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Questa estate succede che
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Questa estate succede che
E-book313 pagine4 ore

Questa estate succede che

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Info su questo ebook

Il 15 agosto è il culmine dell'estate, c'è voglia di spensieratezza e tranquillità, e di mare. Ma non tutti possono permettersela.

 

Il 15 agosto è calore intenso, i vasi cutanei si dilatano, la sudorazione e la frequenza respiratoria aumentano, si ha meno fame e voglia di muoversi, si desidera ombra, silenzio. Eppure le persone si agitano di più, diventano più violente, intolleranti, più furbe che mai.

 

Il 15 agosto, a volte, diventa un giorno impossibile da dimenticare.

 

Questa estate succede che è una raccolta di racconti carichi di tensione, di sentimenti pericolosi, di urla di dolore e sangue, perché il sangue scorre anche d'estate, come in ogni altra stagione. Se ne sconsiglia la lettura a chi non ha il coraggio di scendere verso scalini bui dove le pareti sono colme di ragnatele e dove, dal fondo, si odono grida strazianti, disumane. Se ne consiglia la lettura a un pubblico adulto.

LinguaItaliano
Data di uscita11 lug 2022
ISBN9788894372939
Questa estate succede che

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    Anteprima del libro

    Questa estate succede che - Giovanni Venturi

    Questa estate succede che

    Giovanni Venturi

    Questa estate succede che

    ©2021 Giovanni Venturi

    immagine copertina: ©Giovanni Venturi

    artwork: ©Giovanni Venturi

    ISBN: 978-88-943729-3-9

    Prima edizione: luglio 2021.

    Editore: Giovanni Venturi.

    Realizzazione e-book a cura di Giovanni Venturi.

    Questo testo è stato scritto e corretto tra il 24 giugno 2020 e il 14 gennaio 2022.

    Ultima modifica apportata in data: 14 gennaio 2022.

    Quest’opera è coperta da copyright, ne è vietata perciò la modifica, duplicazione, ripubblicazione, anche parziale, senza previa autorizzazione dell’autore.

    Questo ebook include il font Liberation Serif (sito del progetto: https://fedorahosted.org/liberation-fonts/) liberamente distribuibile con licenza SIL Open Font License disponile all’indirizzo: http://scripts.sil.org/OFL.

    Questo testo è un’opera di fantasia. Personaggi e situazioni sono invenzioni dell’autore, qualsiasi analogia con fatti, eventi, luoghi e persone, vive o scomparse, è da ritenersi puramente casuale.

    Alla noia, perché

    bisogna combatterla.

    I racconti

    Il 15 agosto è il culmine dell’estate, c’è voglia di spensieratezza e tranquillità, e di mare. Ma non tutti possono permettersela.

    Il 15 agosto è calore intenso, i vasi cutanei si dilatano, la sudorazione e la frequenza respiratoria aumentano, si ha meno fame e voglia di muoversi, si desidera ombra, silenzio. Eppure le persone si agitano di più, diventano più violente, intolleranti, più furbe che mai.

    Il 15 agosto, a volte, diventa un giorno impossibile da dimenticare.

    Questa estate succede che è una raccolta di racconti carichi di tensione, di sentimenti pericolosi, di urla di dolore e sangue, perché il sangue scorre anche d’estate, come in ogni altra stagione. Se ne sconsiglia la lettura a chi non ha il coraggio di scendere verso scalini bui dove le pareti sono colme di ragnatele e dove, dal fondo, si odono grida strazianti, disumane.

    Cos’è un openbook

    Questa estate succede che è anche un openbook.

    Cos’è un openbook? Letteralmente vuol dire: libro aperto. È una pubblicazione che si arricchisce di contenuti nel tempo.

    Per la precisione, in questo e-book, troverete nove racconti, pubblicati (circa uno alla settimana) dal 3 luglio 2021 al 14 agosto 2021.

    Come funziona un openbook?

