Elogio della saggezza
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Partendo dal concetto di saggezza quale è andato sviluppandosi dal tempo dei Greci, dei Romani e dei pensatori e mistici orientali sino ai nostri giorni, il libro indica le due vie per conseguirla: la contemplazione e l’azione disinteressata o “senza attaccamento”, ovverosia del rifiuto del mondo e dell’accettazione serena di tutto quanto ci accade.
Mario Scaffidi Abbate
Mario Scaffidi Abbate è nato a Brescia nel 1926. Docente di letteratura italiana e accade-mico tiberino, ha collaborato a diversi programmi RAI, in particolare sceneggiati di carattere storico e linguistico di grande successo. Ha ricevuto in Campidoglio il Premio Nazionale Excelsior e il Premio Nazionale Roma Alma Mater e nel 1994 è stato chiamato a far parte del “Comitato Ministeriale per la salvaguardia della lingua italiana”. Ha diretto il periodico Cultura - organo ufficiale dell'Istituto Europeo per le Politiche Culturali e Ambientali, di cui è stato Vicepresidente - e attualmente è direttore responsabile de Il Conciliatore nuovo. Accanto a molte opere originali - fra cui La Virtù, Caos, La scuola di Babele, Il mitico numero 7, Il mondo dello yoga, L'Italia dei Caffè (da cui è stato tratto un breve sceneggiato andato in onda su Rai 1) e il recente Avanti marsch! - ha pubblicato, con la Newton Compton, numerose e apprezzate traduzioni di testi latini e greci. Sue traduzioni sono state utilizzate in collane di altri editori (Bompiani, Rizzoli e Mondolibri).
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Anteprima del libro
Elogio della saggezza - Mario Scaffidi Abbate
ELOGIO DELLA SAGGEZZA
L’arte dell’equilibrio e dell’armonia
Mario Scaffidi Abbate
Published by Giuseppe Meligrana Editore at Smashwords
Copyright © 2010 by Giuseppe Meligrana Editore
ISBN 9788895031866
www.meligranaeditore.com
All rights riserved - Tutti i diritti riservati
* * * * *
Ai miei figli, Roberto e Flavio,
e ai miei ex alunni,
che ancora mi ricordano
come un maestro di vita
* * * * *
Nulla di più stolto di una saggezza
intempestiva. Per un mortale è
vera saggezza non voler essere
più saggio di quanto gli sia
concesso in sorte, fare buon viso all’andazzo generale
e partecipare di buon grado alle umane debolezze.
Ma proprio questo è follia.
Erasmo, Elogio della pazzia
* * * * *
INDICE
Premessa
Cap. 1
Che cos’è la saggezza
Cap. 2
La saggezza dei Greci
La saggezza dei Romani
I sette savi
Cap. 3
Le due vie: la contemplazione e l’azione disinteressata o senza attaccamento
Cap. 4
Il saggio stoico e il saggio epicureo
Cap. 5
La saggezza di Seneca
Cap. 6
Cosa sono le passioni
Cap. 7
La terza via
Cap. 8
Negazionisti e possibilisti
Cap. 9
Al di là del Bene e del Male
Conclusione
Bibliografia Essenziale
* * * * *
Premessa
Stolto! A cui parlo? Misero! Che tento?
Racconto il dolor mio
a l’insensata riva
a la mutola selce, al sordo vento…
G. B. Marino, Eco
, La Lira, XIX
Francesco De Sanctis, parlando dell’uomo savio
di Guicciardini, scrisse che nel Cinquecento l’Italia perì perché i pazzi furono pochissimi, e i più erano i savi
, intendendo per savi quegli uomini che a furia di ragionare, di cavillare, di tollerare e giustificare tutto e tutti, finiscono con lo stare in sull’ambiguo e lasciarsi dietro l’uscita
, e per pazzi coloro che, sfidando anche l’impopolarità, agiscono nell’interesse del proprio paese, guardando principalmente al futuro.
Allora, osservava l’illustre critico, c’era la saviezza
, ma mancava la forza morale: alla prudenza, alla pazienza, all’iniziativa, al sacrificio, alla tenacia e alla disciplina supplirono l’intrigo, l’astuzia, la simulazione, la doppiezza, la malizia. E pensando ciascuno al suo ‘particulare’, nella tempesta comune naufragarono tutti
.
Oggi l’Italia naviga tra le Isole dei Famosi, i Grandi Fratelli, le Fattorie, gli Amici (che litigano fra loro, fanno i sapienti e criticano i maestri) e altre simili realtà
, col rischio di un nuovo e più rovinoso naufragio. Colpa della televisione e dei giornali, i quali, come scriveva Giovanni Papini già nel 1928, non c’insegnano mai le verità che più importano, e tanto meno quel tanto di bello che ancora il mondo sopporta, ma si fanno perdonare i silenzi e le ciurmature coll’astuta esibizione di tutto il marcio sanguigno che goccia, ogni ventiquattr’ore, sulla faccia del mondo
.
