Il teatro delle ombre
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Info su questo ebook
Sono racconti allo specchio, nei quali appare il riflesso di un sé sconosciuto in quel magma esistenziale comune nel quale ognuno si riconosce. Profili spesso segreti del nostro essere, dove la fantasia morbosa e i timori ancestrali divengono padroni delle nostre emozioni.
Maupassant prima, Edgar Allan Poe dopo e per ultimo Hoffmann sono state letture primarie per l’intimo percorso dell’autrice. Un cammino impervio di cui sono stati maestri d’inebrianti sensazioni sul confine dell’impossibile.
Un percorso che Rita Parodi Pizzorno cerca di tracciare in questi racconti sul mistero umano, un viaggio nell’inconscio per investigare il patrimonio psicologico dell’uomo che da migliaia di anni raccoglie esperienze, timori, dubbi e speranze.
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Anteprima del libro
Il teatro delle ombre - Rita Parodi Pizzorno
Il fascino del mistero nei racconti di Rita Pizzorno
Sono ventuno i racconti che Rita Pizzorno allinea in questa raccolta, che ha significativamente intitolato Il Teatro delle ombre. L’autrice si pone come spettatrice di un susseguirsi di scene, in cui la realtà si trasfigura nel sogno, gli oggetti concreti si modificano nell’immaginazione acquistando la valenza del simbolo. Anche gli esseri umani assumono le connotazioni dei fantasmi e questi ultimi l’invadenza degli uomini reali in un continuo scambio di ruoli.
Non certo per caso il numero ventuno ci rimanda alla simbologia pitagorica e forse anche al pitagorismo stesso, filosofia esoterica che attingeva all’occulto. È possibile, leggendo i vari racconti, individuare un percorso che, attraverso varie forme ed immagini, talvolta drammatiche e angosciose, conduca ad un lieto fine liberatorio: una sorta di rigenerazione che dal profondo dell’io assurge ad una possibile riconquista del cielo.
La prosa della Pizzorno è ricca di valenze poetiche, che si aggregano proprio sul contrasto di luci e ombre, ma fioriscono specialmente nella soffice atmosfera notturna, quando si liberano le immagini della fantasia e la sognante rievocazione di un tempo perduto. Ma Il Teatro delle ombre può spalancarsi solo di notte, perché il buio dà corpo alle sagome dell’inconscio, allo specchio deformante degli incubi, ai presentimenti tanto più inquietanti, quanto più indecifrabili. In questo magma simbolistico i ricordi sono paragonati a farfalle nere
, mentre una normale escursione ad un castello diventa metafora della tensione ascensionale della vita stessa.
Un’altra qualità della narratrice è l’avvincente descrizione degli ambienti, che balzano agli occhi del lettore come pregni di vita propria, preziosa e misteriosa nello stesso tempo. Il gusto per la descrizione non fine a se stessa, ma portatrice di una verità occulta, risalta, ad esempio, nella rivisitazione del negozio delle cristallerie in Piccola cronaca. Il passaggio dalla realtà al mondo surreale è operato dalla moltiplicazione delle luci, che i cristalli producono creando un arcobaleno di lampi, di scintille a colori
.
Ed ecco che le luci richiamano, per facile associazione di idee, il palcoscenico: qui non c’è il teatro d’ombre, ma le luci di un teatro di burattini, dove si recita la vita di ciascuno di noi. Si affaccia il ricordo di Pirandello nel dualismo dell’uomo che alberga in sé l’angelo e la bestia, ma senza l’amarezza beffarda dello scrittore siciliano, perché – assicura la Pizzorno – Il cielo è pur sempre azzurro oltre le nuvole
.
Anche se, come abbiamo già sottolineato, la cifra dominante di questi racconti è l’inquietudine intrisa di mistero, non mancano gli spunti narrativi, giocati sul versante dell’umorismo, come Il gatto nero, o quelli circondati dal fascino dell’esotismo, che il fantasma di una donna porta con sé dal remoto passato (Il volto etrusco).
