Il sogno di Giovanni
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Info su questo ebook
Ma c’è anche la capacità di commuovere, di accendere una luce diversa sulle facce che incontriamo per caso, sulle situazioni che viviamo o a cui assistiamo da semplici spettatori. La voglia di mostrare uno scorcio di strada che devia dai soliti binari e che ti accende dentro la voglia di vedere cosa succede “dopo”.
Che sia popolato di rapinatori alle prime armi o Babbi Natali sottopagati, amanti mancati, partigiani o parrucchieri professionisti, il mondo che prende vita nei racconti di Maurizio Gomboli è un caravanserraglio di personaggi e situazioni mai scontate.
Un inno alla vita e alla sua capacità di essere, nonostante tutto, sempre capace di sorprendere chi ha ancora voglia di osservarla con occhi diversi.
Nato a Firenze nel 1972, giornalista, Maurizio Gomboli vive e lavora a Torino.
È appassionato di tutto quello che ha a che fare con Internet e le nuove tecnologie, collabora con la redazione torinese de “La Repubblica” e da dieci anni pubblica racconti e pensieri in ordine sparso sul blog “Gommaweb.net”.
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Anteprima del libro
Il sogno di Giovanni - Maurizio Gomboli
Maurizio Gomboli
Il sogno di Giovanni
e altri racconti
C’è l’ironia, quella tagliente, la risata grassa di pancia, colpi di scena mai scontati e un po’ di sano cinismo.
Ma c’è anche la capacità di commuovere, di accendere una luce diversa sulle facce che incontriamo per caso, sulle situazioni che viviamo o a cui assistiamo da semplici spettatori. La voglia di mostrare uno scorcio di strada che devia dai soliti binari e che ti accende dentro la voglia di vedere cosa succede dopo
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Che sia popolato di rapinatori alle prime armi o Babbi Natali sottopagati, amanti mancati, partigiani o parrucchieri professionisti, il mondo che prende vita nei racconti di Maurizio Gomboli è un caravanserraglio di personaggi e situazioni mai scontate.
Un inno alla vita e alla sua capacità di essere, nonostante tutto, sempre capace di sorprendere chi ha ancora voglia di osservarla con occhi diversi.
Nato a Firenze nel 1972, giornalista, Maurizio Gomboli vive e lavora a Torino.
È appassionato di tutto quello che ha a che fare con Internet e le nuove tecnologie, collabora con la redazione torinese de La Repubblica
e da dieci anni pubblica racconti e pensieri in ordine sparso sul blog Gommaweb.net
.
Il miracolo non è essere giunto al traguardo,
ma aver avuto il coraggio di partire.
J. Owens
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La vie en rose
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Si guardò un’ultima volta allo specchio prima di uscire. Jeans di marca finto trasandati, scoloriti sulle ginocchia e con qualche scucitura strategica. Sneakers ai piedi, camicia blu e giacca grigio scura, separata per l’occasione dal completo buono. Aveva dato fondo alle risorse del suo armadio e il risultato gli piaceva. Anche i capelli, che di solito detestava, era riuscito a pettinarli nel modo migliore, animando il ciuffo con un po’ di gel e lasciandolo sparato verso l’alto quel tanto che bastava per essere alla moda, ma senza eccedere. Decisamente un bel tipo
, pensò.
Mentre scendeva le scale ripensò all’incontro della sera prima. Lui sfatto e con la voce arrochita dalle sigarette e lei così padrona di sé, elegantemente seduta con un paio di amiche a bere una cosa dopo il lavoro. Avvocato, aveva scoperto dopo poco, impegnata in una causa di quelle toste, trentatré anni appena compiuti, anche se aveva dovuto strapparglielo a forza dalla bocca, e una storia finita male alle spalle. Per lui e i suoi trentasei portati alla bell’e meglio, lavoretti saltuari come se piovesse e nessun amore serio dietro di sé, una donna così era una botta di fortuna, pensava.
Ricordava ogni virgola del lungo discorso che avevano fatto. Si erano messi a parlare nel locale, davanti a due medie scure, e avevano proseguito dividendosi una bottiglia di vino e un tagliere di salumi. Due anime gemelle, avrebbero potuto definirli quelli che li guardavano da fuori. Amici e amiche si erano dileguati, gli avventori della birreria se ne erano andati uno dopo l’altro e alla fine erano rimasti soltanto loro e il cameriere che spazzava scazzato per terra lanciando qualche colpo di tosse, nella speranza che finalmente se ne andassero. E così avevano fatto.
