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Di scrittura, educazione e senso: Prospettive pedagogiche e civili della narrazione
Di scrittura, educazione e senso: Prospettive pedagogiche e civili della narrazione
Di scrittura, educazione e senso: Prospettive pedagogiche e civili della narrazione
E-book208 pagine2 ore

Di scrittura, educazione e senso: Prospettive pedagogiche e civili della narrazione

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Info su questo ebook

Il volume propone, con opportune argomentazioni, riflessioni e indicazioni di lavoro sulla scrittura femminile e romanzesca, soprattutto di Anna Maria Ortese, Elsa Morante e Fabrizia Ramondino, sul nesso tra mito e infanzia, su orfani e fanciulli divini, sulla formazione intellettuale e sulla narrazione autobiografica e memoriale, sulla decisiva funzione della letteratura civile nei prigionieri politici del Risorgimento italiano e della dittatura fascista.
La letteratura non è un gioco sterile – auspicava Luigi Settembrini, esortando i lettori di ogni tempo – ma ha un’alta funzione sociale all’interno della quale autore e lettore, instaurando un’azione pedagogica, che si realizza nell’apprendimento continuo, agiscono vicendevolmente.
La scrittura letteraria, da diverse e molteplici angolazioni, stimola il piacere del racconto e introduce all’educazione civica. Ciascuna narrazione assume una funzione notevole, veicola messaggi e favorisce l’attiva partecipazione del lettore, il quale, calato nell’attualità, rivive fantasticamente il materiale mitico e fiabesco nella sua antropologia storica.
LinguaItaliano
Data di uscita6 apr 2022
ISBN9788838252099
Di scrittura, educazione e senso: Prospettive pedagogiche e civili della narrazione

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    Anteprima del libro

    Di scrittura, educazione e senso - Nunzia D'Antuono

    PREMESSA

    Questa ricerca è nata da una precisa e doppia vocazione mai dismessa: la passione per la letteratura e per l’insegnamento. La frequentazione continua degli studenti mi ha sempre guidata nei decenni verso una crescente consapevolezza ad applicare la passione esuberante, ma anche controllata, per la cultura, a fornire un senso significativo all’attività intellettuale e a un intreccio costruito faticosamente tra le due componenti, dandovi continuità.

    Ho coltivato e alimentato le due passioni per la letteratura e per la narrazione. Tale disposizione, maturata negli anni, è stata irrobustita dall’insegnamento per utilizzare al meglio il valore teorico e retorico, le tecniche di apprendimento, le indagini e le prospettive, le nuove ottiche di lavoro e di indirizzo per formulare sempre più analiticamente il nesso inscindibile dell’autore e del lettore che agiscono nella lettura, diventano azione pedagogica e apprendimento, in connessione con i tempi odierni e non storicamente legati al passato. Sono stata sempre preoccupata di pormi la domanda necessaria: quale utilità? E in che modo la persona viene acquisita nella sua formazione da questa tipologia della cultura?

    Sono stata sempre insoddisfatta delle vuote declamazioni e delle esercitazioni retoriche fini a se stesse e ho sempre cercato di aprire inedite operazioni, consone alla funzionalità del lettore, al collettivo e all’albero pedagogico. Ho sempre elaborato un’attenzione al soggetto, alla ricezione della scrittura e del relativo messaggio veicolato. Le letture debbono, da angolazioni diverse, stimolare il piacere del racconto, ma introdurre anche all’educazione civica.

    Il materiale fiabesco e mitico di cui si compone ogni racconto è sempre utile per veicolare messaggi e partecipazione, per far vivere il racconto testuale dei miti, naturalmente calati nel presente, ossia nella loro antropologia storica. Ho sviluppato negli anni tali riflessioni dando una soluzione con numerose indicazioni di lavoro, tra le quali la scrittura femminile e romanzesca di Anna Maria Ortese, Elsa Morante, Fabrizia Ramondino e Natalia Ginzburg, il nesso tra mito e infanzia, tra orfani e fanciulli divini, la scrittura autobiografica e memoriale quale percorso di maturazione di qualsiasi personalità intellettuale, la funzione della letteratura civile nei prigionieri politici del Risorgimento e della dittatura fascista, il percorso civile e morale di Luigi Settembrini e le sue esortazioni ai lettori, non solo del suo tempo, a prendere atto che la letteratura non è un gioco sterile, ma ha un’alta funzione sociale.

    Infine, non ho sottovalutato l’esplosione della scrittura femminile che si ribella al silenzio e al ruolo subalterno delle donne. Si tratta, in verità, soltanto di una piccola serie di tematiche che non può fare a meno di scaricare sul lettore la ricezione di problematiche che qualsiasi educatore non può eludere, attraverso la voce dell’insegnamento e della scrittura didattica.

