Il tesoro è la conoscenza
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Info su questo ebook
Un interessante saggio che mette in luce quanto la Chimica possa essere affascinante, divertente e soprattutto utile da conoscere nella quotidianità.
Marino Melissano nato a Lecce, laureato a Bologna, vive e opera a Bolzano dal 1976. Chimico industriale, già docente di Tecnologia delle Industrie Alimentari all’Università di Trieste, già dirigente scolastico, continua la sua attività di libero professionista, formatore e coordinatore di progetti nazionali ed europei, soprattutto nei settori: agro-alimentare, sicurezza alimentare, sostenibilità ed innovazione industriale, economia circolare, energie alternative, certificazioni, eco-chimica. In forma volontaria continua a incontrare giovani e studenti di tutta Italia per informarli e formarli sul consumo consapevole, sulla salvaguardia dell’ambiente e su un’alimentazione corretta ed eco-sostenibile.
È autore di oltre 90 pubblicazioni scientifiche, di 4 testi scolastici di Merceologia e dei libri: Manuale del consumatore (Calderini), Campione naturale, campione gratuito (DSE), Alimenti e alimentazione (Edagricole), Alimentologia (Youcanprint), Giornalista- Pubblicista, ha collaborato per quindici anni, con una sua rubrica settimanale, con il quotidiano “Alto Adige”; per due anni consulente merceologico di RAI 1, intervenendo settimanalmente nella prima versione della trasmissione “Uno-Mattina”.
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Anteprima del libro
Il tesoro è la conoscenza - Marino Melissano
Introduzione
Tutti hanno una sacra paura della Chimica: gli studenti, per i quali equivale a formule da imparare a memoria; i non addetti ai lavori, per i quali, nell’accezione comune, corrisponde a pericolo per l’ambiente (pesticidi, inquinanti atmosferici), pericolo per la salute (alimentare, cosmetica…); tutti coloro che confondono i prodotti chimici con i prodotti chimici pericolosi, come quei rappresentanti dell’onu che nel 2010 hanno firmato una petizione per la messa al bando del monossido di idrogeno
, seguendo molte fake news che gli imputavano numerosi danni, tra cui il suo uso nella produzione di energia nucleare, il suo coinvolgimento nelle piogge acide e, addirittura, la morte se inalato. Peccato che il monossido di idrogeno
non è altro se non il nome scientifico dell’acqua!
Possiamo chiamare questo atteggiamento chemofobia. Paura delle sostanze chimiche, considerate intrinsecamente pericolose, innaturali, contro tutto ciò che è naturale, presente in natura, considerato benefico, salutare.
Il binomio naturale=buono/chimico=cattivo
, non solo non ha alcun fondamento, ma è pericolosamente distorsivo della realtà.
Certamente la colpa non è dei detrattori, ma dei chimici, che non si sono mai preoccupati della giusta comunicazione, spesso chiusi nel loro mondo mitico, ma arcano ai più.
Agli studenti va detto: la Chimica è una materia scientifica e razionale, che non prevede una buona memoria, ma un buon raziocinio, tutto si ricava, anche una formula.
Vorrei citare le parole di Deborah Blum "la chimica non è la storia di qualche esperimento strano fatto in un laboratorio, è la storia di come viene cucinata la cena, dell’effetto di un farmaco sul nostro corpo o di qualcosa di altrettanto importante". Da qui l’approccio ad una chimica legata a qualcosa che conosciamo, con cui possiamo confrontarci, perché sappiamo di cosa si sta parlando.
Non addossiamo colpe che la Chimica non ha: pensiamo a quante vite la Chimica ha salvato, a quanto ci ha aiutato e ci aiuta nella gestione della quotidianità. Impariamo ad usarla per i nostri scopi, impariamo a conoscere i composti chimici pericolosi e come affrontarli ed evitarli.
Attribuire un significato dispregiativo o legato ad un danno per l’uomo, come spesso accade nell’immaginario comune, alla parola chimica, è errato e fuorviante. Infatti, tutto è Chimica; noi siamo Chimica, in quanto l’organismo umano è un insieme di atomi e molecole complesse, è un meraviglioso e perfetto laboratorio chimico, dove in ogni istante avvengono mirabolanti reazioni, impossibili da riprodurre alle medesime condizioni di temperatura e pressione al di fuori del nostro corpo.
La Chimica dell’origine della vita, argomento affascinante, fu ricostruita da un esperimento degli anni Cinquanta del XX secolo, del chimico Stanley Miller e dal suo docente e premio Nobel Harold Urey, che riproposero un’atmosfera primordiale, composta da ammoniaca, metano, idrogeno e acqua, che, sottoposta a scariche elettriche continue, produceva spontaneamente alcuni amminoacidi, i costituenti delle proteine, e altri costituenti biologici, basilari della vita.
Così come tutti gli alimenti che portiamo a tavola sono costituiti dagli stessi composti chimici presenti nell’organismo umano. Naturalmente, esistono composti chimici salutari, indispensabili (l’ossigeno che respiriamo, le proteine, le vitamine, molti metalli che svolgono funzioni antiossidanti o catalizzatrici o biochimiche) e altri potenzialmente tossici, velenosi, o anche mortali.
