Scusate il disturbo
Di Mattei Rita
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Info su questo ebook
“Mi chiamo Fortuna, un nome benaugurante. Uno scherzo del destino: un orco mi ha scaraventato dall’ottavo piano. Avevo sei anni”.
“Sono Claudio, ho dieci anni. Non sapevo cosa fosse la mafia, ma quella sera l’ho vista in faccia… il medico mi ha messo un grande cerotto in mezzo agli occhi. Per coprire il buco del proiettile…”.
“Sono KR16/MO. È il codice identificativo che mi hanno dato a Cutro. Sta per: Crotone, cadavere numero 16, maschio, zero anni”.
Marie sperava di raggiungere l’Europa “Io e mamma siamo morte abbracciate, nel deserto, il viso affondato nella sabbia”.
Nicolaj stava per nascere “Era disperato anche il dottore… davanti alla telecamera ha detto «Fateli vedere a Putin, questi occhi!»”.
Sono alcune delle storie che arrivano dall’ “isola dei bambini perduti”. Un’isola dove ci sono stelle, fiori, colori e bambini. E una guida d’eccezione: Thiago, un bimbo mai nato.
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Anteprima del libro
Scusate il disturbo - Mattei Rita
Rita Mattei
Scusate il disturbo
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Indice dei contenuti
Guardare il mondo con gli occhi di un bambino
Dirò tutto a Dio
Scusate il disturbo
Mamma Giulia
– Thiago –
– Piero –
– Mohamed –
– Hevan –
– Giulia –
– Laura –
– Elena –
– Loris –
– Alice –
– Chicca –
– Elisa –
– Youssef –
– Tommy –
– Fabio –
– Nunzia e Barbara –
Portella delle Ginestre
– Vincenzina –
Tramonto
– Caterina –
– Claudio –
– Paolino –
– Giuseppe –
– Domenico –
– Genny –
– Gigi –
– Cocò –
– Giuseppe e Salvatore –
La morte è la curva della strada
– Manuel –
– Christian –
– Alessio –
– Antonino –
– Emilia –
Numero 92
– Thiago –
– Alì, KR16/MO –
– Aisha –
– Sadaaf Nori –
Mi dispiace, mamma
– Timory –
– Marie –
Pagella di scolaro in fondo al mare
Bambino con la pagella
– Sara –
– Yassim –
– Aylan –
Solo per una notte fate tacere le armi
– Thiago –
– Yurochka –
– Nicolai –
– Sasha –
– Alisa –
– Vladimir –
– Akram –
– Kian –
– Armita –
– Thiago –
– Valter –
– Anna –
– Eldevin –
Lettera di un bambino siriano alla sua mamma
– Mounir –
– Riccardo –
– Italia –
– Margot –
– Lorenzo –
– Thiago –
– Ismael –
– Zainullah –
M’è toccato, mamma
– Alessandra –
– Angela –
– Giuseppe –
– Giuseppe –
È notte...
– Rita –
Federica dagli occhi di mare
– Federica –
– Silvia –
– Thiago –
Oh bambini, mascalzoni di Gaza!
– Omer e Omar –
– Samee –
– Rania –
– Wadea –
– Kenan –
– Indi –
– Thiago –
La parola Piangere
– Postfazione –
Alla mia famiglia
A tutti i bambini perduti
Rita Mattei
Scusate il disturbo
© 2023 by All Around srl
I edizione dicembre 2023
redazione@edizioniallaround.it
www.edizioniallaround.it
Guardare il mondo con gli occhi di un bambino
Ogni giorno nel mondo muoiono centinaia di bambini: uccisi dai papà, insieme alle loro mamme – alcuni erano ancora nel grembo materno – o da mamme sole, depresse; bambini avvelenati dall’aria che hanno respirato; bambini uccisi da un mostro; o morti precipitando da un cavalcavia che non ha mai conosciuto una seria manutenzione; bambini uccisi dalle mafie; morti a causa di un missile per i bambini
; assassinati da terroristi, decapitati nelle loro culle; annegati in mare o morti nel deserto…
Una strage continua (ma fosse anche uno solo, sarebbe sempre uno di troppo).
