La bomba voyeur
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Anteprima del libro
La bomba voyeur - Alfredo Zucchi
Alfredo Zucchi
La bomba voyeur
BANDINI
COLLANA DI NARRATIVA
2020
Rogas Edizioni
© Marcovaldo di Simone Luciani
viale Telese 35 – 00177, Roma
e-mail info@rogasedizioni.net
sito web: rogasedizioni.net
Facebook: Rogas Edizioni
Instagram: @rogasedizioni
In collaborazione con
Literiaria Consulenza editoriale e Agenzia Letteraria
ISBN: 9788845294778
Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write
http://write.streetlib.com
Indice dei contenuti
1. Un colpo di dadi
2. L’arte della fuga
3. Due casi di coscienza
4. Lo spirito dell’assenza
5. Il vuoto verde
6. Una festa
7. L’idolo
8. L’avventura statica
9. Fuori di sé
10. La serenità
11. Gli epigoni
12. Santo Gennaio
13. Due fatalità
14. Fabbricare i fatti
15. I gatti di Schrödinger
16. Il pensiero dominante
Appendice
Bandini
Note
«Talia saecla», suis dixerunt, «currite», fusis
concordes stabili fatorum numine Parcae.
Virgilio, Egloga IV.
Wir leben in einer Durchgangszeit. Vielleicht dauert sie, wenn wir unsere tiefsten Aufgaben nicht besser anpacken als bisher, bis zum Ende des Planeten. Trotzdem soll man, wenn man ins Dunkel gestellt ist, nicht wie ein Kind aus Angst zu singen beginnen. Ein solcher Gesang aus Angst ist es aber, wenn man so tut, als wüßte man, wie man sich hienieden zu benehmen hat; da kannst du grundstürzend brüllen, es ist doch nur Angst! Übrigens bin ich überzeugt: Wir galoppieren! Wir sind noch weit von den Zielen entfernt, sie rücken nicht näher, wir sehen sie überhaupt nicht, wir werden uns noch oft verreiten und die Pferde wechseln müssen; aber eines Tags — übermorgen oder in zweitausend Jahren — wird der Horizont zu fließen beginnen und uns brausend entgegenstürzen!
Robert Musil, Der Mann ohne Eigenschaften .
Solo ciò che non ha storia si può definire.
«Che sono i fatti?» si chiede Nessuno ore dopo il suo rapimento – è l’avventura statica: i contorni dell’agire sfumano. Il ragazzo, recluso, gode.
«Abbiamo compiuto il fatto». L’Onorevole dirige il consesso dei soci come un rito. È la vigilia di un cambiamento epocale sulla scena politica del paese. L’azione è tutto: la chiave con cui scompigliare equilibri immutabili, la sonda con cui sfidare il senso ad apparire.
Dice l’Avvocato: «L’ossessione è la forma. Ciò che vogliamo non ha nemmeno un nome, è più scarno di un’idea. È un buco: noi vogliamo poterci scavare dentro fino a trovare il fondo. Vogliamo vedere la fine, il limite, e tornare a scavare di nuovo. Vogliamo scoppiare provando. Cos’è altrimenti un gesto?».
«La strada davanti è spianata», fa Bruto, «eppure io non la vedo: mi sfugge, si sottrae». È così: sono tutti rinchiusi qua dentro, si dibattono contro le pareti per trovare quel foro da cui guardare il caso in faccia.
1. Un colpo di dadi
Roma, 21 giugno 1992 d.c. Attico, interno ristorante stellato zona Pantheon. Presenti: Avvocato, Onorevole e altri figuranti minori.
Sembra un trompe-l’oeil l’orizzonte oltre le portefinestre del Caput mundi : il sole si accascia sui colli, le nuvole campeggiano lascive tra i campanili. È un quadro mitico, cartolina dell’eterno – tuttavia talune forze spingono per squarciarlo: il loro operato non è ancora apprezzabile a occhio nudo.
