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Il mistero di Chiaravalle
Il mistero di Chiaravalle
Il mistero di Chiaravalle
E-book208 pagine2 ore

Il mistero di Chiaravalle

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Info su questo ebook

Milano, 1980. Mentre la città è squassata dall’omicidio del giornalista Walter Tobagi, una donna proveniente dall’alta borghesia milanese viene trovata morta lungo una massicciata ferroviaria, con la testa rasata. È solo il primo di una serie di misteriosi quanto inspiegabili omicidi perpetrati ai danni di donne apparentemente prive di legami tra loro, tutte uccise con lo stesso modus operandi. Un assassino è a piede libero in città, ed è pronto a uccidere di nuovo.
Sarà il cinico commissario di polizia Andrea Romeo a prendere in mano la situazione, cercando di dipanare una matassa di eventi e legami ingarbugliati nei meandri di una Milano borghese, ma che cela al suo interno inconfessabili segreti. Qual è il filo rosso che lega le donne assassinate? L’indagine lo porta da via Montenapoleone fino ai margini della città, nell’occulto archivio del monastero di Chiaravalle. C’è qualcosa che si cela dentro quelle mura, qualcosa di torbido.
Un giallo serrato e avvincente che tiene sulle spine il lettore fino all’ultima pagina, tra defezioni, menzogne e un oscuro, antico, mistero.
LinguaItaliano
Data di uscita19 set 2023
ISBN9788892967397
Il mistero di Chiaravalle

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    Anteprima del libro

    Il mistero di Chiaravalle - Pietro Brambati

    MISTÉRIA

    frontespizio

    Pietro Brambati

    Il mistero di Chiaravalle

    ISBN 978-88-9296-739-7

    © 2023 Leone Editore, Milano

    www.leoneeditore.it

    Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi ed eventi narrati sono il frutto della fantasia dell’autore o sono usati in modo fittizio. Qualsiasi somiglianza con persone reali, viventi o defunte, eventi o luoghi esistenti è da ritenersi puramente casuale.

    E se guarderai a lungo nell’abisso

    anche l’abisso vorrà guardare te

    Edgar Allan Poe

    1

    28 maggio 1980

    Alle sette e trenta del mattino, Pasquale Cirillo, nativo di Trapani ma residente a Milano da oltre dieci anni, accese la prima sigaretta della giornata e uscì dal deposito amsa di via Zama alla guida del camioncino per il ritiro dei rifiuti dai cestini stradali. Di solito affrontava la routine giornaliera senza eccessivo fervore, preparandosi ad affrontare la giornata di lavoro senza pensieri particolari, ma quel mattino la sua mente era occupata a considerare la vita futura che lo attendeva. Sua moglie, la sera precedente, gli aveva annunciato sorridendo che, dopo cinque anni di tentativi inutili e di false speranze, era finalmente incinta. Invece di renderlo felice, come sarebbe stato logico e come sua moglie si era aspettata, la notizia era stata accolta senza quell’entusiasmo che in lui avrebbe dovuto suscitare. Non che non fosse contento, intendiamoci, ma di colpo si era reso conto che un figlio avrebbe inevitabilmente trasformato la loro vita, scombinato le loro abitudini sociali e perfino modificato l’intimità dei loro rapporti. Senza contare le problematiche economiche che inevitabilmente sarebbero sorte. A quella reazione negativa, sua moglie era rimasta talmente male che si era rifugiata in camera dal letto piangendo. A Pasquale ci era voluto del bello e del buono per convincerla che in realtà era felice di avere un figlio, che anche lui in fondo lo desiderava. Il fatto era che proprio non se l’aspettava, ecco tutto; dopo cinque anni passati senza che arrivassero, si era ormai messo l’animo in pace, accettando il fatto che non avrebbero mai avuto figli e che la loro vita sarebbe comunque trascorsa ugualmente felice e in armonia.

    Mentre sterzava per svoltare in via Bonfadini, ancora preso in questi pensieri, la sua attenzione fu attirata da una figura bianca che spiccava nitida lungo la massicciata terrosa della ferrovia. La prima impressione che ebbe fu che probabilmente si trattava di una sagoma pubblicitaria di cartone, arrivata lì chissà come, magari trasportata dal vento. Oppure di una di quelle bambole di gomma gonfiabili che si comprano per corrispondenza. Già una volta gli era accaduto di trovarne una abbandonata in un cassonetto dell’immondizia, che aveva dovuto bucare e sgonfiare per rendere meno ingombrante.