Abbiamo pianto per l’Ucraina, per i bambini uccisi o strappati alle loro famiglie, per gli sfollati… ci sono mancate le parole per descrivere il dolore di fronte allo strazio di un papà davanti al cadavere della sua bimba; o alle immagini di un bambino di tre anni steso a terra, con la sua maglietta rossa, su una spiaggia di Bodrum; o al corpo senza vita di una bimba di due anni e mezzo, con la tutina rosa, che galleggia al largo di Sfax; o davanti alle bare bianche allineate a Lampedusa o a Cutro; o alle storie di piccole di dieci anni stuprate, filmate, minacciate...
Sono così frequenti, così tante, ormai, queste immagini terribili che dopo un po’ abbiamo dimenticato le loro storie, i loro nomi.
Siamo tornati, forse per proteggerci – anche dopo la pandemia, la crisi economica – a parlare di temi più comodi
: le temperature che non scendono, i prezzi che salgono, il salario minimo che resterà minimo.
Fino a quando altre immagini, arrivate sul cellulare o dalla televisione, ci hanno scossi, facendoci arrivare il cuore in gola: sangue su Israele, i terroristi di Hamas sparano, uccidono, prendono in ostaggio bambini, donne, anziani, ragazzi, li riprendono con le telecamere, li esibiscono come trofei, li postano sui social. I sequestri in diretta, la morte in diretta.
E ancora: neonati uccisi nelle culle, nelle loro camerette.
Questa volta non ci sono immagini a documentare la strage di innocenti. Ci illudiamo possa trattarsi di fake news. Ma i reporter a Gaza, un nodo alla gola, in una delle cronache più difficili della loro vita, confermano la notizia.
L’orrore è tale che quasi mette in ombra tutti gli orrori visti prima del 7 ottobre 2023.
Oggi gli occhi del mondo sono puntati su Gaza. I mediatori internazionali sono al lavoro, si spera che Israele riesca a difendere il suo popolo, la sua sicurezza, senza perdere la sua umanità. Un segnale di speranza arriva dalle parole di alcuni familiari delle vittime di Hamas: «Ci sono genitori anche a Gaza, stanno soffrendo anche loro…». «Basta uccidere gente, basta uccidere bambini. Non in mio nome… io credo nel dialogo».
O dal gesto, semplice e potente, di Yocheved Lifschitz: nel momento in cui viene liberata, stringe la mano a uno dei suoi sequestratori, miliziani di Hamas, e gli dice «Shalom», Pace
.
Parole, gesti, che resteranno impressi a lungo nella memoria di tutti.
Continueremo ad accumulare dolore, orrore, sdegno. Continueremo a piangere per Israele, per la Palestina, per l’Ucraina, la Siria… Poi – anche la distanza di sicurezza aiuterà – torneremo a proteggerci
, a vivere spensierati
, almeno per un po’.
Rischiamo di abituarci alla contabilità del massacro; alla soppressione dei diritti umani per milioni di persone nate nella parte sbagliata del mondo; agli esodi di massa che, oltre a sradicare persone da terre che abitano da duemila anni, porteranno altri migranti a bussare alle porte di un’Europa sempre più distratta. Rischiamo di abituarci alle migliaia di disperati che muoiono attraversando il deserto o il mare (ventottomila, negli ultimi dieci anni, quasi duemila i bambini) o asfissiati nelle stive dei barconi.
Facciamo accordi con paesi ritenuti sicuri
, indifferenti alle condizioni dei campi profughi che, in alcuni casi, sono peggio di prigioni. Candidiamo all’Oscar un film che racconta l’odissea dei migranti e puntiamo il dito contro le organizzazioni che salvano le persone in mare. Facciamo decreti per respingerli e stabiliamo una cauzione, il prezzo della libertà, per evitare i centri di rimpatrio, in attesa degli accertamenti, per poi rimandare i carichi residuali
a casa loro. In fondo, hanno scarpe, telefonini e orologi…
.
