La porta del purgatorio
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Anteprima del libro
La porta del purgatorio - Fabio Nunnari
Per Aldo Rampini la vita è cambiata. Era un ispettore di polizia, a Milano, ma a seguito di un incidente che lo ha reso invalido ha dovuto rinunciare al suo lavoro.
Ora è tornato nel suo piccolo paese di provincia e la sua vita, tutt’altro che entusiasmante, si snoda attorno alla monotonia di quel mondo che lo ha originato ma che ora gli va stretto e lo costringe ad una dimensione a lui non più congeniale, una dimensione in cui il tempo è rallentato e ammantato di una noia insopportabile.
È un mondo che lo fa sentire inutile, dove tutto ciò che lo circonda perde d’importanza giorno dopo giorno. In profonda crisi, nostalgico, malinconico, Aldo passa i giorni a riflettere sulla sua vita, sui possibili errori, su quello che era e quello che è ora, incapace di vedere un futuro all’altezza delle sue aspettative. Con un’andatura leggermente claudicante e con qualche crisi d’ansia, ormai la sua unica fonte di luce è rimanere ancorato con la memoria ai momenti migliori della sua vita passata, con quel pizzico di presunzione intellettuale tipico di chi ha qualche anno di esperienza sulle spalle.
L’unica passione di Aldo è la lettura dei libri di narrativa. L’unico sfogo è andare a passeggiare di sera ai bordi di un torrente che attraversa la sua cittadina, ed è in quel momento che trova la giusta tranquillità per mettere a frutto le sue personali riflessioni.
Ma è l’incontro con un suo amico d’infanzia, titolare di una piccola agenzia investigativa, che cambierà la sua vita. Lavorare, fare indagini, un ritorno alla normalità, l’auspicio migliore che potesse immaginare. In questa svolta ritroverà se stesso, scrollerà di dosso quell’abulia che lo ha incatenato a lungo ad un’insulsa dimensione, tornando ad essere quell’uomo che aveva dimenticato di essere, oltre che un implacabile quanto efficace investigatore. Ma il caso che si ritrova tra le mani non è certo un caso facile, una donna e poi un uomo, appartenenti a mondi diversi e allo stesso tempo molto vicini, vengono dapprima rapiti e poi barbaramente uccisi, entrambi allo stesso modo. Sembra una missione di quelle impossibili, la polizia ha gettato la spugna ormai da tempo, ma Aldo ha un’intuizione che lentamente prende forma dentro di lui e che lentamente lo conduce alla soluzione del caso, una soluzione a cui di certo non era preparato ed un mistero che viene svelato molti anni dopo.
Una storia incredibile che mette al centro dell’attenzione alcune piaghe che hanno afflitto gli ultimi decenni della nostra società.
Milano. Alla fine del turno mancava ormai una manciata di minuti. Io e il mio collega, Filippo, ritenemmo opportuno fare una capatina in un bar di quella periferia per prendere un caffè. Poi, affamati come eravamo, cedemmo alla vista dei croissant dall’aria fresca e invitante. Dopo anni passati a fare indagini sul campo, mi ritrovai, per fortuna saltuariamente, a fare turni di pattuglia. Il blocco del turn-over aveva causato problemi relativi a carenze di personale e così anche gli ispettori più anziani vennero dirottati su servizi che un tempo erano riservati esclusivamente ai più giovani.
Filippo Maltinti, agente scelto, alto, magro e biondo cenere, prese due croissant. Giovane, metabolismo veloce, io invece ne presi soltanto uno. Approfittammo entrambi della toilette, sporca e molto poco attraente, poco dopo eravamo fuori dal bar. Il disco solare faceva capolino tra le nuvole, ma era ormai troppo basso per scaldarci a dovere.
- Guarda là che sole! Tutta la giornata avvolti nel grigio e poi cinque minuti prima di tramontare sbuca fuori. - Disse Filippo.
- Beh, in fondo siamo a fine marzo, la primavera dovrebbe essere alle porte.
- E me la chiami primavera questa? Io vengo dal Sud e a questo grigio non mi ci sono ancora abituato. E non mi voglio abituare! Sia chiaro!
