Il mendicante e l’angelo di cristallo
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Info su questo ebook
È questa la lezione che ci insegna Rosetta Fazio nel suo Il mendicante e l’angelo di cristallo, un autentico messaggio di speranza per il futuro della nostra Umanità.
Rosetta Fazio nasce in Calabria. Dopo gli studi si trasferisce in Svizzera, dove lavora e mette su famiglia, dando vita ai suoi tre amati figli. Lavorare come insegnante è una scelta dettata dal profondo, come lo è scrivere. Da autodidatta, studia grafologia, seguendo la sua indole di esploratrice dell’animo umano. La ricerca di sé passa attraverso la conoscenza degli altri. Prova a dipingere con la penna ciò che vede il cuore, per rendere visibile l’invisibile. La sua spinta focale è credere nella consapevolezza che “La conoscenza rende liberi”.
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Anteprima del libro
Il mendicante e l’angelo di cristallo - Rosetta Fazio
Introduzione
Tanto negli albori quanto nelle tenebre tempestose il messaggio è vivo allo stesso modo: svegliati e agisci!
Compi il tuo miracolo personale, è solo tuo.
Non puoi delegare.
Rimandi, rimandi ancora, ma alla fine: o ti muovi o sfiori la tragedia.
La vita non si esprime con mezzi termini; ti vuole, totalmente.
Il tempo è solo una parvenza umana di stasi nell’immensità dello spazio… E tu, microrganismo nel macro, puntino, piccolo agglomerato di materia, ritagli il tuo spazio,
delinei la tua potenza, carichi e scarichi le tue energie, e vai, col tuo fardello…
Ti trascini con l’interscambio tutti i tuoi simili, e spesso nemmeno te ne accorgi.
Nessuno è solo.
La solitudine è buio intorno alla luce, ma il mondo è luce nel buio, e tu vivi nel mondo.
Tante volte, da bambina, di notte mi svegliavo e avevo paura. Il buio fa paura. Non è consono all’essere.
Poi mi osservavo: il mio corpo, sebbene al buio, emanava luce. Fioca, sì, ma luce. Ero sempre, ancora, nel vortice dell’esistere. Mi piaceva pensare: ci sono!
Allora mi abbracciavo e mi addormentavo.
Federica
Fusione
Con mani tremanti girò la chiave nella serratura e la porta si aprì. L’emozione le bloccava il respiro.
Si guardò intorno temporeggiando. Ma dove sono finiti tutti? Sarebbero dovuti arrivare già da mezz’ora! Entrò.
Si accedeva direttamente in una enorme sala. Era buio.
Non trovava l’interruttore.
Pian piano intravedeva gli scaffali alle pareti.
In fondo si stagliava una porticina ad arco, e nel bel mezzo dell’ampia sala un tavolo troneggiava
sfacciatamente sfidando le tenebre!
È fatto della mia stessa materia!
Sorrise, e le parve di sentire l’eco della sua voce di bimba: Allora significa che tu, la mamma, io, l’albero di ciliegio, il mio cristallo, i fiori, le stelle, siamo fatti della stessa cosa?
Proprio così!
aveva risposto suo padre, rimboccandole le coperte. Ora dormi, piccola, domani abbiamo la gita nel bosco.
Chissà dov’era, in quel momento!
In fondo nella sua vita era stato sempre presente e assente allo stesso tempo, rimanendo pilastro portante.
Non mollare mai i tuoi sogni, se ci credi davvero e riesci a immaginarli si avverano!
Già… Ora era lì…
In mezzo alla stanza, nel cuore della città, in un punto della terra, ai confini dell’universo, dentro sé e… il suo sogno stava per avverarsi!
Ciò che riusciva a emergere tra i mille pensieri che le affollavano la mente era: Com’è sottile il confine tra il sogno e la realtà, confluiscono l’uno nell’altra ed è fusione inevitabile!
Delia
Una notte di fine estate del 2002 fui svegliata da un rumore forte e improvviso. I miei figli dormivano, il mio consorte anche.
Perlustrai la casa. Nessun oggetto era caduto.
