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Fairfax & Coldwin
Fairfax & Coldwin
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E-book334 pagine4 ore

Fairfax & Coldwin

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Info su questo ebook

"L’odio li aveva uniti, e l’odio continuava a tenerli uniti. Non era la necessità, non era la fiducia né la fedeltà, tantomeno l’amicizia. Ma puro, incontaminato e primordiale odio reciproco."

Primi anni dell’Ottocento. Le Guerre Napoleoniche stringono l’Europa in una morsa opprimente, generando miseria e povertà. Fairfax e Coldwin, feroci vampiri con indosso la pelle di insospettabili gentiluomini, imperversano per le strade di Londra commettendo atrocità di ogni sorta, impazienti di abbandonare il Vecchio Continente per cominciare una nuova non-vita nelle Americhe. Ma attraversare l’oceano costa caro, e il prezzo pattuito prevede il rapimento di una misteriosa bambina, celata nei recessi della Francia bonapartista. Antichi rancori, tradimenti, duelli all’ultimo sangue e fughe rocambolesche: presto le due empie creature della notte si ritroveranno invischiate in una fitta rete di intrighi, intrappolate tra le spire del loro scomodo passato.

“Fairfax & Coldwin”, di Alessio Filisdeo, segna il ritorno di un XIX secolo più gotico che mai, cupo e grottesco, traboccante di subdoli personaggi e inquietanti rivelazioni. Abbassate le luci. Mettetevi comodi. Il viaggio ha inizio


L'autore - Nato ad Ischia nel 1989, Alessio Filisdeo vive a Barano d’Ischia.
Comincia a scrivere racconti fantasy, e a tema supereroistico, a sedici anni finchè, una bella notte, non si trova ad assistere per caso alla proiezione del film culto Intervista col Vampiro. Sboccia immediatamente l’amore per la figura del vampiro aristocratico, per il genere gotico e per i grandi classici ottocenteschi. Il passo da fan del genere a fanatico cultore è più breve del previsto.
Conclude il suo primo romanzo storico a tinte sovrannaturali all’età di diciannove anni. C’è un solo problema: ormai i “vampiri di una volta” di cui ha scritto sono passati di moda.
Ma Alessio Filisdeo non demorde: destreggiandosi tra la passione per la scrittura e alcuni lavoretti part-time (confermando quindi lo stereotipo dello scrittore perennemente squattrinato con tante belle speranze), e spaziando momentaneamente tra più generi e personaggi, aspetta pazientemente il ritorno alla ribalta della creatura dannata in tutto il suo maledetto splendore.
Con Nativi Digitali Edizioni ha pubblicato nel 2015 il romanzo “Una Notte di Ordinaria Follia” e il racconto gratuito “Le follie del Vampiro Nik”, nel 2016 il romanzo “Il Risveglio della Cacciatrice” e nel 2017 il romanzo "Fairfax & Coldwin".
LinguaItaliano
Data di uscita20 set 2017
ISBN9788898754830
Fairfax & Coldwin

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    Anteprima del libro

    Fairfax & Coldwin - Alessio Filisdeo

    Alessio Filisdeo

    I edizione digitale: settembre 2017

    © tutti i diritti riservati

    Nativi Digitali Edizioni snc

    Via Broccaindosso n.16, Bologna

    ISBN: 978-88-98754-83-0

    www.natividigitaliedizioni.it

    info@natividigitaliedizioni.it

    Copertina a cura di Cristiana Leone

    Pagina Autore: Le Memorie Oscure

    Blog Autore: Le Memorie Oscure

    PROLOGO

    Francia, anno 1799

    I l teatro era in visibilio.

    Gli applausi scroscianti, i bravo!, le rose profumate lanciate verso il palco.

    I gentiluomini, in piedi. Le dame sorridenti nei loro palchetti.

    Sotto quella luce, sullo sfondo degli stucchi bianchissimi del soffitto, i lampadari di cristallo e le pareti foderate di un brillante cremisi, ogni cosa aveva assunto un’aura di magico, di sensazionale.

    I bastoni da passeggio laccati vibravano sotto il clamore della sala; gli orecchini preziosi delle donne ondeggiavano ai lobi; i guanti di pizzo non riuscivano a trattenere l’entusiasmo, l’apprezzamento delle mani tutte.