    Sono soddisfatta, ora, di poter dare alle stampe le prime conclusioni degli studi e di metterli a disposizione degli stessi studenti e degli studiosi. Anche in ciò sono stata sollecitata e confortata da discussioni, stimoli e dialoghi proficui con amici, maestri e colleghi, ai quali, anche per la realizzazione del volume, va il mio doveroso ringraziamento.

    Nunzia D’Antuono

    INTRODUZIONE

    La maggior parte degli uomini, ancorché civili ed ornati, mancano generalmente della consuetudine di condur la mente dal noto all’ignoto, dagli effetti alle loro cagioni, da’ fatti presenti ai fatti passati ed ai futuri, e per dirla con termini filosofici dell’abito di astrarre le idee, di paragonarle tra loro, e di dedurne le conseguenze.

    Carlo Mele

    È diventata tristemente famosa l’infelice battuta del ministro che, amministrando i cordoni della borsa, lapidariamente sentenziò: «con la cultura non si mangia». Non dovrebbe essere necessario ribadire l’esistenza di saperi che lontani da vincoli commerciali «possono avere un ruolo fondamentale nella coltivazione dello spirito e nella crescita civile e culturale dell’umanità». Era già chiaro ad Aristotele, colui che

    si pone problemi e si meraviglia, ritiene di essere ignorante (perciò l’amante del sapere è anche in qualche modo amante del mito, poiché il mito è composto di cose che destano meraviglia); di conseguenza se ‹gli esseri umani› ricercarono il sapere per fuggire l’ignoranza, è chiaro che perseguirono la scienza a causa del sapere e non in vista di qualche utilità [1] .

    Va considerato utile, sulla scia di Martha Nussbaum prima e di Nuccio Ordine poi, tutto ciò che aiuta a diventare migliori e va ribadito che «la logica del profitto mina alle basi» e depotenzia tutte le istituzioni e le discipline che non producono guadagni immediati e pratici [2] .

    Ha insegnato Gramsci la centralità dell’obiettivo dell’apprendimento deve essere assicurata non nel valore pratico professionale delle nozioni acquisite, bensì nella proposta di uno studio che appaia disinteressato, perché l’interesse è «lo sviluppo interiore della personalità».

    La classicità e la presenza e conoscenza del passato rivestono un ruolo fondamentale nell’acquisizione di una coscienza storica necessaria alla formazione intellettuale e civile dei giovani [3] . In tale prospettiva va rigettata l’immagine stantia del classico, da considerare non solo la «piattaforma d’origine delle culture vernacole dell’Europa moderna», ma anche «la chiave d’accesso a un ancor più vasto confronto con le culture altre in un senso autenticamente globale» [4] . Non deve meravigliare la possibilità che risalendo al mito inizi il percorso in direzione di una compiuta interculturalità, perché la conoscenza della sedimentazione culturale dimostra che i nostri piedi poggiano su un sostrato comune. Il sistema culturale è, infatti, un insieme di storie, narrazioni, immagini e pratiche che si sono radicate lentamente, sedimentandosi in un patrimonio che si autoalimenta, recuperando immagini significative di un passato indimenticabile e che produce nuovi temi narrativi dotati di valore.

    L’oralità si è pian piano cristallizzata nel libro che, in tutte le sue forme, ha sempre rappresentato un simbolo di progresso e di apertura pedagogica. La tradizione si studia e si apprende ed è, pertanto, legata indissolubilmente alla scrittura, ma deriva da precise scelte di acculturazione e di apprendimento [5] . Prima dell’invenzione della scrittura non sarebbe stata pensabile una funzione sociale degli intellettuali. Il sistema stesso della scrittura da comprendere, interpretare e preservare ha dato vita alla figura dell’intellettuale [6] .

    I momenti di fioritura economica e politica hanno coinciso spesso con notevoli spinte culturali. La civiltà di un popolo si misura anche per la cura dimostrata verso il suo patrimonio. All’inizio del II secolo d.C., quello in cui si assiste all’apogeo dell’impero romano, Plinio il Giovane destinò una consistente parte della sua ricchezza per dotare Como, sua città natale, di una biblioteca. Non solo fece costruire la biblioteca, ma programmò uno stanziamento di fondi tale da permettere che la biblioteca fosse regolarmente ampliata. In questo periodo della storia romana raggiunse il suo culmine l’evergetismo, simbolo di un’etica civica che destinava alla collettività risorse private. È questo un orizzonte di sviluppo culturale da recuperare e incrementare. Per la nostra storia culturale il tempo classico è il tempo del mito ed è l’equivalente nella vita dell’uomo al tempo dell’infanzia e dell’avvenire, «dei luoghi, delle figure, delle imprese cruciali (archetipiche e indelebili)» [7] . Mythos era la parola stessa, un discorso importante che impartiva un insegnamento. Dal passato proviene la lunga grande storia inesauribile, che poi è stata riscritta per raccontarci nuove vicende, assumendo nuovi significati.

