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Storia di viaggi, viaggi nella storia: Studi in onore di Gaetano Platania
Storia di viaggi, viaggi nella storia: Studi in onore di Gaetano Platania
Storia di viaggi, viaggi nella storia: Studi in onore di Gaetano Platania
E-book456 pagine5 ore

Storia di viaggi, viaggi nella storia: Studi in onore di Gaetano Platania

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Storie di viaggi, viaggi nella storia è una miscellanea di studi in onore di Gaetano Platania e raccoglie interventi dei colleghi del Suo Dipartimento, il DISUCOM (Dipartimento di Scienze Umanistiche, del Turismo e della Comunicazione). Storie di viaggi, viaggi nella storia è però anche una miscellanea tematicamente omogenea, uno spaccato incentrato sulle opportunità che il fenomeno del viaggio, affrontato in ogni sua possibile sfaccettatura (sia essa letteraria, storica, sociale, artistica, filosofica, antropologica, ecc.), può offrire attraverso analisi e approfondimenti trasversali e multidisciplinari. Un fenomeno, quello del viaggio, a cui Platania ha dedicato molte energie nel corso della Sua vita accademica, con pubblicazioni, studi, convegni, un Dottorato di ricerca specifico e che rappresenta il collante ideale affinché il Disucom possa tributargli il giusto saluto.
LinguaItaliano
Data di uscita10 feb 2022
ISBN9788878536258
Storia di viaggi, viaggi nella storia: Studi in onore di Gaetano Platania

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    Anteprima del libro

    Storia di viaggi, viaggi nella storia - Stefano Pifferi

    PREMESSA

    Alessandro Ruggieri

    Ho accolto con molto piacere l’opportunità che mi è stata data di scrivere una breve introduzione per questo volume sul viaggio dedicato a Gaetano Platania.

    Non intendo entrare negli aspetti culturali e scientifici della pubblicazione; vorrei piuttosto soffermarmi a tratteggiare la figura di Gaetano Platania, per me semplicemente Gaetano: mi permetto di chiamarlo così in virtù del rapporto di stima e amicizia che mi lega a Lui da tempo.

    Credo che l’onore di una pubblicazione dedicata sia il minimo che potesse meritare Gaetano per il contributo da lui dato alla cultura e all’Università della Tuscia. Non mi soffermo sul profilo scientifico, pure di assoluto spessore, c’è chi può farlo molto meglio di me con dovizia di particolari e con maggiori competenze. Mi preme solo sottolineare che, come accade per tutte le figure poliedriche in grado di destreggiarsi in vari ambiti, dedicando al contempo tempo e risorse al prossimo, a volte si cade nell’errore di sottovalutare il valore scientifico semplicemente perché ciò che risalta a un primo sguardo è il profilo umano, per me indissolubilmente connesso al valore complessivo della persona.

    Ho avuto modo di conoscere bene Gaetano in questi ultimi anni e desidero mettere in evidenza lo straordinario contributo da lui dato all’Ateneo sotto vari profili: la straordinaria attenzione e disponibilità per gli studenti, la dedizione completa alla causa accademica, la cura del Dipartimento con l’amore del buon padre di famiglia, la sua capacità di risolvere i conflitti esaltando le peculiarità dei colleghi, il rispetto, sempre più raro, per l’Istituzione accademica e per i suoi organi.

    Anche nei momenti difficili Gaetano non ha mai mancato di fornire il suo contributo all’Ateneo e questo forse gli è stato di aiuto per affrontare momenti tristi e dolorosi. Ma posso affermare senza alcun dubbio che colleghi, amici e studenti gli sono sempre stati vicini.

    In particolare credo che Gaetano debba rappresentare un esempio per i colleghi per la capacità innata di trasmettere agli studenti non solo cultura e competenze, ma anche passione e motivazione. La medesima passione che, unita allo spirito critico e alla capacità di vedere lucidamente le cose in modo moderno ma con uno sguardo alla tradizione, ha caratterizzato fortemente il profilo culturale del Dipartimento da lui diretto in questi ultimi anni.

    Quello che colpisce di più, però, è il suo profilo umano, con l’attenzione sempre rivolta in primis alla persona, con l’abilità di saper costruire uno scambio proficuo emotivamente e culturalmente, talvolta anche in modo aspro e diretto, ma sempre con il massimo rispetto del prossimo. Le caratteristiche umane che Gaetano possiede, affabilità e confidenza, non divengono mai appiattimento di pensiero e complicità. Tante volte, pur nell’ambito di un leale e fraterno spirito di collaborazione, ci siamo trovati in disaccordo ma questo non ha mai inciso nei rapporti personali, anzi ha portato a rivedere le posizioni per trovare soluzioni migliori sempre nel rispetto dell’Istituzione e degli studenti.