    L’eco era assordante, da capogiro: una festa di voci, suoni, abiti da sera, balze e jabot.

    Ed era tutto per lei.

    Ogni cosa.

    Quello era il suo momento. Finalmente.

    Perché gli occhi di tutti non erano puntati alle sue spalle, su quegli incapaci attorucoli da quattro soldi, ma su di lei.

    Erano sguardi ammirati, incantanti e addirittura infatuati. Le carezzavano il viso, le ciocche castane, il profilo dei seni e il corsetto che li conteneva. Le baciavano le labbra rosee, le tenevano il palmo della mano, le riconoscevano dopo tanta fatica la bravura che aveva sempre posseduto, il talento, il dono represso ma mai svanito.

    Il successo.

    Margot continuava a sorridere alla platea, inchinandosi profondamente a quel conte e a quell’altro marchese, passando per baroni e facoltosi borghesi.

    Non era emozionata, no. Aveva immaginato di emozionarsi così tante volte che adesso, nella realtà dei fatti, provava soltanto orgoglio, una punta di livore per quegli sciocchi che si erano accorti di lei così tardivamente.

    Era arrivata al traguardo.

    Niente più compromessi, niente più ricatti, niente più occupazioni umili.

    Adesso era una di loro: una persona famosa e importante. Presto sarebbe stata, ne era certa, anche una persona molto ricca.

    Mille e mille meravigliosi scenari futuri le attraversavano la mente mentre con grazia ed eleganza si prodigava nelle riverenze.

    Dopotutto, alle soglie del nuovo secolo decimonono, Margot Varens poteva serenamente definirsi una donna che comprendeva appieno l’effetto che produceva la sua bellezza sull’altro sesso: un mezzo votato a un fine.

    Indipendenza, solidità economica, un buon nome, un posto nella società, magari addirittura l’amore.

    Come spesso le aveva detto e ripetuto sua madre, non v’era impresa che un bel visetto e una mente sottile non potessero portare a termine.

    E arrivata a quel punto, a ventiquattro anni appena compiuti, Margot poteva ben crogiolarsi nei frutti di quella massima severamente rispettata.

    A un tratto il fragore degli applausi salì così tanto d’intensità che ella quasi s’illuse di sentire Varens! acclamato dai presenti. Ma ovviamente non era così: per quel tipo di tributo ci sarebbe stato tempo.

    Per l’ultima volta, ai margini del palco, gli scenografi ricominciarono a manovrare le funi, e mentre il sipario si abbassava definitivamente sull’indimenticabile serata, Margot, con la coda dell’occhio, uno sguardo distratto e assolutamente involontario, colse qualcuno tra la folla, o qualcosa.

    Una visione che durò una manciata di secondi, un battito di ciglia.

    Affacciata dagli spalti, solitaria in uno dei palchi più fastosi, una figura se ne stava immobile.

    Era senz’altro un uomo, ma alle sue spalle non v’era né un lume né una candela. Pareva che neppure la luce abbagliante del teatro riuscisse a penetrare, a fendere l’oscurità che ivi dimorava.

    Se ne stava ritto, il gentiluomo, le mani unite in grembo. Non applaudiva, non gioiva, addirittura sembrava non respirasse. Fissava verso il basso, e il suo volto era completamente nero, assorbito dalle ombre.

    In quei brevissimi istanti, incalcolabili, Margot provò disagio e inquietudine. Nel buio insondabile e imperscrutabile, due occhi incontrarono i suoi: uno azzurro e l’altro verde. Come tanti, pure quelli miravano a lei, eppure, orrendamente iridescenti, brillanti in maniera innaturale pari a gemme, non trasmettevano desiderio né divertimento.

    No, quelli erano gli occhi di un lupo, di un predatore, e lasciavano trasparire soltanto una cosa: fame.

    ***

    D ietro le quinte non v’era alcun tipo di calore.

    L’invidia, Margot lo sapeva, possedeva tutti loro che adesso la fissavano dall’alto in basso.

    L’eco degli applausi, filtrato dal pesante sipario, giungeva attutito, e le uniche luci erano quelle stentate dei candelabri incrostati di cera.