    La pagina scritta fornisce indicazioni sulla nostra origine, sul nostro patrimonio culturale, ma può anche indicarci una direzione da seguire.

    La memoria è profondamente legata all’infanzia. Infanzia e memoria sono un binomio fondante. Il bambino è paradigma di un rinnovamento antropologico. Il viaggio è una grande metafora educativa e la narrazione ne è il sinonimo. Da un gesto istintivo come quello del narrare l’individuo giunge a una dimensione culturale fatta di persone, usanze, storia in uno spazio simbolico dove le memorie personali entrano a far parte di un patrimonio collettivo [8] .

    La memoria può essere personale, ma in realtà è sempre collettiva e può indagare momenti di crisi o di svolta. La storia, attraverso i testi, consegna all’uomo la possibilità di formarsi. Nella narrazione culturale occidentale si articola il «concetto stesso dell’universalità dell’uomo e la possibilità stessa di concepire l’idea di persona» [9] .

    L ’Iliade e l’ Odissea sono state considerate ‘enciclopedie tribali’ che hanno racchiuso e tramandato tutto il sapere prodotto da un’intera civiltà. Odisseo, l’uomo multiforme, animato da intelligenza, astuzia e sete di sapere, ha incarnato l’essenza dell’uomo moderno ed è entrato a pieno titolo nell’immaginario culturale occidentale. Con la Divina Commedia Dante ci ha consegnato una vera e propria summa della conoscenza, che ha indicato e continua a indicare il percorso del riemergere alla vita. Il poema dantesco, che recupera rielaborandolo il patrimonio classico, si basa su una compattezza della conoscenza e una progettualità educativa che si incardina su due coppie fondamentali: maestro-discepolo e poi madre-figlio [10] .

    Il racconto, in tutte le sue multiformi sfaccettature, ha reso immortali i padri eroici e la loro appassionata testimonianza civile e umana [11] .

    La metafora che lega la narrazione alla persona e all’educazione rende centrale il nesso tra umanesimo/personalismo e pedagogia generale. Pertanto la tradizione umanistica deve essere riproposta e bisogna riscrivere al suo interno la «centralità della persona» [12] . È stato detto giustamente:

    Si istituisce un discorso sulla persona solo all’interno dell’istituzione preventiva di una grande narrazione, che è capace di mettere in teoria-pratica una proposta di risorse di senso e un invalicabile, insuperabile, infrangibile orizzonte di senso [13] .

    Quando nel corso della nostra storia tale prospettiva si è incrinata la grande sconfitta è stata proprio la cultura, perché non è riuscita ad avere nessuna influenza civile sugli uomini, una cultura in cui c’erano Platone e Gesù Cristo, che era stata «pensiero greco, ellenismo, romanesimo, cristianesimo latino, cristianesimo medioevale, umanesimo, riforma, illuminismo, liberalismo ecc., e che oggi fa massa intorno ai nomi di Thomas Mann e Benedetto Croce, Benda, Huizinga, Dewey, Maritain, Bernanos e Unamuno, Lin Yutang e Santayana, Valéry, Gide e Berdjaev». [14] Con questa amara riflessione, che però puntava a una rigenerazione della politica e della cultura, Elio Vittorini inaugurava «Il Politecnico». Nell’Italia che iniziava il nuovo cammino verso la democrazia e la repubblica gli intellettuali dovettero prendere consapevolezza che la cultura non aveva potuto impedire gli orrori del fascismo, perché aveva sempre e solo cercato di consolare l’uomo e non si era fatta società. Era giunto il momento che la cultura iniziasse a lottare contro le ingiustizie, contro la fame e contro le sofferenze per poter incidere sugli aspetti materiali ma anche sulla vita spirituale e difendere i principi basilari della civiltà.

    La letteratura racconta l’esperienza umana e quanto siano stati difficili alcuni percorsi, quanto altri siano stati emozionanti e vincenti [15] . Vivifica questa dinamica la presenza del lettore che, vero e proprio soggetto in formazione, amplifica e moltiplica la sua esistenza, immagina nuove situazioni e pianifica nuovi percorsi innescando un circolo virtuoso tra racconto ed esperienza concreta [16] .