    Percorse una decina di metri, poi, spinto dalla curiosità e dal senso del dovere, si fermò e scese dal camioncino. Fu solo quando arrivò a pochi metri dalla figura che si accorse che non si trattava di una sagoma di cartone, né di una bambola gonfiabile, ma del corpo di una donna nuda col cranio completamente calvo. Per un momento restò come incantato a fissare quel corpo. Poi si guardò intorno per vedere se c’era qualcuno. La via era deserta e anche nel campo rom che c’era di fronte nessuno era in vista. Restò un attimo dubbioso sul da farsi, poi si decise, risalì sul camioncino e ripartì. Giunto in viale Ungheria si fermò davanti alla cabina telefonica, vi entrò, infilò il gettone, e compose il 113.

    «C’è un cadavere in via Zama, davanti al campo rom» disse. E subito riattaccò.

    2

    Un’oretta più tardi, la Giulietta nera si fermò dietro a una delle due pantere della polizia ferme a lato della strada che costeggiava la ferrovia. Il commissario Andrea Romeo, capo del commissariato Monforte-Vittoria, e il giovane ispettore Antonio Stella, fresco di nomina, scesero dall’auto e si avvicinarono alla scena del delitto. Gli agenti salutarono il commissario e indicarono il cadavere sul quale stava chinato il dottor Cantoro, il giovane medico legale che aveva sostituito il precedente dottor Blasi, da pochi mesi andato in pensione. Romeo aveva già avuto modo di conoscerlo in occasione della morte di un giovane ucciso a martellate per gelosia dal proprio compagno. In quella circostanza aveva potuto apprezzare la sua professionalità e puntigliosità, doti che il dottor Blasi, dopo trent’anni di onorata carriera, aveva ormai perso e dimenticato.

    «Chi ha trovato il cadavere?» domandò Romeo a uno dei due agenti.

    «Una telefonata anonima da una cabina telefonica.»

    Romeo annuì e si avvicinò al dottor Cantoro.

    «Buongiorno dottore.»

    «Buongiorno a lei, commissario.»

    Quello che il dottor Cantoro stava esaminando era il cadavere di una donna bianca, completamente nuda, di corporatura e di altezza media, col cranio completamente rasato, che giaceva supina con gli occhi aperti e vitrei a fissare il cielo nuvoloso.

    «Che mi dice, dottore?» domandò Romeo.

    Il dottor Cantoro si alzò in piedi togliendosi i guanti di lattice.

    «La causa della morte sono tre coltellate, due inferte al torace e una all’addome, appena sopra l’osso puberale. Come avrà notato, non ci sono tracce di sangue sul terreno circostante, quindi si può dedurre che sia stata uccisa da un’altra parte e poi portata qui.»

    «Ora della morte?»

    «Stando al rigor mortis del cadavere, direi circa dieci, dodici ore fa. Forse anche di più.»

    «Età?»

    «Intorno ai quarant’anni.»

    «E del cranio rasato che mi dice?»

    «Per il momento posso solo avanzare delle ipotesi. Può darsi che la donna portasse una parrucca per nascondere una calvizie dovuta a un ciclo di chemioterapia. Oppure che soffrisse di alopecia areata. Ripeto, sono solo ipotesi. Le saprò dire qualcosa di preciso dopo l’autopsia. La saluto, commissario.»

    Romeo rispose al saluto e guardò il cadavere della donna stringendo tra i denti il mezzo toscano spento. Il corpo giaceva abbandonato sulla massicciata che costeggiava la ferrovia, quasi davanti al campo rom di via Bonfadini. Un campo ormai famoso, che Romeo conosceva benissimo, dentro al quale i carabinieri avevano più volte eseguito dei blitz ed effettuato arresti con relativi sequestri di merce rubata. L’anno precedente era stata installata all’ingresso una telecamera per controllarne i movimenti, ma nel giro di pochi giorni era scomparsa.

    «Magari qualcuno del campo ha visto qualcosa» suggerì Stella.

    «Proviamo» concordò Romeo. «Non ne ricaveremo granché ma, come si dice, tentar non nuoce.»

    Mentre superavano l’ingresso del campo e si avvicinavano a una fatiscente villetta abusiva dipinta di un rosa smunto, un gruppo di ragazzini gli si fece intorno, curioso. Nel frattempo, un uomo dall’enorme pancia che indossava una maglietta di cotone bianca e sudicia comparve sull’uscio della villetta e li guardò diffidente.