    Un odore di muffa e polvere si mescolava al gesso, alla cartapesta, alle essenze floreali abusate dagli attori di scena.

    Quello non era posto per lei, pensò Margot sostenendo lo sguardo dei presenti, passando tra loro a testa alta.

    «La signorina Varens adesso si crede importante. Ma guardatela?!» le si avvicinò una ballerina col suo costume da ninfa, strattonandola per una spallina dell’abito: «Sei solo una puttanella come tante! Ti dice bene che Laurie è malata, altrimenti non avresti mai cantato in pubblico!»

    Un borbottio di assensi si levò per il corridoio gremito di mestieranti.

    «Ti dice bene che Boyer non abbia il denaro per mettere su una vera compagnia, altrimenti a quest’ora staresti ancora danzando per due franchi a botta.» replicò seccamente Margot, intercettando lo schiaffo della donna, torcendole il polso fino a farla urlare.

    Poi la lasciò, e quella se ne andò per la sua strada, non prima di averla maledetta con uno sguardo incandescente.

    «C’è qualcun altro?» domandò Margot fissando a turno i presenti.

    La odiavano. Soprattutto le donne, lo si leggeva nell’espressione disgustata impressa sui loro volti.

    Che se ne andassero al diavolo! Non meritavano un briciolo della sua pietà, o della sua attenzione.

    Erano soltanto delle vacche, delle stupide contadinotte ignoranti! Come se la pia e umile Laurie non le disprezzasse anch’ella! L’unica differenza era che quella sciacquetta dal temperamento virginale lo faceva in silenzio, dispensando falsi sorrisi e ancor più fasulli complimenti.

    Complimenti, ah! In mezzo a quella massa di incompetenti si salvavano a malapena un paio di individui.

    Lei era diversa. Non riusciva a fingere fuori dal palcoscenico. Aveva, per così dire, un debole per la verità, e in quel momento la verità dimostrava che Margot Varens era assai migliore di tutte loro.

    Che la odiassero per questo! Le cose non sarebbe cambiate ugualmente.

    A passo deciso li oltrepassò tutti, attori e attrici, ballerine e operai, facendo frusciare le balze del suo costosissimo abito da scena con la superbia che si meritavano.

    Quando finalmente giunse nelle sue stanze, in quel bugigattolo spartano colmo di costumi, armadi e calzature eccentriche, si richiuse la porta alle spalle tirando un gran sospiro, cadendo pesantemente sulla sedia innanzi alla toletta.

    Ebbe, per un attimo, l’istinto di sentirsi infelice: vide se stessa allo specchio, attraente ed elegante, giovane e di belle speranze, con gioielli e nastri di seta tra i capelli. Sullo sfondo, quel cencioso camerino, poco più che un buco raffazzonato alla bene e meglio con manifesti e locandine sgargianti, colmo di abiti dozzinali e consunti, suoi unici veri averi.

    L’ira colse Margot, una rabbia repressa e furiosa. Era stanca della miseria, dell’ordinarietà.

    Voleva tutto, e lo voleva subito.

    Tuttavia ciò che ottenne dal grottesco senso dell’umorismo del fato fu una visita.

    Qualcuno bussò. Senza attendere risposta, il signor Boyer penetrò nelle stanze richiudendosi la porta alle spalle. Reggeva un piccolo scrigno tra le mani, e il suo deprecabile sorriso lascivo era ancora più irritante del solito: «Signorina Varens, il successo di questa sera vi rende ancora più desiderabile.»

    «Così come i soldi che vi ho fatto guadagnare.»

    Boyer, un uomo piuttosto esigente, sulla sessantina passata e un dedalo di rughe fitto almeno quanto le venuzze visibili a occhio nudo, sogghignò compiaciuto. Le sue gote erano talmente rosse che, al confronto, il resto del viso incartapecorito sembrava grigio e cadaverico.

    Carezzò con avidità i contorni del portagioie che stringeva tra i palmi, ticchettando sul metallo smaltato le sue unghie giallastre.

    Margot esitò.

