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Ultimo Carnevale a Venezia: Un'indagine per il commissario Enzo Fellini
Ultimo Carnevale a Venezia: Un'indagine per il commissario Enzo Fellini
Ultimo Carnevale a Venezia: Un'indagine per il commissario Enzo Fellini
E-book278 pagine2 ore

Ultimo Carnevale a Venezia: Un'indagine per il commissario Enzo Fellini

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Info su questo ebook

Nella notte tra Carnevale e Quaresima viene commesso un orribile delitto. L’identità del cadavere è celata da un costume carnevalesco. Anche colui che rinviene il corpo è mascherato. Chi si nasconde sotto i travestimenti? La polizia brancola nel buio. Nessuno sa dove si trovi il commissario Enzo Fellini. Forse è chiuso in un convento, dopo il suo coinvolgimento in uno scandalo sessuale. Il questore Badalamenti prende in mano la situazione. Sarebbe un investigatore capace se il narcisismo non lo portasse fuori strada. Emerge, tra l’altro, il Piano di un misterioso gruppo indipendentista: i Novi Serenissimi. È la pista giusta? Va detto: la questura di Venezia gode, nella notte tra Carnevale e Quaresima, di una risorsa a dir poco sorprendente...

Nathan Marchetti ha maturato – a vario titolo – esperienza ventennale nel mondo dell’editoria italiana. Ultimo Carnevale a Venezia è il suo terzo romanzo. I precedenti, sempre con protagonista il commissario Enzo Fellini, sono Giallo Venezia e Requiem Veneziano. Nathan Marchetti pubblica in esclusiva con Fratelli Frilli Editori (Genova).
LinguaItaliano
Data di uscita29 lug 2021
ISBN9788869435508

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    Anteprima del libro

    Ultimo Carnevale a Venezia - Nathan Marchetti

    1

    Venezia. Le dieci di sera.

    Ancora due ore. Poi sarà il ventuno febbraio: sarà Quaresima.

    Ti odio, bisbiglia Arlecchino dal Ponte di Rialto.

    Sorride a trentadue denti. Saluta con la mano, illuminato dai lampioni.

    Sua moglie, travestita da Dante Alighieri, va allontanandosi con il Gruppo Amici dello Spirito Santo – Sezione di Cavàrzere. Hanno partecipato a una festa in maschera, a cura del Gruppo Amici dello Spirito Santo – Sede di Venezia.

    Vi odio, sibila l’uomo vestito di rombi blu, gialli, verdi, rossi, neri, bianchi, azzurri.

    Ciao, merde!

    Ciao, deficienti!

    Continua a sorridere. Ad agitare la destra. A sibilare gentilezze che nessuno ode.

    Tranne lui.

    Dante e gli altri si sbracciano per ricambiare i saluti. Poi voltano l’angolo.

    Arlechín Batòcio scoppia a ridere in cima a Rialto.

    Due maschere sconosciute gli passano accanto senza meravigliarsi eccessivamente. Calpestano stelle filanti e coriandoli che domattina verranno gettati nell’immondizia.

    Nella realtà, il nostro Arlecchino si chiama Bepi Magón. Risiede a Cavàrzere, nella frazione di Rivà d’Adige. È un imprenditore che conta: titolare della Magón Laterizi srl, lo chiamano Il Re Del Mattone.

    «Ah ah ah… Voglio vedere Venezia di notte, ho accampato come scusa. E come tornerai a casa?, ha domandato La Professoressa Di ’Sto Par Di Balle. Tornerò all’alba. In treno o in corriera. Così, le ho risposto. E in un battibaleno mi sono liberato di…», li conta sulle dita, «...di otto stronzi! Ah ah ah!».

    Si frega le mani.

    «Fa freschéto, òstrega!... Volevo dire…». È rimasto segnato da un episodio occorso durante il servizio militare. «Fa freddino! Febbraio, febbraietto… corto e maledetto! … Ma si può resistere... Addio, febbraietti gelidi di una volta!».

    Dalla sommità del ponte, scruta il Canal Grande.

    «Che poesia…», commenta. «Il Canalàsso splende in modo sublime nelle notti di fine inverno. Ti voglio bene, Venezia mia!».

    Porta la destra all’orecchio.

    S-ciaf!, risponde con affetto la città più bella del mondo.

    S-ciaf!, le fa eco Il Re Del Mattone.

    S-ciaf!, insiste Venezia.

    Il Re lascia cadere il discorso: è impegnato a scattare dei selfie in cui sorride come da protocollo.

    Posta le immagini nei gruppi WhatsApp Amici dello Spirito Santo – Sezione di Cavàrzere e Amici dello Spirito Santo – Sede di Venezia.