    «Buongiorno, siamo della polizia. Vorremmo…» esordì Stella in tono cortese.

    «Avete il mandato?» lo interruppe l’uomo bruscamente.

    Stella scosse la testa. «Siamo qui solo per un’informazione» precisò.

    L’uomo cominciò a inveire in una lingua incomprensibile e rientrò in casa. Dopo un attimo ne uscì una donna grassa e anziana.

    «Che volete?» sbottò, mentre si pettinava i lunghi capelli neri.

    «Per caso avete visto qualcuno scaricare un cadavere qui fuori?»

    «Quale cadavero? Qui non c’è nessun cadavero» strillò la donna scomparendo all’interno della villetta.

    «Visto? Lo dicevo che qui non avremmo combinato niente» commentò Romeo.

    Tornarono verso l’uscita del campo, seguiti dai ragazzini. A un tratto Romeo si fermò, chiamò uno dei più grandicelli e gli chiese: «Hai visto qualcosa, per caso?».

    Il ragazzino lo guardò un attimo con aria di sfida, poi scosse la testa negativamente.

    «Sicuro? Guarda che se menti, potrei anche arrestarti.»

    «Non puoi arrestarmi, sono minorenne» disse il ragazzino con un sorriso sfottente.

    «Imparano presto le regole» commentò l’ispettore Stella.

    «Già. Hanno una buona scuola.»

    Mentre ritornavano verso l’uscita, uno dei ragazzini dalla faccia furba e sveglia si fece avanti e disse: «Io ho visto».

    «Cosa hai visto?»

    «Una macchina che si è fermata e ha buttato fuori il corpo.»

    «Ti ricordi che tipo di macchina?»

    «Una macchina lunga e nera. Di quelle che portano i morti al cimitero.»

    «Come hai fatto a vederla?»

    «Da lì» disse il ragazzino accennando col mento a una finestrella posta sul muro di cinta del campo.

    «Che ora era?»

    «Boh» fece il ragazzino alzando le spalle.

    «Era notte?»

    «Sì.»

    «Bravo» gli disse Romeo dandogli una moneta da duecento lire.

    Il ragazzino la infilò in tasca e corse via seguito dai suoi compagni.

    «Be’, una cosa almeno l’abbiamo saputa» disse Romeo mentre risalivano sulla Giulietta. «Probabilmente si tratta di un’auto delle pompe funebri.»

    «Niente di più comodo per trasportare un cadavere» commentò Stella.

    «Un omicidio strano» considerò Romeo ignorando la battuta. «Abbiamo un cadavere rapato e una macchina delle pompe funebri. Quando arriviamo in ufficio fai subito una verifica per vedere se qualche agenzia funebre ha per caso denunciato il furto di una loro macchina. E poi controlla se qualcuno ha denunciato la scomparsa di una donna.»

    3

    In commissariato trovarono un’atmosfera stranamente agitata. Romeo fu subito raggiunto nel suo ufficio da De Carlo, il suo vice, un quarantenne longilineo che lavorava con lui da una decina di anni, proveniente da un piccolo commissariato della provincia di Vicenza. Di lui Romeo non approvava il carattere permaloso e i metodi eccessivamente ruvidi che aveva nei confronti degli indiziati che gli capitavano tra le mani.

    «Hanno ammazzato Walter Tobagi» gli annunciò. «Una mezz’ora fa, davanti a casa sua in via Salaino. Cinque colpi di pistola, sparati a bruciapelo.»

    Walter Tobagi, giornalista del Corriere della Sera, responsabile sindacale dei giornalisti lombardi, seguiva sistematicamente le vicende riguardanti gli anni di piombo, dai tempi degli autoriduttori che disturbavano le feste dell’Unità agli episodi di sangue più efferati che ebbero come protagonisti le Brigate rosse, Prima linea e le altre bande armate di estrema sinistra. Recentemente si era occupato dell’attentato al giornalista Guido Passalacqua, gambizzato per mano di un commando che si definiva Brigata xxviii marzo, un nuovo gruppo terroristico formato da individui provenienti da altre formazioni, come Brigate comuniste, Unità comuniste combattenti e Formazione comuniste combattenti, residui degli anni di piombo.

    «Il questore ha allertato tutti i commissariati, sollecitandoli a collaborare nelle indagini» continuò De Carlo.