    «Se volete tenerli fino a domani potremmo trovare un accordo che soddisfi…»

    L'impresario non aveva ancora finito di parlare che Margot, scossa da un brivido, si decise a sfilarsi gli anelli, gli orecchini e il cammeo, deponendo il tutto nello scrigno dell’uomo.

    «È un vero peccato che vi ostiniate a declinare le mie generose offerte, signorina.»

    «È un vero peccato che voi continuiate a propormele, signore, sfidando così la decenza e il buon gusto.» replicò seccamente Margot, più impertinente di quanto avesse voluto, facendo trasparire quell’aria di superiorità che tanto la metteva nei guai.

    Difatti, abbandonando lo sciocco sorriso di circostanza, Boyer assunse un’aria contrariata, sdegnosa e vendicativa: «Ora che me lo fate notare, in effetti sarebbe indecoroso lasciare indosso a un’attricetta come voi un abito di scena da quindici franchi.» schioccò: «Consegnatemelo immediatamente.» tese la mano: «E ritornate ai vostri stracci.»

    Margot contrasse la mascella. Se fosse stata anche lei un uomo, era certa che ne sarebbe nata una rissa. Strinse i pugni, e per un istante pensò seriamente ad aggredire verbalmente quel vile farabutto. Poi, con uno sforzo, si calmò: aveva ancora bisogno di Boyer. Doveva consolidare il suo debutto. Gli servivano altre due o tre occasioni, magari uno spettacolo in una grande città, Parigi, o Marsiglia.

    Dunque si morse la lingua avviandosi verso il separé.

    «No, signorina. Non lì, ma qui davanti a me. È un capo costoso quello che avete indosso. Devo assicurarmi che nello sfilarvelo non procuriate danni al tessuto.»

    Margot per poco non gli rise in faccia. Incredulità e alterigia le infiammarono lo sguardo già di per sé combattivo. Stava per scomparire dietro il separé quando Boyer rincarò: «Fate come volete, ma se dovessi trovare anche un solo sfilacciamento nel broccato sarei costretto ad addebitarvi il costo della riparazione.» sorrise malevolo: «E credetemi, i sarti, di questi tempi, non sono affatto a buon mercato.»

    In realtà l’abito non era più smagliante da tempo, e lievi imperfezioni si potevano già scorgere se si osservava con attenzione.

    Quel miserabile la stava davvero ricattando in modo tanto plateale? E per cosa? Perché gli aprisse le cosce?

    «Non ho denaro, lo sapete bene.»

    «Ma avete altre… doti, nel caso.»

    Il ribrezzo, la repulsione che provò Margot dinanzi quella sottospecie di uomo divenne elettrico, palpabile.

    «Mi date la nausea.» gli disse frustrata parandoglisi innanzi, prendendo freneticamente ad armeggiare coi legacci del corsetto.

    Boyer non rispose. Il suo sgradevole volto rubicondo non perdeva un solo movimento delle dita agili della giovane donna. Dalle labbra grinzose e serrate fuoriusciva un filo di bava, e il cavallo dei calzoni si gonfiava sempre di più.

    Per prima fu l’ampia gonna a cadere al suolo, rivelando la linda sottoveste, le calze bianchissime aderenti alle cosce nude. Poi la parte superiore del corsetto la seguì.

    Margot rimase con nulla più che uno stretto bustino rigido, a malapena in grado di coprire per intero la rotondità dei seni alti e sodi.

    Boyer deglutì a fatica, completamente catturato dal morboso spettacolo.

    «E ora andatevene!» ordinò Margot chinandosi per raccogliere il vestito, concedendo una visione ancora più esplicita e peccaminosa delle sue mirabili forme.

    L’impresario le fu addosso in un attimo. Abbandonato il portagioie, si gettò di peso contro l’attrice spingendola verso la mensola della toletta, palpandole i glutei, immergendo il naso, l’intera faccia nel profumato incavo dei seni, e su lungo il collo, il viso, leccandole il mento.

    «So che non è la tua prima volta.» annaspò per il desiderio sfregandosi contro di lei, tempestato da schiaffi, ostacolato in ogni modo possibile: «Vedrai che non accadrà nulla di male…».

    «Lasciami!» gli ordinò Margot graffiandogli a sangue la fronte.