La città addormentata li aveva accolti silenziosa. Marciapiedi bagnati per l’umidità notturna li avevano accompagnati in una dolce cavalcata verso casa di lei. Abito qua vicino
, gli aveva detto senza togliergli gli occhi di dosso. Ti accompagno
, aveva risposto lui, il cuore che batteva in petto forte, le tempie che pulsavano come un martello pneumatico. Chilometri macinati nel buio come pochi metri. Il portone, la chiave che scivola senza un lamento nella serratura. Il primo bacio nell’androne della casa, le scale fatte di corsa, esplorando i primi centimetri di corpo. Fianchi, torace, gambe che si flettono, odori che iniziano a mescolarsi. I respiri che dettano il tempo. La voglia, la paura.
Avevano fatto l’amore molte volte, quella notte. Spostando ogni volta un po’ più in là il confine del lecito, del piacere, della curiosità. Si erano trovati come si trovano due tasselli dello stesso puzzle, intagliati per fondersi insieme in un unico preciso momento e per un unico preciso scopo. Poi erano crollati esausti, mentre la luce della giornata che nasceva iniziava a filtrare piano dalle serrande abbassate, illuminando qualche granello di polvere sospeso nell’aria e una lama di carni intrecciate. Devo andare al lavoro
, gli aveva detto lei. Anche io
, aveva mentito lui. Passami a prendere alle otto, voglio mangiare con te
, aveva aggiunto la ragazza. Certo
, le aveva risposto, come in un soffio.
Quando era uscito di casa, alle sette e mezza di sera, riposato e ripulito a puntino, le gambe si muovevano da sole, portandolo veloce verso un’altra notte di meraviglie. Aveva fame, di cibo e di lei. E mentre volava sulla città iniziò a fantasticare sul futuro. L’avrebbe rivista, quella sera e poi ancora e ancora e ancora. Avrebbero conosciuto tutto l’uno dell’altra, avrebbero scoperto segreti, difetti, colpe, meriti. Avrebbero messo nero su bianco le proprie coscienze, fatto progetti, conosciuto gente nuova, cambiato lavori, case e vite.
Avrebbero vissuto insieme, dividendosi sulle proprie spalle preoccupazioni, gioie, dolori e speranze. Avrebbero avuto figli, chissà, ma di sicuro sarebbero rimasti uniti. Lui lo aveva capito tutto a un tratto, mentre la osservava in birreria. Ricordava di aver fissato le sue mani, le stesse che gli avrebbero dato piacere mentre scopriva il sapore dolce della sua pelle, e di aver immaginato la sensazione che avrebbe provato infilandole un anello al dito, con la consapevolezza di aver trovato la sua compagna di vita. Ecco la sua via, pensò, cercando con gli occhi il portone da cui era uscito solo poche ore prima. Quando lo vide il suo passo, invece di accelerare, rallentò fino a fermarsi.
Sollevò lo sguardo al quarto piano. La serranda alzata, con la luce accesa, gli fece capire che lei era in camera da letto, intenta a darsi gli ultimi ritocchi per una serata speciale. Perché anche lei aveva provato le stesse cose. Lo aveva capito dalla naturalezza dei suoi baci, dalla sfrontatezza delicata delle sue labbra. Se lo sarà immaginato anche lei il loro futuro? Avrà fantasticato anche lei su famiglie, anelli, problemi, gioie? E anche adesso, mentre finiva di passarsi il rossetto sulle labbra e controllava nervosamente l’orologio, a cosa stava pensando?
Il campanello era lì. Pochi passi e tutta la sua vita sarebbe stata a portata di dito. Il futuro era pronto per essere scritto, come da copione. Con l’indice sul campanello pensò ai primi litigi, alla voglia di fuggire che lo avrebbe preso, prima o poi, come un male incurabile. Alle incomprensioni e alla fatica di costruire giorno dopo giorno un’esistenza in due. La paura avvolse il suo cervello come uno straccio umido e, senza accorgersene, la pressione del polpastrello sulla plastica del pulsante iniziò a diminuire. Girò gli occhi verso l’alto e tornò a osservare il suo balcone. Non le aveva nemmeno dato il proprio numero di telefono, tanto era certo di tornare da lei, quella sera. Dove abiti?
, gli aveva domandato la ragazza. Vicino alla stazione
. Vuoi il mio numero?
, aveva aggiunto lei, guardandolo dolce. E per cosa? Per passare tutto il giorno a scambiarci messaggini sdolcinati?
aveva riso lui.
L’orologio segnava le otto in punto. La luce in camera da letto si spense. La immaginò che passava in cucina, magari per bere un bicchier d’acqua prima di uscire. L’emozione le aveva reso la bocca secca. Mi succede a volte, quando sono agitata
, gli aveva confessato, prima di baciarlo. Lui fece un passo indietro, e poi un altro. Si allontanò di un paio di metri, con lo sguardo sempre fisso al balcone. Se solo lei si fosse fatta vedere avrebbe ceduto, senza paura, convinto di fare la scelta giusta. Se solo fosse uscita per uno sguardo rapido alla strada. Ma la finestra rimase chiusa. Lui girò sui tacchi e si allontanò.
