animo pieno di poesia come un giardino fiorito, in un esempio luminoso di carattere, tenacia e combattività.
"Il diritto di vivere" è un libro degno di nota, che vi invito caldamente a leggere, perché offre una visione inedita della disabilità, in grado di aprire le menti e di toccare in profondità i cuori, rimarcando l’importanza dell’abolizione delle barriere architettoniche, causa di tante limitazioni e sofferenze per chi deve farci, suo malgrado, quotidianamente i conti.
Va aggiunto, in conclusione, che, per espressa volontà dell’autrice, buona parte del ricavato delle vendite de “Il diritto di vivere”, acquistabile nei principali store on line, verrà devoluto alla Lega del Filo d’Oro.
Anteprima del libro
IL DIRITTO DI VIVERE La voce di Angela - Imma Pontecorvo
Capitolo I
«Allora, sorellona, sicura di non avere bisogno di niente? Per qualsiasi evenienza, sarò a casa di Simone, a due passi da qui. Telefonami, capito, se hai bisogno di qualcosa. Un tuo squillo e corro.»
Il ragazzino, dieci anni e un ciuffo ribelle che gli ricadeva sulla fronte, era appoggiato allo stipite della porta del salone, e la guardava con tenerezza.
Angela ricambiò la cortesia con un’alzata di spalle, e aggiunse ironica: «Allora, quand’è che ti deciderai a uscire? Da mezz’ora fai avanti e indietro fra la tua stanza e il salone. Se avessi voluto una balia asciutta, avrei fatto già domanda, non credi?»
Francesco sospirò infilandosi lo zaino. Sapeva che con lei era una partita già persa in partenza. Mai farla sentire pressata, amava molto la sua libertà e reagiva rendendosi antipatica. Era una sua peculiarità: era sempre stata così. Pur essendo socievole, solare, sensibile, quando ci si metteva, sapeva essere caustica.
«Va bene, come vuoi. Allora vado.»
«A presto. Ciao.» Angela lo congedò con un cenno di saluto e un sorriso. Non distolse lo sguardo finché non lo vide varcare la soglia di casa, una unifamiliare a una ventina di minuti da Napoli.
Finalmente sola
pensò la ragazza, socchiudendo gli occhi. Ogni tanto avvertiva il bisogno di rimanere in compagnia di sé stessa, di staccare la spina sottraendosi al mondo. Era la sua personale maniera di ricaricarsi, ma non è facile farlo quando si è una famiglia, nemmeno così numerosa, ma pur sempre una famiglia. Lei, papà Ruggero, mamma Luciana, e suo fratello minore, Francesco. Un vero impiastro! No, la verità è che si preoccupava per lei. Papà era in viaggio per lavoro, mamma era da nonna Sofia che aveva avuto uno sbalzo di pressione. Niente di grave, ma Luciana si era precipitata a casa sua per controllare che tutto fosse a posto… e lei, Angela, era rimasta completamente sola. Non che ci fosse niente di male a rimanere sola in casa a quattordici anni. Non abitavano nel Bronx, ma il fatto era che… ecco, da quando nella sua vita era entrata quella che ormai viveva come un’appendice di sé niente era più lo stesso. Le aveva dato pure un nome, Esmeralda, come la protagonista di Notre Dame de Paris, libera e selvaggia, ma soprattutto libera come avrebbe voluto essere lei, da qualsiasi impedimento, da ogni costrizione. Una lacrima le solcò il viso. L’allontanò con decisione asciugandola con il tocco gentile ma deciso delle sue dita, dita da pianista
come amava definirle suo padre, affusolate, nervose, eleganti.
Aveva tutti gli optional di ultima generazione,
Esmeralda. Elettrica, pieghevole, schienale reclinabile, pedane regolabili. Era comoda e funzionale.
Certo non era in sella a lei che Angela avrebbe voluto trascorrere le sue giornate. Non era uno dei suoi amati cavalli. Non era Asso, il baio che tanto amava e che, da quel giorno, non era più riuscita ad andare a trovare, e non perché lo ritenesse responsabile del suo incidente. La colpa di ciò che accadde non fu sua. Lui non le avrebbe mai fatto del male.
Era golosissimo degli zuccherini che lei gli elargiva generosamente, al termine di ogni lezione, al maneggio.
Vladimiro, il proprietario cinquantenne della struttura, un omone corpulento, dai folti baffi e dalla risata contagiosa glielo ripeteva sempre: «Vedi come Asso apprezza la tua compagnia, Angela? Osserva! Tira indietro le orecchie e ha la coda alzata. Questo significa che è contento che tu sia qui. Gli piaci.»
«Un po’ come i gatti quando fanno le fusa?» gli chiese, una volta, Angela.
«Proprio così» rispose l’uomo aprendosi a un largo sorriso. «Dai, ancora un po’ di impegno e ti iscriverò alla prima gara in programma. Quella di salto agli ostacoli.»
Ad Angela non parve vero di udire quelle parole. Lo riferì subito ai suoi genitori e per qualche giorno non parlò d’altro.
A scuola, durante le noiosissime lezioni di matematica, non faceva che disegnare teste di cavalli. La sua compagna di banco e amica, Giada, ogni tanto le assestava un calcio da sotto la sedia, per attirare la sua attenzione esprimendo il suo disappunto.
«Non vorrai mica beccarti un richiamo? Lo sai com’è fatta la Varriale.»
