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Onda d'urto. Jack Courtney 3
Onda d'urto. Jack Courtney 3
Onda d'urto. Jack Courtney 3
E-book273 pagine3 ore

Onda d'urto. Jack Courtney 3

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Info su questo ebook

Con il pretesto di realizzare un video per una delle iniziative ambientaliste della madre, Jack Courtney ha organizzato una spedizione nell’Artico insieme agli amici Amelia e Xander e al cugino Caleb. Ma qualcosa nella società che finanzia la loro avventura desta i suoi sospetti: la misteriosa azienda che afferma di investire in progetti innovativi per ricavare energia da fonti rinnovabili è davvero impegnata a favore della sostenibilità e dell’ambiente? E come mai lui e i suoi amici sono perseguitati da inspiegabili incidenti qualunque cosa facciano, che si tratti di sleddog o pesca sul ghiaccio, di guidare motoslitte o di costruire degli igloo?

Così, quando la situazione precipita e Caleb è costretto ad affrontare un branco di lupi, Jack inizia a chiedersi se l’amico di sua madre, Jonny Armfield, arriverà davvero a salvarli o se non sia addirittura parte del problema…

LinguaItaliano
Data di uscita8 nov 2022
ISBN9788830591745
Onda d'urto. Jack Courtney 3
Autore

Wilbur Smith

Considerato l’indiscusso maestro dell’avventura, è nato nel 1933 in Africa centrale e si è spento il 13 novembre 2021. Ha pubblicato più di quaranta titoli, tradotti in ventisei lingue, fra cui il ciclo ambientato nell'Antico Egitto e le celebri serie dedicate ai Courtney, ai Ballantyne e a Hector Cross. Nel 2015 ha fondato la Wilbur & Niso Smith Foundation, che promuove la cultura e la narrativa d'avventura. Fiore all'occhiello della fondazione è il prestigioso Wilbur Smith Adventure Writing Prize.

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    Anteprima del libro

    Onda d'urto. Jack Courtney 3 - Wilbur Smith

    1

    La crosta di ghiaccio si è rotta prima ancora che riuscissi a completare la prima curva. Dalla crepa iniziale se ne sono aperte subito delle altre. Guardando andare in frantumi il tappeto bianco che mi circondava ho sentito il crepitio elettrico delle lastre di neve che si spezzavano.

    Avevo provocato una slavina.

    Era bellissima: una ragnatela che si propagava lungo il fianco della montagna. Ma la cascata di neve era sia alle mie spalle sia davanti a me, e per quanto cercassi di sciarci sopra – è ciò che il nostro istruttore Sylvan ci aveva insegnato a fare se mai ci fossimo trovati in quella situazione très grave – l’onda bianca mi ha subito inghiottito.

    Mi sono ritrovato a testa in giù. La neve mi ha strappato gli sci dagli attacchi. Sono stato spazzato via.

    Sylvan ci aveva anche detto di abbandonare i bastoncini da sci se fosse cominciata una valanga. Perciò, mentre scivolavo come un pupazzo di pezza, alla cieca, trasportato dalla neve ruggente, ho cercato di farlo. Avevo i cinturini dei bastoncini attorno ai polsi, ma in qualche modo sono riuscito a sfilarne uno, che è venuto via insieme al guanto. Non sono riuscito a togliere l’altro cinturino, però. Il bastoncino ha cominciato a roteare insieme a me mentre rotolavo giù per la montagna.

    Com’era possibile che stesse accadendo una cosa del genere?

    Eravamo stati attentissimi. Avevo studiato le previsioni, consultato il bollettino della neve, controllato tutto.

    Non aveva importanza. Ora comandava la valanga.

    Dov’era Amelia? Aveva cominciato la discesa davanti a me. Aveva avuto il tempo di togliersi dal percorso dell’enorme muraglia di neve? È impossibile correre più veloci di una valanga. Proprio come accade con una violenta corrente marina, la cosa migliore da fare è scartare alla giusta angolazione e sperare di arrivare al bordo esterno. Per lo meno Xander era al sicuro sopra la sua roccia sporgente. Non capivo più dove fosse l’alto e dove il basso: era come venir spiaccicato sulla sabbia da un’onda gigantesca, ma molto, molto peggio.

    Mentre cercavo di farmi strada avevo avuto tempo di pensare che Xander, che manovrava il drone, stava probabilmente filmando tutto quanto dall’alto, proprio come la GoPro sul mio caschetto stava registrando ogni millisecondo di quello che riuscivo – o non riuscivo – a vedere.