    È tutto molto semplice. Si compra l’e-book e alle date stabilite dall’editore, si riceve, senza ulteriori costi, un aggiornamento. Alla data attuale l’aggiornamento è completo. Tutti i racconti previsti sono stati pubblicati completando, se si trattasse di una serie televisiva, la prima stagione.

    A partire dal 29 giugno 2022 si vedranno i primi nuovi racconti di una seconda stagione, con l’inserimento di altre storie lunghe. Come funzionano gli aggiornamenti?

    Se si tratta di Android, appena avrò caricato la nuova versione, questa verrà distribuita a chi già ha effettuato l’acquisto, secondo i tempi previsti dallo store. Di solito sono abbastanza rapidi. Basta essere connessi.

    Chi dispone di un sistema iOS, invece, deve cancellare il file e riscaricarlo.

    E chi volesse leggerselo su un lettore standard ePub? Basta scaricare il file dal proprio account, collegare il dispositivo di lettura al PC o al Mac e copiarcelo sopra come se si trattasse di una memoria USB classica. E dovrà farlo ogni volta che c’è un aggiornamento.

    C’è un modo per sapere quando saranno disponibili i nuovi racconti della seconda stagione? Sì, bisogna iscriversi alla newsletter, o al canale Telegram, o a entrambi. Considerate che con la newsletter riceverete al più 3-4 comunicazioni all’anno.

    La registrazione alla newsletter può essere fatta al seguente indirizzo:

    https://tinyletter.com/unruhe

    Per l’iscrizione al canale Telegram o si cerca Giovanni Venturi nell’app relativa, oppure si arriva tramite l’indirizzo:

    https://t.me/GiovanniVenturiAutore

    Il canale, al momento, ha come immagine la copertina del romanzo Certe incertezze.

    La gestione dello store l’ho verificata personalmente e vi assicuro che a volte un aggiornamento di un e-book, su Android, arriva senza nemmeno accorgersene, quindi deve davvero esserci qualche problema tecnico serio se non dovesse funzionare. Ma allo stato attuale, ripeto, avete già tutti i racconti previsti per la prima stagione, la quale era quella che rappresentava il progetto base, e non è poca roba da leggere.

    Giusto per soddisfare la vostra curiosità vi do alcune informazioni sui titoli presenti in questa prima stagione.

    I nove racconti si compongono così:

    - Arraggia: 3.214 parole, 18.130 caratteri.

    - Andrà tutto bene: 3.948 parole, 23.110 caratteri.

    - Ama, a papà: 5.646 parole, 32.721 caratteri.

    - Basta, andate via!: 6.607 parole, 38.329 caratteri.

    - Autobus n°7: 7.277 parole, 43.508 caratteri.

    - Sterco: 8.249 parole, 48.596 caratteri.

    - Hai saputo?: 13.163 parole, 77.461 caratteri.

    - Cotofò: 9.433 parole, 53.863 caratteri.

    - La persona giusta: 16.081 parole, 93.326 caratteri.

    I primi racconti della seconda stagione sono:

    - Dolce ferragosto: 12.323 parole, 72.567 caratteri.

    - Li faremo godere!: 8.400 parole, 52.227 caratteri.

    Buona lettura.

    Arraggia

    «Antò, liev chelle mman sporc e fetent ’a nguoll a me

    La ragazza aveva labbra carnose e dei lunghi capelli corvini raccolti in una coda di cavallo. Vestiva in modo provocante con una camicetta attillata, una gonna lunga e delle calze a rete.

    «Carmè, ma ppecché devi parlare sempre in dialetto? Non te le tolgo le mani da dosso. E non sono sporche e fetenti.» Le portò in alto e le indicò col mento, sollevandolo appena un po’. «Queste, guardale bene, fanno le meglio scarpe di Napoli, sono mani oneste ’e nu guaglione serio.»

    Rise. «Che cazzo di scarpe farai mai, visto che vengono tutte dalla Cina? Mah.»

    «Sono artigianali, sono meglio di quelle che comprano tutti e sono fatte da me che sono nu guaglione serio.»