    Mi riesce impossibile pensare a un Ateneo e a un Dipartimento in cui la presenza di Gaetano non continui ad esercitare un ruolo determinante con la capacità critica e il pragmatismo che lo hanno sempre contraddistinto; per me e per molti altri, ne sono certo, continuerà a rappresentare una voce da ascoltare, e una spalla forte a cui appoggiarsi nei momenti di difficoltà e in quelli di gioia, approfittando della sua consueta e totale disponibilità.

    Queste poche parole semplici e sincere spero che possano costituire una ulteriore chiave di lettura per le ragioni che hanno spinto i curatori a dedicare una pubblicazione al prof. Platania, a testimonianza del segno profondo che ha lasciato sinora nella vita accademica e nelle persone che con lui hanno condiviso lavoro e vita in questi anni.

    Magnifico Rettore dell’Università degli Studi della Tuscia

    Alessandro Ruggieri

    INTRODUZIONE

    Stefano Pifferi e Matteo Sanfilippo

    Da quando siamo entrati nell’Università della Tuscia durante gli anni ’90, rispettivamente come studente (Pifferi) e come ricercatore (Sanfilippo), Gaetano Platania ci ha coinvolto in numerosissime iniziative collegate all’odeporica, in particolare alla storia dei viaggi nell’Europa dell’età moderna, nella Tuscia viterbese tra medioevo ed età contemporanea, a Roma nel Sei-Settecento soprattutto di regine o di emissari di regni ed imperi alla periferia europea portando avanti, parallelamente, un seminario intercattedra, un Dottorato in più cicli, un quantitativo notevolissimo di giornate di studio e convegni molte delle quali ruotanti intorno al viaggio e all’odeporica. Quando si è trattato di immaginare una raccolta di saggi in suo onore, ci è dunque venuto naturale pensare a qualcosa su quell’argomento che ne ha accompagnato le sorti accademiche dell’ultimo abbondante ventennio, di pari passo al suo primo grande amore: la Polonia. Certo l’ideale sarebbe stato comporre assieme a tutti i colleghi del Dipartimento un Dolcemente viaggiare, rallentando per poi accelerare. Studi in onore di Gaetano Platania, ma poi il festeggiato ci avrebbe probabilmente mandato, sempre rimanendo nel campo semantico del viaggio, a quel paese e quindi abbiamo ripiegato su qualcosa di più serio.

    In particolare abbiamo cercato di offrire con le forze del nostro Dipartimento un approccio generale a quel macro-fenomeno che è il viaggio, di modo che questo attraversasse le frontiere geografiche, storiche e disciplinari. Abbiamo dunque affrontato il Vecchio e il Nuovo Mondo e ci siamo spostati al seguito di viaggiatori, esploratori e migranti. Ci siamo mossi dall’antichità greca, etrusca, romana al futuro dei viaggi interplanetari, passando per il presente digitale. A questo fine, abbiamo coinvolto i colleghi delle numerose discipline che costituiscono il nostro Dipartimento: antichistica, antropologia, archeologia, diritto, economia, geografia, informatica, pedagogia, sociologia, storia, storia dell’arte, storia della cultura, storia delle letterature da quella greco antica ad oggi.

    Nell’ordine alfabetico la dimensione storica cara a Platania è finita in coda. Tuttavia l’elenco appena stilato mostra come l’odeporica possa prestarsi a più chiavi di lettura, analisi, approfondimenti proprio perché argomento che si presta ad un taglio e a una lettura trasversale, insieme multidisciplinare per esigenza, transnazionale per natura e tematicamente di confine tra esperienze ed ambiti tra i più diversi. Molti di noi non sono veramente esperti del settore odeporico e qualcuno ha anche trovato un escamotage per sfiorare l’argomento senza entrarvi veramente. In ogni caso la generosità con la quale tutti abbiamo partecipato è la testimonianza del nostro affetto per Platania (e si tenga conto che alcuni saggi sono stati rifiutati perché troppo lunghi e quindi impossibili da inserire in questo volume) e della nostra stima per il suo lavoro. Egli infatti non soltanto è un grande specialista della storia dell’Europa di centro e di quella del viaggio (si veda al proposito la concomitante raccolta dei suoi saggi in Il viaggio in età moderna, a cura di Francesca De Caprio, Viterbo, Sette Città, 2017), ma anche colui che ha fatto di più per la nascita e la sopravvivenza del nostro Dipartimento in questi anni di profondo sbandamento della vita accademica e dell’esistenza del Paese tutto.