    Eravamo sulle Alpi per realizzare un video per un progetto chiamato Sull’orlo. Era un concorso, una delle eco-iniziative della mamma. Ci era voluto un po’ a convincerla che degli scatti epici di noi che scivolavamo sulla fresca neve alpina calzassero a pennello con l’etica ambientalista di Sull’orlo, ma alla fine ero riuscito a persuaderla che mostrare uno dei paesaggi più belli – e minacciati – del mondo insieme a un pizzico di sport estremo, piuttosto che limitarsi a far vedere l’ennesimo orso polare pelle e ossa su un banco di ghiaccio mezzo sciolto, avrebbe aggiunto quel nonsoché di inatteso.

    Inoltre, essendo giovani, qualsiasi video semidecente avessimo realizzato per la causa avrebbe potuto generare un minimo di pubblicità. Sebbene non fosse proprio il girato che avevo in mente, se fossi sopravvissuto sarebbe venuto fuori sicuramente un video interessante.

    Cos’altro ci aveva detto Sylvan sulle valanghe? Primo punto, di procurarsi l’attrezzatura adatta. Ovvero ricetrasmittenti, sonde telescopiche e pale da neve. E anche zaini gonfiabili. Avevamo tutto.

    Secondo, di imparare a utilizzarla. Ci aveva fatto vedere come usare lo zaino sulla terraferma. Io stavo ancora facendo le capriole dentro l’onda di neve, ma sapevo cosa fare e sono riuscito ad afferrare con la mano libera la linguetta sulla spalla.

    Di colpo la cima dello zaino si è gonfiata, diventando un cuscino pieno d’aria. Questo in teoria mi avrebbe dovuto sollevare verso l’alto dentro la neve in movimento, così quando la valanga si fosse finalmente fermata sarei stato vicino alla superficie. Sylvan ci aveva anche detto di cercare di nuotare in quella direzione. Era più facile a dirsi che a farsi: continuavo a non avere la più pallida idea di dove fosse l’alto. Mi sono mosso per istinto, dimenandomi, e già che c’ero ho seguito un altro dei suoi consigli: trattenere il respiro, per non riempirmi i polmoni di neve finissima.

    La valanga non sarà durata più di trenta secondi, ma a me è sembrata andare avanti per ore, giorni, settimane. Le rotolavo dentro, i polmoni in fiamme, le braccia, le gambe e la testa strattonati da una parte e dall’altra, e continuavo a sperare di non finire contro un masso o un albero. Un quarto di tutte le vittime provocate da una valanga perde la vita così. La maggior parte delle altre muore soffocata quando la neve si ferma. Lo zaino mi avrebbe salvato da questa eventualità? Avevo anche perso la maschera da sci. Poi finalmente la neve spumosa ha rallentato. Ho visto della luce sopra di me. All’inizio era una foschia bianca, ma quando mi sono fermato e ho allungato il collo ho colto un angolo di azzurro.

    Il cielo! Non ero mai stato così felice di vederlo.

    Perché era così difficile muoversi, però? Il braccio con attaccato il bastoncino da sci era incuneato dietro di me e avevo l’impressione che le gambe fossero bloccate nel cemento. Ho cercato di far ondeggiare il corpo avanti e indietro per liberarmi, ma la neve, un attimo prima piena d’aria e d’energia, si era solidificata immediatamente una volta finita la valanga. Per lo meno un braccio riuscivo a muoverlo, perciò ho tentato di liberarmi scavando nella neve con le dita prive di guanti.

    Cos’era quel ronzio insistente? Mi ci è voluto un secondo per riconoscerlo. Non riuscivo a guardare così lontano dietro di me da vederlo, ma doveva essere il drone di Xander. Con il suo occhio nel cielo di certo mi aveva individuato subito e stava venendo ad aiutarmi.

    Proprio mentre capivo l’origine di quel rumore, il ronzio è stato sovrastato da un altro rimbombo, e questo non aveva alcun senso. La valanga era finita. Non dovevo fare altro che liberarmi e assicurarmi che Amelia fosse sana e salva. Speravo fosse riuscita a tirare la linguetta del suo airbag o a evitare del tutto il pericolo.

    Il rombo è aumentato fino a diventare un ruggito. Mi sono voltato per guardare la cima del pendio, e quello che ho visto non poteva essere vero. Non poteva. Ero ancora bloccato, impossibilitato ad alzarmi, figurarsi a scappare da una seconda valanga che stava scivolando veloce verso di me. Sylvan di questo non ci aveva parlato! Ma può succedere: una lastra di neve fresca si stacca dal pendio e ne disturba un’altra, che la segue. Ero sopravvissuto al primo assalto, tuttavia ero incastrato nella neve, quindi non sarei potuto sfuggire alla seconda, rombante ondata.