Vero, alcuni arrivano vivi e persino con le scarpe. Si criminalizzano genitori che fuggono dalla guerra e dalla fame: irresponsabili
che mettono a rischio la vita dei propri figli. Come avessero la possibilità di scegliere se viaggiare con un aereo di linea, una nave da crociera o un barchino di legno marcio.
Come siamo arrivati a questo?
Impossibile non pensare a Cecità di Josè Saramago. Un libro scritto più di vent’anni fa, ma che conserva una sua straordinaria attualità: lo smarrimento che prova chiunque abbia la voglia, la capacità, di osservare, di interrogarsi su un’umanità sull’orlo di un abisso. Un virus causa una nebbia negli occhi delle persone, giovani e anziani, un abbaglio, come un mare di latte
, che impedisce loro di vedere. Si diffonde rapidamente. Per contrastare l’epidemia, il potere fa riaprire un ex manicomio, dove vengono deportati i non vedenti, che diventano sempre di più. Man mano che scarseggiano le risorse e gli spazi, la violenza, le sopraffazioni hanno il sopravvento sulla solidarietà, la comprensione, la gentilezza.
Saramago lascia intravvedere la possibilità di guarigione dalla cecità: un ritorno ai valori, un cambiamento indispensabile per la sopravvivenza dell’umanità. Un processo che, una volta avviato, potrebbe diventare contagioso. Come l’epidemia.
Affida questo difficile compito – rendere più umano l’inferno dei ciechi – alla straordinaria sensibilità delle donne. Una che ancora vede, ma s’è finta cieca per non separarsi dal marito, e una non vedente.
Oggi, se pensiamo alla libertà, ai diritti umani, la prima parola che ci viene in mente è appunto donna
. Pensiamo alle donne di Women Wage Peace, l’Associazione che da dieci anni unisce nel segno della pace donne arabe, ebree e cristiane, di destra e di sinistra, israeliane e palestinesi. Hanno marciato insieme, per la pace, soltanto pochi giorni prima dell’attacco di Hamas. Dopo il 7 ottobre hanno lanciato un appello: Fermatevi! La guerra non è una risposta. Non uccidete più i nostri figli!
.
Pensiamo al gesto di Yocheved Lifschitz. Ma anche alle donne iraniane e afghane che hanno dato il via alle proteste, pacifiche, per rivendicare un futuro di libertà, alla rete delle Donne in Nero di Belgrado o, andando indietro nel tempo, Peace People, l’associazione di donne cattoliche e protestanti dell’Irlanda del Nord, che riunì migliaia di donne in piazza, a Belfast, tutte le settimane, fino alla firma degli accordi di pace.
Donne che si sono impegnate e si impegnano per rendere più umano l’inferno dei ciechi
, per il rispetto della dignità delle persone e la tutela dei soggetti più fragili. A cominciare dai bambini, prime vittime in ogni guerra, in ogni conflitto.
Non hanno possibilità di fare rivoluzioni, i bambini, di dire basta!
.
Ma il potere magico delle loro parole semplici potrebbe aiutarci a guarire dalla cecità
. Bisognerebbe imparare ad ascoltarle. Anche le parole dei bambini che non ci sono più, dei bambini perduti
nelle guerre, in mare, in famiglia, in terre di mafia...
Non sappiamo dove sono, oltre che nei cuori di mamma e papà. Ho provato a immaginarli su un’isola, tutti insieme, in uno spazio immenso e colorato dove giocare. Finalmente sereni: non sono più soli, non hanno più paura, non ci sono sirene d’allarme, né mostri, né onde troppo alte.