Altra accusa comune: la Chimica è soffocante e noiosa. Sta a noi renderla viva e allegra. Come? Conoscendola meglio, diventando consapevoli che: la Chimica… siamo noi; giocando con essa; scoprendo come renderla necessaria al nostro vivere quotidiano, utile al nostro servizio. Questo è lo scopo del libro che vi accingete a leggere.
Nel 1862 Feuerbach pubblica una celebre opera, conosciuta con il titolo L’uomo è ciò che mangia
, nella quale sosteneva che noi coincidiamo con ciò che ingeriamo. In effetti, tutti gli alimenti che portiamo a tavola sono costituiti dagli stessi composti chimici presenti nell’organismo umano.
Ma ricordiamoci sempre che non esiste un composto sicuro al 100%, né un composto letale al 100%: è sempre la quantità, la concentrazione, che determina innocuità o tossicità. Ogni sostanza ha un limite di sicurezza, al di sotto del quale non è pericolosa per la salute umana. Tale limite, per tutte le sostanze potenzialmente pericolose, è frutto di ricerche analitiche e test microbiologici ed è fissato per legge. Si parla di Dose Giornaliera Accettabile, o dga.
Già nel XVI secolo, il grande Paracelso affermava che: "Tutto è veleno, e nulla esiste senza veleno. Solo la dose fa in modo che il veleno non faccia effetto". È con Paracelso che l’alchimia si trasforma in senso meno metallurgico e più chimico. Egli fonda la medicina spagirica (dal greco spao, separare e ageiro, riunire), che, grazie alla separazione dei principi attivi delle piante e alla loro ricongiunzione, dà origine a molti rimedi terapeutici, ancora oggi usati nelle terapie naturali.
Soprattutto dal XV al XVIII secolo, sono gli alchimisti a sondare i segreti dell’universo e della materia. L’alchimia non è una chimica primordiale, ma un sistema filosofico esoterico che, attraverso diverse discipline, vuole conquistare la conoscenza, la ricerca delle trasformazioni della materia, che possono portare alla Pietra filosofale, elisir di lunga vita, capace di trasformare i metalli vili in metalli nobili (oro e argento). Questa ricerca era però sempre una ricerca spirituale, avulsa da interessi economici: colui che desidera la pietra filosofale per la ricchezza e per il bene materiale, non la troverà giammai, legata, invece, ai fenomeni cosmici: ognuno dei sette corpi celesti del sistema solare conosciuti, era associato ad un metallo (i sette metalli alchemici):
È il Sole che governa l’oro, la perfezione assoluta;
la Luna è collegata all’argento;
il Mercurio a Mercurio;
il Rame a Venere;
il Ferro a Marte;
lo Stagno a Giove;
il Piombo (oro inverso) a Saturno.
Tutti erano in relazione con l’anatomia umana.
Mi è cara una poesia del chimico poeta Alberto Cavaliere, che si definì alchimista:
Da giovane studente, alunno d’istituto,
non andai mai d’accordo col piombo o col bismuto;
anche il vitale ossigeno mi soffocava; il sodio,
per un destino amaro, sempre rimò con odio;
m’asfissiò forte a scuola, prima che, in guerra, il cloro;
forse perfino, in chimica, m’infastidiva l’oro.
E di tutta la serie sì numerosa e varia
di corpi e d’elementi, sol mi garbava l’aria,
quella dei campi, libera, nel bel mese di luglio:
finché non m’insegnarono che anch’essa era un miscuglio!
Un vecchio professore barbuto, sul cui viso
crostaceo non passava mai l’ombra d’un sorriso,
un redivivo Faust, voleva ad ogni costo
saper da me la formula d’un celebre composto.
Non sapevo altre formule che questa: H2O;
e questa disse: il bruto, senz’altro, mi bocciò.
Poi ch’era ancor più arida nella calura estiva,
io m’ingegnai di rendere la chimica più viva;
onde, tradotta in versi, l’imparai tutta a mente,
e in versi, nell’ottobre, risposi a quel sapiente.
Accadde un gran miracolo: quell’anima maniaca,
che non vedeva nulla più in là dell’ammoniaca,
dell’acido solforico, del piombo e del cianuro,
rise, una volta tanto, e m’approvò: lo giuro!
Mi lusingò quel fatto: volevo far l’artista,
e invece, senz’accorgermi, divenni un alchimista...
Oggi distillo e taccio in un laboratorio,
dove la vita ha tutto l’aspetto d’un mortorio.
E vedo, in fondo, dato che non conosco l’oro,
dato che ancor mi soffoca, sempre accanito, il cloro,
che non avevo torto, e il mio pensier non varia:
la miglior cosa, amici, è l’aria, l’aria, l’aria!...