Mi affacciai dalle varie finestre, alcune aperte per il gran caldo, ma nulla giustificava quel rumore sordo che mi aveva svegliata.
Mi sedetti in cucina, presi il diario e, come da consuetudine, appuntai il sogno dal quale mi ero appena destata:
Una bimbetta di circa cinque anni mi è venuta incontro, mi ha presa per mano e, guardandomi con due grandi occhi color verde smeraldo su un visetto smunto a forma di cuore, mi ha detto: "Vieni con me nel giardino dei ciliegi, poi scrivi la mia storia!
L’ho seguita, tenendo la sua manina delicata e fredda, nella luce effusa dai filari di ciliegi in piena fioritura. Al nostro passaggio, gli alberi ci regalavano una pioggia di petali e trasformavano i fiori in lussureggianti frutti rossi.
La bambina sorrideva, muovendo delicatamente la testa, mentre i suoi capelli d’oro si arricchivano di perle di petali.
Immersa nella preziosa pioggia avanzavo leggera, senza alcun affanno.
Nel riporre il diario, mi caddero dei fogli.
Era la favola che avevo raccontato al telefono a mia figlia e che avevo poi scritto per ricordarla quando me l’avesse richiesta.
Anche nella favola la protagonista era una bambina di circa cinque anni, dai capelli color dell’oro e amante della natura…
Aggiunsi qualche frase, poi un’altra, e un’altra ancora… non riuscivo a smettere di scrivere. Tanti scenari si paravano davanti ai miei occhi.
Scrivevo e ascoltavo il flusso continuo delle mie emozioni, completamente immersa e rapita dal mondo fantastico che si propagava nell’etere.
Infine riuscii a staccarmi dall’incantesimo e riposi il diario nello scaffale per tornare a letto.
Con la quotidianità, dimenticai completamente sia la favola sia il sogno. Avevo una vita molto intensa, allora.
Lavoravo, tenevo in ordine la casa e curavo la contabilità dell’impresa di famiglia. Ma più di ogni altra cosa mi dedicavo ai miei tre figli, di età ed esigenze diverse.
A parer mio, solo le madri, e pochi padri, sanno quanto sia coinvolgente e impegnativo crescere i figli!
Dopo alcuni mesi, rincontrai nel sogno la bambina dei ciliegi. Questa volta piroettava felice in un parco giochi vastissimo. Mi avvicinai, e lei sorridendo mi disse: Cerca l’Angelo.
Mi svegliai. Quelle parole non avevano senso.
Nei giorni successivi provai una certa inquietudine, come quando si attende un evento anche se non è ben delineato. Cosa mi stanno comunicando questi sogni? mi chiedevo.
Tuttavia, nel districarmi tra gli impegni, mi soffermavo poco sui pensieri, fino a quando…
Aspettavo mio figlio nei pressi della scuola. Ero in netto anticipo rispetto all’orario di uscita e guardavo le vetrine d’un nuovo negozio.
Fui attratta dai cristalli e dalla luce arcobaleno che emanavano. Entrai.
La mia attenzione fu catturata, letteralmente, da alcune cartoline dipinte a mano con dei colori speciali, che parevano prendere vita propria sotto i miei occhi.
La commessa mi venne incontro sorridente: «Posso aiutarla?»
«Vorrei una cartolina di questo tipo, ma con l’immagine di un angelo col viso rivolto al cielo e le ali spiegate,» dissi, accompagnando con i gesti le parole.
Avvertii sul volto vagamente familiare della commessa il correre d’un brivido. Non capivo perché. «È per la copertina di un libro che sto scrivendo,» continuai.
«Ah, bello! Di cosa tratta?»
«È una favola che ho scritto per mia figlia e che poi ho ampliato.»
«Anch’io vorrei tanto saper scrivere, ho una grande storia da raccontare,» si accigliò.
«Beh, potrei scrivergliela io, se me la racconta!»
«Lo farebbe davvero?»
«Certo. Perché no?»
Sorrise.
Il suo volto mi ricordava qualcuno…
«Direi che ci vuole una pausa» disse, chiudendo a chiave la porta del negozio. «Gradisce un caffè e due chiacchiere?»
