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Rose del novecento
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E-book302 pagine3 ore

Rose del novecento

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Info su questo ebook

"Rose del Novecento" è una raccolta di biografie di eccezionali talenti

italiani che hanno contribuito ad accrescere il prestigio del nostro

Paese nel mondo. In un sistema scolastico, la cui didattica è spesso

colpevolmente carente di grandi narrazioni sui saperi femminili, di

personalità straordinarie che meriterebbero di ricoprire un ruolo di

primo piano nelle conoscenze degli studenti, questo libro rappresenta un

tentativo di ricalibrare alcuni ambiti educativi troppo sbilanciati su

figure maschili.

L'opera, che ha come sfondo il secolo scorso, si

propone quindi di accendere i riflettori su donne diversissime tra

loro, ma tutte accomunate da un grande temperamento, da una caparbietà

inesauribile, dal modo di vivere appassionato, da una grande sensibilità

e soprattutto da spiccate doti di intelligenza e talento.

Le

nostre "Rose del Novecento" spaziano su un territorio di conoscenze

vastissimo: dalla poesia e la letteratura con la Merini e la Fallaci,

alla sociologia e l'antropologia con la Gallini e la Torti, dalla

scienza con la Montalcini e la Hack, alla politica con la Jotti e la

Anselmi; poi la moda con le sorelle Fontana, lo sport con Ondina Valla,

fino ad arrivare alla "società civile" con Franca Viola. Conosceremo

attraverso testimonianze, racconti, vissuti e opere, uno spaccato del

mondo femminile italiano unico ed emozionante.
LinguaItaliano
Data di uscita6 mag 2021
ISBN9791220331050
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    Anteprima del libro

    Rose del novecento - ASI Campania

    IrpiniaSocioLab

    Ambito Poetico – Letterario

    di

    Elisabetta Festa

    Alda Merini

    La Piccola Ape Furibonda

    Alda Merini. Fonte: Wikipedia

    "Sono nata a Milano, a casa mia, in via Mangone, a Porta Genova: era una zona nuova ai tempi, di mezze persone, alcune un po’ eleganti altre no. Poi la mia casa è stata distrutta dalle bombe. Noi eravamo sotto, nel rifugio, durante un coprifuoco; siamo tornati su e non c’era più niente, solo macerie. Ho aiutato mia madre a partorire mio fratello: avevo 12 anni. Un bel tradimento da parte dell’Inghilterra, perché noi eravamo tutti a tavola, chi faceva i compiti, chi mangiava, arrivano questi bombardieri, con il fiato pesante, e tutt’a un tratto: boom!! La gente è impazzita. Abbiamo perso tutto. Siamo scappati sul primo carro bestiame che abbiamo trovato. Tutti ammassati. Siamo approdati a Vercelli. Ci siamo buttati nelle risaie perché le bombe non scoppiano nell’acqua, ce ne siamo stati a mollo finché non sono finiti i bombardamenti. Siamo rimasti lì soli, io, la mia mamma e il piccolino appena nato. Mio padre e mia sorella erano rimasti in giro a Milano a cercare gli altri: eravamo tutti impazziti. Ho fatto l’ostetrica per forza portando alla luce mio fratello, ce l’ho fatta: oggi ha sessant’anni e sta benissimo. La mamma invece ha avuto un’emorragia, hanno dovuto infagottarla insieme al piccolo e portarseli dietro così, con lei che urlava come una matta.

    A Vercelli ci ha ospitato una zia che aveva un altro zio contadino, ci ha accampati come meglio poteva in un cascinale. Sembrava la Madonna mia madre, faceva un freddo boia, era una specie di stalla, ci siamo rimasti tre anni. Non andavo ascuola, come facevo ad andarci? Andavo invece a mondare il riso, a cercare le uova per quel bambino piccolino: badavamo a lui, era tutto fermo, c’era la guerra. Stavo in casa e aiutavo la mamma, andavo all’oratorio, ero una brava ragazza io. Io sono molto cattolica, la mia parrocchia a Milano era San Vincenzo in Prato.Mi sento cattolica e profondamente moralista, nel senso che sono una persona seria allevata da genitori serissimi, pesanti e pedanti in fatto di morale. Non lo so se credo in Dio, credo in qualcosa che… credo in un Dio crudele che mi ha creato, non è essere cattolici questo? Perché, Dio non è così? Tutti abbiamo un Dio, un idoletto, ma proprio il Dio specifico che ha creato montagne, fiumi e foreste lo si immagina solo… con la barba, vecchio, un po’ cattivo, un Dio crudele che ha creato persone deformi, senza fortuna. Credo nella crudeltà di Dio. Non penso siano idee blasfeme, la Chiesa non mi ha mai condannata. Anzi, il mio Magnificat è stato esaltato, perché ho presentato una Madonna semplice, com’è davvero lei davanti a questo stupore dell’Annunciazione, che non accetta fino in fondo perché lei ha San Giuseppe.