    L’ultimo decennio è stato un periodo estremamente difficile per tutti a causa di una prolungata crisi economica, che ha tagliato le speranze per il futuro dei giovani e le risorse per lo sviluppo della vita culturale, redistribuendo le ricchezze a favore di chi era già avvantaggiato, e del definitivo disciogliersi di un ceto politico-amministrativo che in qualche modo discendeva e sapeva ancora sfruttare l’eredità della Prima Repubblica. Ciò nonostante Platania è riuscito ad assicurare la continuità della nostra vita dipartimentale e a fare in modo che i nostri giovani colleghi e soprattutto giovani studenti non fossero eccessivamente penalizzati. Il suo migliore contributo all’odeporica è stato probabilmente quello di aver mantenuto a galla il nostro Dipartimento e avergli permesso di continuare il suo viaggio. Per questo gli abbiamo preparato questo omaggio e per questo gli ribadiamo la nostra costante amicizia e gratitudine. Sono parole, queste, sincere e sofferte, che non avremmo mai voluto scrivere, perché gli studi in onore segnano la fine di un percorso, l’interruzione di un viaggio che invece abbiamo fatto, stiamo facendo e continueremo a fare insieme: in primis, grazie alle molte parole che Platania ha affidato nel corso della sua intensa vita accademica a numerosissimi scritti, ma anche e soprattutto grazie all’esempio che ha sempre fornito, all’impegno che ha sempre profuso e agli insegnamenti, non strettamente accademici, quanto etici, morali, di vita in senso stretto, che ha elargito sempre con generosità. Buon viaggio.

    Matteo Sanfilippo

    Stefano Pifferi

    APOTEOSI ETRUSCHE. NOTA SU UN ELMO MARCHIGIANO DEL MUSEO ARCHEOLOGICO DI FIRENZE

    Marina Micozzi

    Da pochi anni, dopo un lungo soggiorno nei depositi, il Museo Archeologico Nazionale di Firenze espone di nuovo al pubblico uno splendido elmo bronzeo con paragnatidi mobili e appliques figurate (inv. n. 1238) [1] che appartiene alle collezioni del Museo fiorentino almeno dal 1874, anno in cui Wolfang Helbig lo pubblicò negli Annali dell’Instituto, con una generica notizia di provenienza dalle Marche [2] .

    L’elmo (Figg. 1-2), che contamina caratteri del tipo calcidese e di quello corinzio [3], fa parte di un ristretto gruppo di esemplari di V secolo a.C. [4], diversi per foggia, ma sempre di particolare pregio – e perciò ritenuti da parata più che funzionali [5] –, attribuiti a fabbrica vulcente soprattutto per la tipologia delle placchette ferma-cimiero, stilisticamente inseribili nella vasta serie di quelle che ornano numerosi prodotti della bronzistica di Vulci [6] . Proprio

    l’elmo di Firenze, uno dei primi che le conservasse nella posizione originaria, fornì a Helbig la prova della pertinenza ad elmi delle placchette bronzee a base curvilinea, fino ad allora di dubbia destinazione in quanto per lo più adespote. La placchetta che decora la fronte del nostro elmo rappresenta un tritone dai tratti silenici [7] , con volto e torso di prospetto e lunga coda pisciforme di profilo, che sorregge con la mano destra il corpo di un guerriero e appoggia la mano sinistra sulla sua stessa coda (Fig. 2). Repliche dello stesso soggetto sono una applique da una tomba di Tarquinia, ora a Dresda, presentata nello stesso articolo di Helbig [8] (Fig. 3), e una a Villa Giulia [9] , databili, come la nostra, alla prima metà del V sec.

    a.C.; una quarta, sul mercato antiquario americano, presenta la stessa iconografia, ma differisce per la minore accuratezza nella figura del guerriero [10] . In due altri esemplari, ancora a Villa Giulia e a New York [11] , la figura del guerriero è sostituita da una seconda coda pisciforme, una variante dell’iconografia del Tritone nota in Etruria in questo stesso torno di tempo [12] .

    L’angolazione del corpo del guerriero suggerisce di riconoscervi un cadavere, che pende inerte dalle mani del mostro che lo ha ghermito per trasportarlo di peso verso una destinazione che non può che essere ultraterrena.

    L’idea della morte come viaggio di allontanamento del defunto dal mondo dei vivi verso una sfera oltremondana è radicata nel pensiero religioso degli Etruschi e si è proposto di rintracciarne indizi già in epoche molto antiche [13] . La precoce presenza di modellini di carri e di barche nei corredi funerari e le numerose raffigurazioni di personaggi su carri e i riferimenti al mare a lungo ricorrenti nell’arte etrusca di destinazione funeraria, sono considerati prova dell’esistenza di due principali tipi di itinerario verso le sedi dei Beati: uno percorribile via terra e l’altro che prevede l’attraversamento di una distesa d’acqua. In entrambe le versioni, il defunto è accompagnato da esseri psicopompi, sempre più evidentemente riconoscibili come tali e dalle caratteristiche col tempo sempre più marcatamente sovrannaturali [14] . Dall’età arcaica a quella ellenistica, belve reali e fantastiche ed esseri ibridi di vario genere, spesso attinenti alla sfera dionisiaca e talora di natura marina, si alternano come accompagnatori, in un percorso che assume progressivamente la palese connotazione di viaggio iniziatico.

