Le dieci case del borgo
Di Fabio Amadei
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Anteprima del libro
Le dieci case del borgo - Fabio Amadei
A due passi dal Colosseo
Il vecchio era malfermo sulle gambe e il giornalista lo cinse alla vita e lo guidò a piccoli passi dentro l’appartamento di via dei Serpenti.
«Mi ripete chi è lei? Non l’ho mica capito» chiese l’anziano che, aiutato dal giovane, si lasciò cadere su uno sgabello di metallo, l’unico oggetto rimasto integro della casa.
«Mi chiamo Roman Sonnino e mi occupo di cronaca cittadina. Scrivo per il Notiziario Monti, un foglio settimanale che avrà visto nei negozi del rione».
«Ah, è venuto a ficcare il naso in casa mia! È stato mandato da quei negri fetenti che mi hanno devastato la casa?» gridò il vecchio tentando di alzarsi senza però riuscirci. Respirava a fatica e le mani gli tremavano nonostante lui le avesse affondate nelle capienti tasche del cappotto.
Pensò alle parole di sua madre. «Perché devi occuparti dei fatti di cronaca nera? Non vedi quanta cattiveria c’è in giro? Roma non la riconosco più. Ognuno pensa per sé e nessuno ti saluta. C’hanno tutti il muso lungo, magari pensano ai loro guai… Tira una brutta aria, Roman, e prima o poi ti metterai nei guai». «Non devi preoccuparti» le aveva detto lui posandole la mano sulla spalla. «So pensare a me stesso, e come vedi, non sono più un bambino». Lei lo aveva accarezzato veloce, poi aveva voltato la sguardo. Andava a trovarla la domenica nel piccolo appartamento in via dei Capocci, la strada famosa in passato e ancora oggi per le belle di giorno. È una via stretta e corta che inizia da via Panisperna e finisce in piazza degli Zingari. Di solito a esercitare il mestiere sono donne non più giovani. La settimana prima una di loro, una sessantenne bassa e robusta sulla soglia di casa, gli aveva fatto un cenno con la testa. Un cenno complice e impercettibile.
Il giornalista era alto un metro e novanta, aveva spalle larghe e un tatuaggio sul collo dove era scritto in corsivo No borders. L’altro invece era un mingherlino con un gran naso costellato di venuzze rossastre, e indossava un cappotto marrone impolverato che gli arrivava fino ai piedi.
Il giovane osservò i vetri rotti della credenza. Si avvicinò al mobile bruciacchiato e vide che i piatti, le tazze e i bicchieri erano ridotti in frammenti, come fossero esplosi. Il tavolo di legno era spezzato in due come pure le gambe. Si avvertiva un forte odore di bruciato. Centinaia di dischi in vinile erano disseminati dappertutto, persino sopra il lampadario. Le copertine erano invece carbonizzate.
Roman arricciò il naso e aprì la finestra. Alla sua destra, in lontananza, si vedeva una fetta di Colosseo. Lo stretto marciapiede era affollato di turisti nonostante la giornata fredda e ventosa. Tre ragazzi americani con cappellini e t-shirt si scambiavano risate e pacche sulla schiena. Una comitiva di giapponesi trotterellava dietro la guida turistica che avanzava spedita. Una donna di mezza età camminava a fatica tirando il carrellino della spesa. Un gatto sfrecciò attraversando la strada. Un’anziana faceva bere il suo cane da una bottiglia di plastica tagliata in due.
Il vecchio aveva chiuso gli occhi e si lamentava. Sembrava stesse facendo un brutto sogno. Roman gli strinse la spalla con delicatezza.
«Il nostro giornale vuole fare una raccolta fondi per aiutarla, signor De Laurentis. Quello che le è successo è terribile, ma la prego, non dica quella parola».
«Io dico quello che mi pare e piace in casa mia, ha capito? Lei sarà pure uno stangone ma non mi fa paura» disse l’anziano puntandogli l’indice contro.
