Tra onde e particelle: La affascinanti storie del fotone
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Anteprima del libro
Tra onde e particelle - Matteo Cristiani
Introduzione
«Quelli che non rimangono scioccati la prima volta che si imbattono nella meccanica quantistica non possono averla compresa». Molti anni sono passati da quando Niels Bohr pronunciò questa frase, eppure continua a essere vera. Dopo oltre un secolo dalla sua nascita, infatti, la meccanica quantistica sorprende ancora. E non solo il profano che cerca di farsene un’idea, ma anche (anzi, forse soprattutto!) quegli scienziati che a tutt’oggi mettono alla prova nei loro laboratori le predizioni di questa teoria. Ma ciò che veramente lascia di stucco è che quelle predizioni, che sembrano spesso un attentato al buon senso, finiscono sempre per essere puntualmente confermate dagli esperimenti, e con un grado di precisione che non ha precedenti.
Tra tutte le stranezze che ci riserva la teoria quantistica, quella che fin da principio lascia perplesso chi si avvicina al suo studio è il cosiddetto dualismo onda-particella. Qualsiasi lettore che si sia interessato anche superficialmente all’argomento avrà sicuramente sentito dire che la materia presenta un comportamento che è al contempo ondulatorio e corpuscolare. Ma che cosa significa questo esattamente? Se ci viene chiesto di immaginare una particella, è probabile che ci venga in mente qualcosa di simile a una biglia che si muove nello spazio e che, occasionalmente, si scontra con altre biglie, magari colorate. Se invece pensiamo a un’onda, vedremo di fronte ai nostri occhi il mare, con la superficie agitata da cavalloni schiumanti oppure leggermente increspata, dipendendo dall’umore del momento. Queste due immagini non sembrano avere molto in comune: come può un oggetto comportarsi allo stesso tempo come una biglia e come un’onda? Lo scopo del presente libro è quello di dare una risposta a queste domande.
Nelle pagine che seguono ripercorreremo lo svolgersi di una storia per tanti versi sorprendente, ovvero quella del nostro modo di intendere cosa sia realmente ciò che chiamiamo luce. Come vedremo, infatti, fu proprio lo studio dei fenomeni luminosi che, dopo un lungo e tortuoso cammino, portò gli scienziati a osservare e comprendere il curioso comportamento della natura che va sotto il nome di dualismo.
La prima tappa del nostro viaggio attraverso la storia ci porterà nell’antica Grecia, in cerca delle origini della questione. Analizzeremo che cosa ebbero a dire gli antichi filosofi a proposito della vista e dei fenomeni luminosi, e vedremo come quei semi dettero vita nel XVII secolo a due teorie alternative sulla natura della luce. Parleremo dei fautori della teoria corpuscolare, i quali assumevano che la luce fosse costituita da un flusso di particelle (i così detti corpuscoli, appunto); e discuteremo anche le opinioni di coloro che invece ritenevano che la luce fosse una specie di onda, e che a partire da questo presupposto elaborarono quella che va sotto il nome di teoria ondulatoria.
I sostenitori dell’uno e dell’altro punto di vista si scontrarono durante oltre un secolo. Attraverso le pagine di questo libro ripercorreremo le vicende di questa specie di guerra che si svolse usando le pacifiche armi della ricerca scientifica: l’osservazione sperimentale e il ragionamento. Parleremo dei protagonisti e delle loro ragioni, e seguiremo il modo in cui la teoria ondulatoria finirà faticosamente per affermarsi durante il XIX secolo.
Ma come nelle migliori storie di suspense, quando il caso sembra ormai risolto, interviene sempre un clamoroso colpo di scena. E così, quando la questione relativa alla natura dei fenomeni luminosi sembrava chiusa per sempre, nuove evidenze sperimentali misero in dubbio la teoria vigente. Come vedremo, al principio del XX secolo gli scienziati, spinti da questi sorprendenti risultati, furono costretti a ripensare le loro idee e ad ammettere che la luce non fosse un’onda, e nemmeno una particella. Seguendo i passi degli uomini che presero parte a questo processo, vedremo come sorse nelle loro menti il concetto di dualità, che è alla base della meccanica quantistica.
Il lettore che decida di accompagnarci attraverso questo percorso, costellato di personaggi interessanti e di vicende rocambolesche, scoprirà che il progresso scientifico è molto meno lineare di quanto a volte non si lasci intendere, e che il cammino seguito dalla scienza è spesso arzigogolato. E comprenderà anche che la scienza non è il frutto di poche menti brillanti, ma è un’opera collettiva, fondata sul lavoro di numerosissimi individui. Alcuni di questi individui, un numero esiguo, sono dotati di un’intelligenza superiore, mentre il resto, la stragrande maggioranza, sono persone normali, mosse dal desiderio di capire come funzioni il mondo. Se avrete la pazienza di seguirci, scoprirete come lo sviluppo della scienza sia il risultato dello sforzo di tutti coloro, geni o comuni mortali, che hanno dedicato le loro vite a questa attività.
Preludio: le origini
Stabilire che cosa intendiamo con la parola «scienza» è un compito più difficile di quanto non si creda. Gli sforzi compiuti a partire dal secolo scorso per trovarne una definizione univoca testimoniano questa difficoltà. E la situazione si complica ulteriormente quando volgiamo lo sguardo al passato: basti pensare alle problematiche che sorgerebbero qualora volessimo interrogarci sul momento esatto in cui sarebbe nata l’impresa intellettuale alla quale alludiamo quando usiamo questo termine.
