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Il dentista: Delitti alle sette chiese
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E-book262 pagine2 ore

Il dentista: Delitti alle sette chiese

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Info su questo ebook

Cosa sei disposto a fare per rincorrere la tua ossessione? Mentire, tramare, uccidere? Francesco Raimondi, maestro di scacchi e neolaureato con lode in odontoiatria, non ha dubbi. È disposto a tutto. Senza morale, giustizia. Senza esclusione di colpi. E non importa il dolore, la paura, il sangue versato. Non importano i morti lasciati alle spalle. C’è solo l’ossessione per il suo lavoro, che lo divora. Il resto è un’abissale solitudine che colma con il sesso e la droga. O passando le notti insonni, sul tetto del suo palazzo; aspettando il mattino, un nuovo giorno, le notizie dei ritrovamenti dei cadaveri, l’ennesimo ricatto, un’indagine che lo riguardi, un arresto imminente… perché niente va come lui si aspettava. È l’entropia, la seconda legge della termodinamica: ogni tentativo di generare ordine porta solo al caos. E a nuovi efferati crimini. È tutto perverso e logico, dall’inizio. O forse no. Perché il mistero in questo caso non è in ciò che accadrà, ma in quello che è già accaduto. Per questo il romanzo inizia dal secondo capitolo. Il secondo, non il primo. E termina con ciò che non ci si aspetterebbe mai: l’inizio.

Roberto Carboni, classe 1968, è nato a Bologna e vive sulle colline di Sasso Marconi. Tassista per diciassette anni, attualmente autore e docente di scrittura creativa a tempo pieno. Nel 2015 è stato premiato con il Nettuno d’oro, il più autorevole riconoscimento a un artista bolognese. Nel 2016 con il premio speciale Fondazione Marconi Radio Days. Nel 2017 ha vinto il concorso letterario Garfagnana in Giallo, nella sezione Romanzo Classic. Nel 2018, su 47 romanzi in concorso si è aggiudicato anche il prestigioso SalerNoir Festival di Salerno. È al suo decimo romanzo edito. Con le sue storie noir, tutte ambientate a Bologna, indaga l'animo umano nei suoi abissi più scuri e corrotti. Con la Fratelli Frilli Editori ha pubblicato: “BOLOGNA DESTINAZIONE NOTTE”, “IL DENTISTA”, “L’AMMIRATORE”, “AGENZIA BONETTI” e “DALLA MORTE IN POI”.
LinguaItaliano
Data di uscita17 giu 2014
ISBN9788875639884
Il dentista: Delitti alle sette chiese

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    Anteprima del libro

    Il dentista - Roberto Carboni

    Seconda parte

    Dopo diciotto minuti d’immobilità, il dottor Dante Zamboni…

    2

    Dopo diciotto minuti d’immobilità, il dottor Dante Zamboni, un uomo tarchiato, con un folto pizzetto e i capelli completamente bianchi, spostò l’alfiere di tre case e sospirò come se fosse stata la mossa in sé a essere massacrante, e non il pensiero che l’aveva generata.

    Tamponò la fronte con il fazzoletto, da cui spuntarono le sue iniziali ricamate in oro.

    Il suo avversario si chiamava Francesco Raimondi ed era un giovane moro dallo sguardo intelligente, ma un po’ spaesato.

    Per la violenza dello scontro, l’intero palazzetto dello sport di Riccione si era stretto attorno ai due finalisti.

    Era stata battaglia fin dall’apertura. Un gioco metodico quello del giovane, selvaggio quello dell’uomo, che malgrado l’aggressività non era riuscito ad accaparrarsi alcun vantaggio.

    Nonostante avesse ancora molto tempo a disposizione, Francesco pensò solamente qualche secondo prima di promuovere il Pedone, tenendolo tra pollice e indice, entrambi protetti da cerotti.

    La sua espressione mutò in una smorfia di disappunto, mentre lo sguardo del suo avversario si era fatto ancor più feroce. Era caduto in un ingegnoso tranello: quattro mosse dopo abbassò il Re e si arrese.

    «Complimenti» disse Francesco, allungando la mano al vincitore.

    Apparentemente, nei suoi occhi non c’era il minimo rancore.

    3

    La stretta fu forte, il dottor Zamboni amava essere adulato. E come tutti i narcisisti era riconoscente a chi gli si prostrava in lusinghe. «Complimenti a lei giovanotto. Senza quella svista la partita sarebbe stata patta».

    Non lo pensava affatto.

    Erano le prime parole che i due si scambiavano. Quando tre ore prima si erano seduti alla scacchiera, per la concentrazione avevano trascurato i convenevoli.