«Sì, con piacere» risposi, un po’ sorpresa: a Zurigo sono insoliti questi gesti confidenziali!
La seguii nel retrobottega.
Mi fece cenno di accomodarmi, mentre lei trafficava con la macchinetta del caffè. C’erano due sgabelli e un tavolinetto bianco laccato, di forma rotonda. «Allora, mi racconti del suo libro!»
«È l’intreccio di una favola con un sogno. La favola l’ho raccontata al telefono a mia figlia che aveva difficoltà ad addormentarsi, sapendomi lontana; il sogno è quello di una bambina di circa cinque anni, con i capelli d’oro e gli occhi d’un intenso verde smeraldo, che mi ha presa per mano e mi ha condotta in un meraviglioso corridoio di ciliegi in fiore.»
«Quando ha fatto il sogno?»
«Circa un anno fa.»
Si fermò un attimo a riflettere, poi mi chiese: «Lei visualizza la protagonista del suo libro, mentre scrive?»
Mi parve una domanda alquanto insolita, ma risposi: «Sì», ripensando alla bambina nel giardino dei ciliegi.
Estrasse dalla sua borsetta il cellulare. Fissò gli occhi nei miei: «Rassomiglia alla bambina della foto?»
Stavolta i brividi percorsero la mia, di schiena.
«Ma è Federica! È lei, sotto il suo amato albero di ciliegio in fiore!» Seguì un attimo di silenzio.
«Si chiama Delia, era mia figlia. Questa è l’ultima foto che le ho scattato… Amava tanto quell’albero di ciliegio, e avrei dovuto scattargliene un’altra quando si sarebbe vestito di rosso,» singhiozzò.
Rimasi attonita.
Mi sentivo smarrita. Il tempo s’era fermato.
Ripresi fiato per un secondo. Deglutii, poi chiesi: «Quando è…»
«È morta circa un anno fa, in estate.» Rimasi muta e immobile.
Fece una pausa, soffiò il naso e inspirò profondamente chiudendo gli occhi. «L’hanno trovata esanime sulle dolci onde mattutine, nel mare di Cornovaglia.
Aveva gli occhi spalancati verso il cielo e le braccia aperte, come per ricevere l’Universo. Esattamente come l’angelo che mi hai chiesto per la copertina del tuo libro.»
Le lacrime scendevano copiose dai suoi occhi e anche dai miei, mentre preparava il caffè. «La sua morte è avvolta nel mistero e io non trovo pace.
Voglio recarmi sul luogo in cui l’hanno trovata. L’ambiente si impregna di noi al nostro passaggio, e ne tiene memoria!
Voglio interrogare le acque di quel mare, che hanno sorretto il suo corpicino esanime. Voglio camminare su quella spiaggia, sulle cui sabbie si sono impresse le impronte dei suoi ultimi passi.» Che strazio!
Sorseggiammo il caffè in silenzio. Poi mi spronò: «Dai, raccontami il resto della storia!»
Seppur col groppo in gola mi sforzai di farlo. Infine le chiesi: «Perché hai collegato il mio sogno a tua figlia?»
«L’immagine che mi hai descritto era chiara come la certezza che tu avessi un messaggio per me… Certe cose si sentono, non si possono spiegare.»
Poi aggiunse: «Falla vivere nel libro, ti prego!»
Improvvisamente prese le mie mani nelle sue, delicate e fredde come quelle della bambina nel sogno, le impregnò delle sue lacrime, e guardandomi profondamente nell’anima sussurrò: «Porta avanti il messaggio di mia figlia nel mondo, qualunque esso sia.»
Strinsi le sue mani e promisi: «Lo farò!»
Federica
L’infanzia
È insita
nell’animo d’un bimbo l’impronta sua, unica
come nel bulbo il fiore.
Era il tempo dei primi tepori di primavera.
Nell’aria si diffondeva l’inebriante e delicato profumo dei fiori di campo.
La varietà e l’armonia dei colori davano a Federica l’impressione di poter volteggiare. Si sentiva leggera, e invece di camminare danzava.