    Si sbriga ad azzerare i toni del telefono: non vuole essere disturbato dai Plin delle notifiche. E men che mai dalla Professoressa Dante Alighieri.

    Scende gli scalini. Percorre Salizzada San Pio X.

    Fa tappa in Campo San Bórtolo.

    Sei maschere plaudono ad Arlecchino che fa la riverenza alla statua di Carlo Goldoni.

    «Bene! Bravo! Bis!», esclamano gli astanti.

    Magón/Arlecchino dichiara: «Questo sì che era un letterato! Altroché!».

    Poi prende a vagare in Calle del Lovo. Con nonchalance.

    È un dandy sgargiante con maniche bordate di pizzo.

    Ne solleva una porzione. Guarda il suo Rolex d’oro.

    Le dieci e ventitré.

    Gli otto stronzi sono quasi arrivati al parchégio di Piazzale Roma.

    Otto stronzi.

    Che saliranno, rispettivamente…

    Don Pedofilo, Suor Manesca e Fra’ Finocchio sulla Yaris Hybrid donata da noialtri parrocchiani di Rivà d’Adige. Sulla Jeep Wrangler, i morosi-modello: La Nana Tutta Tana e Toni Il Figo. Sull’Audi A4 stra-usata, pagata tre soldi, quel mammone di Filippo Doppiasega e sua mamma Maria Spilorcia. Dulcis in fundo, la Professoressa Che Non Sa Fare Due Più Due Uguale Quattro (E Che Per Questo Insegna Lettere) poserà il suo culetto ispido sulla BMW X6 aziendale della Magón Laterizi srl.

    BMW aziendale, ribadisco.

    Così, dalla denunzia dei redditi potrò detrarre il carburante, il costo del parcheggio, l’usura delle gomme, eccetera, eccetera, eccetera.

    Tutto ciò che è detraibile, io lo voglio detrarre. Non ho intenzione di regalare un centesimo allo Stato.

    E quando ci riesco, evado.

    «Nossignori!», esclama Arlecchino in Campo San Luca. Può dire la verità, in virtù della maschera. «Io non pago fior di vitalizi ai politici! Ah ah ah!! Viva l’evasione fiscale!!».

    «Bene! Bravo! Bis!», approva il popolo mascherato.

    Tre quarti dei miei clienti saldano sottobanco, continua Magón addentrandosi in un sotopòrtego. Dichiaro meno della mia segretaria, io!

    Sbuca in una calle ben illuminata. Solitaria, però: non ci sono molti coriandoli in giro.

    Solleva nuovamente il pizzo.

    Le dieci e quarantatré.

    Riprende a meditare sugli Amici dello Spirito Santo – Sezione di Cavàrzere.

    Via, sulla Statale n. 309 Romea!

    Via! Ben oltre i limiti di velocità!

    A centoquaranta! A centottanta chilometri orari!

    A suonare, a sfanalare! Superando chiunque, fregandosene della doppia striscia continua!

    Finché il navigatore avverte: «Autovelox più avanti».

    Di colpo, bisogna rallentare a settanta all’ora.

    …Ma dopo il velox…

    Via! Via, òstr… accidenti! Via! Più veloci di prima!

    A duecento!!

    …È bello alzare gli occhi verso il tettuccio in vetro della X6.

    …Riveder le stelle…

    Libertà!, gioisce. Viva la libertà!!

    Bella, la libertà!

    Sì…

    Guarda l’acqua. La pietra d’Istria. I palazzi tutti diversi, tutti uguali.

    Finché…

    Oh! Oh! Oh!

    La libertà… Bella, sì…

    …Ma è assai più bello codesto capolavoro di Madre Natura!

    Mmm… Dio Santo…

    Semplicemente perfetto!

    …Che culo!!

    Poco più avanti una giovane avanza imperterrita. È ignara della maschera che incombe alle sue spalle.

    La Ragazza Dal Sedere Perfetto indossa Levi’s 501 decisamente anatomici. Un giaccottino in pile. Stretto, rosaceo. Stivali El Charro in pelle. Made in USA.

    Colpiscono il selciato. Fanno TAC! TAC! TAC!

    2

    La Ragazza supera di poco il metro e sessanta. Ha capelli sciolti, scuri, lunghi fino a metà schiena.

    Il Re azzarda: «Are you American?».

    Le americane non vedono l’ora di darlo via…

    Che mandolino…

    Dio buono…

    «Signorina! Miss! Donna! Qua ghe xe el Leon!», esclama il titolare della Magón Laterizi srl.

    La Ragazza sbircia alle proprie spalle.

    Ride. Accelera il passo.

