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Tutto Tennis
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E-book298 pagine3 ore

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Tredici motivi per comprendere e amare il tennis: dalla A (Alimentazione) alla Z (Zandonai). Il tennis è così: lo si ama, o lo si odia. C’è gente che fatica a comprenderlo, ci sono persone che lo scoprono a cinquant’anni e ne fanno un’ossessione. Stavolta Lisi ha chiesto aiuto, perché il suo progetto, l’idea recondita di questo libro è molto ambiziosa: essere una sorta di enciclopedia. Diversa, ma pur sempre una piccola bibbia. Non un semplice saggio (quanti ne possiamo trovare in giro?), ma una vera e propria guida del sapere su cosa occorre per tenere in mano una racchetta senza farsi male, fisicamente e psicologicamente. Una bibbia utile, da seguire e rispettare. Per questo, mostrando anche un bel pizzico di umiltà, si è dunque rivolto ad altri professionisti chiedendo loro di regalare il lor sapere, nel tentativo di svelare a tutti ma - proprio a tutti - quali siano le tante componenti del tennis, le variabili che poi decidono e spostano gli equilibri.
LinguaItaliano
Data di uscita27 lug 2019
ISBN9788893692212
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    Anteprima del libro

    Tutto Tennis - Rodolfo Lisi

    978-88-9369-221-2

    Con i contributi di

    Riccardo Crivelli, giornalista professionista dal 1997, si laurea in Giurisprudenza e frequenta l’Istituto per la Formazione al Giornalismo di Milano. Dopo aver lavorato alla Notte entra alla Gazzetta dello Sport dove è attualmente responsabile della rubrica sul tennis.

    Riccardo Dalle Grave, responsabile dell’Unità Funzionale di Riabilitazione Nutrizionale della Casa di Cura Villa Garda, svolge attività di supervisione presso numerosi centri esteri di disturbi dell’alimentazione, argomento sul quale ha pubblicato libri per specialisti e pazienti.

    Carmelo Giuffrida, specialista dell’esercizio clinico e precursore del Dysmetabolic training, si dedica all’applicazione delle attività motorie nelle patologie vertebrali croniche e nei disordini posturali, con particolare riguardo ai paramorfismi dell’età evolutiva.

    Margherita Iannucci, esperta in psicologia clinica e dello sport, affianca il maestro e il preparatore atletico nel completamento della preparazione mentale dei giovani tennisti. Offre altresì colloqui di orientamento al mondo del lavoro e delle professioni.

    Luciano Lucania, specialista in ortopedia e medicina dello sport, è dirigente medico della Fondazione G. Giglio di Cefalù. Esperto nel trattamento del ginocchio in artroscopia, è stato segretario della Commissione Medica dell’European Boxing Confederation (EUBC).

    Paolo Silvestri, laureato in Lettere all’Università di Torino, vive in Spagna dal 1990 e svolge la sua attività di docente e di ricercatore presso il Dipartimento di Italiano dell’Università di Siviglia. Collaboratore abituale di 0-15 Tennis Magazine e di Spazio Tennis.

    Davide Zambrano, specialista in Scienze e Tecniche delle Attività Motorie Preventive e Adattative, è preparatore atletico e istruttore di tennis (FIT) presso il Tennis Club Trani. È autore, con Rodolfo Lisi, della monografia La spalla del tennista.

    Thomas Zandonai, PhD in Biomedicina Traslazionale, lavora presso il Centro di Ricerca, Mente, Cervello e Comportamento dell’Università di Granada e collabora con il Centro Ricerca sullo Sport dell’Università Miguel Hernandez di Elche (Alicante).