    Boyer si allontanò imprecando: «Puttana! Stupida puttana!» le urlò contro, furente alla vista del suo sangue: «Lo so che ti sei fatta scopare da quell’inglese! Magari aspetti già un bastardo, vero? Adesso è il mio turno, lurida puttana!»

    Tornò ad avventarsi, ma lei lo schivò all’ultimo momento.

    «Vieni qua, puttana! Tu mi appartieni! E se voglio scoparti tu ti lasci scopare!»

    Colta in pieno viso da un potente manrovescio, Margot rovinò al suolo inciampando nel portagioie, spandendone il contenuto per tutto il pavimento.

    Prima che potesse rimettersi in piedi, Boyer le ghermì la gola con una mano, adoperando l’altra sulla patta dei calzoni, talmente gonfia che quasi minacciava di implodere.

    E Margot scalciava dimenandosi come un animaletto ferito, mezza soffocata, disperata, furibonda, affatto rassegnata. Per merito di un movimento convulso, più involontario che calcolato, riuscì a sferrare una ginocchiata all’inguine dell’aggressore facendolo rotolare di lato.

    Tossendo e annaspando, strisciò poi verso la porta. E altra rabbia, solo altra rabbia provò all’idea che chiunque ci fosse lì fuori non stava facendo nulla, non stava muovendo un dito a scapito del sospetto baccano che certamente udiva.

    «Vi odio… Vi odio tutti.» biascicò tra i denti mandando un urlo secco, trafitta al palmo della mano da uno spillone incrostato d’oro, uno dei preziosi fuoriusciti dal portagioie.

    Vide il suo sangue, Margot, la sua carne ferita, e in un istante di lucidissima follia portò gli occhi alla figura di Boyer ancora sofferente, piegata in due, con le mani all’altezza dei genitali.

    Senza dire una parola, ella si rimise in piedi. Scossa nel corpo e nella mente, si allontanò dalla porta barcollando, tornando indietro.

    «Puttana maledetta! Puttana maledetta!» gli inveì contro il vecchio scorgendola svettante su di lui, afferrandole la caviglia, tirando con poca forza: «Ti ammazzo!» bofonchiò con voce sofferente.

    E Margot continuò a fissarlo, immobile, detentrice di una serenità malsana, di un’espressione grave che lasciava ben pochi dubbi su quale fosse il suo nuovo proposito.

    Pure Boyer, tra un’ingiuria e l’altra, dovette notarla, poiché cominciò a urlare, a urlare e a lagnarsi. Vide il palmo ferito della giovane donna stretto attorno a qualcosa di metallico e acuminato, e tentò di rimettersi in piedi, caracollando dopo pochi passi, nuovamente piegato in due, lacrimante.

    «Pietà! Abbiate pietà!» invocò con voce roca, respirando affannosamente: «È stato solo un momento di debolezza, ve lo giuro! Non volevo…» pianse con tutta la ritrovata umiltà di cui era padrone: «Risparmiatemi, vi imploro.»

    «Non fatelo.» intervenne una seconda voce, una voce senza origine che fece sobbalzare Boyer e tremare Margot: «Sta mentendo.»

    «No, non è vero, lo giuro!» insistette l’impresario guardandosi attorno, terrorizzato, nemmeno avesse udito la voce del Signore Iddio.

    «Stupratore e spergiuro.» aggiunse pacatamente la voce, una voce virile, dura, ma pure ragionevole: «Assassino, all’occorrenza, come potrebbe testimoniare il cadavere della signorina Vidal abbandonato al numero 12 di Rue du Sèverons tre notti or sono.»

    «Laurie.» disse Margot sgranando gli occhi: «Non è malata… L’avete uccisa!»

    «Mai! Non è vero!» esclamò Boyer trascinandosi verso la porta, tirando la maniglia senza risultato. Era chiusa. Sembrava bloccata, a giudicare dal rumore di ferraglia: «Non le avrei mai fatto del male!»

    «Mente, ancora.» pronunciò la voce misteriosa, sfiorando quasi il collo di Margot.