    Io pregavo da bambina, ero sempre in chiesa, sentivo sette, otto, dieci messe al giorno, mi piaceva, però non ci vado più dai tempi del manicomio. Ho trovato una tale falsità nella Chiesa allora, in manicomio vedevo le ragazze che venivano stuprate e dicevano di loro che erano matte. Stuprate anche dai preti, allora mi sono incazzata davvero. L’ho visto accadere ad altri, non è una mia esperienza. La Chiesa è dura con le donne, da sempre. Però oggi come sono magre e secchette le donne, prima erano belle adipose. Sono tornata a Milano quando è finita la guerra, siamo tornati a piedi da Vercelli, solo con un fagotto, poveri in canna, e ci siamo accampati in un locale praticamente rubato, o trovato vuoto, di uno straccivendolo. E ci stavamo in cinque. Abbiamo ripescato anche mia sorella che era partita con i fascisti, con i tedeschi, aveva imparato, si metteva in strada, tirava su le gonne, i tedeschi andavano in visibilio e le regalavano il pane, si sfamava così, si alzava solo la gonna, era bellissima.

    In questo stanzone stavamo tutti e cinque, accampati, con delle reti, allora sono andata con il primo che mi è capitato perché non ce la facevo più. Avevo 18 anni, dove dormivo scusate? Così poi l’ho sposato, nel 1953. Era un bell’uomo, un operaio, è morto nel 1983, un lavoratore, un sindacalista. Ho avuto quattro figlie da lui. Andavamo a mangiare la minestra da mia madre perché lui non aveva ancora un lavoro. Poi abbiamo preso una panetteria in via Lipari, non è che proprio facevamo il pane, era solo una rivenditoria. Mi chiamavano la fornaretta. Ho avuto la mia prima bambina nel 1955, Emanuela, poi nel 1958 è nata anche Flavia. Avevo 36 anni quando è nata la mia ultima figlia, Simona, e prima ancora era arrivata Barbara".

    Questo è uno stralcio di un racconto autobiografico della poetessa Alda Merini, rilasciato allagiornalistaCristiana Ceci nell’autunno del 2004. La Merini in quei giorni, racconta la Ceci su un bellissimo articolo dell’Espresso, si trovava in ospedale, a Milano: non solo per motivi di salute, ma anche perché era senza casa, nel corso di quasi una settimana, fumando una sigaretta dopo l’altra, mi ha raccontato la sua vita.

    Conosciamo Alda

    Alda Giuseppina Angela Merini nasce il 21 marzo 1931. La poetessa cresce con un padre colto, affettuoso e attento nonché desideroso di vederla ben istruita, tanto che a cinque anni le regala un vocabolario e le spiega le parole tenendola sulle ginocchia; e una madre invece severa, pragmatica, distante e altera, che tenta invano di proibirle di leggere i libri della biblioteca paterna in quanto vede per lei un futuro esclusivamente di moglie e madre. Sua madre, inoltre, quando Alda, studentessa elementare, ha una crisi mistica, partecipando assiduamente alle messe presso la vicina basilica di San Vincenzo in Prato e vuole farsi monaca, inizialmente scambia il suo malessere interiore per problemi di salute, e la riempie di vitamine. Poi, per farle passare la sua passione vocazionale, contatta la maestra per stabilire uno speciale ritiro scolastico. Alda si vendica della madre per questo suo atteggiamento, andando a mendicare vestita di stracci, come se fosse di famiglia povera, per giunta dicendo di essere orfana. La madre, scoperta la cosa, la punisce picchiandola.

    Dopo aver terminato il ciclo elementare con voti molto alti, è però il padre che le impone di frequentare i tre anni di avviamento al lavoro presso l’Istituto Professionale Femminile Mantegazza.

    Alda tenta in seguito di essere ammessa al Liceo Alessandro Manzoni, ma non riesce in quanto non supera la prova d’italiano. Nello stesso periodo si dedica allo studio del pianoforte, strumento da lei particolarmente amato.