    Sembrava davvero acqua bianca e spumeggiante che scendeva ruggendo dalla montagna, bella in maniera terrificante. Ho messo in pratica l’ultimo consiglio che sono riuscito a ricordare prima che la neve mi raggiungesse, e ho tentato di tenere il braccio libero davanti al viso per creare una sacca d’aria. Il ruggito della seconda ondata era forte come il motore di un jet. Mi è passata esattamente sopra: un enorme, annichilente cuneo bianco che mi ha sepolto vivo.

    2

    Il rumore e il movimento mi hanno completamente disorientato. La seconda valanga mi aveva fatto ruzzolare ancora più giù lungo la montagna? Non lo sapevo. Quando la neve si è fermata non ero sicuro di dove fosse l’alto e dove il basso, ma per lo meno avevo ancora un braccio di fronte al viso. Sono riuscito a muoverlo avanti e indietro, allargando, anche se solo di poco, il foro, piccolo in modo patetico, che si era creato. Ho battuto le palpebre per togliermi la neve dagli occhi. Era tutto azzurro ghiaccio.

    Ho espirato, poi inspirato.

    La gravità, mia nemica mentre la neve mi trascinava giù dalla montagna, era ora mia alleata. Ho lasciato uscire dalla bocca un rivolo di saliva, che è scivolato lungo il mento. Non mi ero rigirato a testa in giù, quindi: la saliva scorreva verso il basso e la mia mano era sempre in alto.

    Quanta neve avevo sopra la testa? Dieci centimetri? Un metro? Due? Ho grattato con le dita nella parte più alta della cavità, l’ho colpita cercando di farmi strada, ma inutilmente. Sopra di me c’era soltanto altra neve. Ero bloccato in una camicia di forza di ghiaccio, compresso da ogni lato. Il panico ha cominciato a ribollirmi dentro.

    «Aiuto!» ho gridato. «Aiuto!»

    Benché urlassi con quanto fiato avevo in gola, io per primo riuscivo a udirmi a malapena: era come se stessi gridando contro un cuscino avvolto in un piumone. Il cuore mi martellava nelle orecchie. Non era un buon segno.

    Mi sono sforzato di restare calmo. Di sicuro mi stavano cercando. La ricetrasmittente attaccata alla giacca di certo stava emettendo un segnale. E Xander aveva il video del drone: lui e Amelia – dovevo credere che fosse riuscita a sfuggire alla valanga e non fosse rimasta intrappolata come me – lo avrebbero guardato fino a stabilire il probabile punto della mia scomparsa. È questa la prima cosa da fare per localizzare la vittima di una valanga. Poi avrebbero utilizzato le loro ricetrasmittenti per individuare il segnale della mia e venire a recuperarmi.

    Le istruzioni di Sylvan erano state chiare: i soccorsi devono passare in rassegna il manto nevoso a zigzag finché non rilevano un segnale. Una volta agganciato, la prima cosa da fare è rallentare, fare molta attenzione ai dati relativi alla distanza e alle luci di direzione sulla trasmittente, e localizzare la vittima.

    A due metri le luci di direzione si spengono e la ricetrasmittente si limita a indicare la distanza. Bisogna tenere gli occhi aperti per fermarsi alla cifra più bassa – o profondità d’interramento, come viene chiamata. Una volta sicuri che la vittima sia il più possibile vicino a dove ci si trova, si assembla il palo e si inizia a saggiare la neve.

    Avevamo fatto pratica. Si sonda in modo perpendicolare alla pendenza, in cerchi concentrici, finché non si ha un risultato positivo. Un corpo sotto la sonda è morbido ma solido, aveva detto Sylvan. Avevamo fatto pratica perché essere in grado di farlo può salvare una vita. Avevo memorizzato tutto. Solo che non avevo mai preso seriamente in considerazione che il corpo morbido-ma-solido potesse essere il mio.

    Il calore del mio fiato stava sciogliendo la neve davanti al mio viso, creando goccioline che si ricongelavano all’istante. Ho cercato di centellinare l’aria, mi sono obbligato a respirare lentamente, a razionare l’ossigeno della mia sacca d’aria. Le vittime di una valanga hanno circa quindici minuti prima di soffocare: da quanto tempo ero sepolto? Un minuto? Cinque? Dieci? E se non mi avessero trovato in tempo? Non potevo… Non volevo… Non dovevo morire così!

    Ho pensato alla mamma. Aveva perso mio fratello Mark in un incidente che avevo provocato io. E a causa mia aveva perso il marito, l’uomo che un tempo chiamavo papà, che avevo dimostrato essere corrotto e malvagio, pronto a sacrificarci entrambi per il proprio tornaconto.