    Nella maggior parte delle rappresentazioni essi fungono da scorta del defunto, camminando al suo fianco o precedendolo, per guidarlo in un cammino spesso irto di difficoltà, sino alla destinazione finale o sino al punto in cui verrà preso in consegna da un altro addetto, competente per un ulteriore segmento del tragitto.

    Benché l’allusione al mare ricorra molto di frequente, anche in forma compendiaria, ad indicare la separazione tra il mondo dei vivi e quello dei morti [15] , le rappresentazioni di viaggi per mare sono minoritarie rispetto ai casi in cui il pericoloso territorio oltre il quale dimorano i Beati viene attraversato a piedi [16] . Spesso l’ambientazione è resa riconoscibile dalla presenza di mostri marini, esseri ibridi, tritoni o ippocampi, raffigurati in situazioni diverse, sia come avversari da sconfiggere per avanzare nel percorso sia in veste benigna di psicopompi o addirittura, come nel nostro caso, di mezzo di trasporto per il defunto [17] . Viaggi per mare a cavallo di ippocampi sono documentati, già della seconda metà del VI secolo a.C., da alcuni dei più noti monumenti etruschi del periodo, come la celebre scultura vulcente a Villa Giulia e il timpano della parete di fondo del primo ambiente della Tomba dei Tori, ma qui, come negli altri documenti dello stesso genere, anche posteriori di secoli [18] e a differenza dell’applique fiorentina, l’auriga è vigile e partecipa all’azione.

    Il soggetto delle nostre placchette può essere accostato, piuttosto, alle scene di giovani rapiti da figure alate, che trasportano la loro prede in un volo che, come indicano chiaramente alcuni documenti, si libra, per l’appunto, al di sopra del mare [19] .

    Di recente Adriano Maggiani, prendendo spunto da uno scarabeo chiusino con scena di trasporto del corpo di Enea da parte di Turan, ha riconsiderato tale schema iconografico, riconoscendone l’uso nella rappresentazione di episodi mitologici diversi, dai rapimenti erotici in cui è coinvolta Eos, agli interventi della stessa dea e di Afrodite nei confronti dei rispettivi figli, Memnon ed Enea, che le madri sottraggono dal campo di battaglia sia in vita, per salvarli, sia da morti, per consegnarli ad un destino di immortalità [20] . In questi casi la narrazione mitologica, confermata anche da iscrizioni, garantisce l’interpretazione come scene di apoteosi, dei morti come dei vivi, dato che lo stesso destino di immortalità attende anche gli amanti divini la cui vicenda è rappresentata mediante lo stesso modello delle apoteosi dei figli di divinità. Il volo verso le sedi degli dei, anche sotto l’aspetto di un rapimento amoroso, come già quello di Ganimede, è per sua natura connesso all’idea di apoteosi [21] , una lettura che può essere estesa per analogia alle raffigurazioni che non hanno carattere mitologico [22] . Il defunto che ottiene tale trattamento non deve, evidentemente, sottoporsi alle pericolose prove iniziatiche che accompagnano il viaggio oltre la morte dei comuni mortali, forse perché già in vita ha meritato un destino di immortalità grazie alle sue qualità e imprese personali.

    Se si escludono i ratti erotici, essi pure di riconosciuta valenza funeraria quando tale è il contesto, i principali protagonisti degli episodi mitologici citati, come pure Sarpedonte, altro celebre defunto consegnato all’immortalità da un rapimento demoniaco, sono guerrieri, come quello rapito dal tritone sull’elmo di Firenze. È evidente che nelle nostre placchette la composizione è condizionata dalla posizione centrale sulla fronte dell’elmo e dalla necessità di aderire alla convessità della calotta, ripristinando la simmetria con un elemento – il corpo del guerriero – speculare alla coda del mostro. È altrettanto ovvio, tuttavia, che la scelta del soggetto non può avere solo valore decorativo e che lo schema iconografico elaborato per la narrazione mitica ha ormai assunto, attraverso un processo di astrazione, un valore generale.

    Non abbiamo prove del fatto che in Etruria ai morti in combattimento fosse riservata una sorte diversa da quella dei comuni mortali, ma certo la particolare enfasi conferita al ruolo di guerriero nelle sepolture di alcuni personaggi maschili emergenti si configura, fin dall’inizio e per tutta la storia etrusca, come una sorta di eroizzazione.