«Il mio migliore amico è un quarantenne del Senegal. Ero con lui anni fa a Lampedusa a soccorrere i migranti come volontari della protezione civile».
«Bella roba, cazzo! È stato senz’altro qualcuno dei suoi amici a infilarsi in casa mia occupandola per cinquantacinque giorni. Me l’hanno distrutta per dispetto dopo che il giudice, svegliandosi dal letargo, ha deciso per lo sgombero».
«Il mio amico è titolare di una ditta di pulizie e dà lavoro a un bel po’ di persone, compresi ragazzi italiani. Io sono nato in Romania e sono stato adottato da una famiglia del rione. Mi hanno dato il loro cognome, ma soprattutto una possibilità».
«Ecco cosa mi hanno fatto!» gridò il vecchio estraendo una foto dalla tasca del cappotto. «Si sono divertiti a disegnare i baffi alla mia povera Jole e a farle dei buchi negli occhi».
Il signor De Laurentis scosse la testa e iniziò a piangere.
«Mi dispiace molto» mormorò Roman.
«L’unica cosa che si è salvata è questo sgabello e l’asta della bandiera. Il tricolore l’hanno buttato nel cesso insieme al cappello piumato. Da giovane ero nei bersaglieri» affermò il padrone di casa asciugandosi le lacrime con la manica del cappotto.
«Kalidou le può dare una mano a ripulire l’appartamento. Ho un amico imbianchino e…».
«No, non voglio aiuti da nessuno! Ieri sono rientrato in casa mia e nel letto non ci ho potuto dormire. Mi sono accucciato in quest’angolo come un cane rognoso. Il materasso è sventrato e le lenzuola stracciate, il bagno invece l’hanno preso a martellate, ed è successo proprio qui, a due passi dal Colosseo. Siamo circondati da vandali, da bestie che non hanno rispetto per niente e per nessuno. Questi selvaggi vanno rispediti a casa loro, perdio!».
«Tanta gente del rione vuole darle una mano».
«Sa quanti anni ho?».
«Ottantanove. Il suo è diventato un caso nazionale. Ne ha parlato la tivù e la stampa».
«Hanno rubato la collana e gli orecchini d’oro di mia moglie e distrutto i dischi di musica classica e jazz che avevo da una vita. E queste persone sono libere di girare indisturbate grazie a gente come lei».
«Non può generalizzare, non può…».
«Basta! Mi lasci in pace e non si faccia più vedere».
D’improvviso la porta si spalancò. Spinta con violenza la porta rimbalzò contro la parete. La maniglia si staccò e finì a terra insieme a pezzi di intonaco.
Una coppia di colore piombò nell’appartamento.
«Porco fascista, tu denunciare noi a carabinieri e adesso tu muori» gridò l’uomo.
La donna che gli stava accanto, poco più indietro, aveva gli occhi iniettati di sangue; nella mano stringeva un machete.
«State calmi, possiamo sistemare tutto» disse il giornalista.
«Tu non aggiusta niente. Casa era abbandonata, adesso casa nostra» urlò la donna passando il machete nell’altra mano.
«Abbandonata? Mi hanno ricoverato in ospedale per un’operazione all’anca e parli di casa abbandonata? Maledetta!» gridò il vecchio alzandosi e tentando di muovere un passo in avanti.
«Signor De Laurentis, stia fermo! Possiamo trovare una soluzione, basta che…».
La donna avanzò verso il padrone di casa. Alzò il braccio con l’intenzione di sferrare il colpo. Roman fece un balzo in avanti e le afferrò il polso sfilandole dalla mano il machete. Lei perse l’equilibrio e cadendo all’indietro gridò: «Razzista! Fascista!».
Il giovane la aiutò a rimettersi in piedi mentre il marito della donna si avventava contro il vecchio strappandogli la foto dalle mani.
Roman Sonnino afferrò l’asta della bandiera colpendo più volte l’uomo sulle spalle e sulle gambe.