- E’ per non abituarti che ti sei trovato una di Milano e tra poco te la sposi pure. Pensi forse di riuscire a convincerla a trasferirsi al Sud?
- Chissà! Magari ci riesco.
Si girò verso di me con un sorrisetto diabolico e infantile allo stesso tempo, come per dire vedrai ci riesco. Riprese a parlare, curioso come una vecchia zitella.
- Ma non è che tu ti sei separato perché la tua ex moglie non era soddisfatta di vivere a Milano?
- No caro, i problemi sono stati altri.
Il buon Filippo tendeva a distrarsi con discorsi inopportuni, sempre e puntualmente al momento di pagare. Uscimmo dal locale, entrammo nell’auto di servizio e notai subito lo spioncino della radio acceso.
- Guarda lì, ci hanno cercato... uffà!! Dobbiamo ricordarci di portare sempre con noi il portatile. Così neanche un caffè in pace si può andare a prendere.
Afferrai il microfono.
- Centrale da puma 13!
A volume alto il pirulì di coda mise a dura prova i miei timpani. Poi nulla per alcuni secondi. Chiamai di nuovo. Attendemmo alcuni istanti e quando stavo per metter mano al cellulare, un’improvvisa quanto violenta portante sconquassò l’apparato e prepotentemente invase l’abitacolo dell’autopattuglia.
- Ma a quanto lo hai messo il volume di questa cavolo di aggeggio?
- Ispettò l’ho alzato al massimo, visto che siamo andati al bar.
Lo guardai con quel disprezzo con cui si guardano quelli troppo stupidi.
- Ah bene. Secondo te l’avremmo dovuto udire anche da dentro il bar?
- In qualche modo dovevo rimediare alla questione del portatile.
- Tu sei fuori di zucca. Vedi di non rimediare più a nulla va!
Cercai di abbassare velocemente il volume poiché di turno in centrale ci stava Virna la pazza che con la sua voce squillante mi avrebbe fatto saltare anche le otturazioni dentali. Si udivano fruscii e disturbi, alla fine mi affidai al telefono.
- Pronto centrale.
- Virna siamo noi. Ci avevate chiamato?
- Sì. Ma nessun problema. Volevo dirvi che per il turno di notte ci sta Alfredo, ieri è stato il compleanno del figlio, gli è avanzata un sacco di roba e l’ha portata qui. So che state smontando, però magari vi andava di unirvi a cena con noi.
- Ma veramente io... tu che dici?
Filippo aveva sentito e faceva segno di sì con la testa.
- Va bene dai. Questo qui non rifiuta nulla, si è già fatto fuori due croissant proprio dieci minuti fa. Ok, noi ci siamo.
- Vi aspettiamo allora, a dopo.
Riattaccai e subito dopo partii a razzo immettendomi nel traffico serale. Non vedevo l’ora di togliermi la divisa.
- Perché la chiamano Virna la pazza? Sembra così brava.
- Ma è brava, però è pazza, falla arrabbiare e vedrai. Mi hanno raccontato che una volta ha inseguito un ladro che si era infilato nel Duomo. E’ arrivato proprio fin su dove ci sono le guglie e lei dietro che non lo mollava. Dovessi vedere come lo ha ridotto...
Venni interrotto dall’ingresso di una nuova portante.
- Puma 13 da centrale!
Ci guardammo, io e Filippo, era di nuovo Virna. Risposi.
- Qui puma 13 avanti!
Ancora rumori di fondo che disturbavano la trasmissione.
- Mi dispiace ragazzi, ci hanno segnalato uno scippo, proprio alcuni minuti fa. Uno scooter, due persone a bordo, giovani, li hanno visti allontanarsi sulla ss11... dovreste essere da quelle parti...
Attesi, prima di rispondere... pirulì di coda...
- Sì siamo in via Gallarate, ci portiamo subito sulla statale...
- Rimaniamo in contatto, informateci se li avvistate.
Passai il microfono a Filippo che aveva l’aria seccata, poiché uno scippo a fine turno non era il massimo. Ora capivo perché non vedevo l’ora di togliermi la divisa… forse un presentimento.
- Gioca tu con la radio, io penso a guidare.