    Ci è, purtroppo, sconosciuto il contesto di ritrovamento dell’elmo di Firenze, e la stessa notizia della sua provenienza dalle Marche si basa solo sull’affermazione di Helbig [23] . Poterla definitivamente confermare sarebbe assai interessate, visto che tutti gli elmi da parata del genere di quello fiorentino di cui sia nota la provenienza sono stati rinvenuti in tombe isolate di guerrieri di rango [24] attestate in Etruria e nel distretto tiberino, occasionalmente nel Latium Vetus e in siti più lontani, come Genova e Aleria, ma ancora poco documentate nel Piceno. I titolari di queste tombe esibiscono, come indicatori del proprio status, ricchi servizi da simposio formati da vasellame bronzeo di fabbrica etrusca e da ceramica di importazione attica, ma soprattutto imponenti panoplie di armi, attraverso le quali rappresentano nella tomba la loro totale adesione al modello eroico greco, che ha nella guerra il suo principale valore di riferimento. È da questo contesto che scaturiscono i soggetti che decorano le sontuose armature di produzione vulcente. Il riferimento all’eroizzazione, metaforicamente suggerita in tutta la serie delle placchette d’elmo vulcenti per mezzo della predilezione accordata agli athla di Eracle e alle figure di altri Mischwesen, spesso alati, si configura nelle nostre come apoteosi del guerriero, rapito da un Tritone che, a nuoto, lo trasporta nell’Aldilà ancora vestito delle armi grazie alle quali si è guadagnato la meta e di un elmo del tutto simile a quello cui l’ applique è connessa.

    immagine 1

    Fig. 1, Firenze, Museo Archeologico Nazionale. Elmo inv. n.1238, dalle Marche (foto Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana

    immagine 2

    Fig. 2, Firenze, Museo Archeologico Nazionale. Elmo inv. n.1238, particolare

    immagine 3

    Fig. 3, Dresda, SKS Skulpturensammlung. Applique di elmo da Tarquinia (da W. Helbig, Sopra alcuni ornati d’elmo, «Annali dell’Insituto di Corrispondenza Archeologica», 46, (1874), tav. d’agg. K, n. 2)


    [1] Wolfang Helbig, Sopra alcuni ornati d’elmo, «Annali dell’Insituto di Corrispondenza Archeologica», 46 (1874), pp. 47 s., tav. d’agg. K, nn. 6-7. In seguito sullo stesso Walter Amelung, Führer durch die Antiken in Florenz, München, W. Bruckmann, 1897, pp. 249 s., n. 21; Giulio Quirino Giglioli, L’arte etrusca, Milano, Treves, 1935, p. 57, tav. 305,1-2; Karol Anton Neugebauer, Archaische vulcenter Bronzen, «Jahrbuch des Deutschen Archäologischen Instituts», 58 (1943), p. 250; Anne-Marie Adam, Biliothèque Nationale. Bronzes étrusques et italiques, Paris, La Bibliothèque, 1984, pp. 109, ad n. 132, 111, ad n. 137; Hermann Pflug, Chalkidische Helme, in Antike Helme. Sammlung Lipperheide und andere Bestände des Antikensmuseum Berlin, Mainz, Verlag des Römisch-Germanischen Zentralmuseums, 1988, pp. 149 s.; Sonja Boriskowskaja, Etruscan Bronze Helmets from the Campana Collection in the Hermitage Museum, in Die Welt der Etrusker, Internationales Kolloquium, Berlin, Akademie Verlag, 1990, pp. 171 s.; Poul J. Riis, Vulcientia vetustiora. A Study of Archaic Vulcian Bronzes, Copenhagen, Kongelige Danske Videnskabernes Selskab, 1998, p. 71, nota 102; cenno in Fabio Colivicchi, I materiali minori ( Gravisca 16), Bari, Edipuglia, 2004, pp. 39 s., ad n. 38.

    [2] W. Helbig, loc. cit. a nota 1. Nel primo percorso espositivo del Museo fiorentino l’elmo figurava nella sala X degli arredi di bronzo (Luigi Adriano Milani, Il Regio Museo Archeologico di Firenze, Storia e guida ragionata, Firenze, Enrico Ariani, 1912, p. 133, vetrina VI).

    [3] H. Pflug, Chalkidische Helme, cit., pp. 149 s.

