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Nero corvino
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E-book210 pagine2 ore

Nero corvino

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Nero Corvino è una raccolta di racconti composta da cinque “storie del brivido”, selezionate tra le migliori di Roberto Ricci. Tra queste copre un ruolo di rilievo L'acconciatura sbagliata, nella quale l'autore descrive sapientemente, e con un pizzico di umorismo, il suo mondo: quello dei parrucchieri; dove invidie, intrighi, relazioni amorose, ma anche ironia e sarcasmo si intrecciano, sullo sfondo di una storia thriller-horror ricca di colpi di scena. La raccolta si apre con Gli occhi della Bambola dal finale sorprendente; a seguito de L'Acconciatura sbagliata, Guanti Neri: cosa si nasconde dietro la terribile serie di delitti femminili? La Ballerina vi racconterà la follia di una teenager dai sogni infranti e, in conclusione, La Goccia, dove il terrore contamina una commovente delusione d´amore. La follia omicida dei personaggi criminali, con le loro inquietudini, debolezze e sete di vendetta, trascinerà il lettore in un vortice di estrema paura. Sarà difficile leggere questo libro senza accendere tutte le luci di casa.
LinguaItaliano
Data di uscita22 mag 2018
ISBN9788833280974
Nero corvino

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    Anteprima del libro

    Nero corvino - Roberto Ricci

    me

    Gli occhi della bambola

    Notte fonda; il buio avvolge la stanza di Sonia, che se ne sta rannicchiata sotto al piumone, ma non riesce a prendere sonno. È agitata, inquieta. A un tratto si sente chiamare: è una voce familiare.

    «Sonia... Sonia tesoro. Ho sentito che sei ancora sveglia. Vieni per favore.»

    La ragazza accende l’abat-jour, si alza ed esce dalla stanza per raggiungere quella di fronte. Apre la porta ed entra. «Mamma cosa c’è? È tardi… perché non dormi?»

    «La bambola tesoro. La nostra amata Rebecca ha perso di nuovo i suoi occhi. Non li trovo. Li ho cercati dappertutto.»

    La ragazza si guarda intorno. «Oh no mamma! Un’altra volta? Sei sicura di aver cercato bene?»

    «Certamente tesoro. Altrimenti non ti avrei disturbata. Rebecca non può stare senza i suoi occhi. Lo sai benissimo anche tu. Devi andare fuori a trovarne un altro paio. Subito.» «Ma è mezzanotte passata mamma. Ho sonno e non mi va di uscire.»

    «Per favore Sonia. Ubbidisci a tua madre. Non fare la bambina cattiva.»

    La ragazza abbassa il capo ed esce dalla stanza. Infila le scarpe e indossa il cappotto scuro direttamente sopra il pigiama color crema. Prende un paio di forbici da uno dei cassetti della cucina e se le mette in tasca.

    «Io vado mamma. Stai tranquilla, troverò presto degli occhi nuovi per Rebecca.»

    Chiude la porta dietro di sé ed esce in strada. A quell’ora della notte le vie sono deserte. Sonia però sa dove cercare. Dopo aver percorso diverse centinaia di metri, si ferma in un bar. Lo conosce bene: è un locale equivoco, frequentato da uomini altrettanto equivoci. Uno di loro è appoggiato al muro di fianco alla porta d’ingresso. Sta fumando una sigaretta. Sonia si avvicina. L’uomo la guarda. Le sorride con fare lascivo, toccandosi davanti. Sonia ricambia il sorriso, passandosi la lingua sulle labbra. Non c’è bisogno di altro: l’uomo la invita a casa sua.

    Mentre camminano fianco a fianco, Sonia lo guarda con la coda dell’occhio. È stata fortunata questa volta. È davvero bello. Alto, prestante e con un viso dai lineamenti aggraziati, contornato da una leggera barba. La casa invece è piccola e alquanto squallida. A Sonia non importa. L’uomo è sorpreso dal fatto che la ragazza indossi il pigiama sotto al cappotto. Lei si limita a ridacchiare. Probabilmente è una svitata pensa lui, ma che gli frega: è bellissima e disponibile. Non vede l’ora di possederla. Si spogliano. Fanno sesso con estrema passione. Lui è davvero bravo. Virile. Sa come far godere una donna. A Sonia dispiace davvero doverlo fare.