    Seguì la premiazione, la coppa grande e la busta con i mille euro al dottor Zamboni. Una coppa minuta per Francesco. Solo trecento euro, il secondo premio in denaro.

    «Le va di analizzare la partita?» domandò il giovane all’uomo, dimostrando una sportività insolita. I perdenti non amano rovistare tra le loro macerie.

    Il dottor Zamboni levò il farfallino e slacciò il bottone della camicia che gli stringeva il collo, prima di rispondere. Accettò, naturalmente. Analizzare significava evidenziare la bravura del vincitore.

    Aveva un ché di sadico e medioevale il gioco degli scacchi.

    Il palazzetto tuttavia stava chiudendo. Con ancora le coppe in mano, si rifugiarono correndo sotto la pioggia battente di maggio, in un grande bar che distava poche decine di metri dal luogo della gara.

    Estrassero le rispettive scacchiere tascabili e i quaderni per gli appunti.

    Doveva essere un pomeriggio di coincidenze, poiché ordinarono entrambi tè verde alla menta, ed entrambi aggiunsero latte.

    Ma il gioco li chiamava, si lanciarono solo un’occhiata di compiacimento prima di immergersi nelle riflessioni.

    L’uomo rimase colpito dal talento del giovane, e dovette ammettere che la capacità di analisi di Francesco – dentro di sé incominciava a chiamarlo per nome – era molto superiore alla sua. Si era trattato solo di un miracolo, se era riuscito a portare a casa la vittoria.

    L’idea però non gli piacque e la mutò.

    Era lui il campione del torneo, non Francesco. E non importava quanto fosse infantile quel pensiero. In un modo o nell’altro, la vita gli aveva insegnato a vincere. Sempre e a qualunque costo.

    4

    Ma c’era ben di più nel giovane che aveva di fronte. Il dottor Zamboni percepiva istintivamente anche i più minuscoli dettagli umani. Chi lo conosceva sapeva quanto fosse difficile mentirgli e farla franca.

    Francesco pareva un attore. Il naso dritto, le guance scavate, il mento solido e una bocca perfetta. Riccioli morbidi come di cotone, nerissimi, contrastavano con l’azzurro degli occhi.

    I suoi gesti erano affascinanti e la sua voce quieta dimostrava grande dignità. Ispirava simpatia, la sua magrezza e la capigliatura selvaggia impedivano quasi di dargli un’età, senz’altro sotto la trentina comunque, e lo facevano apparire indifeso.

    Eppure da lui trapelava anche qualcosa di misterioso, che sicuramente sapeva di avere e che faceva di tutto per tenere nascosto. Strati neri d’inconscio, ricoperti di apparenze arcobaleno. I suoi occhi chiari ricordavano più le profondità marine che non la leggerezza del cielo. Come se portasse con sé memorie tremende, non adatte alla sua età.

    Forse, proprio per questo il suo modo di interpretare gli scacchi era tanto meticoloso e senza svolazzi. Aveva bisogno di geometrie per tenere a bada il caos.

    E che dire di quello che era successo durante la gara? «Quei due svenimenti che ha avuto in torneo...» domandò il dottor Zamboni sfiorandosi il pizzetto con le dita tozze. «Le capita spesso?».

    Francesco si strinse nelle spalle. Andò col polpastrello al taglio sulla fronte. Se l’era procurato cadendo dalla sedia nel momento di buio.

    Svenimenti? Sì, qualche volta capitava. Ultimamente con più frequenza. «Nulla di grave. Forse cali di zucchero o lo stress. Studio molto» fino a diciotto ore al giorno senza staccare gli occhi dai libri. Si stava laureando rispettando le scadenze e con solo trenta sul libretto. Tuttavia non lo disse.

    Il dottor Zamboni annuì senza convinzione. Anche lui all’università ci aveva dato la pelle, ma non per questo era mai svenuto. Quali potevano essere i motivi per cui Francesco soffriva di quel disturbo? E perché era combattuto fino a quel punto?

    Il dottor Zamboni non poté evitare il paragone. Luca, il suo primogenito scomparso da ventitré mesi e tredici giorni (teneva il conto) aveva (avrebbe avuto?) circa la sua età.

    Francesco glielo ricordava.

    Suo figlio – stravedeva per lui – che bel ragazzo che era. Ma che ribelle indisciplinato!

    Luca, solo per fargli rabbia, aveva scelto la facoltà di filosofia senza alcuno stimolo nel portarla a termine. Poi era sparito. Sotto il naso dei migliori investigatori privati d’Europa.

    Lasciando la famiglia a pezzi. L’ulcera, i dissapori, le rispettive accuse e i sensi di colpa…

    No, quello era un giorno di festa, non doveva pensarci. Era diventato bravissimo ad arginare il dolore.