Alchimisti, quindi, non stregoni dal cappello a punta, ma filosofi, scienziati, amanti dell’arte, avvolti da una quiete spirituale coraggiosa e sincera, anche loro screditati da sempre dalla fantasia popolare, dall’incomprensione, commentate a volte da illustri pensatori. Anche loro attaccati da quella che potremmo definire "Alchemofobia. Un’incisione di P. Bruegel il Vecchio, intitolata
Benvenuto alchimista", attesta lo sfavore in cui versava la Scienza ermetica, sfavore che contribuì a marginalizzare i suoi adepti: l’alchimista si affanna in mezzo ai suoi alambicchi, attiva un fuoco avvolto nel fumo, agita miscugli, mentre la sua sposa spreme una borsa disperatamente vuota…
Certamente gli alchimisti non si curarono delle varie asserzioni menzognere e continuarono ad operare nel silenzio dei loro lab-oratori, spronati dalle loro credenze spesso mistiche e dalla loro scienza ermetica, che non può essere studiata secondo le sole modalità empiriche.
Claude d’Ygé de Lablatinière, erudito esoterista, afferma che "Non c’è possibilità di Alchimia senza una quotidiana comunione dell’alchimista con la Natura, con la sua materia (la sua Beatrice), la Signora dei suoi pensieri, e senza l’esperienza del laboratorio. In effetti, l’alchimista alimenta il processo sperimentale attraverso la riflessione mistica; davanti alle sue storte e ai suoi fornelli verifica le intuizioni nate nel corso delle meditazioni nell’Oratorio e delle osservazioni dei fenomeni naturali; è la Natura la linea guida dell’adepto, il filo d’Arianna in un labirinto che si apre e rivela relazioni misteriose che associano l’anima universale alla vita segreta degli elementi chimici, più particolarmente dei metalli. Le successive esperienze in lab-oratorio tendono a liberare lo
spirito dei metalli: l’oro alchimistico ottenuto dalla purificazione dei metalli, a conclusione della
Grande Opera (itinerario che porta alla pietra filosofale), attuerebbe questa liberazione. Al termine di una lunga serie di manipolazioni la materia originale si trasforma o si purifica, per divenire
pietra filosofale", suscettibile di donare immortalità a chi la possiede e di trasformare i metalli vili in oro. Si sublima così il processo della Creazione: anima e materia si rivelano in una reciprocità trasfigurante; il passaggio da un componente impuro all’oro filosofale traduce l’elevazione della materia: la Terra si congiunge al Cielo.
Il simbolismo alchemico lo troviamo in molte opere di pittori, scultori, incisori, chiamati a illustrare lo svolgimento simbolico della Grande Opera. Nel 1922 apparve un’opera bizzarra Il mistero delle Cattedrali
, redatta da un misterioso adepto, chiamato Fulcanelli; scritta con dovizie di particolari ben documentati, trattava il significato ermetico nelle statue gotiche, che ornavano portali e frontoni di alcune cattedrali francesi, tra cui Notre-Dame di Parigi.
In effetti, un certo Gobineau de Montluisant affermò, in un suo scritto, di aver avuto, il 20 maggio 1640, durante la veglia dell’Ascensione, la rivelazione del significato alchimistico delle figure che ornavano il portale centrale della cattedrale parigina, la cui paternità fu attribuita a Guillaume d’Auvergne, vescovo di Parigi dal 1228 al 1249, che diresse personalmente i lavori di costruzione dei monumenti e che fu egli stesso un cultore di esperienze alchemiche. Detto portale è ornato da una figura enigmatica, apparentemente femminile, seduta, che tiene nella mano sinistra due libri, il primo aperto e il secondo chiuso, mentre nella mano destra porta uno scettro; davanti a lei si erge una scala a nove gradini.
Secondo Fulcanelli questa statua rivela il nome della Vergine, o simbolo della Natura, che incarna la via reale della Grande Opera. Il libro chiuso è il simbolo dell’esoterismo; quello aperto è lo stesso esoterismo e lo scettro è paragonabile al caduceo (simbolo di pace e prosperità) di Mercurio (verga alata, con due serpenti attorcigliati, oggi simbolo della scienza farmaceutica): emblema della trasmutazione; la scala simbolizza il noviziato, l’elaborazione della Pietra, mentre gli scalini corrispondono ai diversi gradi dell’Opera.
Fulcanelli interpreta la struttura architettonica di Notre-Dame come un simbolo vivente della Grande Opera e delle fasi che ad essa portano: i tre grandi rosoni rappresenterebbero l’Opera in Nero (calcinazione e putrefazione), l’Opera in Bianco (sublimazione e purificazione) e l’Opera in Rosso (trasmutazione).
Storia? Leggenda? Certo, sarebbe assurdo discorrere sul significato reale della pietra filosofale; non è in dubbio, però, che essa corrisponde ad una forma di coscienza universale, naturale, che svela ciò che noi presentiamo talvolta sotto il nome, molto evasivo, di realtà! Decisamente l’alchimia non ha nulla a che fare con le speculazioni medioevali; i suoi principi sono più che mai attuali. La pietra filosofale non è mai esistita, ma l’oro degli adepti risplende nel cuore di ognuno di noi. Non magia, ma ricerca della Verità, della Via della Creazione. Difficile, quindi, pensare ad un’Alchimia antesignana della Chimica, più vicina alla spiritualità teologica