Alchimia di mondi diversi
Di Morena Festi
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Info su questo ebook
Una giovane donna racconta in prima persona come, durante un viaggio in Islanda, abbia scoperto di possedere la capacità di vederne gli abitanti segreti, i folletti. Da quel momento, inizia a vivere una doppia avventura: insieme al suo gruppo visita le meraviglie del paesaggio islandese mentre da sola e contemporaneamente va alla scoperta del misterioso mondo del Piccolo Popolo. I folletti dell’acqua, del ghiaccio, del fuoco e quelli ancora più enigmatici delle rocce di Thingvellir si susseguono in rapida carrellata con le loro peculiarità, intercalati da spaccati di vita in cui interagiscono anche con gli abitanti umani.
L’emozione di tutto questo è però offuscata dalla triste certezza che al ritorno dimenticherà tutto, perché così narrano le leggende. Ad alcuni privilegiati è sì fatto dono della vista sensibile, ma a nessuno è permesso lasciare l’Islanda portando con sé memoria di quanto osservato. Convinta, nonostante tutto, di essere riuscita a trattenere i ricordi, la donna una volta rientrata in Italia rimane vittima di uno strano incidente. Che sia stato causato da un folletto contrario al fatto che continui a ricordare? Eppure…
Suggestivo romanzo breve, in bilico tra sogno e desiderio di credere in una alchimia di mondi diversi capaci di convivere.
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Anteprima del libro
Alchimia di mondi diversi - Morena Festi
1
La punta aguzza di un cappello color cobalto e due piccole braccia tese in alto, fuori dalla coltre soffice.
Unica macchia di colore in tutto quel bianco. È sbucato così. A seguire testa e spalle. Ha fatto leva con le mani, appoggiandosi ai lati, come se davvero le nuvole avessero consistenza, ed è uscito completamente. Si è scrollato di dosso qualche buffetto di vapore e ha scalciato coi piedi, come a togliersi neve dagli stivali. Si è poi stiracchiato, ergendosi a gambe larghe in tutta la sua minuscola statura, braccia alzate, pugni chiusi verso il cielo. Mi dava le spalle. Era il giubbetto a righe arcobaleno che lo rendeva ben visibile. Da sotto l’ampia tesa del cappello sfuggivano lunghe ciocche disordinate, dall’intenso color carota. Si è girato. Una palla di barba arruffata e ispida come il pelo di un gatto spaventato, ne ricopriva completamente il volto.
Un folletto!
Un folletto spuntato dal basso, dal nulla.
Non ero affatto sicura di quello che vedevo.
Quando eravamo partiti, inizialmente, c’erano state solo nuvole isolate e sparse attorno a noi. Oltre l’ala dell’aereo, i loro diafani veli s’erano proiettati in pallide ombre sui campi sottostanti. La pianura era scivolata via e ci erano corse incontro le cime nude delle Dolomiti, schiacciate dall’insolita prospettiva. Isolati picchi innevati, che non sapevo riconoscere, rilucevano a tratti nel sole.
Col proseguire del viaggio, le nubi si erano addensate fino a riempire tutto il cielo trasformandolo in un’unica massa bianca e compatta sotto di noi. Ci si sarebbe potuto camminare sopra tanto appariva solida.
L’attenzione era stata vigile fino a quando con lo sguardo avevo potuto distinguere foreste, laghi e città.
Molto probabilmente, nonostante l’emozione del viaggio, quel candore che perdurava da ore, il ronzare compatto dei motori avevano finito per farmi addormentare. Dovevo essermi persa in un sogno.
Il volo mi stava allontanando e il folletto, fermo, appariva sempre più distante. L’ho visto chinarsi, raccogliere qualcosa e lanciarlo con forza verso l’aereo.
La cosa si è srotolata in un filo sottile e teso, scintillante nel sole. Vi è scivolato sopra a braccia aperte, come un equilibrista o un pattinatore su ghiaccio. Un secondo improbabile gomitolo di nuvola, un altro ancora, ed eccolo comodamente seduto sull’ala. Se ne stava con le mani aggrappate al bordo e le gambe ciondolanti. Non indossava scarpe e i piccoli piedi rosati si agitavano pigramente nel vuoto.
Era lì, poco oltre il finestrino, i nostri sguardi si sono incrociati.
Non si dovrebbero mai guardare i folletti negli occhi. È con quelli che tessono le loro magie, che possono ammaliarti fino a berti l’anima e toglierti la capacità di pensare. Sono i loro occhi che riescono a ingannare la mente, è per questo che non li vediamo anche quando vivono tra noi.
È con lo sguardo che ci portano all’oblio della loro presenza. Sicuramente il fatto che fosse stato di spalle, mi aveva permesso di vederlo. Ora che ci stavamo fissando, ne avrei perso il ricordo.
Questo comunque era un sogno e nei sogni non valgono le regole della realtà.
Continuavamo a scrutarci. Impossibile scorgere la sua espressione in mezzo a tutta quella barba. Molto probabile, comunque, che stesse sogghignando per la confusione dei miei pensieri.
Sapevo che potevano leggere nella mente. Sui folletti ero ben documentata. La mia infanzia era trascorsa con loro, anche se non ne avevo mai visto uno, naturalmente.
Credevo ciecamente alle fiabe che ne parlavano. Mi era impossibile immaginare come gli adulti, sostenitori del dire sempre la verità, mi raccontassero cose non vere.