    Carmela sbuffò. «Di un ragazzo serio? Non me ne fotte. Non voglio chiavare con te.»

    «E perché?»

    Era tutta accigliata. «Mi fai schifo. ’O pesce ca ttien tu in mezzo alle cosce mi fa schifo assai.»

    Era il mese di agosto, faceva caldo, l’agitazione che provava Carmela doveva essere dovuta al fatto che non erano in vacanza, non erano su una bella spiaggia di Ischia o di Capri con le pacche nell’acqua, come dicevano tutti, ma Antonio non se lo poteva permettere proprio. Il suo salario di ventitreenne andava bene per una pizza di tanto in tanto e Capri era sempre la signora Capri, ma era costosa per loro, per lui.

    Sedette meglio sulla sella del motorino e le allungò di nuovo una mano verso un seno. «Io ti voglio chiavare. Adesso.»

    «Io mi faccio chiavà ’a Rafele. ’O cumpagn tujo

    «Tu vai a letto col mio amico Raffaele? Non è vero. Te lo stai inventando. Non capisco oggi che tieni.»

    «Tengo la fessa che mi prude, che mi volle, ma non mi faccio togliere il prurito da te. Il cazzo del tuo amico è tuosto, bello tuosto e luong e mi ha chiavata che tu te lo sogni di brutto. In tutte le posizioni, in tutte le stanze di casa dei genitori e ogni giorno da un mese a questa parte. E che casa che tengono a Posillipo, è una reggia!»

    «Ti bolle la fessa? Ti prude? Il cazzo duro, lungo, ma stai zitta.» Si sentiva umiliato, prossimo alle lacrime. «Raffaele non le fa ’ste cose. Ti stai inventando tutto. Sei veramente una infame di merda, sei sporca assai.»

    Era cambiata negli ultimi mesi.

    Molto. Troppo.

    Antonio cercò ancora una volta una posizione più comoda sul motorino. Non sapeva se crederle o meno e non ce la faceva a tenerle testa.

    «Dai, fammi chiavare.» Guardò Carmela, le mise una mano tra le gambe e indicò col capo dietro di sé. «Non ci sta nessuno in casa. Stiamo più comodi, oppure se vuoi possiamo chiavare qua, in piedi, o sul prato, sarà più romantico.»

    «Ma allora non ci senti? Mi fai schifo tu e quella specie di cazzo che tieni. Chillo ’e Rafele è tutta ’nata storia. È un cazzo nobile.»

    Quello di Raffaele era tutta un’altra storia? Antonio portò la mano destra indietro e poi, con gran rapidità, la diresse con forza verso il volto di Carmela. Le diede uno schiaffo davvero potente. «Sei una granda granda granda bucchina, una grandissima succhia cazzi, e lo sai!»

    L’impatto sul volto di lei fece in modo da farle girare il viso seguendo il movimento della mano di Antonio, inoltre le lasciò un gran bel segno rosso sulle guance.

    Carmela urlò. «Omm ’e merd! Come sfaccimma ti sei permesso di mettermi ’e mman nguoll

    Era la prima volta che lui le metteva le mani addosso per picchiarla, e con tale rabbia. Si guardò la mano colpevole. Gli tremava, quasi non ci credeva di essere stato capace di fare una cosa del genere.

    Mi ha provocato.

    «E pure quando glielo prendo in bocca mi consolo assai assai. Tiene una capocchia proprio bella gustosa. Mi pare quasi di stare gustando un bel cono gelato con caramello dolce e caldo.»

    «Nunn è ’o vero… non è vero!» urlò.

    «Mi ha portata in un ristorante molto costoso una settimana fa. Ero così contenta che nel cesso gli ho fatto un bel bucchino. Raffaele è un signore, perché lui nemmeno se lo voleva far fare. Mi ha detto che non era per quello che mi aveva portata lì. Un vero si-gno-re.»

    «Co-cosa hai fatto?»

    «Un bucchino. Un bellissimo bucchino

    Antonio era confuso.