Cosa sperare quando i maestri
non raggiungono nemmeno a novant’anni un briciolo di saggezza e, lungi dall’esortare alla moderazione, alla tolleranza e al rispetto reciproco, istigano all’odio, alla rissa, all’insulto e all’aggressione fisica? Cosa sperare quando troppo spesso persino nei magistrati mancano quell’equilibrio, quella serenità di giudizio e quella imparzialità che dovrebbero costituire la dote essenziale della Giustizia, della quale si fa non solo un uso fazioso e strumentale, ma un vero e proprio abuso, che meriterebbe per primo di essere punito, se è vero che la Giustizia è il fondamento di un retto vivere civile.
In un’epoca in cui tutto appare relativo, in cui non ci sono o non si prospettano più modelli o punti di riferimento e la stoltezza ha preso il posto della saggezza, le parole dei grandi saggi del passato non hanno più eco.
Già nel 1878 Nietzsche scriveva: Bisogna confessare che il nostro tempo è povero di grandi moralisti, che Pascal, Epittèto, Seneca, Plutarco sono poco letti, che lavoro e attività - normalmente al seguito della gran dea Salute - sembrano a volte infuriare come una malattia. Poiché manca il tempo per pensare e la calma nel pensare, non si medita più sulle opinioni divergenti: ci si accontenta di odiarle
(Umano, troppo umano).
Il fine di ogni uomo dovrebbe essere la saggezza, la quale non consiste nel chiudere la porta alle passioni, in una aprioristica e sterile imperturbabilità: lo spirito umano progredisce non tanto nell’elevarsi, quanto nel chiarire e nell’armonizzare tutto ciò che lo investe, è solo così che la vita si trasforma davvero, altrimenti, come dice un grande saggio, resteremo a poetare e a spiritualizzare sulle cime, mentre al di sotto la vita traballa
.
Per l’uomo saggio non ci sono cose da eliminare: se eliminiamo tutto ciò che può darci fastidio raggiungeremo qualcosa di freddo e di vuoto. Il punto è di capire e di accettare che ogni cosa, anche l’errore più grande, ha una sua verità, perché tutto nel mondo è Dio che cammina per incontrare Se stesso.
* * * * *
Capitolo 1
Che cos’è la saggezza
Non è possibile dare della saggezza una definizione univoca, sia perché ve ne sono tanti tipi, e tante sono le strade e i mezzi per conseguirla, sia perché il suo concetto ha subìto nel tempo una evoluzione, per cui spesso ciò che era saggio per gli antichi non lo è più per i moderni.
Cominciamo col dire che c’è una saggezza razionale, conseguibile attraverso la riflessione, l’analisi e l’esperienza, e una saggezza intuitiva o illuminata, come quella dei profeti biblici, dei rishi vedici o dei mistici, che prescinde dalla cultura e può essere raggiunta da chiunque. C’è poi una saggezza privata
o individuale
, utilizzata a fini personali, e una saggezza pubblica
o sociale
, volta all’interesse della collettività.
Il concetto di saggezza si può esprimere con una definizione che valga per tutti i tipi e per tutte le epoche, ma il suo contenuto varia in rapporto alla Weltanschauung, cioè alla concezione filosofica o alla visione della vita e del mondo che sono proprie di un tempo particolare. In definitiva è bene che vi siano diverse saggezze e qualcuno sostiene che non è male alternarle
(Margherite Yourcenar, Le memorie di Adriano). Tutto ciò vale anche per la cultura, il cui concetto è andato assumendo via via caratteristiche diverse, pur restando immutati, come per la saggezza, i princìpi fondamentali.
Anticamente la cultura si identificava in ciò che i Greci chiamavano paidèia e i Romani humanitas, intendendo con tali termini l’educazione alle buone arti e alla filosofia, ritenute indispensabili alla piena e perfetta realizzazione dell’uomo. Accanto a questo carattere aristocratico, che era il principale, la cultura ne aveva uno naturalistico (in cui rientravano le attività utilitaristiche e il lavoro manuale in genere) e uno contemplativo (in cui rientrava ogni altra attività volta a un fine oltremondano).
Nel Medioevo il concetto di cultura subì una trasformazione, sia riguardo al carattere naturalistico, con la valorizzazione delle arti liberali, sia riguardo a quello contemplativo, ritenendosi la filosofia non più uno strumento di ricerca autonoma ma un mezzo di preparazione religiosa alla vita ultraterrena (philosophia ancilla theologiae).
Nel Rinascimento prevalse il carattere naturalistico, volto a dare all’uomo una formazione che gli consentisse di vivere bene e rettamente nel mondo terreno, e la religione fu considerata utile e necessaria a tale scopo. Ma, posta come fine la sapienza, la cultura mantenne il carattere aristocratico tipico dell’ideale classico.
Con l’Illuminismo, che la riteneva un patrimonio di tutti e uno strumento di rinnovamento sociale, la cultura assunse un