A margine di tutte queste domande è innegabile che i fondamenti dello sviluppo intellettuale della nostra civiltà possono e debbono essere rintracciati nel passato. E ciò è vero anche se limitiamo la discussione all’argomento che costituisce l’oggetto di questo libro, ovvero il modo in cui sono cambiate le nostre idee in relazione a che cosa sia la luce. La vista difatti è indubbiamente uno dei canali più importanti tra quelli che permettono all’essere umano di esplorare il mondo che lo circonda. Non risulta sorprendente pertanto che, fin dall’antichità, l’umanità si sia interrogata sulle modalità che presiedono al funzionamento della visione.
La nostra storia prende inizio attorno al VI secolo a.C. quando, nelle colonie greche sulle coste dell’Asia Minore, alcuni uomini cominciarono a porsi delle domande sulla natura delle cose. Di che cosa è fatto il mondo? Qual è la sua origine? Tali questioni non erano del tutto originali: in passato la tradizione e la religione avevano affrontato quegli stessi problemi, fornendo una possibile interpretazione del funzionamento del mondo. Ciò che comincia a cambiare è il modo di cercare una risposta a tali quesiti: le spiegazioni di carattere soprannaturale cedono lentamente il passo alla speculazione razionale.
Gli atomisti
Tra le prime concezioni sulla natura del mondo che videro la luce nella Grecia classica, la teoria atomista è forse quella che più si avvicina alla concezione moderna della realtà fisica.
Si ritiene che il primo atomista sia stato Leucippo, anche se le notizie al suo riguardo sono talmente scarse da far dubitare alcuni studiosi persino della sua esistenza. Il suo nome fu sempre unito a quello di Democrito di Abdera (460-370 a.C.), e i due vengono considerati i fondatori dell’atomismo antico.
Democrito era considerato un grande studioso della natura e, come suole accadere in questi casi, veniva anche dipinto come il classico scienziato distratto. Abbondano storielle sulla sua sbadataggine: si dice per esempio che i suoi campi fossero costantemente invasi dal bestiame, che mangiava il raccolto mentre il filosofo era assorto nei suoi pensieri. Le sue dottrine sono descritte in numerosi libri a lui attribuiti, dei quali ci restano alcuni frammenti.
La filosofia atomista nasce come tentativo di trovare una risposta ad alcuni dei problemi filosofici dell’epoca, in particolare quelli sollevati da Parmenide e il suo discepolo Zenone. Essa riteneva che l’Universo fosse costituito da un numero infinito di particelle microscopiche, gli atomi, contenute in uno spazio vuoto e egualmente infinito. Questi atomi, talmente piccoli da sfuggire ai nostri sensi, sarebbero agitati da un costante movimento: si avvicinano, si scontrano, tornano ad allontanarsi. Tale movimento è all’origine della mutevolezza della realtà che osserviamo.
Gli atomi possiedono alcune qualità intrinseche, come la forma per esempio: possono essere concavi o convessi, regolari o irregolari, provvisti di sporgenze o rientranze. Mentre si spostano nello spazio vuoto possono venire in contatto e unirsi tra loro, dando così origine ai corpi che vediamo attorno a noi. Aristotele, spiegando in uno dei suoi testi le idee di Democrito, fornisce un esempio molto efficace per illustrare questo punto di vista: gli atomi sono come le lettere dell’alfabeto che, unendosi, formano parole e frasi diverse.
Probabilmente il lettore sarà colpito dalla modernità di questi concetti. Indubbiamente le dottrine atomiste hanno esercitato una notevole influenza sullo sviluppo della scienza occidentale. In ogni caso è importante sottolineare che questa visione della natura differisce significativamente da ciò che ci aspetteremmo da una moderna teoria scientifica. L’esistenza degli atomi viene supposta a partire da una speculazione e non si cerca una conferma di queste ipotesi nell’osservazione sperimentale. Inoltre non viene data una prescrizione esatta del movimento degli atomi, pertanto il modello non può dar luogo a predizioni verificabili sul comportamento della natura.
Queste considerazioni non sminuiscono il valore e l’importanza dell’atomismo greco. È sempre bene tenere in mente difatti che per attribuire il giusto peso alle idee del passato è necessario confrontarle con il loro contesto e non con quelle attuali. In questo senso la dottrina atomista costituisce un significativo passo in avanti rispetto ai modelli a essa contemporanei.
Zenone, Democrito e l’indivisibilità
Tra le prime scuole di pensiero che nacquero in Grecia attorno al VI secolo a.C., quella eleatica riveste un’importanza speciale: le idee sviluppate da Parmenide (510?-450 a.C.), il suo capostipite, non solo esercitarono una grande influenza sui suoi contemporanei, ma costituiscono anche uno dei cardini di tutta la filosofia occidentale. Sinteticamente, Parmenide e i suoi discepoli sostenevano che la ragione può portarci a un’unica conclusione: l’essere (ovvero ciò che è) è, ed è uno e immutabile. Secondo quest’ottica ogni cambiamento deve necessariamente essere soltanto apparente e non reale.
Il più famoso tra i discepoli di Parmenide, Zenone di Elea (490-430 a.C), elaborò una serie di paradossi con i quali pretendeva confermare le idee del suo maestro, dimostrando attraverso ragionamenti per assurdo che l’essere non può muoversi e che deve essere