    [4] Al tipo Negau e alle sue varianti da parata appartengono l’elmo dalla Tomba del Guerriero di Vulci (Markus Egg, Italische Helme. Studien zu den ältereisenzeitlichen Helmen Italiens und der Alpen, Mainz, Verlag des Römisch-Germanischen Zentralmuseums, 1986, pp. 52, 56, 207, n. 226, fig. 23a.4, tav. 149; Marina Martelli, Un elmo Negau olim Barberini, in Etruria e Italia preromana. Studi in onore di Giovannangelo Camporeale, Pisa – Roma, Fabrizio Serra Editore, 2009, p. 569, nota 38, con altra bibl.); quello della Tomba del Guerriero di Lanuvio (Giovanni Colonna, Un aspetto oscuro del Lazio antico, «La parola del passato» , CLXXIV (1977), pp. 150 ss., fig. 8A/B, con bibl. prec.; Markus Egg, Die Negauer Helme, in Antike Helme. Sammlung Lipperheide, cit., p. 250; Fausto Zevi, La tomba del guerriero di Lanuvio, in Spectacles sportifs et scéniques dans le monde étrusco-italique, Actes de la table ronde (Rome 3-4 mai 1991), Rome, Ecole Française, 1993, pp. 409-442; Nike. Il gioco e la vittoria, catalogo della mostra, Milano 2003, pp. 272-281) e uno con indicazione di provenienza dalla Lombardia ora a Berlino (M. Egg, Die Negauer Helme, cit., pp. 251, 487, K86). Contaminano, come il nostro, caratteristiche di tipi diversi: un elmo dalla Tomba Campanari di Vulci (Marina Martelli , in Gli Etruschi in Maremma, a cura di Mauro Cristofani, Milano, Silvana 1981, p. 253 s., con bibl. prec.; A.-M. Adam, Biliothèque Nationale, cit., p. 108 s., n. 132; H. Pflug, Chalkidische Helme, cit., p. 149), uno dalla tomba del Guerriero di Todi (Goffredo Bendinelli, «Monumenti antichi dei Lincei», XXIV (1916), cc. 841 ss.; H. Pflug, Chalkidische Helme, cit., p. 150, fig. 18; Armando Cherici, Tombe con armi e Società a Todi, con note su simposio, tesserae lusoriae, strigili, «Annali della Fondazione per il Museo Claudio Faina», 8, 2001, pp. 179 ss.), e uno a Copenhagen, da Orvieto (Frederik Poulsen, Aus einer alten Etruskerstadt, Køpenhavn, A.F. Høst & Søn, 1977, pp. 28-32, figg. 53-58, con bibl. prec.; A.M. Adam, Biliothèque Nationale , cit., p. 114, ad n. 144; cit., P.J. Riis, Vulcientia vetustiora, cit., pp. 11, 78, nota 174, con ipotesi di provenienza vulcente).

    [5] M. Egg, Italische Helme, cit., p. 61 s.; H. Pflug, Chalkidische Helme, cit., pp. 149 s.; M. Egg, Die Negauer Helme, cit., pp. 250 ss.

    [6] Su quelle pertinenti ad elmi, più di recente, M. Martelli, Un elmo Negau, cit., p. 569, con ampia letteratura e confronti.

    [7] Giovannangelo Camporeale, Variazioni etrusche sul tipo arcaico del Tritone, in Archaeologica. Studi in onore di Aldo Neppi Modona, a cura di Nelida Caffarello, Firenze, Olschki, 1975, pp. 149-173.

    [8] W. Helbig, Sopra alcuni ornati d’elmo, cit., p. 47, tav.K, 2; Martin Raumschüssel, Die Welt der Etrusker, Archäologische Denkmäler aus Museen der sozialistischen Länder, Berlin, Henschelverlag, 1988, p. 201, B.7.67, con bibl. prec. (confrontata con quella fiorentina); Giovannangelo Camporeale, Tritones (in Etruria), in Lexicon Iconographicum Mythologiae Classicae, VIII, Zürich-München-Düsseldorf, Artemis Verlag, 1997, p. 88, n. 74; P.J. Riis, Vulcientia vetustiora, cit., p. 71 (interpretata come scena di combattimento); M. Martelli, Un elmo Negau, cit., p. 569, nota 37.

    [9] G. Camporeale, Tritones, cit., p. 88, n. 73.

    [10] Sotheby’s, New York, June 7th, 2007, p. 76, n. 48.

    [11] G. Camporeale, Tritones, cit., p. 88, nn. 71-72, con bibl. prec.; la datazione del n. 71 al IV sec. a.C. dimostra la maggiore longevità di questa variante, attestata sino all’età ellenistica.

    [12] Ibid., pp. 85-90, con bibl. prec., in part. pp. 85, 87 s., nn. 71-86, tipo II.