Alla fine il lettore è pronto per intraprendere il viaggio nell’inconscio
insieme con le due donne, che percorrono un corridoio dalle cento porte, che si aprono su orizzonti fantastici di civiltà sconosciute o di epoche di là da venire.
Concludiamo con le parole dell’autrice:
Siamo per sempre pellegrini dell’universo e sepolta nel cuore portiamo l’immagine di un Paradiso perduto
.
Clara Rubbi
Il teatro delle ombre
È sera.
L’ansia della giornata m’insegue ancora, i contrasti del giorno bisbigliano a stralci intorno a me, girano vorticosi in parole e frasi tronche.
È stato un giorno di contrasti con gli amici, le idee ed i progetti diversi ci hanno divisi in tutto l’arco delle ore diurne.
Ora, finalmente, mi ritrovo sola con me stessa, ne riascolto gli echi e mi sibilano negli orecchi le loro diverse ragioni. Gli amici dormono nella camera a fianco, mio marito soffia
e zufola
nel grande letto ed io, più sveglia che mai, cerco una quiete che tarda a venire e mi predispone all’insonnia abituale.
Lo sguardo spazia sull’altipiano inondato dalla notte, sullo sfondo una superstrada getta un flusso continuo di auto e di camion verso il confine austriaco, mentre in lontananza le montagne lentamente s’oscurano e i radi lampioni accesi spandono un cono d’oro sull’asfalto, sulle facciate delle palazzine a due piani, illuminando il paese a macchie di leopardo… Sento nella quiete della sera il baluginare del riposo d’una fiera, ne sento il respiro sulla valle immota.
Osservo, dalla vetrata della mia camera, il traffico che sfreccia per brevi istanti sulla vetta dell’altipiano e si dilegua nell’oscurità; il bianco e il rosso dei fari sono lampi, stelle cadenti, disegnano sulla lavagna notturna una geometria di linee incandescenti.
Disbrigo gli ultimi impegni del giorno al chiarore lieve dei lampioni, mentre i miei pigri pensieri scorrono come rigagnoli nascosti tra le erbe di un prato.
Lo scenario mi sbalza in un’altra dimensione, il fantastico invisibile si dilata e tutto trasforma.
I negozi, situati nelle due palazzine sullo sfondo, oltre la superstrada, hanno chiuso; alcune figure imbacuccate, appena percettibili, s’affrettano verso le auto parcheggiate di fronte, salgono e fuggono via veloci.
A lato della strada è rimasto il mimo, che s’ostina imperterrito, col braccio alzato, ad indicare le vetrine ancora piene di luci e di oggetti sfocati, mentre le auto filano via senza accogliere l’invito e dopo un breve tratto esse sono ingoiate dalla notte.
In una delle due palazzine le luci al primo piano s’accendono e le ampie vetrate si animano di ombre, laggiù… al limite del buio.
Un lungo poggiolo assurge d’improvviso a palcoscenico, insieme all’ampio soggiorno, che s’intravede appena, dove l’ombra di un uomo s’aggira inquieta.
Il tempo scivola quatto e lento, la scena lontana assume l’impronta e il fascino di un teatro inedito, di cui io sono la sola spettatrice.
L’ombra si agita vorticosa in un continuo andirivieni ansioso, dal poggiolo al soggiorno percorso a grandi passi, sino ad affacciarsi da una finestra a lato, scruta inquieta la strada da un capo all’altro, in un ossessivo timore e mi chiedo: Che cosa sta cercando? Sta aspettando forse qualcuno?
.
Mille volte misura con il suo passo il soggiorno, esce sul poggiolo e lo percorre sino all’estremo angolo oscuro, dove esso termina, frugando… cerca con orgasmo qualcosa, poi torna all’interno, si affaccia ad una finestra dell’appartamento e ancora ripete il percorso dalla casa al poggiolo, sempre più agitato in questo viavai affannoso e continuo. l’ombra ha la corporatura di un uomo.
Una magia sconosciuta sprigiona la visione in movimento, immersa nella luce e