    Si fecero le ventuno. Il bar si affollò dei clienti del dopocena. Gente che urlava e l’odore dei caffè corretti alla sambuca.

    I due però non si accorgevano d’altro che non fossero i pezzi e le loro stesse voci. Avevano riempito pagine di analisi.

    Senza alcun preavviso, il giovane si alzò e raccolse gli scacchi: se ne stava andando. Incurante dello sguardo attonito del dottor Zamboni.

    5

    «Si è fatto tardi, mi devo muovere o perderò l’ultimo treno» Francesco tese la mano. «è stato un piacere conoscerla» aggiunse con tono calmo. Senza nemmeno avanzare la richiesta di una lecita rivincita.

    Di colpo il dottor Zamboni fu conscio e infastidito dal chiasso intorno a lui: le imprecazioni in dialetto, il boato della partita di calcio sul maxischermo. Il frastuono era amplificato dal senso di solitudine.

    Quel bel pomeriggio di sogni era già terminato. Rimaneva la realtà di una vita di successo da cui non traeva più alcun piacere, come un film già visto decine di volte. Un trofeo da mettere sulla mensola assieme agli altri riconoscimenti impolverati, cui nessuno avrebbe più badato.

    «Che ora abbiamo fatto?» domandò cercando un pretesto. «è tardissimo e non abbiamo neppure cenato». Il suo sguardo s’illuminò: «Conosco un buon ristorante qui vicino. è caro ma si mangia divinamente».

    «Non per essere scortese» rispose Francesco. «Sono ancora studente, in questo momento non posso permettermi di cenare fuori». E neppure un nuovo pernottamento. Non ci sarebbero stati altri treni fino all’alba. L’idea di rimanere tutta la notte seduto su una panchina della stazione non lo entusiasmava di certo.

    Il dottor Zamboni non era disposto a cedere: «Non si offenderà se la invito a cena. Naturalmente rimarrà mio ospite anche per la notte» aggiunse.

    Con un sorriso, Francesco gli lasciò capire che non era possibile.

    «Ma andiamo, quante cerimonie! Ho una villetta qui a Riccione, anche se non ci vengo spesso. Da brava piemontese, mia moglie preferisce la montagna».

    Dopo l’orrore di suo figlio, sua moglie preferiva qualsiasi posto lontano da lui. E adesso era anche certo che lei lo tradisse. Di nuovo, s’impose di pensare ad altro.

    Finalmente Francesco acconsentì. Il dottor Zamboni gli sorrise con benevolenza. Era burbero e sospettoso, eppure era rimasto affascinato da quel nuovo, combattuto, amico. Perché lo sentiva già così: amico.

    Di certo, sua moglie o i soci dello studio non avrebbero approvato un comportamento tanto irresponsabile. Vanno bene le chiacchiere e la cena, ma coi tempi che corrono – e i pazzi che ci sono in giro – era azzardato portarsi a casa un estraneo per la notte. Perché si trattava proprio di questo: del carismatico, introverso giovane, il dottor Zamboni non conosceva assolutamente nulla.

    6

    Il locale non aveva niente da spartire con le tipiche trattorie romagnole. Era un ristorante di lusso a tutti gli effetti, anche se strizzava l’occhio alla familiarità della riviera. Una gallina dalle piume dorate, incastonate di smeraldi e diamanti. Che, orgogliosamente, proponeva un’eccellente cucina locale.

    L’odore della carne alla griglia era irresistibile.

    «Dottor Zamboni!» accentuato da un accogliente sorriso «...che piacere rivederla».

    Il direttore di sala ci sapeva fare.

    Sedettero a un tavolo appartato, nonostante il locale si stesse vuotando. Il dottore legò il tovagliolo dietro il collo e ordinò una bottiglia di Brunello. Affettato, formaggi e strane marmellate nelle quali la frutta era mescolata alla senape o all’aceto balsamico.

    «Deve assolutamente sentire le loro tagliatelle al prosciutto, e la guancia di vitello alla brace» disse il dottor Zamboni, che scorreva il menù con gli occhiali scesi sul naso.

    Mentre Francesco si lasciava guidare nella scelta dei piatti, gli squillò il telefono. Rispose e riattaccò dopo un breve scambio di battute. «Era Giorgia, la mia ragazza» disse.

    Sul viso del dottor Zamboni si era dipinta un’espressione sbigottita: «La suoneria...» indicò il telefono con la punta del coltello.

    «è Il Titano».

    «Lo so benissimo, sono vicepresidente dell’Associazione Italiana Amici di Mahler».