    [13] Per una recente sintesi v. Giovanni Colonna, L’Aldilà degli Etruschi: caratteri generali, in Il viaggio oltre la vita. Gli Etruschi e l’Aldilà tra capolavori e realtà virtuale, catalogo della mostra (Bologna, 25 Ottobre 2014 – 22 febbraio 2015), Bologna, University Press, 2015, pp. 27-35.

    [14] Per il tema del viaggio verso l’Aldilà in compagnia di figure psicopompe: Dorothea Steiner, Jenseitsreise und Unterwelt bei den Etruskern, Untersuchungen zur Ikonographie und Bedeutund, München, Uber Utz Verlag, 2004, con lett. prec.; Marisa Bonamici, Scene di viaggio all’Aldilà nella ceramografia chiusina, in Pittura parietale, pittura vascolare, Ricerche in corso tra Etruria e Campania, Atti della Giornata di Studio, a cura di Fernando Gilotta, Napoli, Arte Tipografica Editrice, 2005, p. 40, figg. 7-8; Ead., Dalla vita alla morte tra Vanth e Turms Aitas, in Aeimnestos. Miscellanea di studi per Mauro Cristofani, Firenze, Centro Di, 2005, pp. 528 s., figg. 5-6. Ead., Il viaggio verso l’Aldilà, in Il viaggio oltre la vita, cit., pp. 45-51; in particolare per il tema in età ellenistica: Adriano Maggiani, L’Aldilà etrusco in età ellenistica, ibidem, pp. 61-69; per l’immaginario funerario delle stele felsinee: E. Govi, I segnacoli funerari di Bologna tra V e IV secolo a.C., ibidem, pp. 111-119.

    [15] Sull’immaginario funerario legato al mare: Giovanni Colonna, Osservazioni sulla tomba tarquiniese della nave, in Pittura etrusca: problemi e prospettive, Atti del Convegno, a cura di Alessandra Minetti, Siena, AlsabaProtagon, 2003, pp. 63 ss.; Giuseppe Sassatelli, Riflessioni sulla ‘stele della nave’ di Bologna, in Etruria e Italia preromana, cit., pp. 833 ss.; per una sintesi recente: Chiara Pizzirani, Il mare nell’immaginario funebre degli Etruschi, in Il viaggio oltre la vita, cit., pp. 71-79.

    [16] M. Bonamici, Il viaggio verso l’Aldilà, cit.

    [17] Sui mostri marini, in generale, Monika Boosen, Etruskische Meeresmischwesen, Untersuchungen zu Typologie und Bedeutung, Roma, Giorgio Bretschneider, 1986.

    [18] M. Boosen, Etruskische Meeresmischwesen, cit., pp. 158 ss., nn. 77-94.

    [19] Cfr. Anneliese Kossatz-Deissmann, in Lexicon Iconographicum Mythologiae Classicae, VI, 1992, p. 457 s., nn. 81-90, s.v. Memnon.

    [20] Adriano Maggiani, L’apoteosi di Enea su uno scarabeo etrusco, «Studi Etruschi», LXXVII (2014), pp. 25-39.

    [21] Per un’aggiornata rassegna dell’evoluzione del concetto di apoteosi nella storia degli studi: Divinizzazione, culto del sovrano e apoteosi: tra antichità e medioevo, a cura di Tommaso Gnoli e Federicomaria Muccioli, Bologna, University Press, 2014.

    [22] Adriano Maggiani, Il cavallo (alato e aggiogato) in Etruria, in Produzione, merci e commercio in Altino preromana e romana, Atti del Convegno, a cura di Giovannella Cresci Marrone e Margherita Tirelli, Roma, Quasar, 2003, pp. 161 ss.

    [23] Gli archivi museali fiorentini non conservano alcuna informazione circa la provenienza e le modalità di ingresso in museo dell’elmo. Visto che Helbig ( Sopra alcuni ornati d’elmo, cit., p. 47) parla di un monumento recentemente scoperto, è probabile che si tratti di uno degli acquisti effettuati dalla Commissione preposta alla formazione del Museo di Firenze nel periodo tra l’istituzione del Museo stesso e il suo trasferimento nel palazzo della Crocetta nel 1880.

    [24] Si veda la bibliografia a nota 4.

    ISOCRATE, IL VIAGGIO E LA VECCHIAIA NELLA LETTERA I E NELLA LETTERA VI

    Maddalena Vallozza

    Il rinnovato interesse per Isocrate degli ultimi anni [1] ha investito anche il ricco corpusculum delle lettere, nove testi di varia lunghezza e struttura [2] . Lasciato da parte il problema dell’autenticità [3] , la critica si è concentrata sul tentativo di individuarne lo statuto letterario. Berger [4] ha optato decisamente per la definizione di öffentliche Briefe, scritti destinati a un pubblico molto più ampio del diretto destinatario, mentre Luck [5] e recentemente Sullivan [6] hanno tentato di ricondurle a una sorta di profilo intermedio tra lettera personale e lettera ufficiale, un profilo che richiama quella doppelte Zielsetzung evocata a ragione da Bickermann e Sykutris per la Lettera a Filippo II di Speusippo, un testo che ha com’è noto con Isocrate espliciti rapporti di contenuto e di stile [7] .