    Esordisce come autrice in giovane età. Una sua insegnante delle medie la presenta allo scrittore Angelo Romanò che, apprezzandone le doti letterarie, le fa conoscere Giacinto Spagnoletti, critico letterario, il quale diventa la sua guida, valorizzandone il talento. Ancora quindicenne, torna a casa con una recensione di una sua poesia scritta dallo stesso Spagnoletti; emozionatissima la mostra all’amato padre, che però la prende e la straccia in mille pezzi dicendo alla figlia: Ascoltami, cara, la poesia non dà il pane.

    Nel 1947, la Merini comincia ad avere i suoi primi disturbi psichici, viene internata per un mese nella clinica Villa Turro a Milano, dove le viene diagnosticato un disturbo bipolare. Quando ne esce, alcuni amici le stanno vicini consigliandole d’intraprendere un percorso di psicoanalisi.

    Giacinto Spagnoletti sarà anche il primo a pubblicarla nel 1950, nell’Antologia della poesia Italiana Contemporanea 1909-1949, con le liriche: Il Gobbo, simbolo sia della spensieratezza con cui Alda vorrebbe affrontare la vita, sia della consapevolezza che qualcosa nel suo animo la inquieta, e Luce, a lui dedicata. Dal 1950 al 1953 frequenta per lavoro il poeta Salvatore Quasimodo, con il quale poi si legherà sentimentalmente per tre anni, da lui sarà introdotta nella Milano bene, ma non piacendole l’ambiente troppo snob e altolocato per le sue abitudini, lo lascerà.

    Il 9 agosto 1953 sposa, come lei stessa ci ha raccontato, Ettore Carniti, operaio e sindacalista, in seguito proprietario di alcune panetterie di Milano, il suo grande amore, anche se spesso violento nei suoi confronti, come riportato dalle sue figlie sul suo sito ufficiale, e totalmente noncurante del suo talento. Nello stesso anno, viene pubblicato il suo primo volume di versi intitolato La Presenza di Orfeo, che contiene diverse poesie dedicate a quegli amici che in quegli anni hanno creduto in lei.

    Seguirà Paura di Dio, le poesie di quest’opera hanno come temi prevalenti il sacro e la morte, successivamente scriverà Nozze Romane, l’angoscia, dalla quale Alda non riesce a liberarsi, è il tema ricorrente di questa raccolta di poesie.

    Mette alla luce, poco tempo dopo l’improvvisa morte per infarto del padre, la prima figlia, Emanuela. Nel ‘57 nascerà la secondogenita Flavia.

    Dopo la pubblicazione di Tu sei Pietro, opera dedicata al pediatra di famiglia, inizia per lei un difficile periodo di silenzio e d’isolamento, dovuto all’internamento nell’Ospedale Psichiatrico Paolo Pini, che va dal 1964 fino al 1972, con alcuni ritorni in famiglia, durante i quali nascono altre due figlie: Barbara e Simona, che saranno poi affidate ad altre famiglie a causa delle sue ripetute crisi. Si alterneranno, infatti, in tutta la sua vita, periodi di salute e periodi di malattia.

    Un commento straziante della sua esperienza manicomiale:

    Per me è stato un miracolo di Dio essere uscita viva da lì. Ho visto morire tanti ragazzi. Mi ha salvata mio marito che veniva a trovarmi, perché chi non aveva nessuno scompariva all’improvviso nel nulla.¹

    Nel 1979 riprende a scrivere, dando vita ai suoi testi più intensi che riguardano la drammatica e sconvolgente esperienza dell’ospedale psichiatrico, testi contenuti in quello che può essere inteso, come scrive Maria Corti famosa critica letteraria, il suo capolavoro: La Terra Santa, una raccolta di poesie pubblicato nel 1984, con il quale vincerà nel 1993 il Premio Librex Montale; il tema dominante della raccolta è il manicomio, che Alda Merini assimila metaforicamente alla Terra Santa di fonte biblica.

    Murales realizzato su una facciata dell’ex Ospedale Psichiatrico Paolo Pini di Milano. Fonte: Creativecommons.org

    Le pene della scrittrice continuano: il 7 luglio 1983 muore il marito, rimasta sola e ignorata dal mondo letterario, cerca inutilmente di diffondere i propri versi. Sempre Maria Corti racconta che la Merini si era recata presso i maggiori editori italiani senza alcun successo, fin quando, nel 1982, dopo aver raccontato a Paolo Mauri, altro critico letterario, la sua amarezza, quest’ultimo le offrì uno spazio sulla sua rivista.