«Se non andate via entro un secondo faccio una strage» disse a voce alta il giornalista brandendo l’asta che adesso era spezzata.
Roman prese il cellulare e chiamò i carabinieri denunciando la coppia per aggressione e minacce. Fece una breve descrizione dei due.
«Bravo» disse l’anziano raccogliendo la foto dal pavimento.
«Oddio, perché ho chiamato i carabinieri? Non dovevo farlo» esclamò Roman chinando e scuotendo la testa.
«Facciamo quasi sempre cose che non vorremmo fare» disse il padrone di casa buttando tra i vinili l’immagine di Jole.
Affiancamento
Stringi il pomello del cambio mentre osservi due piccioni zampettare sopra il cofano della tua nuova Fiat cinquecento L nera parcheggiata nel piazzale della stazione ferroviaria di Vicenza. Allunghi il collo e con le mani mimi uno strangolamento, e i pennuti, in due secondi netti, atterrano sul marciapiede continuando a muovere convulsamente la testa avanti e indietro come indispettiti e pieni forse di risentimento. Abbassi tutti i finestrini dell’auto: l’afa e l’umidità mattutina ti fanno sudare e imprecare; le maledizioni sono però rivolte al tuo direttore che avrebbe dovuto essere seduto al tuo fianco e che invece risulta disperso. Forse è meglio avvertire i clienti, ti domandi per l’ennesima volta. Ti gratti il naso, ti asciughi la fronte e poi annusi le ascelle.
Dici a te stesso di essere pronto. Ora o mai più! Non intendi rinviare la decisione. A costo di cambiare mestiere. Molli un pugno sul cruscotto. Non puoi tirarti indietro proprio adesso. Tua moglie non tollera ulteriori rinvii. Quando avevi parlato col titolare al telefono lei era al tuo fianco e tamburellava con le dita tormentando una scatola di biscotti al cocco.
«Dottore, senz’altro lei è a conoscenza di quanto siano aumentate le spese per gli spostamenti, e sa benissimo quanto ha pesato la pandemia sugli affari. In quindici anni di lavoro …» avevi iniziato a dire.
Il dottor Pirotta però aveva troncato la frase. Era stato telegrafico: «Dal Maso, questo me lo ha già detto con tutti i dettagli l’ultima volta che ci siamo visti, ne parli a Molinari; se lui è d’accordo, a me sta bene».
Il cavalier Pirotta è ben disposto, pensi. Come fa a nutrire tanta fiducia sul nuovo direttore? Purtroppo è Molinari la persona da convincere.
Accendi l’iPad e scrivi: Non devo fare nessun passo indietro. Dico la mia e vedo cosa propongono. Non devo cedere di un millimetro (29/07/2022).
Dal 2007 ad oggi il fatturato è cresciuto. La flessione c’è stata nei due anni di pandemia, ma tutti i settori ne hanno sofferto. Le previsioni quest’anno prevedono un incremento del venti per cento, stai addirittura recuperando il fatturato perso; quindi ritieni scontato pretendere dei punti in più di provvigione, o un allargamento di zona insieme a un rimborso spese adeguato. Magari non entrambi. Sei nella posizione ottimale per fare delle proposte. Devono essere loro però a sbottonarsi per primi. Il noto detto recita: pagare moneta vedere cammello.
Tua moglie è in attesa del vostro primo figlio. L’arrivo del primogenito ti regala un filo d’ansia. Avresti preferito fosse il dottor Pirotta a concederti l’aumento. Col direttore non c’è mai stata una grande sintonia. Tra l’altro nessuno dei tuoi colleghi lo sopporta. In tutte le riunioni trimestrali della rete vendita ripete la solita solfa diventata oramai un tormentone: «Non mi interessano le promesse. Portatemi clienti nuovi recuperando i vecchi. Voglio risultati straordinari. Solo così potrete chiedermi la luna».
Ti chiedi se affrontare subito l’argomento o parlarne a pranzo.
Quattro volte sei andato a studiare