    Prefazione

    di Nicola Pietrangeli

    Alla fine della mia carriera mi è stato spesso contestato il mancato raggiungimento di traguardi ancor più prestigiosi nonostante le mie affermazioni per ben due volte in quel di Parigi e di Roma (e altrettante finali), il record di presenze in Coppa Davis, le sette finali in tornei del Grande Slam (tra singolo, doppio e doppio misto) e la semifinale a Wimbledon persa solo al quinto set da Rod Laver. Ma non me ne faccio cruccio perché, come mi càpita a volte di ribattere ai miei simpatici interlocutori, il divertimento e la spensieratezza, quel modo quasi disincantato - direi - di affrontare gli impegni del tour professionistico non sarebbero stati tali se l’abnegazione al sacrificio fosse stata totale, a tratti maniacale. È stato il talento, che mi ha spinto a raggiungere risultati di prim’ordine. La stessa cosa, credo, vale anche per i miei acerrimi rivali (ora amici) di quei tempi lontani e del tutto sconosciuti ai giovani.

    Il tennis di oggi è diverso: al talento vanno accompagnate altre doti, numerose rinunce e la presenza di uno staff cucito su misura per il Federer o il Nadal di turno. E bene fa Lisi, in questo suo dodicesimo libro sul tennis, a sottolineare tale fisiologica evoluzione attraverso i contributi di autorevoli esperti in psicologia, alimentazione, attrezzatura, approccio al tennis in età giovanile e altro ancora.

    Nel primo capitolo, dedicato ai tre campionissimi (Federer, Nadal e Djokovic), a firma di Crivelli, la mia memoria ritorna alla rivalità che si instaurò tra il sottoscritto, Santana e Laver. Allo stesso modo anche noi, sia pure con le dovute proporzioni e tenendo conto dei molto meno intensi impegni agonistici, riuscimmo a ritagliarci un piccolo dominio, dividendoci i trofei più ambiti. Era anche quella un’epoca piena di Campioni! E, alla fine di ogni partita, una sincera stretta di mano sanciva il rispetto e l’amicizia che trascendevano la competizione.

    Lisi ci introduce all’avviamento della graduale pratica tennistica, e ben venga la suddivisione in fasce d’età come ha riconosciuto la Federazione Italiana Tennis (FIT). Ritengo tuttavia indispensabile dedicarsi ad altre attività complementari o del tutto diverse. Io stesso, fino ai 19 anni, giocavo meglio a calcio che a tennis. Militavo nel settore giovanile della Lazio. Quando la società decise di mandarmi in prestito in serie C, lasciai: ma credo mi abbia giovato la pratica di due discipline così agli antipodi.

    Mi preme ora soffermarmi, sia pure brevemente, sull’alimentazione, argomento trattato ancora una volta da Lisi. Oggi, rispetto al passato, l’informazione e la tecnologia alimentare permettono di stilare un programma nutrizionale ad hoc per il singolo tennista. Ai miei tempi, il pasto pre- e post- gara non rispondeva a studi scientifici; non era che il risultato di scelte dettate dal buon senso e dall’esperienza. Chissà se, anziché andare avanti a panini e coca cola offerti dall’amico barman Renato dell’Hotel Posta di Cortina, non avrei ottenuto maggiori successi con una dieta personalizzata ed una idratazione più consona alla mia morfologia corporea. La stessa domanda che mi pongo or ora, appena letti i capitoli relativi alle racchette (Lisi) e al supporto psicologico (Iannucci).

    Oggi si parla di customizzazione del telaio: termine, per me, astruso. Gli esperti, in poche parole, riescono a personalizzare una racchetta secondo i desideri dei giocatori. Una chimera, per noi tennisti d’altri tempi: gli sponsor distribuivano qualche telaio di legno in omaggio, e nulla più. Ci dovevamo accontentare.

    Eravamo lasciati soli, nel vero senso della parola, sia in campo che tra un viaggio in Europa e uno in Australia. Chi accusava cali di tensione, o una cattiva gestione dell’ansia pre-gara, non poteva certo affidarsi alle cure di un mental coach o di uno psicologo. Nonostante io fossi stato sempre relativamente immune dalle preoccupazioni in seno a una partita, condivido il modus operandi della Iannucci e ritengo assai utile una formazione mirata alla consapevolezza dei propri mezzi così come alla riduzione degli stati di stress.