    In quel periodo inizia a frequentare l’anziano poeta Michele Pierri, che aveva dimostrato di apprezzare le sue poesie. Nell’ottobre del 1984 lo sposa e vanno a vivere a Taranto. Da lui è amata e protetta finché, nel luglio del 1986, fa nuovamente ricorso alle cure del reparto di neurologia, questa volta dell’Ospedale di Taranto, ospedale dove il marito era stato ex primario di Cardiologia. Alla sua ennesima ripresa, porta a termine L’altra Verità. Diario di una Diversa, il suo primo libro autobiografico in prosa. Lo scrittore Giorgio Manganelli nella prefazione al testo scrive:

    ...non è un documento, né una testimonianza sui dieci anni trascorsi dalla scrittrice in manicomio. È una ricognizione, per epifanie, deliri, nenie, canzoni, disvelamenti e apparizioni, di uno spazio - non un luogo - in cui, venendo meno ogni consuetudine e accortezza quotidiana, irrompe il naturale inferno e il naturale numinoso dell’essere umano.

    Per quest’opera le verrà assegnato nel 1997 il Premio Procida-Isola di Arturo-Elsa Morante.

    Riporto il suo raccapricciante racconto, quando all’interno del manicomio assiste allo stupro di altre malate, per fortuna lei non lo subì, e di quando tutte, compresa lei, pativano come terapia la Cerletti, cioè la tecnica dell’elettroshock, ideata dal neurologo italiano Ugo Cerletti, per l’appunto, allora usata come cura per la malattia mentale:

    Quando ci mettevano il cappio al collo e ci buttavano sulle brandine nude insieme a cocci immondi di bottiglie per favorire l’autoannientamento, allora sulle fronti madide compariva il sudore degli orti sacri, degli orti maledetti degli ulivi. Quando gli infermieri bastardi ci sollevavano le gonne putride e ghignavano, ghignavano verde, era in quel momento preciso che volevamo la lapidazione.

    Quando venivamo inchiodati in un cesso per esser sottoposti alla Cerletti, era in quel momento che la Gestapo vinceva e i nostri maledettissimi corpi non osavano sferrare pugni a destra e a manca per la resurrezione degli uomini...

    Macchina dell’elettroshock. Fonte: Creativecommons.org

    Ancora dall’opera L’Altra Verità. Diario di una Diversa:

    "Il manicomio era saturo di fortissimi odori. Molta gente orinava e defecava per terra. Dappertutto era il finimondo. Gente che si strappava i capelli, gente che si lacerava le vesti o cantava sconce canzoni. Noi sole, io e la 2., sedevamo su di una pancaccia bassa, con le mani in grembo, gli occhi fissi e rassegnati e in cuore una folle paura di diventare come quelle là.

    La Z. era una bonacciona. L’avevano messa lì dentro perché era stata ragazza madre e volevano disfarsene, ma non aveva nulla di folle, era quieta, e a volte persino serena. Solo quando pensava al suo piccolo si metteva a piangere e piangeva in silenzio certa che nessuno l’avrebbe compresa. Ma io la comprendevo bene. Sapevo che l’essere madre in un posto come quello diventa una cosa atroce. Perciò cercavo di distrarla".

    Nel 1986,rientra finalmente a Milano, sulle rive dell’amato Naviglio, dove riprende a scrivere e a rifrequentare le vecchie amicizie di un tempo. Sono anni fecondi per la poetessa Merini, anni dove si contano sempre maggiori pubblicazioni e interventi pubblici, anni in cui le vengono assegnati diversi premi letterari. Ma soprattutto anni in cui la personale battaglia della poetessa con la sua indomabile vicenda esistenziale, la sua fragilità emotiva, provata dai lunghi periodi in manicomio e dalle ombre che ancora saltuariamente popolano la sua mente, trovano finalmente un po’ di pace.

    Nel 1995 viene pubblicato il volume La Pazza della Porta Accanto, un libro in prosa diviso in quattro sezioni: l’amore, il sequestro, la famiglia, il dolore: l’opera nasce da pagine di diario, massime, racconti di amori trovati e poi perduti, paure e ricordi. Per Ballate non Pagate le verrà consegnato il Premio Viareggio: i protagonisti di questa raccolta di poesie sono persone incontrate sui Navigli a Milano o persone care alla poetessa come Michele Pierri, suo secondo marito. In queste liriche si evince una stanchezza da parte della Merini di osannare Dio e un sentirsi più vicina a sentimenti pagani.