Innestai la marcia più bassa e presi la rincorsa. Il motore dell’alfa romeo era potente ma aveva i suoi chilometri sul groppone e non prese subito la velocità desiderata. Imboccammo la statale che dalla periferia portava fuori città, poco dopo li avvistammo.
- Guarda là! – indicò il mio partner – Che ci fanno due uomini sullo scooter con una borsa da donna ben visibile sotto il braccio del passeggero?
- Paletta!
- Cosa?
- Devi palettare, non fare indovinelli!
Filippo tirò fuori la paletta, gliela sventolò a due metri dal muso dello scooter lanciato in velocità ma quelli continuarono come se niente fosse. Anzi, girarono in una stradina secondaria e noi, dopo un leggero sculettamento dell’alfa, dietro come rapaci, incollati alle nostre prede. Nelle strade strette e male asfaltate come quella gli inseguimenti sono più difficoltosi e anche uno scooter può tener testa ad un’auto come quella. I due scippatori si incunearono in una stradina alberata dove l’asfalto era ormai un pallido ricordo dei tempi andati, tra gli alberi ai lati intravidi delle case. Notai dallo specchio retrovisore la nube di polvere che ci lasciavamo dietro di noi. Poco dopo le abitazioni sparirono, eravamo in aperta campagna, la strada era ormai ridotta a due strisce di terra parallele con ciuffi d’erba al centro della carreggiata. I due rallentarono, gli stavamo quasi addosso quando improvvisamente si gettarono di lato e lasciarono cadere lo scooter davanti al muso dell’auto. Inchiodai riuscendo ad evitare lo scooter, li vidi correre giù per la campagna, a noi non rimase che scendere dall’auto e gettarsi al loro inseguimento. Ancora non era buio, ci si vedeva abbastanza, non capivo se sapevano dove andare oppure correvano senza meta. Ma all’improvviso si divisero. Filippo si gettò a capofitto verso quello più lontano che sembrava anche il più veloce, io andai in direzione dell’altro che non era poi così lento, era solo meno veloce dell’altro. Dopo poche decine di metri, cominciai a sentire un leggero affanno; mi mantenevo abbastanza in forma, ma quel ragazzo aveva almeno venti o venticinque anni meno di me. Mi stava distaccando, ma non c’erano ostacoli tra noi, quindi riuscivo a mantenere il contatto visivo. Sentii il sudore colare dalla schiena.
Presi a correre ancor più velocemente, non ci stavo a farmi seminare, poi intravidi di fronte a me, una cinquantina di metri più avanti, un leggero dislivello del terreno. L’inseguito mi precedeva di una ventina di metri, quando ad un certo punto lo vidi scivolare verso il basso per poi sparire e riapparire alcuni metri più avanti. Doveva esserci un punto scosceso, ci stavano anche degli arbusti, non riuscii a vedere bene. Ma non stetti a farmi tanti problemi, se ce l’ha fatta lui... E invece sbagliai valutazione.
Arrivai anche io in quel punto e capii l’errore, ma era troppo tardi. Lo scippatore era più giovane, più in forma e più agile, e in quel punto c’era un terrapieno sottostante, un salto di circa tre metri. Io mi ritrovai sparato fino al bordo del terreno che lo sovrastava, non ero preparato e non riuscii a fermarmi. Mi lanciai nel vuoto di quei pochi ma fatali metri, atterrai in modo scomposto, sulle gambe ormai molli dopo la lunga corsa. Sentii per la prima volta nella mia vita il rumore delle ossa quando si rompono. Dal crak che udii potevo solo supporre che la mia gamba sinistra si fosse disintegrata. Rimasi a terra, quasi senza dolore, che arrivò, violento, qualche minuto dopo.
- . - . -
Mi sollevarono con la barella rigida, quella per gli incidentati con forti traumi. Forse i soccorritori temevano traumi alla colonna vertebrale, per fortuna non ce n’erano, questo lo seppi dopo. In quel momento non riuscivo a distinguere la parte del mio corpo che più mi faceva male da tutto il resto. Pian piano, attraverso la campagna, mi trasportarono all’ambulanza, il viaggio verso l’ospedale fu più nervoso e veloce. In realtà non c’era nessuna fretta, da quel momento la parola fretta