    Nel momento in cui l’uomo raggiunge l’orgasmo, Sonia prende le forbici e glie le conficca in gola. Lui non fa in tempo a dire o fare nulla. Solo un gorgoglio sommesso che dura pochi istanti, prima che la morte sopraggiunga.

    Con estrema calma, Sonia inizia il macabro rituale che le consente di soddisfare la richiesta di sua madre. Infilza le forbici sotto le palpebre, spingendo a fondo, sino a strappare i bulbi oculari. Il sangue scorre copioso dalle orbite lacerate. Messi gli occhi dentro un sacchetto, Sonia si riveste e osserva alcuni istanti il corpo nudo dell’uomo, immerso in un profondo rosso. Peccato, le piaceva veramente. Chiude silenziosamente la porta ed esce in strada.

    Ritornata a casa, entra nella stanza di sua madre. Le sorride, poi infila gli occhi della vittima nelle vuote cavità oculari della bambola. La fissa per alcuni istanti in silenzio, poi inizia a piangere. Un singhiozzo disperato. Si volta verso quella che una volta era sua madre e adesso è un cadavere mummificato sopra una sedia a rotelle. Inveisce contro di lei.

    «Ti odio mamma. Maledetta! Sei un mostro… un mostro! Mi fai fare delle cose orribili! Perché ti approfitti di me? Sei cattiva. Avrei dovuto seppellirti insieme a papà quando vi ho uccisi. Non dovevo tenerti in casa con me. Ho sbagliato!»

    Sonia si siede a terra e posa il capo sulle ginocchia scheletriche del cadavere. Inizia a ridere. Forte. Sempre più forte. Una risata agghiacciante, che scaturisce dai profondi meandri della follia.

    Un altro uomo è stato trovato morto nel suo appartamento. Nudo e con gli occhi strappati. È la terza vittima di questo feroce serial killer. La città è in preda al terrore. A che punto sono le indagini della polizia?

    Così recita la prima pagina del quotidiano. Lo stesso che Sonia, dopo aver fatto colazione a casa con sua madre, acquista dal giornalaio prima di recarsi al lavoro.

    L’acconciatura sbagliata

    1.

    Non riusciva a credere che fosse reale. Doveva essere un incubo. Tutte quelle persone che correvano da una parte all’altra. Quei visi sconvolti. Stranamente non sentiva dolore. Solo una sensazione di calore intenso. Udì qualcuno chiamare un’ambulanza, mentre una ragazza piangeva disperata. Lentamente prese coscienza della situazione, rendendosi conto che quell’orrore davanti ai suoi occhi era vero, tangibile. Poteva addirittura toccarlo con mano. Incrociò lo sguardo sconvolto di una donna, mentre le sue narici venivano pervase da un odore acre, pungente, accentuato dal fatto che qualcuno non era riuscito a trattenere un conato di vomito. Iniziò a ridere. Una risata incontrollabile. Isterica. Nessuno riusciva a dire o fare nulla. Continuò a ridere. Forte. Sempre più forte. Solamente all’ospedale smise di farlo, grazie al calmante che, somministrato per endovena, fece rapidamente effetto. Quel terribile incidente fece parlare per settimane e settimane tutta la città; poi - come sempre accade - giunsero nuovi fatti di cronaca a distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica. Alcune persone però non avrebbero mai dimenticato quello che era accaduto.

    Soprattutto una.

    2.

    Gino Mocci alzò lo sguardo dal cruciverba e guardò l’orologio appeso alla parete. Ripose il giornale dentro il cassetto della scrivania. Anche quella giornata lavorativa era giunta al termine. Compilò il registro dei corrispettivi, poi si alzò. Stese i pochi asciugamani utilizzati sullo stendino che teneva nel ripostiglio, fece un ultimo giro di controllo, poi spense le luci e uscì. Chiuse la porta e fece scendere la saracinesca elettrica. Una donna che passava alle sue spalle lo salutò cordialmente. Gino era un parrucchiere ed esercitava da anni la sua professione in quella via. Benvoluto da tutti, non aveva mai avuto una discussione con qualcuno. Dopo aver risposto al saluto, s’incamminò verso casa e si avvide che anche la sua vicina stava accingendosi a chiudere.

    «Signora Mirella, posso darle una mano?» chiese l’anziano parrucchiere alla giovane donna, intenta ad abbassare la serranda del suo negozio di lavanderia.