    «Questa città non avrà mai pace» commentò Romeo scuotendo la testa. «È dal ’68 che siamo in guerra. Mettiti pure a disposizione del questore.»

    «D’accordo. A proposito, tu cos’hai trovato?»

    «Il cadavere di una quarantenne, uccisa a coltellate e col cranio rapato.»

    «È stata identificata?»

    «No. Era nuda.»

    In quel momento, entrò nell’ufficio l’ispettore Stella.

    «Dalla centrale è arrivata una denuncia relativa alla scomparsa di una donna di nome Monica Guerrini» annunciò. «Fatta dal marito Roberto Guerrini.»

    «Buon lavoro» disse De Carlo uscendo dall’ufficio.

    «Roberto Guerrini…» ponderò Romeo. «Se non vado errato è uno dei più importanti immobiliaristi della città. Dove abita?»

    «In via Mascagni 35.»

    «Bene, andiamo a conoscere questo Guerrini» disse Romeo alzandosi in piedi.

    Il palazzo di via Mascagni era un edificio signorile, tutto marmi e passatoie. L’ingresso, simile alla hall di un hotel a cinque stelle, era dominato da un bancone di mogano dietro al quale campeggiava il custode in divisa, somigliante a un generale della Marina.

    «Dovremmo parlare col signor Guerrini» si presentò Romeo esibendo il tesserino della Polizia di Stato.

    Il custode, un tipo segalino con la faccia cavallina, li guardò un attimo soppesandoli.

    «Hanno un appuntamento?» domandò guardingo.

    «No. Ma credo che il signor Guerrini ci riceverà ugualmente.»

    L’uomo sollevò la cornetta del telefono e schiacciò uno dei pulsanti della tastiera incastonata nel bancone.

    «Ci sono due poliziotti che desiderano parlare col signor Guerrini» informò. Restò un attimo in ascolto, poi coprì la cornetta con la mano e domandò: «Qual è il motivo della vostra visita?».

    «È una questione privata» specificò Romeo.

    L’uomo riferì e riagganciò il telefono. «Quinto piano» disse indicando l’ascensore in fondo all’androne.

    Quando sbarcarono sul pianerottolo, una giovane donna dalla fisionomia filippina, con tanto di cresta e grembiulino, li stava aspettando sull’uscio di casa. Sorrise gentile e li fece accomodare all’interno dell’appartamento, guidandoli in un locale adibito a studio.

    «Il signor Guerrini arriva subito» disse scomparendo.

    Dopo pochi minuti, un uomo sui cinquant’anni, alto e di costituzione robusta, dai capelli folti e scuri, mascella sfuggente e occhialini d’acciaio sul naso leggermente adunco, entrò nello studio e si presentò: «Buongiorno, sono Roberto Guerrini. Immagino che siate venuti per darmi notizie di mia moglie».

    Romeo si qualificò e indugiò un attimo.

    «Posso vedere una fotografia di sua moglie?»

    L’uomo prese dal piano della scrivania una cornice d’argento e gliela mostrò.

    Nonostante i folti e ondulati capelli castani che falsavano un po’ la fisionomia, Romeo non ebbe dubbi che si trattasse della vittima.

    Nella sua carriera gli era capitato altre volte di dover riferire notizie tragiche, e ogni volta si sforzava di trovare le parole più adatte, ben sapendo che non ce n’erano altre, se non quelle più immediate e precise.

    «Purtroppo devo darle una brutta notizia: sua moglie è stata trovata morta» proferì in tono mesto.

    «Morta?!» esclamò il Guerrini attonito. «Ma dove? Come?»

    «È stata accoltellata» precisò Romeo. «Il suo cadavere è stato rinvenuto questa mattina in via Zama.»

    «In via Zama?» ripeté l’uomo togliendosi gli occhiali d’acciaio e lasciandosi sprofondare su una delle due poltroncine sistemate di fronte alla scrivania.

    «È una via alla periferia est della città» specificò Romeo. Attese che l’uomo assimilasse la notizia, poi continuò: «Comprendo il suo stato d’animo, ma sono costretto a farle alcune domande».

    L’uomo fece un impercettibile cenno di assenso.

    «Quando ha visto sua moglie per l’ultima volta?»

    «Ieri intorno alle tredici, quando abbiamo pranzato insieme al ristorante Bagutta.»

    «Dopo di che?»

    «Dopo di che io sono tornato nel mio ufficio in piazza San Babila, e lei è andata all’appuntamento che aveva nello studio di architettura con cui collabora. Mia

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