    In quel periodo, da tutta Italia vengono inviate e-mail a sostegno di un appello lanciato da un amico della scrittrice, che chiede per lei un aiuto economico. Sorgono numerosi blog tematici e siti internet nei quali viene richiesto l’intervento dell’allora sindaco di Milano, Gabriele Albertini.

    Anche a seguito di ciò, viene accettata la sua richiesta di poter usufruire del fondo destinato agli artisti che vivono in precarie condizioni economiche previsto dalla Legge Bacchelli, dati i debiti accumulati dall’autrice (debiti procurati a causa della sua generosità), Alda amava, infatti, fare beneficenza ai più bisognosi, non spendeva per sé. Questo fondo le era stato rifiutato per ben cinque anni, a causa delle due pensioni che già riceveva.

    Nel 2002 viene pubblicato Magnificat, un Incontro con Maria, in cui l’autrice indaga sull’aspetto più femminile e umano della Vergine Madre, rappresentato in teatro nel 2006 da Valentina Cortese.

    Il 18 marzo 2002 è insignita del Sigillo Longobardo, onorificenza assegnata ogni anno dal Consiglio regionale della Lombardia nell’ambito della tradizionale Festa dello Statuto. In più occasioni viene avanzata la sua candidatura al premio Nobel per la letteratura: a tal proposito, il suo commento è stato sempre lo stesso: Rifiuterò sempre il Nobel perché in Svezia fa freddo.

    Nel 2003 è la volta di Clinica dell’Abbandono, con l’introduzione di Ambrogio Borsani, scrittore milanese, e con uno scritto dedicato a Vincenzo Mollica. In una sua intervista di anni dopo, lo stesso Mollica definì Alda, che sentiva più volte al giorno, una persona vera e colta:

    …quelli che straparlano non mi sono mai piaciuti, elogio chi, come Alda, si esprime con semplicità ed efficacia, quando le parole alzano una grande nebbia significa che dietro c’è poco da dire.

    Il filo conduttore di quest’opera è l’amore, quello sofferto, quello rincorso, quello offerto e non ricambiato e anche quello passionale e carnale dipinto con parole crude e intense.

    Nel marzo del 2004 esce l’album, intitolato Milva canta Merini, che contiene undici motivi cantati da Milva tratti dalle sue poesie. L’autore delle musiche è Giovanni Nuti, musicista e cantautore italiano. Sempre nel marzo dello stesso anno, Alda presenzia, in occasione del suo settantatreesimo compleanno, a un recital al Teatro Strehler di Milano.

    Nel 2007 l’autrice, con Alda e Io, Favole, scritto a quattro mani con il favolista Sabatino Scia, vince il Premio Elsa Morante Ragazzi.

    Il 17 ottobre dello stesso anno, ottiene la Laurea honoris causa in Teorie della Comunicazione e dei Linguaggi presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università degli Studi di Messina, tenendo una lectio magistralis sui meandri tortuosi del suo vissuto.

    Nel 2009 viene girato nella casa della scrittrice, il documentario Alda Merini, una Donna sul Palcoscenico dove la poetessa dei Navigli si abbandona a un racconto di sé autenticamente vero, mettendo a nudo la sua anima. Il regista Cosimo Damiano Damato lo presenta alle Giornate degli Autori della 66ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia. Il film vede la partecipazione di Mariangela Melato.

    La poetica di Alda

    Una vita difficile quella di Alda, fin dai suoi primi anni di vita, come abbiamo potuto constatare. Ha vissuto, infatti, l’orrore della guerra e la miseria, con tutti i sacrifici che ne derivarono.

    Sposò un uomo, per sfuggire allo stento e alla povertà, che non disdegnava di picchiarla, quando ubriaco rientrava in casa, un uomo violento che, nonostante tutto, la donna continuò ad amare fino ai suoi ultimi giorni. E poi la privazione delle proprie figliole a causa dei suoi diversi internamenti manicomiali: queste brutte esperienze si percepiscono tutte nella sua poetica, quella degli esclusi, dei reietti e degli emarginati.

    La sua infinita sensibilità le ha consentito di resistere e rivelare il proprio mondo dipinto di ottimismo e gioia, di voler vivere nonostante tutto².

    La modalità con cui si descrive nelle sue poesie, nei suoi libri, così come nei suoi innumerevoli aforismi, fanno di lei una delle figure maggiormente encomiabili della nostra letteratura contemporanea. Il suo scritto è vero, puro, lapidario, uno straordinario messaggio di rivincita, perché tra le poche persone ad aver avuto successo proprio

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