Magna magna
Lasciò la macchina in doppia fila, contando sulla buona sorte e sul solito, logoro, cartellino ufficiale con su scritto medico in visita domiciliare
e logo d’ordinanza dell’Asl. Buttò la cicca della sigaretta per terra, schiacciandola sul selciato con il tacco della scarpa in coccodrillo. Quindi continuò a parlare al telefono, come aveva fatto ininterrottamente per gli ultimi cinque minuti.
"Allora Arma’, te l’ho detto. E no che non posso. Non mi frega che sia l’amica di tua cognata, io posto in ospedale non ce l’ho. Ma che decido io secondo voi? Sai che tagli c’ha fatto solo sto mese la regione? Tu non hai idea, solo di infermieri me ne hanno tolti tre. Tre dico, capisci? E dove la metto sta qua? Una tac, poi! Ma non se ne parla! Non in ospedale, almeno. Se vuole… Se vuole… Fammi parlare, Arma’. È inutile che ti incazzi. Se vuole venire da me nello studio, anche domattina. Che la prendiamo e la portiamo in clinica. E certo che paga, ma che stai a scherza’? Ma che ne so… 3-400 euro almeno. E ma è per la salute, so’ soldi spesi bene, Arma’… Lo so. Lo so… è uno schifo. Son dei ladroni, che c’hanno mangiato su per anni e adesso la fanno pagare a noi poveri cristi. Che non lo so? Ti ricordi quando bastava mandargli una bustarella e via… Macchinari nuovi, permessi, viaggi studio come se piovessero… Lo so. Eh, doveva farselo venire allora il tumore quest’amica tua. Mo’ deve aspettare che non c’abbiamo più una lira e se gli mandi una busta quelli si cagano tanto addosso che stai certo li beccano entro dieci minuti. È che siamo tutti spiati Arma’, c’abbiamo le cimici da tutte le parti. Stai a caga’? C’è la cimice pure lì. Ma dico io, questo è uno stato di polizia… e hai la macchina nuova e ti rompono il cazzo coi controlli. Ti fai una vacanzina fuori stagione e ti rompono il cazzo. Tra un po’ ti rompono il cazzo pure mentre scopi con l’amante. Guai a portarla in albergo… Una volta ti dovevi giustificare con tua moglie, mo’ col fisco. Ma si può? No, caro. No, non credere. Non è giusto per nulla, perché se tu per salvarti la pelle devi venire da me allora a me tu, Stato, devi darmi di più puoi e non mi devi rompere il cazzo. Fine. Altrimenti io ti faccio aspettare o ti faccio pagare, non c’è verso.
È che ormai c’è una mentalità malata. Nessuno si fida più di nessuno. Colpa di ‘sti politici che magnano, magnano, magnano. Hanno sempre magnato e continuano a magnare. Ma che credi che quegli altri, quelli buoni come dicono loro, quelli puri, non magnano pure loro? Bravo! Sì che magnano, eccome! Solo che sono furbi, lo fanno meglio. Lo fanno con moderazione. Non è che si strafanno di coca e viagra come gli altri, non si mettono mica via i lingotti d’oro cazzo! Loro ci vanno leggero, ma costante, e li beccano meno. Sembrano dei catechisti al confronto. Ma che te lo dico a fare. È uno schifo. Ormai se giro con la Cayenne mi guardano tutti storto. Manco me la fossi rubata. Ma dico io, che è? Rubare per te? Se ti salvo il culo e nel frattempo mi metto qualche soldo da parte è rubare? Io dico di no. Aaaah, vedi che sei d’accordo anche tu? Quanti anni c’ha sta amica tua? 54? Ce la fa, ci proviamo almeno, dai. Ma sì, tu spiegaglielo. Diglielo che è colpa di sti politici magnaccia che c’hanno tolto tutto, non ci danno più una lira. Ormai a lavorare come dicono loro ci si paga di tasca nostra. Ma che lo devo paga’ io il tumore dell’amica tua, con rispetto parlando? Ma è chiaro! Ecco, bravo, giusto! Tanto non puoi dire che di sì. Domattina la porti da me, la visitiamo per bene, la facciamo sentire importante, coccolata… E dopodomani c’abbiamo già il referto della tac! Così glielo mettiamo in culo al governo e a ‘sto bel polipetto maligno, eh?
E poi, scusa Arma’, ma te la vuoi prendere te la responsabilità di dirle di mettersi in coda e aspettare? Per carità, liberissimo. Col buco che c’hanno fatto nella sanità capace che passa un anno e poi la posteggiano per due mesi in un corridoio. Io le do una possibilità! Fai una prova… Chiediglielo! Chiamala, le parli e poi mi fai