    «Gli ho preso il pene in bocca e gli ho succhiato il glande e l’asta, va bene? Qua stiamo parlando con il lord marchese che mi ha portata sulla barca a fare il bagno tutta nuda davanti Posillipo, me lo scordo. Devo parlare in italiano.» Carmela rise di gusto. Si mise una mano sulla pancia e rise, rise come se avesse detto la cosa più buffa del mondo. «Ah, no, Rafele mi ha portata sulla barca e con Rafele ho fatto il bagno nuda, al largo, e sempre Rafele mi ha chiavata stesso nell’acqua di mare fredda. E che bella chiavata, Antò!»

    Non c’era nessuno che li potesse vedere o sentire. Tutto intorno abbondavano campi e frutteti. Non c’era afa e la temperatura, considerando il periodo, era sopportabile, il cielo limpido e azzurro metteva di buon umore, c’era una quiete così densa che sarebbe stato piacevole goderne.

    Immaginò baciare Carmela, metterle le mani tra le gambe, spogliarla e fare l’amore nudi, stesi tra l’erba alta dietro casa, in totale tranquillità in un mese di agosto calmo, in provincia, ma la bocca fetida di lei lo ossessionava, quella voce penetrante che parlava in modo disonesto e impudico di sesso orale, di chiavare, lodando il cazzo di Raffaele, benestante amico comune. Tutto ciò lo mandava alla deriva, lo spaventava a morte.

    «Non ero mai stata chiavata a mare da un signorino così bravo e bello. Tiene delle mani d’oro, io quando lui mi fotte vengo più volte, sai?»

    La colpì ancora. «’Sta buciarda

    Era davvero una bugiarda?

    Non lo voleva sapere, solo sentirle fare quel discorso, provocarlo in tal modo, gli metteva l’ansia addosso. Aveva paura di perderla, ammesso che non fosse già successo. Ma d’improvviso si sentì troppo accaldato per ragionarci su, d’altra parte non era nemmeno il momento migliore.

    Carmela spinse il mento lievemente in basso, mosse le labbra tirando su dal naso il muco di un raffreddore tremendo e sputò un fiotto intenso sul volto di Antonio. «Io mi faccio chiavà dal compagno tuo. Tene nu cazz meglio di quello tuo. È bravo assai a chiavà! Come fotte lui la mia fessa vullente non la fotte nessuno! M’aggio arricriata

    Qualche parola volgare Carmela l’aveva sempre detta, parlavano più in dialetto che in italiano, ma sentirsi dire, con un’espressione colma di disprezzo, che si era fatta penetrare la fessa bollente dal suo amico e che si era divertita assai gli fece crescere una rabbia dentro che non sapeva potesse esistere. Era un continuo disprezzarlo da quando, quella mattina, era andato a prenderla col motorino. Minuti e minuti a sentire le sue atrocità, la sua litania accompagnata da espressioni ambigue, oscene, e da una risata grassa.

    Per un attimo provò a immaginarsela nuda sulla barca, nuda in acqua che veniva con un lungo orgasmo, eccitata come non mai, tuttavia non era successo con lui. Si morse un pollice, forse il dolore lo avrebbe risvegliato dal brutto sogno.

    Si fece male, ma era ancora lì. Era tutto reale. Erano fermi davanti casa sua già da mezz’ora e non c’era verso di fare nulla, se non venire offeso e umiliato. Lei aveva ammesso senza peli sulla lingua che lo aveva tradito ogni giorno nell’ultimo mese, che andava a letto con Raffaele con gusto, con immenso piacere, perché lui la faceva godere tanto.

    M’aggio arricriata. M’aggio arricriata.

    Ecco perché lei si inventava mille scuse per non uscire più con lui. Cosa altro doveva sentirle dire? Non poteva certo pretendere che gli mettesse per iscritto che lei lo stava lasciando. Era evidente.

    No, no, no, sta pazzianno. Scherza, lei.