    Di doping, ai miei tempi, non c’era traccia. Non, almeno, ai livelli di oggi. Scherzosamente, il mio partner di doppio, Orlando Sirola, mi accusava di stare sempre appresso alle principesse. Sarebbe stato questo il mio integratore speciale? Fa bene, tuttavia, Zandonai a richiamare i rischi connessi all’utilizzo di sostanze proibite e alla loro punizione con sanzioni penali e pecuniarie. Lo sport pulito è il messaggio più bello da inviare alle future generazioni.

    Il tennis è veramente uno sport per tutte le stagioni della vita, come afferma Dalle Grave. Io e molti amici-colleghi siamo arrivati ad una veneranda età con pochi acciacchi, fortunatamente. Basta assistere alla partecipazione di Laver, Santana o Newcombe alle varie manifestazioni sportive, in qualità di ambasciatori di questo magnifico sport, per rendersi conto di quanto il tennis sia un elisir di lunga vita. Vecchi, sì, ma... arzilli! Credo, anzi, che i rischi maggiori si riscontrino nel quotidiano. Subito dopo aver ricevuto il premio alla carriera come il più grande tennista italiano di tutti i tempi, nel bellissimo palcoscenico dell’Auditorium Conciliazione a Roma, sono scivolato, accusando un forte dolore alla gamba e dovendo quindi lasciare in anticipo la manifestazione. Non solo: qualche mese fa sono caduto dal letto mentre dormivo e mi sono incrinato due costole. Roba da matti.

    Ritengo poi assennate le argomentazioni di Lisi sulla minore pericolosità della terra rossa rispetto al cemento o all’erba. Lo stesso John Alexander, australiano, gran giocatore serve and volley (sconfisse il nostro Adriano Panatta in una finale di Coppa Davis) ritiene - solo ironicamente? - che sarebbe auspicabile esporre all’entrata dei campi in cemento un avviso del tipo: «Questa superficie nuoce alla salute. È a rischio di artrosi precoce». La mole di lavoro e l’intensità del tennis moderno concorrono tuttavia a incrementare il rischio di infortuni.

    Proprio su quest’ultimo argomento si concentra l’attenzione di Giuffrida e Lucania, i quali elaborano una sorta di vademecum sull’origine e sul trattamento, appunto, dei più comuni infortuni. Il tennista di oggi dispone anche di un medico o di un fisioterapista al cambio campo. Mi viene da sorridere se ripenso che io, nella finale del Roland Garros del 1960, uscii vincitore da una vera lotta tra gladiatori, con dolori atroci ai piedi, senza poter ricevere nessun aiuto. A fine partita, avevo i calzini rossi di sangue: per due giorni fui costretto ad andare in giro in ciabatte.

    Di sicuro interesse per gli addetti ai lavori, il capitolo del giovane Zambrano. Egli si è dedicato alla minuziosa ricostruzione del profilo fisiologico e biomeccanico di un tennista, sviscerandone gli aspetti più particolari e degni di nota.

    Molto interessante, infine, il capitolo dedicato al collezionismo. Silvestri ci accompagna per mano a esplorare un mondo a me caro, fatto di ricordi, personaggi, oggetti e storie incredibili di un tempo che non c’è più.

    Ho disquisito molto, forse troppo del libro, accennando poco o nulla al curatore di questa pregevole iniziativa. Lisi, che ha firmato anche i capitoli relativi alla calzatura e agli infortuni patiti da Djokovic, Nadal e Murray, è scrittore attento, competente e, soprattutto, appassionato cultore di tennis. Gli auguro tutto il successo che merita per questa sua nuova opera e, mi raccomando: segnatevi nome e cognome perché ne sentiremo parlare ancora per molti anni a venire.