Hanno imparato tante cose. Cercano di proteggere i bambini che ancora si possono salvare.
Ci parlano, ci raccontano le loro storie. Non si lamentano, non ci giudicano. Cercano soltanto di aprirci gli occhi, perché nessun bambino sia costretto a subire quello che hanno dovuto subire loro. Mai più.
Guardare il mondo, o tornare a guardare il mondo, con gli occhi di un bambino, può rivelarsi un esercizio utile.
Ci ho provato. Alcune storie le ho seguite da cronista, altre ricostruite attraverso le cronache e i rapporti di Save The Children e dell’Unicef.
Dirò tutto a Dio
Quando morirò, dirò tutto a Dio.
Gli dirò che nel mondo che ha creato
a comandare c’è sempre un ingrato.
Quando morirò dirò tutto a Dio, gli dirò
del fare indifferente, del vostro guardarci come fossimo niente.
Quando morirò, dirò tutto a Dio. Gli dirò che mi manca il mio papà
e che ora sento freddo in questa stanza.
Vorrei un mondo per chi, come me,
è nato dall’altra parte della strada
è nato dall’altra parte della vita, dalla parte sbagliata.
Quando morirò, dirò tutto a Dio, dei beni che ci avete confiscato,
tra questi, le persone che abbiamo amato.
Quando morirò, dirò tutto a Dio.
Dicono che lui sia amico dei bambini.
Non come questi idioti travestiti da assassini.
Vorrei un mondo per chi, come me,
è nato dall’altra parte della strada
dall’altra parte della vita, dalla parte sbagliata.
Vorrei un mondo per chi, come me, è cullato dalle bombe della notte
dalla polvere da sparo, dai palazzi in fiamme
dalle grida disperate delle mamme.
Dove hai nascosto la mia mamma, maledetta guerra?
Quando morirò, dirò tutto a Dio, degli anni che mi avete rubato
della vita che non ho mai vissuto.
Ora vi saluto…Vado a dire tutto a Dio.
martina attili , blogger
Marzo 2020
Scusate il disturbo
Non sono molto pratico, non ho avuto la possibilità di fare esperienza. Quel poco che so, l’ho imparato qui, dove mi trovo ora, insieme a tutti i bambini perduti e ritrovati.
Vorrei parlarvi di loro, di noi.
Per questo, apriamo con le parole struggenti di una poesia, scritta in memoria di un bambino siriano di tre anni, vittima di un bombardamento.
Per darvi subito un’idea di che cosa vi parleremo, se vorrete ascoltarci.
Non sentirete lamenti, né condanne. Promesso. Solo storie, fatti. Ascoltateli con la mente e col cuore, anche se non cominciano con C’era una volta un re…
e non finiscono con un e vissero tutti felici e contenti
.
Abbiamo scoperto che le parole sono importanti. Qualcuno di noi le conosceva già, altri – come me – le stanno ancora imparando. Persino quelle brutte, come guerra
e odio
, che speriamo di dimenticare presto. È bello, e anche divertente, scambiarsi parole in tutte le lingue del mondo. E poi metterle insieme, farle diventare un’unica lingua, quella che parliamo qui, dove siamo una comunità, fratelli e sorelle d’anima. La cosa più importante che abbiamo capito è che l’umanità si salva soltanto se siamo tutti insieme. Vogliamo condividere con voi anche qualche poesia. Ci piace, la poesia. I più grandi tra noi, quelli che a scuola per un po’ ci sono andati, dicono che la poesia riassume un po’ il senso della vita, che la poesia e il sogno sono gemelli. Noi speriamo possa aiutarci a superare il confine tra i nostri due mondi. Che non è insormontabile come sembra. Può mai esistere una barriera, un muro, capace di dividere per sempre una mamma o un papà dal figlio perduto o viceversa? Avete mai l’impressione di non essere soli in una stanza, o in macchina, o per strada? Noi siamo lì, anche se non potete vederci. Non ci immaginate con le ali