    Magón chiude la bocca, memore di atavici discorsi tra maschi.

    Shhh!, bisbiglia tra sé. Con le donne bisogna far silenzio! Annuire!

    Dir qualche .

    …Finché le fai bere.

    Basta un’ombra di vino. Due, xe mègio… ehm… è meglio.

    Appena sono ubriache, tiri fuori il pistolone…

    …E dentro!

    …E fuori!

    …E dentro!

    …E fuori!

    …E dentro!

    …E…

    Ahhh…

    Che sodisfassión…

    «Qua c’è Arlecchino Battocchio!», grida Il Re Incoerente. «Orbo da una gamba, zoppo da un occhio. E pronto a farti gustare ’sto… fiore di roccia!».

    La presunta americana si volta di nuovo.

    Scuote la testa. Accelera ulteriormente.

    Magón la perde di vista. A tratti rivede l’obiettivo mandoliniforme.

    «Però! Hai due gambettine svelte! Studentessa universitaria?», ansima l’uomo tappezzato di rombi. «Cos’è che studi? Architettura? Lettere? Come diceva Dante, io ho tante canoscenze nel settore edilizio!».

    Oltre il Ponte de la Cortesia, Arlecchino non sa più dove andare.

    S-ciaf!

    L’acqua sculaccia il marmo d’Istria. È eccitante.

    «Dove sei, malandrína?», domanda Il Re al buio.

    Echeggiano risate di femmina.

    «Di là!», esclama l’inseguitore.

    In men che non si dica imbocca Calle dei Assassini.

    Scansa tre maschere: una fata turchina, un medico della peste, una bauta; queste ultime, tipicamente veneziane.

    Qualche decina di metri dopo…

    «Eccoti!», grida con la foga di un satiro. «Quanta Grazia di Dio! Che culo! Che bel culo, Dio Madonna! American Girl! Give it to me!!».

    Col potere dell’immaginazione spoglia la giovane da capo a piedi.

    Gli sembra di vederla a gattoni in una stanza d’albergo.

    Con gli avambracci tra le lenzuola. Il deretano per aria, pronto a ricevere poderosi colpi da tergo.

    Signor culo…

    Candido come un giglio…

    Con due brufoletti rossi su una chiappa. Un neo piccolissimo sull’altra…

    Sei l’ideale supremo di tutta la mia vita.

    Ti amo più dell’evasione fiscale.

    Mi sembra di vederti…

    Un po’ sodo, un po’ flaccido…

    E là, là in mezzo… Cos’è che vedo?

    Là in mezzo…

    Ecco il buchetto renitente alla leva!!

    In Campo San Samuele, la giovane trova il cammino sbarrato dal Canal Grande.

    Sulla destra, Palazzo Grassi sembra confermare lo stop.

    La Ragazza si guarda attorno. Individua una via di fuga: fra il teatrino del palazzo e la chiesina di San Samuele.

    Prima di infilare Calle de le Carrozze, si gira verso Il Re Impertinente.

    Urla: «Magnasboràe!! Cossa vusto da mi?!».

    Batòcio/Magón si blocca sorpreso.

    «La tua parlata ti tradisce! Non sei americana… ma di Chioggia! Di Chioggia, in provincia di Venezia... Come Cavàrzere!».

    TAC! TAC! TAC!

    I passi si allontanano.

    Il Re, invece, si trattiene in Campo San Samuele: ha notato il capanno dei gondolieri.

    La porticina è spalancata.

    3

    Il capanno è ottagonale. In abete, col tetto di zinco.

    Non si vede o quasi, al cospetto di Palazzo Grassi.

    I gondolieri ne fanno uso diurno per cambiarsi d’abito prima e dopo il servizio. A volte, per mangiare qualcosa. E – si dice – per far l’amore con le turiste più impazienti. L’amore in piedi. Perché…

    S-ciaf! S-ciaf!

    …Perché dentro i capanni non ci si sta, sdraiati. Al massimo, seduti.

    «C’è qualcuno?», domanda Arlecchino dalla soglia.

    Tende l’orecchio.

    Non ode risposta.

    S-ciaf !, compensa il Canal Grande.

    Eppure…, fa la maschera rivolgendosi al buio, …sento odor di femmina… Sì… L’odor ferrigno del sangue…

    «Come ti chiami?», ritenta Magón. «…Hai le mestruazioni?».

    Il Canale s’intromette: S-ciaf!

    L’uomo agghindato di colori estrae lo smartphone.

    Attiva la funzione Torcia.

    Non bada alle trentanove chiamate senza risposta provenienti da Dante Alighieri.

    Scruta dentro l’ottagono. Colombina è là. Con il sedere sul tavolato. Con la schiena appoggiata alla parete.