    Signes Codoñer [8] e Nicolai [9] , pur riconoscendo caratteri comuni alle lettere nel loro insieme nonché alle lettere con i discorsi, hanno sottolineato l’opportunità di enucleare i tratti peculiari di singole lettere, o forse meglio di gruppi di lettere, individuabili anche in rapporto ai diversi destinatari. In particolare, Signes Codoñer distingue, per ragioni cronologiche e per lo stretto rapporto con i temi del Panatenaico, il gruppo delle quattro lettere ai Macedoni, cioè la Lettera II e la Lettera III, entrambe a Filippo, la Lettera IV ad Antipatro e la Lettera V ad Alessandro [10] . Alla Lettera IX ad Archidamo accosta invece la Lettera I a Dionigi e la Lettera VI ai figli di Giasone, basandosi in questo caso su ragioni di carattere cronologico [11] e sulla forma frammentaria, che lo portano a considerare le tre lettere come proemi di discorsi perduti [12] . Ma, nell’ambito di questo gruppo, Nicolai a ragione isola per i suoi tratti atipici la Lettera IX, l’unica nel corpusculum che non si autodefinisce ἐπιστολή, uno scritto del quale la stessa singolarità di vero e proprio protrettico sembra garantire l’autenticità [13] .

    È possibile però andare oltre e osservare che la Lettera I e la Lettera VI sono legate dalla presenza di temi simili. In entrambe infatti trovano spazio complesse riflessioni di carattere paideutico e retorico: ad esempio, nella Lettera I (2-3) il ben noto confronto, sul piano dell’efficacia paideutica, tra la parola diretta, τὰ λεγόμενα, e il testo scritto, τὰ γεγραμμένα [14] , nella Lettera VI (7-10) regole relative alle diverse fasi di elaborazione del discorso e una embrionale teoria della inventio [15] .

    Ma colpisce che entrambe le lettere propongano in apertura, in uno stretto intreccio, il tema del viaggio, inconsueto per Isocrate, in unione al tema dell’età avanzata, ricorrente invece nei discorsi [16] . Un tema e un intreccio che credo permettano anche di comprendere meglio natura e funzione di questi testi di tanto controversa definizione.

    Nell’inizio della Lettera I (1) la formulazione è relativamente breve:

    εἰ μὲν νεώτερος ἦν, οὐκ ἂν ἐπιστολὴν ἔπεμπον, ἀλλ᾽ αὐτὸς ἄν σοι πλεύσας ἐνταῦθα

    διελέχθην ἐπειδὴ δ᾽ οὐ κατὰ τοὺς αὐτοὺς χρόνους ὅ τε τῆς ἡλικίας τῆς ἐμῆς καιρὸς καὶ τῶν

    σῶν πραγμάτων συμβέβηκεν, ἀλλ᾽ ἐγὼ μὲν προαπείρηκα, τὰ δὲ πράττεσθαι νῦν ἀκμὴν

    εἴληφεν, ὡς οἷόν τ᾽ ἐστὶν ἐκ τῶν παρόντων, οὕτω σοι πειράσομαι δηλῶσαι περὶ αὐτῶν.

    Se fossi più giovane, non ti invierei una lettera, ma sarei partito per nave e mi troverei lì da te a dialogare: poiché invece il momento migliore della mia vita e quello della tua attività non si sono trovati a coincidere, ma io sono andato oltre mentre la tua attività ha ora raggiunto il culmine, tenterò di esprimermi sulla situazione per quanto me lo consentono le circostanze.

    Il tema della vecchiaia ricopre senza dubbio nel passo lo spazio prevalente, con l’irrompere del tono fortemente personale del νεώτερος ἦν subito in apertura [17] . Come si è detto, è un tema caro a Isocrate, che spesso nei discorsi ne fa uso, anche per giustificare o fondare scelte di genere e di stile [18] . Qui il tema assume una veste nuova, perché viene sviluppato, con la costante alternanza fra prima e seconda persona, in una elaborata σύγκρισις volta ad esaltare, con la captatio benevolentiae verso il destinatario tipica di ogni sezione proemiale [19] , Dionigi nella piena fioritura della sua età, nella sua ἀκμή [20] . Ma a ben riflettere la contrapposizione fra vecchiaia e maturità sembra in qualche modo riprendere e ampliare la forte antitesi iniziale, con lo schema οὐκ …

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