    «Fatti vedere! Fatti vedere chiunque tu sia!» gridò l’impresario verso il soffitto, gemendo di paura alla vista della più vicina attrice: «Vi prego, no… So che eravate amiche ma…»

    «Non eravamo affatto amiche.»

    «Allora… allora è tutto sistemato, giusto?!» mandò un sorriso grottesco: «Io… io vi ho quasi fatto un favore, dopotutto. Avete cantato, siete… siete diventata la mia attrice più importate, adesso… Siete famosa!»

    Margot esitò per un istante: armi quali ricatto e soggezione le balenarono nella mente. Lo sfruttamento del più debole, di quel viscido verme dai deviati appetiti, poteva forse servire alla sua carriera?

    «No.» rispose la voce, nemmeno avesse letto i pensieri della giovane: «Quando si scoprirà che il signor Boyer è in realtà un individuo di tale infima risma, verrà messo agli arresti. La sua compagnia cadrà in disgrazia, e il suo nome lederà chiunque abbia avuto a che fare con lui.» seguì un attimo di silenzio: «Non troverete futuro al fianco di questo patetico omuncolo.»

    «Stai mentendo! Nessuno ha visto! Nessuno sa!» urlò Boyer gridando al nulla, battendo i piedi per terra come un bambino capriccioso: «È colpa vostra! È tutta colpa tua, stupida puttana!» tornò a rivolgersi a Margot in un impeto di follia: «Dovevi solo lasciarti scopare!» urlò impiastrandosi le labbra di bava, gettandosi a mani protese verso l’attrice.

    Non vi arrivò mai.

    Paralizzata dal timore, svuotata dallo sguardo fanatico dell’uomo, Margot non riuscì a muoversi. Tuttavia qualcosa, qualcuno, comparve dalle tenebre bloccando l’avanzata di Boyer.

    Prima solo un braccio, un braccio e una mano bianchissima, come l’alabastro. Le dita lunghe e ossute, dotate di unghie perlacee, si strinsero attorno al collo del vecchio alzandolo di peso a due piedi dal suolo.

    Margot era come ipnotizzata dal volto dell’impresario, deformato in una maschera di puro terrore come mai ne aveva viste.

    «Siate fiducioso, signor Boyer, che a differenza della sterile esistenza che avete condotto, almeno la vostra morte si rivelerà di una qualche utilità. Per me. E per la signorina Varens.»

    Poi seguì l’affondo, e un altro e un altro ancora.

    Era lo spillone di fortuna di Margot. Non era più nelle sue mani, ma nel palmo della presenza, del fantasma, e trafiggeva la carne del vecchio con una facilità disarmante.

    Sette volte l’oggetto di vanità forò l’addome dell’impresario.

    Parevano pugnalate, stilettate secche e precise in punti particolari del torace. L’ultima, diretta al collo, alzò un fiotto di sangue, un piccolo ma continuo getto, simile al gioco d’acqua d’una fontana.

    Infine il cadavere cadde al suolo in una pozza rossastra, densa e vischiosa.

    Quando Margot riuscì a staccare gli occhi da quello spettacolo di morte, dal corpo straziato e martoriato del mancato aguzzino, dal suo sguardo vacuo, ormai senza vita, ella riconobbe il suo brutale salvatore.

    Nemmeno fosse tutt’uno con le tenebre, egli se ne stava seduto su una seggiola: il volto completamente in ombra, la postura rilassata ma composta, i polsini della camiciola macchiati di rosso.

    «Prego, signorina Varens, rivestitevi pure.» la invitarono gentilmente con un gesto le mani pallide: «È giunto il momento di discutere del vostro futuro.»

    ***

    M argot non aveva osato sedersi.

    Copertasi il più velocemente possibile, se ne stava tesa, poggiata coi palmi alla toletta, rivolta verso…

    «Chi… o cosa, siete?»

    «Non vi sarebbe di alcuna utilità conoscere la mia persona, signorina Varens.»

    «Esigo sapere immediatamente…» replicò lei partendo con tono determinato, perdendo convinzione e coraggio parola dopo parola.

    Sebbene il volto dell’uomo, dello spettro, fosse immerso nelle tenebre più impenetrabili, i suoi occhi, diversi tra loro, splendevano come scintille incandescenti.