L’Avvocato è teso e non ammette ritardi: intima in dialetto al cameriere, un ragazzo dal colorito olivastro, di fare presto. Gli occhiali sulla punta del naso, affonda il viso tra le pagine di un giornale e aggiunge, come una minaccia: «Un aperitivo, scegli tu – ma scegli bene».
«Il solito?».
L’abitudine è la via dell’eccellenza: l’Avvocato annuisce mentre tira fuori una penna dall’occhiello. È un animale politico eccentrico: acume da filologo classico prestato, da dieci anni, alla camera dei deputati. Traccia un circolo intorno al titolo dell’editoriale, Le macerie del palazzo
, e annota, di lato, una glossa: "potere-crisi-rovina- monstrum ".
Il ragazzo si affretta a obbedire. Mezzo inchino, si volta: la coda della livrea gli s’impiglia nella sedia alle spalle. Rincula all’indietro, il vassoio barcolla. Spinge sulle ginocchia per tenersi, sbatte contro uno spigolo del tavolo di fronte. Un bicchiere tremola, dal vassoio rovina sulle spalle di una vecchia di lato. Come in un domino: la donna trasale – grida, il collo e l’abito di cotone grigio inondati di vino –; l’uomo al suo fianco, imbottito in un doppiopetto nonostante l’afa, si alza di scatto.
L’Avvocato si erige – è il suo turno: le scene burlesche gli rischiarano l’umore: «È una cascata effervescente, che sarà mai...». Posa una mano sul collo della vecchia, tra la nuca e le perle. «Non si preoccupi, cara, gliene faremo pagare ogni goccia».
Il ragazzo torna ritto, rosso in faccia implora perdono; con un panno assorbe il vino sul collo della vecchia.
«Delicato, mi raccomando» adocchia le grinze della signora sotto la nuca « c’est de l’ivoire ».
Con un gesto a uncino dell’indice l’Avvocato chiama il ragazzo a sé. Questi gli si avvicina – i tratti del volto, nonostante le origini terrigne, sono delicati; ripensa all’Atene di Pericle: i ragazzi, allora, erano più belli delle ragazze. L’Av vocato gli sussurra qualcosa all’orecchio; mentre lo congeda si concede una carezza furtiva sulla guancia – quel neo appena sopra il labbro fa Marylin e fa sangue, ma non è questo il luogo. «Vai bello ora».
La vecchia torce il collo, incrocia lo sguardo perso a mezz’aria dell’Avvocato – le luci elettriche, eterne nel trompe-l’oeil , rimbalzano sul letto fetido del Tevere.
«È triste, Avvocato: ai miei tempi uno scugnizzo del genere sarebbe per strada a lustrare scarpe, a fare le pizze, non certo qui dentro». Il compagno, stizzito, accende un sigaro.
«Anche qui dentro, mia cara, le cose cambiano». Lei lo conosce; d’altra parte, chi non riconoscerebbe la sua sagoma minuta e appuntita – per via del naso o forse delle labbra sottili? A cinquant’anni è uno degli uomini di punta della democrazia cristiana, già ministro dei trasporti e della salute, oltre che traduttore di Saffo e Catullo.
«Non c’è limite al peggio».
Col gomito la vecchia picchietta l’addome del compagno. Questi si fruga le tasche, caccia fuori un involucro metallico belle époque e lo porge all’Avvocato.
«Volentieri». L’Avvocato allunga la destra. Il sigaro in bocca, mentre l’altro gli offre la fiamma, aggiunge: «È un’eccezione, sia chiaro».
«Dove...» la vecchia incerta riprende il filo, «come crede andrà a finire?». L’Avvocato la guarda distratto mentre sorseggia campari soda. «Voglio dire» la voce della donna si fa di colpo più bassa «gli arresti, i suicidi, il clamore per strada – pare la fine del mondo...».