    «Grazie Gino, non occorre. Per fortuna non è così pesante. Lei è sempre tanto gentile.»

    «Esserlo non costa nulla.»

    «Ha ragione, ma posso assicurarle che è una qualità sempre più rara di questi tempi.»

    «Beh, forse la gente è soltanto stressata, non maleducata.»

    «Ah Gino, lei vede sempre il buono ovunque. Che bella qualità. Come faremo noi poveri negozianti della via, senza di lei?»

    «Farete... farete. Magari al posto mio verrà un bel ragazzo giovane e simpatico.»

    «Giovane e bello può anche darsi... mettiamo pure simpatico, ma non sarà mai come lei Gino.»

    «Grazie signora Mirella, lo considero un gran bel complimento.»

    «Del tutto meritato», sorrise la donna.

    «Ora devo correre a casa. Artemio, il mio gatto, starà già miagolando, impaziente di cenare; devo passare al supermercato a fare la spesa e soprattutto comprare i suoi amati croccantini.»

    Salutata la vicina di negozio, il parrucchiere si allontanò a passo veloce, preoccupato per quanta gente avrebbe trovato in fila alle casse. Rimase piacevolmente sorpreso dal fatto di avere davanti a sé soltanto tre persone. Mentre estraeva dal portafoglio la carta socio da esibire alla cassiera, si sentì chiamare da una voce alle sue spalle. Giratosi, vide il volto sorridente di Iolanda Visconti.

    La donna, orgogliosamente settantenne – poiché, sapendo di portarli benissimo, non perdeva occasione per dichiararli a chicchessia con aria civettuola - era stata per parecchi anni proprietaria della più famosa merceria della città. Aveva chiuso l’attività per occuparsi a tempo pieno del marito, gravemente ammalato e deceduto ormai da due anni. Anche lei era una donna amata e benvoluta da tutti. Era anche molto attiva nella parrocchia del quartiere, cosa che però non era una garanzia di animo buono, essendoci tra quelle pie signore anche le peggiori malelingue della città. Trovandosi in fila, Gino poté soltanto contraccambiare il saluto e il sorriso della donna.

    Uscito dal supermercato, attraversò la strada e prese la via di casa. Si fermò un momento, sia per riprendere fiato, viste le due pesanti buste che teneva in mano, sia per guardarsi intorno. Ancora una volta, provò la strana sensazione di sentirsi osservato. Gli capitava da un paio di giorni. Scosse la testa sorridendo. Chi diavolo vuoi che ti segua sciocco vecchietto? Un’ammiratrice misteriosa? disse fra sé. Riprese in mano le buste e raggiunse il portone di casa. Entrato nell’atrio del palazzo, si diresse verso l’ascensore e spinse il tasto di chiamata. Attese alcuni istanti. Nel momento in cui le porte si aprirono, qualcuno lo raggiunse alle spalle facendolo sobbalzare. «Aspetti signor Gino, salgo con lei.»

    «Accipicchia Vincenzo, mi hai spaventato.»

    «Mi scusi... non era mia intenzione.»

    Mentre l’ascensore raggiungeva il piano, i due scambiarono poche e diplomatiche parole. Vincenzo era il figlio cinquantenne della coppia di anziani che abitavano di fronte a lui. Non gli era mai stato simpatico, specialmente per il fatto che andava di rado a trovare i suoi genitori, e quasi sempre solo per battere cassa, come loro stessi gli avevano confidato.

    In città si vociferava che Vincenzo avesse il vizio del gioco e tanti debiti in giro. Qualcuno aveva anche accennato a problemi di droga.

    Salutato il compagno di salita, Gino infilò la chiave nella serratura ed entrò nel suo appartamento.

    «Ciao Artemio», disse accarezzando il musetto del gattino siamese, che gli si stava strofinando contro un piede. «Ancora un mese di pazienza e poi arriverà l’agognata pensione. Dopo, avremo tanto tempo per stare insieme.»

    Appoggiate le due borse della spesa sopra il tavolo della cucina, iniziò con calma a tirarne fuori il contenuto, riponendolo, a seconda dei prodotti, nei vari scomparti della dispensa o del frigorifero. Artemio, che non lo aveva lasciato un solo istante, individuati i suoi amati croccantini, iniziò a miagolare insistentemente.