    Restò col muco e la saliva appiccicati al viso, incredulo e indeciso sul da farsi. Dopo quelle frasi cariche di odio, pronunciate con una tale volgarità – non ci poteva pensare quanto si fosse fatta scurrile e brutta – da fargli schifo, dopo il muco che gli scivolava addosso non si sarebbe più limitato a due schiaffoni, l’avrebbe riempita di cazzotti sul viso, nel petto, le avrebbe colpito il volto con tutte e due le mani, coi palmi aperti che le schiacciavano le guance in modo feroce, urlandole contro male parole a raffica. Le avrebbe spezzato le braccia dandole calci, però lui la amava. Tratteneva con enorme difficoltà la voglia di piangere. Non doveva versare lacrime perché avrebbe finito solo per peggiorare le cose.

    «E tu, con questa giornata di sole, mi porti qua dove non ci sta nessuno perché mi vuoi chiavare, invece di farmi prendere un po’ di sole a mare. Tu dormi in piedi, lo sai? E Raffaele… Lui mi fotte.» Rise in modo sguaiato, con la bocca enorme aperta.

    Antonio cercò con tutte le forze di restare calmo. Prese fiato e le sorrise. «Mi voglio dimenticare tutte queste bugie che mi hai detto. Forse ti sei arrabbiata perché non ti ho portata al mare nemmeno il giorno di ferragosto, lo capisco, ma è perché io ti voglio sposare. Adesso, Carmè.»

    Prese un piccolo pacchetto che era riuscito a nascondere nel casco un attimo dopo esserselo tolto, prima.

    «Guarda tu stessa se dico bugie.»

    Glielo diede, e Carmela lo prese, lo aprì, lo osservò.

    «Era di mia nonna» aggiunse lui.

    Aveva parlato con la madre. Aveva aperto il suo cuore a lei, le aveva parlato di Carmela, di quando si erano conosciuti e di quanto la amasse. La madre gli aveva detto che era troppo giovane e che ancora doveva trovare un lavoro, sistemarsi per bene, ma se lui l’amava così tanto allora doveva darle quell’anello. Era semplice, sì, ma era ricolmo di antichi sentimenti.

    Carmela rise. «Ma che cazzo mi hai dato? Non tiene manco un brillante. Questo anello lo hai preso dalle patatine?»

    Era il ricordo più importate di sua madre, l’ultimo oggetto che la mamma aveva della sua, la bella nonnina di Antonio. Li aveva lasciati quando lui era ancora un ragazzino di tredici anni. Le voleva un bene dell’anima. Avevano passato tanto tempo insieme, avevano preparato dolci in compagnia, avevano riso, lei gli aveva raccontato le storie delle due guerre che aveva vissuto con paura, ma che era riuscita a superare. Non tutti ci erano riusciti. I tedeschi erano stati terribili, gente pericolosa e crudele oltre ogni misura, come si vedeva nei film, come le aveva raccontato nonna.

    «E tu per sottrarmi a Rafele mi vuoi sposare? E con quali soldi? Se ti danno trecento euro al mese è la fine del mondo. Io voglio fare la signora, voglio comprare vestiti costosi. Rafele me ne regala di continuo. Me li regala e poi mi chiava. Anzi non me lo dice nemmeno, sono io che non gli resisto e me lo porto ora sulla lavastoviglie, ora sulla scrivania, ora nel letto dei genitori quando non ci stanno, e poi la domestica pulisce.»

    «Basta!» urlò Antonio.

    «Mi mette quel bel cazzo duro nella fessa e io vado in paradiso. Se mi devo sposare uno, mi sposo lui e non certo a te che mi fai schifo.»

    Lanciò l’anello in aria, lontano. Videro tutti e due mentre si perdeva da qualche parte. La ragazza rise e poi buttò il contenitore per terra.

    Antonio si spostò dalla sella, afferrò Carmela per i capelli – per la coda di cavallo – e tirò con forza. Non voleva, però se la stava cercando.

    «Mamma mia bella, mo’ che vuoi fa’, l’uomo vero col cazzo duro?»