Giada e Ilaria sono le sue amiche di sempre e da sempre. Inizialmente, semplici compagne di scuola, poi, inseparabili, l’hanno accompagnata in tutti quegli anni, prima e dopo l’incidente. Sì, perché un brutto giorno la vita di Angela ha rischiato di essere spazzata via insieme a tutti i suoi sogni.
Era il 12 marzo 2016, un sabato pomeriggio: questo se lo ricorda bene. Una delle sue ultime lezioni prima della fatidica gara, annunciatale dal padrone del maneggio.
La ragazzina, in sella al suo fido Asso, si allenava nel salto agli ostacoli. L’uomo la seguiva soddisfatto con lo sguardo, mentre mamma Luciana e papà Ruggero, a poca distanza da Vladimiro, commentavano soddisfatti le parole del suo insegnante di equitazione: «Vostra figlia è dotata di un vero talento per questo sport, oltre che di un amore sconfinato per i cavalli. Lei e Asso sono un tutt’uno. Ha davvero i numeri per praticare equitazione a livello agonistico.»
«Se ha passione per questo sport, perché no?» commentò il padre cercando un segnale di assenso nello sguardo limpido e fiero della moglie, che non tardò a manifestare la sua approvazione, pur con le dovute riserve: «Purché questa sua passione non sottragga troppo tempo allo studio» osservò, lei, con fermezza.
In quel mentre un forte rumore proveniente dalle scuderie fece imbizzarrire Asso. A sorpresa, il cavallo disarcionò Angela che cadde rovinosamente a terra battendo testa e schiena.
Il colpo alla testa fu attutito dal casco, debitamente allacciato, ma per la schiena ci fu poco da fare. La ragazza stordita giaceva a terra, incapace di muovere gli arti inferiori. Vladimiro si portò istintivamente le mani alla testa davanti a quella scena raccapricciante. I genitori della ragazzina erano come pietrificati. I soccorsi vennero chiamati con tempestività dall’operatore di scuderia, il groom, e la povera Angela fu ricoverata d’urgenza presso l’ospedale più vicino.
Le sue condizioni fecero storcere immediatamente la bocca ai medici che la visitarono. La diagnosi fu senza possibilità d’appello: lesione del midollo spinale, con conseguente paralisi degli arti inferiori. Angela non ebbe modo di assistere alla reazione dei suoi familiari a quella notizia, e fu un bene. Il padre ebbe un attacco di panico. Iniziò a tremare visibilmente e ad accusare un forte fastidio al petto. La madre era fuori di sé.
Quando entrambi si riebbero, si rifiutarono di credere all’accaduto. Fino a poco prima, la loro era una vita serena. Angela era felice e piena di speranze per il futuro. Non vedeva l’ora di partecipare alla sua prima gara. Aveva già invitato all’evento le sue due amiche del cuore, Giada e Ilaria, che avrebbero fatto il tifo per lei.
Luciana, in genere provvista di ferreo autocontrollo, iniziò a inveire contro i medici. La loro, a suo dire, era una diagnosi completamente errata.
Erano degli incompetenti. Lei e il marito si sarebbero rivolti ai migliori specialisti per restituire l’uso delle gambe alla loro piccola.
Ruggero cercò di tranquillizzarla come poté, dicendole che avrebbero tentato ogni strada possibile. Angela non solo sarebbe tornata a camminare, ma perfino a correre. Nessuno doveva permettersi di sostenere il contrario, ma mentre lo affermava l’uomo sentiva di mentire a sé stesso e ne ebbe la conferma quando il suo sguardo incrociò quello del dottore che li convocò nel suo studio per approfondire la diagnosi. Pietà fu ciò che vi lesse.
Quando i genitori fecero ritorno a casa, quella sera stessa, ad accoglierli fu la madre di Ruggero, Sofia. Dalla loro espressione terrea e disfatta, la donna capì che non erano forieri di buone notizie. Si portò le mani al viso singhiozzando e sparendo alla loro vista, mentre Francesco chiedeva informazioni sulla sorella.
«Nonna mi ha detto che Angela è caduta da cavallo e che i medici la stavano visitando. Sta bene, vero, ora? Dov’è?» e si sporse dalla porta d’ingresso abbracciando con lo sguardo il vialetto, ma di lei nemmeno l’ombra. «Dov’è? Volevo dirle che non è vero che non verrò alla sua gara. Scherzavo. Porterò con me anche il mio amico Simone, a cui i cavalli piacciono tanto. Dov’è finita Angela? È arrabbiata con me? Diteglielo che scherzavo! Fatela tornare.»
Luciana si avvicinò al ragazzino e lo prese per mano. «Vieni, andiamo in camera tua che è tardi. Domani devi andare a scuola.» La donna aveva il volto tirato e tutta la stanchezza e il dolore di quelle ultime ore impressi sul viso. Ma Francesco non ne voleva sapere di darle retta. Oppose resistenza. «Se Angela non torna, io non vengo da nessuna parte.» Urlò.
Fu con un enorme sforzo di volontà che Ruggero lo attirò a sé e, con voce pacata e carezzevole, lo rassicurò: «Calmati, Francesco, per favore. Non è colpa tua se Angela non è qui con noi. Come ti ha detto nonna Sofia, è caduta da cavallo e ora si trova in osservazione all’ospedale. È salva, ma avrà bisogno dell’aiuto e del sorriso di tutti noi, quando tornerà.