    Capitolo 1

    - Federer, Nadal e Djokovic: i tre tenori del tennis mondiale

    di Riccardo Crivelli

    Se la storia ti giudicherà dalla grandezza del tuo avversario, Roger Federer, Rafael Nadal e Novak Djokovic avranno un posto assolutamente speciale nell’eternità del tennis. Anzi, dello sport in generale. Nel grande libro dell’agonismo, infatti, la loro rivalità rimarrà una delle pagine più ammalianti, coinvolgenti ed emozionanti. Non solo: quella tra lo svizzero e lo spagnolo, composta fin qui da 40 episodi (24 a 16 per Rafa) ha allargato i suoi confini ben oltre il campo e gli spogliatoi, fino a diventare un narrazione che è l’essenza stessa dello sport, perché trova la sublimazione non nella feroce contrapposizione uomo contro uomo, bensì nel rispetto assoluto, nell’onore reciproco, spingendosi addirittura fino all’amicizia sincera.

    Del resto, la natura e il destino non potevano divertirsi a mettere a confronto due personalità e due talenti così diversi da risultare, alla fine, complementari, e quindi in grado di offrire qualcosa di magico ogni volta che si ritrovano uno contro l’altro sotto lo stesso cielo. E loro stessi ne sono consapevoli. Ecco il pensiero di Rafa: «Passiamo molte ore negli spogliatoi ogni giorno, e parliamo tra noi perché siamo due persone normali. Negli anni siamo capitati molto spesso negli spogliatoi negli ultimi giorni, quelli in cui rimangono solo 4 persone, 2 persone. Abbiamo un ottimo rapporto. Parliamo molto di calcio e di un sacco di cose. Sarebbe bello se la gente e i media capissero che la nostra rivalità è positiva, senza tensione o cattiveria, ma soprattutto con tanto rispetto». E quello di Federer: «Abbiamo giocato tante buone partite negli anni. Mi piace giocargli contro. Anche al pubblico piace. Ci rispettiamo. Penso possa essere d’esempio per le future generazioni e per i colleghi. Credo che il nostro gioco in qualche modo si complementi: ho sempre pensato che lui giochi un po’ meglio contro di me che contro gli altri. Non ci sarà mai una rivalità come la nostra. Neanche quella tra Borg e McEnroe. Io e Rafa siamo opposti in tutto e questo ha spinto molto i tifosi a schierarsi per uno di noi due».

    Nel formidabile circo di due carriere comunque inimitabili, la differenza di stili ha creato una miscela esplosiva che ormai si è fatta mito e leggenda, come testimoniano molte delle sfide dirette. Lo spagnolo è infatti il leone indomabile, il guerriero che lotta su ogni palla senza darne per persa nemmeno una, l’eroe del gioco difensivo che improvvisamente diventa rasoiata che offende, l’uomo che ha inventato un modo nuovo e assolutamente personale, perciò senza possibilità di imitazione, di colpire con il dritto, ma anche il più amato dalle giovani generazioni, che fin da subito vanno pazze per le sue magliette sgargianti e allo stesso tempo ne ammirano il coraggio e la tremenda determinazione. Federer invece è l’incarnazione dello spirito più puro del tennis, è il classicismo fattosi giocatore, l’eleganza innata dei gesti bianchi con quel rovescio a una mano che ne riporta alla mente le radici e le origini, il ragazzo baciato da una classe irraggiungibile che prende il cuore e la mente degli appassionati per quei tocchi che paiono carezze, il fidanzato ideale di tutte le donne che tifano (e non solo), di cui è di gran lunga l’interprete prediletto.