    Francesco non sembrò particolarmente sorpreso: «Allora forse ci siamo già incontrati, una volta, a Villabassa» il tono della sua voce assunse una nota più scura.

    Il dottor Zamboni sollevò gli occhi andando con la mente indietro nel tempo. «L’estate scorsa. Eri al raduno?» si accorse che gli aveva dato del tu, ma gli era venuto naturale e non si scusò.

    Bando alle formalità!

    Fece cenno al cameriere di servire un’altra bottiglia. Il giorno seguente avrebbe lavorato di pomeriggio e non aveva interventi impegnativi, solo la normale routine di studio. «Il Brunello andava bene, vero?» domandò con premura al suo ospite.

    Brindarono di nuovo. Il dottor Zamboni finì con pochi sorsi il bicchiere, mentre Francesco nel vino ci bagnò solo le labbra, come aveva fatto fino a quel momento.

    Era stata una giornata emozionante, ma non era ancora mezzanotte.

    Le sorprese non erano terminate.

    7

    «Pure tu vivi sotto le Due Torri, vero?».

    Francesco aveva uno spiccato accento bolognese, ma anche un’incomprensibile, fuggevole, inflessione.

    «Sì, per uno strano motivo però mio padre è finito a lavorare per la Fiat, così ci siamo trasferiti a Torino quando avevo nove anni. Sono rientrato a Bologna per frequentare l’università».

    «A giocare a scacchi hai imparato a Torino, allora» adesso gli era finalmente chiaro. «Non capivo come mai non ci fossimo incontrati prima».

    Il dottor Zamboni se l’era domandato per tutto il torneo.

    «Sono diventato Maestro a quattordici anni. Mi manca solo la terza norma per diventare Maestro Internazionale. Ma forse non la prenderò mai».

    «Sarebbe un peccato».

    «Ho dovuto scegliere. Una volta che ho cominciato l’università ho smesso, almeno con le gare. Altrimenti non mi sarei più laureato. E il lavoro è tutto ciò cui ambisco». Francesco si prese una pausa prima di continuare. «Però gli scacchi mi fanno comodo. Per un certo periodo ho fatto il portiere notturno. Ora mi sono creato il mio giro e do lezioni; i miei non hanno grandi possibilità, non voglio gravare su di loro».

    Era un atteggiamento lodevole. C’era qualcosa però, nel ragionamento, che s’impigliava in accessori troppo costosi: lo sguardo del dottor Zamboni caracollò dal maglioncino firmato, di cachemire, che Francesco indossava. Al Longines Dolcevita che portava al polso. «Te la devi cavare egregiamente con le lezioni» ammiccò, facendogli intendere una volta di più che lui non era uno stupido.

    Francesco capì e sorrise. Aveva un sorriso triste, come se fosse qualcosa che non faceva parte di lui, ma che era costretto ad adoperare. «Sono regali della mia ragazza. Ci tiene che io sia presentabile».

    «Dev’essere molto innamorata, e anche molto gelosa». Il dottor Zamboni lo squadrò. Era davvero un gran bel giovane. Lui continuava ad associare Francesco a quella parola: giovane. Anche se Francesco era un uomo fatto. «Tu le donne le mandi in visibilio, eh?» si aspettava un minimo di compiacimento, invece Francesco rimase impassibile.

    Il dottor Zamboni interpretò quell’improvviso mutismo come imbarazzo. Non voleva passare per ficcanaso. Decise di cambiare discorso: «Hai detto che studi. Quale facoltà?».

    «Mi sto laureando in odontoiatria».

    Il dottor Zamboni spalancò la bocca, la forchetta gli s’inchiodò tra le labbra.

    «Sto terminando la tesi» aggiunse Francesco. «Dopo il liceo ho abbandonato gli studi per quasi quattro anni, prima di riprendere».

    Silenzio.

    Poi: «Lo sai chi sono io...» balbettò il dottor Zamboni che subito agitò una mano, capendo la fesseria che aveva detto. Aveva bevuto un po’ troppo e quelle parole pompose gli erano sfuggite senza controllo. «No, no mi sono espresso male. Intendevo dire, lo sai cosa faccio nella vita?».

    Francesco inclinò la testa con sguardo indagatore: «è dottore... non saprei, in legge?».

    «Acqua».

    «Commercialista?».

    «Per l’amor del Cielo, non so nemmeno accendere una calcolatrice».

    «Medicina?».

    «Fuochino».

    Francesco disse di avere capito, ed era così. Il dottor Zamboni era socio di uno dei più importanti studi dentistici bolognesi.

    «Accetterò consigli, allora» disse Francesco.

    La conversazione slittò all’odontoiatria, com’era naturale che fosse. Ma poi tornò all’amore

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