    «Va bene, va bene, adesso te li preparo, golosone, lasciami almeno il tempo di andare un secondo in bagno!»

    Si allontanò alcuni minuti, accompagnato dal miagolio incessante del gatto.

    Nel frattempo qualcuno osservava i suoi movimenti. Stringeva a pugno le mani guantate di nero, impaziente di uccidere. Sentiva corrergli l’adrenalina lungo la schiena. Finalmente il momento era giunto. Accarezzò il coltello. Pregustava il momento in cui l’avrebbe affondato nel corpo dell’uomo. Avrebbe visto sgorgare il suo sangue. Uscì rapidamente dal nascondiglio. Prima di ucciderlo, voleva terrorizzarlo. Giocare con lui, come il gatto con il topo. Già... gatto. L’idea malvagia nacque in quel momento.

    Sciacquatosi le mani e spenta la luce, Gino ritornò in cucina. Artemio aveva smesso di miagolare. A dire il vero, era proprio sparito…

    «Artemio dove sei?» lo chiamò il parrucchiere mentre versava i croccantini nella ciotola. «Artemio... vieni è pronto!» continuò a chiamare.

    Nessuna risposta.

    Dove diavolo si sarà ficcato? pensò uscendo dalla cucina. Il gatto sembrava svanito nel nulla. Gino controllò tutte le stanze continuando a chiamarlo. Niente. Eppure, aveva miagolato fino a un attimo prima che uscisse dal bagno. Stava cominciando a preoccuparsi. La porta di casa era chiusa, come anche quella che dava sul terrazzo. In bagno. Forse si era infilato dentro e lui non se ne era accorto. Sorrise, convinto che fosse andata proprio così.

    «Ti ho chiuso dentro eh? Sciocchino, adesso arrivo.»

    Riaprì la porta e accese la luce. Nulla. Di Artemio neanche l’ombra. Lo chiamò nuovamente, tornando a perlustrare la casa. Quel gatto era la sua ombra, e il nascondersi non faceva parte della sua indole. L’occhio gli cadde sulla porta del ripostiglio: la teneva sempre chiusa proprio per impedirne l’accesso ad Artemio, ora invece era aperta.

    Accese la luce ed entrò. Con orrore lo vide. Il gatto penzolava appeso a una corda. Il corpicino squarciato da cima a fondo, le interiora di fuori. Si portò una mano alla bocca per impedirsi di urlare, cercando di trattenere un conato acido di vomito. Per alcuni istanti rimase impietrito a fissarlo. Non riusciva a dire o fare nulla. All’improvviso nell’appartamento calò il buio. Riscuotendosi dalla momentanea paralisi Gino corse all’interruttore e lo premette più volte. Niente. La luce non tornava. Qualcuno respirava in modo affannoso.

    «Chi c’è?» domandò con un tono di voce che non riusciva a mascherare la paura. «Rispondimi! Che cosa vuoi da me? Che cosa ti ho fatto? Io… sono una persona anziana, tranquilla. Perché hai massacrato così il mio povero gatto? Vuoi uccidere anche me? Chiunque tu sia, stai sbagliando persona. Io non ho mai fatto nulla di male... non ho nemici», disse con voce rotta dal pianto.

    Nessuno rispose alle sue domande. Nel buio si udì un colpo. Il portaombrelli di metallo era caduto a terra. Gino sobbalzò, poi cercò di raggiungere la porta d’ingresso. Allungò una mano verso la maniglia, ma il coltello calò su di essa con violenza. Gino gridò di dolore. Poi una nuova, feroce coltellata. Questa volta alla schiena. Il parrucchiere cadde a terra. Il misterioso aggressore infierì ancora con altri colpi, mozzando anche qualche dita. Il sangue schizzava copioso, imbrattando di rosso tutto intorno. Nel buio non si vedeva, ma chi avrebbe scoperto il cadavere martoriato di sicuro lo avrebbe notato. In silenzio, così com’era entrato, l’assassino uscì dall’appartamento, richiudendo la porta alle sue spalle. Con estrema calma scese le scale sino a raggiungere l’atrio del palazzo. Aprì il portone e imboccò una stradina laterale. In giro c’erano pochissime persone e comunque nessuno fece caso a colei che, sfilatasi i guanti di pelle, si fermò a

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