Gli occhi dell’Avvocato riprendono vita. «Non si lasci impressionare, signora, il paese ha vissuto momenti peggiori».
«E tutti quei soldi, allora, miliardi di tangenti? È vero o non è vero? Ospedali, trasporti...».
«Edilizia, petrolchimica – non sia riduttiva nell’elenco, il paese è pieno di risorse» l’Avvocato ghigna e sputa fuori il fumo.
«Non scherzi. Io temo per la mia propria famiglia!».
«Non deve, signora. Com’è cominciato finisce: la magistratura prima o poi si stancherà di indagare, l’opinione pubblica di fare il tifo. È scientifico, fisiologico». Beve svaccato sulla sedia.
«Lei non capisce! Il marito di un’amica, una persona squisita, un signore – si è appena tolto la vita!». La vecchia si sporge all’indietro, affranta. Il compagno le prende le spalle, asciuga le palpebre annerite dal dolore e dal trucco.
«E di cosa, di grazia, si occupa la sua famiglia?».
«Metropolitane, al nord».
Tutti con quest’ossessione della logistica, con questo rifiuto del dolore e della caduta. Schifato, l’Avvocato guarda fuori, alla finestra. Poi aggiunge a voce più alta, senza guardarla in faccia: «Vada via, allora».
La vecchia lo fissa perduta – si guarda intorno come temendo di essere scoperta.
«Se ne vada nel Maghreb: lì sanno come trattare i signori».
Le sedie si stringono ai tavoli; questi, all’occorrenza, si fanno più prossimi ai muri. Si apre, nel centro, un sentiero per la vita larga dell’Onorevole – traghettatore della nazione durante la guerra fredda, primo ministro non si hanno mani per contare quante volte, nonché ministro della giustizia, dell’interno, degli esteri; probabilmente l’uomo politico più influente del dopoguerra in Italia, di sicuro il più corpulento. Gli astanti, sorpresi in piedi intorno al buffet del Caput Mundi , improvvisano reverenze.
L’Avvocato fa spazio sul tavolo. L’Onorevole – o il Grosso, a seconda di come lo si guardi – arriva sudato in faccia: è esausto, per quanto non voglia darlo a vedere.
«Ceniamo?» fa l’Onorevole e si mostra disteso, sollevato.
«Si può mai fare una riunione di sabato, alle otto, coi cazzo di martiri del partito? È una banda di invasati». L’Onorevole siede. «Il paese» fa una voce nasale, ridicola e radiofonica «è scosso nel profondo dallo scandalo delle indulgenze! Gli storti, i corrotti, devono esser puniti! Il paradiso in terra, la segreteria del partito e la presidenza del consiglio, è dei giusti! Preghiamo».
«Mistero della fede!». Ridono entrambi. «Scommetto la salvezza della mia anima che l’ha organizzata...» .
«Il caro Presidente della Repubblica uscente, chi altri?».
«Salomone il Giusto».
«Tra l’altro: c’erano i suoi emissari, non lui».
«Egli è lo Spirito Santo».
Salomone il Giusto: partner in crime del Grosso nel condurre la nazione per le paludi del dopoguerra, primo ministro un po’ meno volte del Grosso ma abbastanza da sfondare le dita di una mano per contare, presidente della repubblica uscente; ad oggi, tuttavia, in ritiro spirituale e senatore a vita.
L’Onorevole adocchia il giornale aperto, interroga l’Avvocato con lo sguardo.
«Cito: Tabula rasa. Tangenti: crolla il palazzo della politica ».
«Hai capito!» Il Grosso si asciuga le mani sudate coi fogli del giornale. «E noi in tutto questo saremmo i terremotati o la Croce Rossa?». Con una smorfia liquida l’assunto.
Viene il terrone coi primi.
«Pennetta per l’Avvocato», il ragazzo poggia il primo sul tavolo, «linguina...». Si ferma, gli occhi piantati sul volto rotondo dell’Onorevole, il piatto in equilibrio sull’avambraccio.