    «Statt zitta, sei putrida! Tutte ’ste male parole, la vuoi finire o no? Stai zitta! E poi l’anello di mia nonna! Tu sei uscita pazza!»

    Carmela si liberò dalla presa, si spostò più indietro, sollevò la gonna lunga e rise. «Mi sta tremando tutto il suttanino, guarda.»

    Lui la colpì con una raffica di schiaffi e manrovesci, potenti come piacevano a lui, liberatori. Non si fermava più, aveva il sangue in testa che pulsava e che chiedeva vendetta. Non si poteva permettere di tradirlo con un amico e, soprattutto, dichiararlo con tanto candore. E non poteva deridere in tal maniera l’anello della nonna.

    Il volto di lei sembrava scosso da corrente elettrica, si muoveva a destra e a sinistra senza controllo, seguendo la direzione di schiaffi e manrovesci, con gli occhi semichiusi mentre lui la picchiava.

    Quando Antonio si fermò un attimo per riprendere fiato, Carmela urlò, gli spinse le mani contro il petto per allontanarlo da sé. «’O cumpagno tuojo non mi ha mai toccata con un dito. Me mette solo ’o cazz bell dint ’a fessa e io mi arrecreo. È lui che mi doveva sverginare, no tu. Capito? Omm ’e merd

    Si ritrovarono tutti e due a guardarsi come cani rabbiosi. Lei mostrava i denti serrati, lui respirava agitato, l’aria gli mancava e la faccia orrida di scurrilità di Carmela non gli piaceva proprio più.

    «Antò, mo’ basta. Appena dico a mio padre quello che mi hai fatto e mi vede in faccia tutta rossa e piena di lividi, ti viene a spaccare la testa.»

    Lei era forte, sembrava abituata a essere presa con violenza, e questo lo stizziva.

    «Tu m’è prumess ca vuliv nu figlio da me. Ogni volta che abbiamo fatto l’ammore tu dicevi: "Ah, sì, miettm ’o cazz dint a fess, sì miettm incinta". Tu me vuliv bene.»

    Lei lo fissò senza reagire.

    Sì, Carmela voleva un bambino, voleva essere messa incinta anche se non erano ancora sposati, anche se avevano tutti e due ventitré anni appena.

    Lei gli morse una guancia. «Mo nun te ne voglio cchiù. Sparisci dalla mia vista.»

    Antonio gridò per il dolore e si ritrasse, mentre qualcosa di denso prese a colare lungo il mento e il collo, si toccò con una mano e per poco non svenne alla vista di tutto quel rosso che gli ricopriva i polpastrelli. «Che cazzo mi hai fatto! Mi hai rotto a sangue. Hai le labbra imbrattate di sangue.»

    «Chiagne ricchiò, chillo ’o cumpagn tuojo m’ fotte meglio di te.»

    La prese a calci. Gliene diede una lunga serie sulle caviglie, sulle cosce, la spinse a terra, le strappò i leggeri vestiti che portava addosso, si calò i pantaloni e iniziò a chiavarsela con arraggia, come diceva lui. Con tanta rabbia. Eccitato come non mai ogni volta che la vedeva tutta nuda.

    Carmela non si muoveva. Restò a farsi scopare. Lui la penetrò con una furia cieca, pronto a perdonarle tutto se si fosse dimenticata di Raffaele.

    Le strinse, infine, le mani alla gola e continuò a muovere il bacino su e giù finché non venne in lei e, a quel punto, strinse ancora di più la gola di Carmela, poi urlò a lungo, le tolse le mani dal collo e le sbatté la testa a terra più e più volte.

    Si alzò, le sputò addosso e si tirò su i pantaloni.

    «Aizate… alzati da terra. M’è fatt ’o bucchin cu ’sta sceneggiata. Ti sei ingoiata la lingua, ora?»

    Aveva perso la pazienza, ancora di più, per quella sceneggiata. Perché si comportava come se fosse rimasta traumatizzata? Mica l’aveva stuprata? Avevano già chiavato varie volte prima che ’o cumpagno Raffaele si mettesse tra loro. Ma Carmela restò immobile, con la bocca e le palpebre aperte. Stava per urlare contro di lei. Non lo fece.