Era convinta che prima o poi sarebbe riuscita anche a volare.
Aveva capelli biondi, occhi grandi color verde smeraldo, e possedeva la grazia e la leggiadria d’una fata dei boschi!
Allora, Federica aveva solo cinque anni.
Viveva in un paesino nei dintorni di Firenze. Una meravigliosa combinazione tra mare, campagna e città. Il contatto diretto con la natura e il contrasto con le vibrazioni di una città affascinante e misteriosa tempravano e univano in lei la sensibilità e l’indole alla scoperta.
Tutte le mattine prendeva l’autobus a circa trecento metri da casa per andare all’asilo.
La sua mamma, Tina, la teneva per mano, e lei saltellava felice per la stradina polverosa fiancheggiata da alberi da frutto.
«Muoviti, Fede, dobbiamo correre o perderemo l’autobus!» la spronava Tina.
«Oh mamma, mi fai una foto sotto il mio albero preferito che ora si è vestito da sposa?» chiese la bambina indicando un bellissimo albero di ciliegio in fiore, dal tronco possente e dalla folta chioma d’un bianco splendente.
«D’accordo, domani porteremo la macchina fotografica. Intanto te ne faccio qualcuna col cellulare.»
«E poi mi fai un’altra foto quando si veste di rosso!»
«Ma certamente, tesoro!" sorrise Tina.
Amava fotografare la figlia che si esibiva svolazzante nell’aria primaverile.
La piccola volteggiò ancora una volta per pregiarsi del suo vestitino pomposo color rosa confetto, poi via di corsa.
«Dai, mamma, vediamo chi arriva prima!» Era raggiante quando vinceva la gara.
Tina ammetteva la propria sconfitta e s’impegnava a pagare pegno: un gelato, una focaccia o un piccolo dono.
Mamma e figlia giunsero ansimanti alla fermata dell’autobus.
I bambini si raccontarono in un attimo un sacco di cose, come se non si fossero visti da tempo.
«Ecco cosa invidio nei piccoli» disse Barbara, la mamma di Andrea, rivolgendosi sorridente a Tina. «Riescono a raccontarsi tutto in un istante e vivono ogni attimo come fosse il primo e l’ultimo!»
«Già» rispose Tina. «Loro sì che vivono davvero intensamente. Noi invece abbiamo smesso da un pezzo, eh?»
A Barbara non sfuggirono lo sguardo malinconico e il tono velato di tristezza dell’amica, ma fu distratta dall’arrivo del bus.
Incontro fatale
Intanto Federica era rimasta di nuovo incantata a guardare qualcosa. Anzi, qualcuno stavolta!
Aveva notato un uomo in un angolino, lì alla fermata del bus. C’erano due panchine marrone scuro e lui vi s’era rannicchiato in mezzo. Era seduto su dei cartoni, con le gambe incrociate e la mano protesa…
La gente passava di corsa e non lo degnava né di uno sguardo né di un saluto. E la sua mano rimaneva vuota.
«Mamma, tu lo vedi quell’uomo? Perché nessuno lo guarda? È forse invisibile?» aveva chiesto, stupita, Federica.
«È solo un mendicante che chiede l’elemosina! Ce ne sono così tanti in giro!» rispose Tina in maniera sbrigativa.
«Dai, muoviamoci, che stamattina ho un sacco di cose da sbrigare!»
La bambina andò dietro la mamma, senza però staccare gli occhi da dosso a quell’uomo. Lo seguì con lo sguardo fino a quando il bus svoltò l’angolo.
I suoi pensieri vagavano lontani quando la maestra le chiese: «Allora, Fede, tu cosa faresti?»
«Io lo prenderei per mano e lo porterei a casa mia; gli darei da mangiare e dei vestiti nuovi, e chiederei al mio papà di dargli una stanza, tanto ne abbiamo di vuote!»
«Ma Federica, a chi ti riferisci?» sorrise Mariella. Quella bambina aveva sempre dato risposte pertinenti. Che cosa le sarà successo? pensò.
Le si avvicinò per capirlo, ma entrò la collega: «Ti vogliono al telefono.