L’Onorevole lo fissa incredulo. «Che è? Ti è apparsa la fessa della madonna tra le cozze?».
«Niente, guaglio’ ». L’Avvocato, terrone anch’egli, pugliese naturalizzato capitolino, accompagna il piatto con la mano, dall’avambraccio del ragazzo fin sotto il ventre gonfio del Grosso. «L’Onorevole è andato a fare campagna coi pizzaioli come te... Vai adesso, vai!».
Il Grosso apre le mani, osserva schifato i palmi neri d’inchiostro. Con gli occhiali specchiati si guarda la faccia. Sputa nel tovagliolo, si sfrega la fronte e le guance. «Manco a pulirsi il culo!».
«Caffè?».
Con un fischio l’Avvocato richiama il ragazzo, l’Onorevole rutta di lato.
Comincia la digestione: il Grosso, mezzo tono più grave del solito, richiede all’Avvocato un resoconto formale.
«Siamo pronti: alle ventuno, domani. Il luogo e gli uomini sono quelli di sempre».
Il Grosso annuisce. «Il Giusto?».
«È all’oscuro di tutto».
«Bruto?»
«Dietro i teloni già affila i pugnali».
Bruto: membro del gabinetto del Giusto, giovane traditore in erba sedotto dalla causa dall’Avvocato in persona.
L’Onorevole allenta la cinta – dice: «Prelati e giornali devono essere tenuti fuori, per ora». Pensa: per sempre, fosse solo per me
. Dice: «Massimo riserbo, è chiaro?».
«Cristallino», fa l’Avvocato.
«Si assicuri che Bruto arrivi per primo, me lo faccia scortare». Le rughe del Grosso si addensano in mezzo alla fronte.
L’Avvocato annota su un fazzoletto. «Non crede però che il suo ingresso nella Societas richieda maniere meno improvvisate?».
«Non si dia pene inutili: non c’è altra via, non abbiamo tempo. All’occorrenza troveremo un modo, una formula per farli tutti contenti».
La voracità del Grosso è la sua risolutezza, la sua spinta – basterà, anche ora, la volontà di rischiare, la leggerezza spregiudicata, per smuovere gli eventi? È bastata finora: così la storia, con un exemplum , un’evidenza empirica e un l’esperienza insegna
, inganna i suoi agenti mostrandosi dritta come una retta quando invece, volendo, è una serpe.
Roma, 22 giugno 1992 d.c., riunione di membri eminenti della Societas, nei pressi di Porta Pia. Conducono: Onorevole, Avvocato e Vestale; intervengono: Er Grigio e Herr Direktor; assiste: Esculapia; ospite d’onore/neofita: Bruto. È la banda del Grosso o petit comité . Convitato di pietra: Salomone il Giusto.
Sull’uscio del Centro studi ermeneutici un uomo in abito blu scuro ripiega gli occhiali – uno per fare il bodyguard in Italia deve vestire come a un matrimonio. Schiaccia col tacco una sigaretta per terra, sistema l’auricolare, è pronto. Due auto nere accostano in fila. Ne vengono fuori due donne e due uomini: Herr Direktor, governatore uscente della Banca d’Italia, seguace ostinato del marco e fiero antagonista del Sistema Monetario Europeo, detto anche Pastore Tedesco o semplicemente Direttore; il giudice Er Grigio o anche Er Ghigno, per la smorfia involontaria del viso; il medico mitico Esculapia e infine la Vestale – lei è la chiave di tutto: se c’è un motore, là dentro, è il suo corpo felino di magistrato edonista; da fine anni Ottanta non meno che terza istanza della banda dopo Onorevole e Avvocato, oltre che custode del rito.
«Signori».
La sala si apre ai nuovi venuti: scura e profonda, un tavolo di legno massiccio al centro; le pareti, sul fondo e sui lati, colme di libri.