    Le ultime parole che mi aveva rivolto quella mattina erano state: «Fa’ attenzione».

    E ora eccomi qui.

    Avevo preso molto seriamente le spiegazioni di Sylvan. Avevo cercato di metterle in pratica, eppure avevo fallito: avevo male interpretato la neve, mettendo in moto la valanga e seppellendomici dentro. Sapevo che la mamma è una donna forte, ma se fossi morto l’avrei lasciata sola.

    Anche se ero consapevole che avrei soltanto peggiorato le cose, non ho potuto fare a meno di dibattermi nella neve, di urlare per chiedere aiuto e di sprecare ossigeno ed energie.

    Quando mi sono fermato, esausto, tutto si è fatto cupo. Avevo freddo, mi sentivo solo, ridicolo. Non mi avevano trovato. Forse la mia ricetrasmittente si era rotta, o il drone mi aveva perso di vista. Magari anche Amelia era rimasta sepolta viva. Speravo che Xander la stesse tirando fuori, ma non avrebbe avuto tempo per localizzare entrambi.

    Un’altra ondata di senso di perdita – o di incompiutezza – mi si è abbattuta addosso. Avevo ancora così tanto da fare! Soprattutto volevo sistemare le cose con il Leopardo – l’uomo che la mamma sostiene sia il mio vero padre, ma che in Somalia ho visto comprare bambini soldato. Entrambi hanno insistito nel dire che stava cercando di salvarli. Lui in seguito mi ha scritto, mi ha chiesto di incontrarci. Io però l’ho ignorato. Perché? Per proteggermi. D’istinto, non mi fido di lui: anche se ne sono affascinato, c’è qualcosa che mi rende sospettoso. Sono stato stupido? Ho deciso, in quel preciso momento, che se fossi uscito vivo dalla neve avrei scoperto chi era davvero il Leopardo – o Jonny Armfield, come si chiama in realtà.

    Era tutto ciò che avevo in quei momenti: solo questa risoluzione che mi vibrava nella mente. La neve aveva spento tutto il resto. Ho chiuso gli occhi contro la luce azzurra e ho fatto l’unica cosa possibile: ho aspettato. Non aveva importanza che mi facesse male tutto, che mi bruciassero i polmoni, che fossi solo, intrappolato, al freddo, che stessi per morire. Non ero ancora morto.

    3

    Proprio quando stavo per perdere le speranze, qualcosa mi ha punzecchiato la coscia. Ho gridato il nome di Xander, ma avevo la voce debole. Per lunghi secondi la sonda non mi ha ritrovato. Ho cominciato a dubitare di me stesso: avevo immaginato di sentirla, visto quanto disperatamente lo desideravo? No! La seconda volta che mi ha toccato mi ha preso al fianco, piuttosto forte.

    Ho strillato, questa volta con più energia.

    Morbido ma solido, ho pensato.

    «Xander!» ho gridato con tutta la voce che avevo.

    In quel momento ho sentito una risposta attutita. Poi la sonda è penetrata nella neve proprio accanto alla mia testa. Rapido come un fulmine ho afferrato l’estremità con la mano libera: in parte per evitare che mi cavasse un occhio al tentativo successivo, ma soprattutto per potermici aggrappare e fargli sapere dove scavare. Lui ha dato uno strattone; io ne ho dato uno a mia volta. Avevo pensato di poter morire. Ora stavo rinascendo. La mia mano era quasi bianco-blu come la neve che avevo di fronte al viso, ma la mia presa sulla sonda era come una morsa: quel palo non me lo avrebbe mai strappato nessuno. Ora Xander doveva scavare lungo il declivio sotto di me. Ce lo aveva spiegato Sylvan: una volta localizzata la vittima con la sonda, bisogna scavare a un metro più a valle, liberando la neve ai due lati. Scavare è di solito la parte più lunga, specie se la vittima è sepolta a fondo. Ho dato un’energica scrollata al palo sopra di me, cercando di creare un foro per l’aria attraverso il quale respirare mentre Xander era all’opera. L’ho chiamato di nuovo. «Amelia sta bene?»

    Mi è arrivata la risposta attutita non di Xander ma di Amelia stessa. «Ovvio! Sto bene! Anche tu, ora. Sempre che non sia ferito. Sei ferito?»

    Il sollievo che ho provato nel sentire la sua voce è stato quasi insopportabile.

    «Sto bene» ho urlato. «Bene!»

    «Non esagerare» mi ha risposto gridando. «Ma come preferisci.»

    «Sta’ fermo» ha detto Xander. «Ti tireremo fuori di lì.»