    «…Eh, sì!», esulta. «Sì che c’è una donna!… Ma… …Tu sei Colombina! Vieni, su! Facciamo una sveltina!».

    Colombina?

    Guarda come sei ridotta… Quanto hai bevuto?

    Non importa se hai le tue cose… Potresti farmi un lavoretto di bocca!

    Di’… Sei consenziente?

    «Sei consenziente?».

    Talvolta un po’ di dialetto gli scappa. Adesso, per esempio: «Colombina, Colombina… Ti va de far ’sta ciuciadína?».

    Mantenendosi sulla soglia, Arlecchino disattiva la torcia. Ripone il telefono in tasca.

    Con le mani libere, slaccia la cintura. Abbassa i pantaloni multicolore e le mutande.

    «Ho capito: devi valutare la mercanzia».

    I lampioni di Campo San Samuele evidenziano un armamentario di tutto rispetto.

    Dalla camera oscura non giungono reazioni di sorta.

    «Stai dormendo?», chiede Bepi Magón. Traduce: «Are you sleeping? Dormèu?».

    S-ciaf!, carica animosamente El Canalàsso.

    «Studentessa universitaria? Fai architettura? Lettere? Io ho tantissime canoscenze nel settore edile… Vabbè: chi tace acconsente. E visto che acconsenti…».

    L’Amico Dello Spirito Santo varca la soglia.

    Eccolo nel buio. Immerso nella cecità come in una minuscola caverna.

    Utilizza il pene a mo’ di ecoscandaglio.

    Trova Colombina. Non gli importa più se la controparte lesina i feedback.

    Il Re sbatte il suo fiore contro la maschera.

    Il cadavere piomba giù. Come un sasso.

    Udito il tonfo contro le assi, Bepi Magón cerca affannosamente lo smartphone.

    Riattiva la torcia.

    I biondi boccoli sono rotolati da una parte. I capelli della vittima sono in realtà castani, lunghi il giusto.

    La maschera ne copre ancora il volto. Dal suo collo sporge un cavo insanguinato.

    Senza spegnere la torcia, Arlecchino ricaccia lo smartphone nella giubba.

    Indietreggia tirando su mutande e pantaloni.

    Vuole fuggire. Soltanto fuggire.

    Via, a casa.

    A Cavàrzere.

    Non può: La Ragazza Dal Sedere Perfetto gli sta puntando contro una Colt Peacemaker.

    «Fermo!», esclama.

    Con la sinistra, prende il cellulare dalla borsetta. Compone un numero di tre cifre: 113.

    Si qualifica: «Agente Sarah Bóscolo. Polizia municipale di Chioggia».

    Descrive la situazione dettagliatamente. Racconta gli antefatti.

    «Orco can…», si rammarica Arlecchino. «Volevo tanto inculàr i altri… E son restà inculà mi».

    PRIMA PARTE

    L’Amante Dell’Arte

    4

    Ecco i rinforzi.

    La Ragazza non si gira: deve tenere Arlecchino sotto tiro.

    Con la sinistra, chiude la lunga telefonata.

    Ripone il Samsung nella borsetta.

    Il revolver di Sarah Bóscolo è il medesimo modello che andava di moda fra i cowboy più fotogenici. La famosa Sei Colpi. Tuttora in produzione, evidentemente.

    Nel Canalàsso, l’ispettore Francesco Franco Bonora e l’agente Nunzio Il Ragazzino Pischedda sbagliano tutti i nodi.

    Sua Maestà starnazza: «Io non ho fatto niente! Sono Bepi Magón di Cavàrzere: uno tra i cinquanta imprenditori più importanti del Veneto! Mi chiamano Il Re Del Mattone!».

    «Sta’ calmo», replica la donna. E abbassa il cane.

    Arlechín Batòcio deglutisce.

    Non parla più.

    Da Calle Malipiero sopraggiunge la vicecommissaria Caterina Claudia Alfante. Detta Claudia, appunto, perché assomiglia alla modella Claudia Schiffer.

    Ha quarantanove anni, questa bella vicecommissaria. E il volto stralunato di chi sta vivendo mesi difficili.

    Finalmente la barca viene legata a dovere. Bonora e Pischedda scendono a riva.

    Gli unici che vestono una sorta di divisa sono il cavarzeràno sotto tiro e la povera vittima nel capanno.

    Vabbè ché non ci conosciamo, dice La Ragazza a denti stretti, però qualcuno prenda in mano la situazione!

    Tutti si chiamano fuori: Franco Bonora raggiunge una panchina ed estrae un mucchio di moduli dalla valigetta. Claudia Alfante

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