    Si piegò sulle ginocchia, attese, poi si avvicinò alla ragazza stesa a terra, le mise l’orecchio sulla bocca e si accorse che non respirava più, anche il cuore era fermo. Le smosse la testa prima con le mani, poi le sferrò dei calci contro orecchio e tempia più e più volte, stordito, finché, ancora più attonito, non si ritrovò le scarpe sporche di sangue.

    Solo allora fece caso alla pietra sotto la testa di lei. Aveva esagerato, le aveva sfondato il cranio sbattendola a terra con una forza che non sapeva di avere. Cosa accidenti aveva combinato.

    Si accorse di non riuscire a respirare. Sembrava che qualcuno gli avesse tappato il naso e messo una mano sulla bocca.

    Cercò di prendere fiato, ma l’aria era pesante, bruciava, in quell’intenso calore del mese di agosto. Era scosso, spaventato a morte di non riuscire a prendere più fiato, ma dopo un po’ riprese a respirare.

    L’aveva uccisa. Poggiò una mano sulla sella del motorino e un fiotto denso di liquido giallastro gli uscì dalla bocca insieme a una serie di suoni orrendi.

    Vomitò sempre di più, con lo stomaco che gli doleva e con la paura che gli cresceva in corpo. «No, Carmè, non fare la scema, alzati da terra! Io non volevo, io ti voglio bene, ti voglio sposare, te l’ho detto. Ora trovo l’anello di nonna e te lo metto al dito. Aiutami a cercarlo.»

    Lei non rispondeva.

    Urlò disperato, non riusciva a respirare.

    Se lo avessero colto sul fatto sarebbe uscito di galera chissà quando, forse da vecchio decrepito. Se non lo avessero arrestato lo avrebbe ucciso il padre della ragazza, o magari i fratelli, o i cugini, gli zii, i nonni, i vicini. L’assassinio di una giovane donna non si poteva lasciar passare senza curarsene affatto, soprattutto in paese.

    Non ci vide più, le lacrime gli annebbiarono la vista e un attimo dopo si ritrovò a singhiozzare. Gli tremavano le gambe, era senza controllo. Si piegò sulle ginocchia, sentiva ancora il sapore disgustoso del vomito sulle labbra e le lacrime colare lungo il viso.

    Potevano avere un figlio, lui ci credeva, lui la amava nonostante tutto, e poteva renderla felice. Molto felice, e poteva esserlo lui, felice.

    Era ferragosto, avrebbero dovuto festeggiare la sua proposta, con una cena a lume di candela, ma non c’era più nulla da festeggiare.

    Corse in casa, ma non riusciva più a orientarsi, non sapeva nemmeno cosa cercava. Un attimo prima lo ricordava ma ora già lo aveva scordato. Aveva pensato a una soluzione. Ma non aveva molto tempo per metterla in atto.

    Si riebbe e ricordò.

    Si ritrovò nel salone vuoto, dove le ombre si allungavano su ogni oggetto grazie alla leggera luce. Entrava dalle finestre quasi tutte chiuse e coperte da tende bianche. Udiva bisbigli, la risata stridula di Carmela che gli faceva venire la pelle d’oca.

    Per un attimo se la vide davanti agli occhi col sangue che le usciva dalla testa, colando sui capelli, ora tutti appiccicosi e rossi. I denti le erano diventati marci e con le mani davanti alle labbra livide e rigonfie mimava l’atto di fare del sesso orale.

    Sbatté le palpebre e non la vide più.

    Prese una piccola chiave da un cassetto all’ingresso, si diresse verso l’armadietto nel ripostiglio e la usò. Tirò fuori il fucile da caccia di suo padre, lo caricò, corse in bagno, si richiuse la porta alle spalle, fece scattare la serratura della porta grazie alla chiave che era sempre nella toppa. Si chiuse dentro, col cuore

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