    Sapevo che era una battuta, ma Amelia ci è cascata lo stesso. «Stare fermo? Difficile che vada da qualche parte.»

    Aveva ragione. Ero sepolto sotto un metro e mezzo di neve e ci è voluto un bel po’ per spostarla. Quando ne avevano ormai già scavata abbastanza da riuscire a liberarmi, li aveva raggiunti una squadra di soccorso alpino francese chiamata da Xander. Il freddo evidentemente mi aveva annebbiato la mente. Dire che tremavo è poco. Non riuscivo a pensare – e a parlare – di altro se non degli sci perduti e del bastoncino disperso. Volevo che tutti li cercassero, e ho perfino provato a farlo io, ma la squadra di soccorso non ha sentito ragioni; mi ha avvolto in due coperte di emergenza e mi ha caricato sul toboga. Avevo già visto queste slitte-barella rosso acceso, ma non così da vicino. Era sorprendentemente comoda e confortevole. Ho avuto l’impressione di potermici addormentare, e in effetti mi sono assopito, per poi essere subito risvegliato bruscamente da un colpo al braccio.

    «Tieni gli occhi aperti!» mi ha detto Amelia. E a Xander: «È in ipotermia. Inizialmente compromette la capacità di giudizio: chi ne soffre dice spesso cose senza senso. Poi porta a far addormentare. I casi gravi muoiono».

    Il tizio del soccorso alpino evidentemente parlava un buon inglese. Ha fissato Amelia e poi mi ha detto: «È amica tua, sì?».

    Ho annuito.

    Xander ha sorriso. «Non è cattiva. È solo che ha la tendenza a dire le cose come stanno.»

    Il tizio del soccorso alpino si è stretto nelle spalle e ha detto: «Non morirà nessuno».

    «Ovvio» ha replicato Amelia. «Le coperte di emergenza sono efficientissime. Si riscalderà presto.» Rivolta a me ha aggiunto: «Ma sta’ sveglio. Concentrati».

    Una volta che la squadra di soccorso mi ha chiuso nel toboga, sono stato trasportato sulla pista più vicina e a valle fino al resort. È stata una sensazione stranissima scendere per la montagna sdraiato sulla schiena, con le nuvole e gli alberi che mi passavano sopra la testa; Xander e Amelia sciavano accanto a me mentre i due uomini della squadra di soccorso, uno davanti e uno dietro, correvano senza alcuna difficoltà sulla pista.

    Al nostro arrivo in città mi sentivo già un po’ meglio, ma non mi hanno concesso subito la libertà; mi hanno portato al centro medico locale, dove un’infermiera gentile mi ha dato una zuppa di cipolle bollente. Dopo una lunga attesa, durante la quale mi sono lentamente riscaldato, sono stato esaminato dalla testa ai piedi da un dottore con la barba rossa. Stavo bene, e continuavo a dirglielo, ma lui ha risposto solo: «Sta a me giudicarlo. Aspetta qui». Poi mi ha lasciato nell’ambulatorio.

    Non sono rimasto solo a lungo, perché ben presto sono entrati Amelia e Xander. Lui aveva già cominciato a montare il video del drone con il filmato che avevo catturato io tramite la telecamera sul mio caschetto e, mentre aspettavamo, lo abbiamo riguardato sul suo telefono.

    Il filmato mostrava la mia corsa lungo una discesa che cedeva a mano a mano che passavo, i lastroni di neve che collassavano e scivolavano e si precipitavano a inghiottirmi, mentre Amelia, sempre in campo, scartava a sinistra, oltre un gruppetto di conifere, dritta verso la salvezza con – devo ammetterlo – destrezza superba. Poi il drone zoomava su di me, un fantoccio schiacciato, sballottato a sinistra e a destra dai cumuli di neve che cadevano, finché la nuvola candida, alzandosi come acqua bianca, non aveva inghiottito tutto. Dopo che la prima slavina si è fermata rimanevo ancora a malapena visibile, ma la seconda mi aveva cancellato completamente. Benché sapessi di essere sopravvissuto, il video della valanga che mi sommergeva è stato duro da guardare.

    Xander – con la sua solita prontezza di spirito – aveva tenuto il drone fermo sul punto dov’ero scomparso. Il filmato mostrava lui e Amelia che scendevano zigzagando verso di me. Inframmezzati a queste immagini c’erano frammenti di ciò che aveva registrato la mia telecamera. Dopo che ero stato sepolto vivo non aveva filmato che il terribile azzurro della neve, ma aveva anche registrato i suoni: avevo chiamato aiuto più volte di quanto pensassi.

    E

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