    Da questa alchimia, com’è ovvio, possono solo scoccare scintille. E come ogni Era che si rispetti, anche quella segnata dalle loro prodezze ha una data d’inizio che resterà scolpita nella storia. È il 28 marzo 2004, quando i due titani incrociano le loro formidabili armi per la prima volta, al terzo turno del Masters 1000 di Miami. Roger, che ha già vinto due Slam, è il signore indiscusso della classifica, mentre il maiorchino è un teenager di belle speranze che non ha ancora compiuto 18 anni e che nel ranking occupa il posto numero 34. Incredibilmente, non c’è partita: lo svizzero, stanchissimo, cede in poco più di un’ora al giovane avversario che, narrano le cronache romanzate dell’epoca, negli spogliatoi non ha abbassato lo sguardo e non gli ha chiesto l’autografo come accade a tutti i carneadi che il sorteggio pone di fronte alla divinità elvetica. Già dal primo episodio, emerge così il filo conduttore di una saga infinita: per Nadal, Federer è un esempio e uno stimolo. Il ragazzo di Manacor poi diventato uomo, fin da allora e per tutto il suo percorso agonistico troverà l’impulso per andare oltre i suoi limiti tecnici (il servizio e la volée, per esempio) perché ha la consapevolezza che solo con il sacrificio costante e un lavoro durissimo potrà competere al livello di colui che considera il più forte giocatore di tutti i tempi. Per questo, tra i due, non possono esistere le scorie dell’invidia o della cattiveria. È il segno della loro diversità: non è mai accaduto che due giocatori che hanno segnato un’epoca abbiano provato ammirazione e affetto amichevole l’uno per l’altro. Non fu così per Borg e McEnroe, che si detestavano cordialmente, e neppure per Becker e Edberg oppure Sampras e Agassi. Nadal e Federer, invece, prendevano l’aereo insieme, o meglio Roger lo invitava a salire sul suo jet privato insieme alla fidanzata sapendo che avevano perso il volo da Montreal a Cincinnati. Oppure, il maiorchino faceva pressione addirittura al Re di Spagna perché attribuisse il Principe delle Asturie, il più importante premio sportivo iberico, all’avversario svizzero di mille battaglie. Un rapporto limpido che un paio di screzi non hanno incrinato: come quando nel 2008, alla vigilia di Wimbledon, Federer si lamenta delle pause che il rivale è solito prendersi tra un punto e l’altro nei game di battuta; o ancora nel 2012, quando Rafa lo accusa di tenere un atteggiamento troppo accondiscendente con l’Atp in merito alle modifiche del calendario, tacciandolo di egoismo per poi scusarsi pubblicamente. Ombre insignificanti che non cambiano le loro relazioni: Nadal, ad esempio, invita Federer all’inaugurazione della sua Accademia a Maiorca a fine 2015 e Roger, quando si tratta di scegliere i giocatori della Laver Cup, esibizione di lusso di fresco conio, mette al primo posto lo spagnolo e insieme giocheranno un doppio a suo modo storico. Un unicum, nel panorama spesso esasperato di uno sport così fortemente individualista. Provate a chiedervi se vi sarebbe facile restare amico di chi ha spesso mandato in frantumi i vostri sogni; ai due, nelle loro sfide di fuoco, è accaduto spesso, lasciando al rivale il gusto amaro della riflessione su quanto sia labile il confine tra la gloria e il baratro.

    Quasi tutte le loro partite, a proposito, sono memorabili, ma quattro resteranno incise nella roccia dell’immortalità tecnica e delle emozioni, magari in attesa che ne arrivino altre. La prima va in scena sul Centrale del Foro Italico, il 14 maggio 2006: è la finale degli Internazionali d’Italia, si trasformerà in un duello omerico. Nadal è già avanti 4-1 negli scontri diretti, ma Federer sta giocando il miglior tennis di sempre e sembra inavvicinabile. Però il terribile mancino riuscirà a passare oltre due match point contro prima di imporsi al quinto set dopo cinque ore e cinque minuti, liberandosi definitivamente, come ammetterà più volte in seguito, del peso dell’inferiorità verso quell’avversario monumentale. La seconda è dell’anno successivo e si gioca l’8 luglio nel giardino di casa Roger, il Centrale di Wimbledon: dodici mesi dopo, sono ancora in finale e questa volta sarà il quinto set a decidere la contesa. Come Rafa si era confermato dominatore sulla terra, lo svizzero mantiene la corona di migliore del mondo sull’erba, conquistando il quinto titolo consecutivo

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