    «Voi esigete.» gustò la parola egli: «Ho appena ucciso quell’uomo davanti ai vostri occhi con disarmante semplicità, eppure voi esigete da me.»

    Margot lanciò uno sguardo alla porticina chiusa. Sarebbe riuscita a fuggire da quell’incubo?

    «Ebbene, sono soltanto l’ennesimo uomo d’affari, temo.»

    «Che genere di affari?»

    «Del genere di cui non comprendereste la portata, né la natura.»

    «Mettetemi alla prova.»

    L’essere sembrò sorridere. Margot non lo vide, ma quasi percepì il silenzioso gesto.

    «Forse lo farò, ma non oggi. Non adesso. Il tempo, purtroppo, è tiranno, e la notte volge velocemente al termine.» si schiarì la voce sfiorando per un attimo un singolare anello, un cerchietto dorato che portava al mignolo. Esso, di fattura curiosamente femminile, era sormontato da una pietra circolare talmente nera che a confronto il buio pareva luminoso.

    «Che cosa volete da me?»

    «Molto poco, ve lo assicuro.» s’alzò mettendo mano alla tasca interna del pastrano, liso e spento, assai differente dal resto del vestiario, evidentemente nuovo e impeccabile.

    Esitante, Margot raccolse da quelle mani un documento. Lo spiegò davanti a sé, lo lesse: «Che significa? Vi state prendendo gioco di me?»

    «Non è mia abitudine scherzare con le parole, signorina Varens.» disse l’uomo, nuovamente seduto: «E se mi conosceste almeno un po’ sapreste che parlare, in generale, non è tra le mie occupazioni favorite.

    Sto cercando di mettervi a vostro agio, di farvi sentire al sicuro, per cui abbiate bontà a ricambiare, per quanto possibile.»

    L’attrice deglutì a fatica. A scapito della cortesia, della gentilezza di quel tono, il suo cuore continuava a battere all’impazzata.

    «Ora vi renderò partecipe di alcuni eventi. Vi pregherei di ascoltare in silenzio, con estrema attenzione.»

    Margot annuì.

    «Due mesi or sono, in quel di Lyon, aveste a fare la conoscenza di un giovanotto, uno straniero, un inglese.

    Voi attiraste la sua attenzione, ovviamente, ed egli riuscì nella non facile impresa di attirare la vostra.

    Vi conosceste, vi frequentaste per alcuni giorni. Poi dormiste assieme, all’infuori del matrimonio.»

    «Come fate a saperlo?»

    «Ho letto la mente del signor Boyer, prima di ucciderlo.» rispose candidamente l’essere: «E prim’ancora ho letto la vostra, in un’occasione antecedente a questa serata di successi.»

    «Voi… voi… Non avete alcun diritto di… giudicarmi! O di seguirmi… o di spiarmi!»

    «Calmatevi, signorina Varens. Respirate regolarmente. Ansia e ira provocano malesseri deleteri non solo alla vostra persona, ma pure alla vita che portate in grembo.»

    Fulminata dalla risposta, Margot dovette chinare lo sguardo, voltandosi di spalle: «Non so di cosa stiate parlando…»

    «Il padre, quel giovanotto tanto a modo, si chiamava Robert H. Foster, ed era in realtà americano. Un mio… dipendente, per così dire.»

    «Era

    «Purtroppo è deceduto.»

    «Lo avete ucciso voi?»

    «Signorina Varens, io ho cura dei miei affari, li tutelo, li proteggo.»

    «Non sembrate aver fatto un buon lavoro, questa volta.» rispose con voce strozzata chiudendo gli occhi, tentando di calmarsi, di piangere in silenzio. Era lieta adesso di essersi voltata: non avrebbe mai voluto far vedere le proprie lacrime ad uno sconosciuto.

    «Il signor Foster era una risorsa formidabile. Possedeva numerose abilità, uno studio legale ben radicato nell’alta società, un nome rispettabile. Ma per quanto il mio potere possa essere vasto, confesso di non aver alcun controllo sui flutti e le tempeste.»

    «Un naufragio?»

    «Al largo delle coste greche.» tacque un istante: «Come vi dicevo, si è trattato di una grave perdita.»

    Margot si portò

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