I quattro siedono, la stanza sa di naftalina. La Vestale apre le danze: «Due whisky con ghiaccio, un negroni e un m artini».
L’uomo di guardia prende le scale a lato dell’atrio, si ferma sulle punte, alla porta. Si sente vociare da dentro. Attende, bussa ed entra. I tre uomini dentro si voltano di colpo.
«Onorevole, arrivano i soci».
Il Grosso, in piedi dietro la scrivania, annuisce. L’uomo di guardia richiude la porta alle spalle. Fa due passi indietro, origlia. «L’accoglienza sarà fredda, non si scomponga, non si perda in chiacchiere. Vada al punto. Non si comprometta a meno che non le venga esplicitamente richiesto da me o dall’Avvocato». L’uomo di guardia riprende le scale.
La Vestale ed Esculapia discutono appartate in salone, m artini e negroni alla mano.
«Si tenga pronta a tutto» fa la Vestale. Ha i capelli appena mesciati e un’acconciatura stile Lady D che le conferisce un aspetto stranamente casto.
La rampa risuona di passi.
«Mi dica una volta in cui io abbia mostrato di non essere pronta a tutto» fa Esculapia, medico curante e massaggiatrice ufficiale dell’Onorevole da vent’anni – dalla strage della Mole, al fianco del Grosso per ogni evenienza – e scola il negroni a vetro. Con la mano – le dita affusolate di pantera urbana, le ciocche nere appena in disordine sulla fronte, un pantalone di pelle scura affilato sulle gambe – chiede il bis.
L’Onorevole, l’Avvocato e il giovane uomo detto Bruto per l’occasione arrivano in salone. I convitati, all’unisono, si mettono in piedi. L’Onorevole si fa strada tra i libri e le sedie con la pancia, prende posto nel fondo, a capotavola. L’Avvocato è alla sua destra. Bruto si mette di fronte: tutta la sala, come un occhio solo, gli si posa addosso e lo fissa.
«Cari soci, la vostra presenza mi onora», l’Onorevole torna in piedi, con le mani aperte intima ai culi di restare saldi sulle sedie. «Stasera le circostanze sono eccezionali».
In sala ci si scruta, il Grosso aggiusta gli occhiali sui lobi. «Immagino bene la vostra reazione al crescendo di rumori che le indagini sulle tangenti vanno provocando in lungo e in largo. Quando si scrive o si dice in televisione che trema il palazzo della politica io so di essere nel giusto se immagino questa vostra reazione: nient’altro che una smorfia di disprezzo. So anche che ognuno di voi, alla più nera delle notizie – gli interrogatori notturni, gli arresti e le morti di amici o colleghi – risponde con distacco e indifferenza. Lo so, poiché è il cuore pulsante della nostra Societas : per quanto profonde le indagini, noi siamo sempre un passo più in fondo».
L’Avvocato alza il calice, gli altri sei lo seguono. « Increscunt animi, v irescit volnere virtus !». È un coro: Bruto si affretta a seguirli ripetendo, in differita, le ultime sillabe.
«Negli anni, tuttavia, ogni tipo di batterio ha attecchito intorno al nostro tronco – ladruncoli, mafiosi, repubblichini, santi, mitomani – tanto da intaccare l’integrità dei fini, la capacità dei mezzi». L’Onorevole svuota al volo il bicchiere. Non è semplice dire, in una frase, la storia della Societas : il Grosso sceglie un’iperbole e non ha tutti i torti. È una storia e come tale presenta una stratificazione infinita, a meno che non si venga a dire: questa è l’origine, questo lo scopo, è così, andiamo avanti. Andiamo avanti: questo sarebbe l’attributo tranchant del potere – e allora tanto vale risolverla con un’iperbole.
«Nel chiasso delle indagini esiste il rischio fondato che dalla crosta si apra un varco che porta diritto a