    Un lettore che può essere travolto dalle passioni intellettuali e dalle fervide intelligenze e fa riemergere luoghi in cui «le lettere, nella loro generalità, non furono mai fini a se stesse, ma modo di esprimersi di quegli interessi e passioni che, solo, fanno umana la vita dell’uomo» [17] .

    Il patrimonio che abbiamo a nostra disposizione è inestimabile. È compito imprescindibile degli educatori trarlo fuori dalle pagine, oppure, per usare una metafora accattivante, spiegare come decifrare la password per aprire la cassaforte. Il parallelo non è peregrino, se ricordiamo che Alessandro Magno fece costruire una cassa favolosa, coperta di smalti e di pietre preziose, per conservare l’ Iliade.

    Le opere vanno auscultate e l’educatore deve porsi in posizione di attesa nei confronti dei testi e degli allievi. La cultura non è basata su slegati tecnicismi ma su discorsi articolati e interdisciplinari, il cui motore è la curiosità. Bisogna dedicarsi alla lettura come a un atto di libertà e non di costrizione. Viaggiano chiaramente in tale direzione il decalogo di Daniel Pennac e l’invito di Umberto Eco a leggere con passione e di nascosto. I libri servono ad alimentare l’anima, offrono orizzonti e i giusti mezzi per innalzarsi (Ortese ricorda la frase di un pastore sardo che avrebbe voluto leggere per capire, sapere, perché «Non sono uomo, se non capisco») [18] , ma andrebbero sempre affrontati con calviniana leggerezza.

    Nel 1931, pochi mesi dopo l’instaurazione della Repubblica spagnola, Federico García Lorca per inaugurare la biblioteca comunale di Fuente Vaqueros pronunciò un famoso discorso in cui esclamò:

    Libri, libri! È questa una parola magica, che equivale a dire: amore, amore! Una cosa che i popoli dovrebbero chiedere, così come chiedono il pane o come invocano la pioggia per i loro campi seminati [19] .

    I libri hanno una forza che non può essere bloccata, anche se le dittature hanno pensato che i roghi potessero neutralizzarne il portato culturale. Le persecuzioni non possono nulla contro i libri, perché si possono far sparire i volumi, ma non è possibile cancellarne la memoria in tutti coloro che se ne sono nutriti.

    La letteratura dell’Otto e del Novecento è una scrittura di lotta e di resistenza civile. Gli epistolari ottocenteschi sono pieni di richieste di volumi da far arrivare nella cella dove si trovava rinchiuso chi aveva una prospettiva lunga che il potere cercava di bloccare. Su due isole dell’arcipelago ponziano sono stati coltivati i sogni dell’Italia nell’Ottocento e dell’Europa nel secolo successivo. I libri sono stati l’unica possibilità di conforto e di salvezza.

    È necessario che continuino a diffondere il loro messaggio. Sarà utile, quindi, scegliere con una prospettiva ipertestuale «passaggi antologici tratti da testi non strettamente pedagogici, ma squisitamente letterari, nella convinzione personale che questi luoghi testuali, non formalmente rappresentabili nel frame pedagogico, siano occasioni preziose per ampliare lo sguardo, questo sì pedagogicamente orientato» [20] . Leggere i testi permetterà di essere consapevoli del sostrato culturale ad essi sotteso e risulterà più facile cogliere rimandi allusivi e metaforici.


    [1] La citazione è tratta da N. Ordine, Gli uomini non sono isole. I classici ci aiutano a vivere, La nave di Teseo, Milano 2018, p. 117.

    [2] M.C. Nussbaum, Non per profitto. Perché le democrazie hanno bisogno della cultura umanistica, trad. it. di R. Falcioni, il Mulino, Bologna 2010; N. Ordine, L’utilità dell’inutile. Manifesto, con un saggio di A. Flexner, Bompiani, Milano 2013, p. 8. Tra le ultime riflessioni sull’argomento è imprescindibile il saggio di P. Martino, Educare all’inoperosità. Oltre l’antropologia del capitale umano: bioeconomia, pedagogia e valore dell’inutile, in «MeTis», 10 (2), 2020, pp. 213-230.

    [3] T. De Mauro, Introduzione a M.C. Nussbaum, Non per profitto, cit., p. 7. Il libro di Martha Nussbaum è utile a quanti dappertutto vogliano comprendere il ruolo dell’educazione nelle società contemporanee.

    [4] S. Settis, Futuro del " classico", Einaudi, Torino 2004, p. 119.

    [5] M. Bettini, Radici. Tradizione, identità, memoria, il Mulino, Bologna 2016, pp. 42-43.

    [6] E.J. Hobsbawm, Gli intellettuali: ruolo, funzione e paradosso,

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