Dannato
Di Sky Corgan
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Info su questo ebook
Abituarsi a una nuova città è stato un processo duro per Tara Edwards. Fortunatamente, è riuscita a trovare un amico in Darren Jones, il bambino la cui famiglia possiede mezza città. Le ha offerto la sua protezione e la sua amicizia, ma ciò che voleva in cambio era più di quanto Tara fosse disposta a dargli.
A un certo punto, Tara lascia la città in cui è cresciuta per iniziare una nuova vita. Ciò che coltiva è molto distante dalla naturale progressione delle cose, e Tara presto scopre che quello che non vuole è esattamente ciò di cui ha bisogno.
Quando un evento tragico la costringe a tornare nella città che odia, pare che chiunque abbia ferito in passato sia lì per perseguitarla. Proprio quando sembra che i fantasmi del suo passato la stiano trascinando giù, in una fossa di disperazione, intravede una luce alla fine del tunnel che ha le sembianze del suo vecchio amico. Ma quando il loro rapporto diventa un qualcosa di più di un’amicizia, Tara si ritrova intrappolata fra due uomini, in bilico tra il suo passato e il suo futuro.
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Anteprima del libro
Dannato - Sky Corgan
Dannato
Di Sky Corgan
Copyright testo 2014 di Sky Corgan
Tutti i diritti sono riservati
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Capitolo 1
I bambini possono essere crudeli. Non lo capisci finché non inizi ad andare a scuola. I tuoi genitori ti proteggono al meglio che possono, presentandoti solo ai genitori dei bambini con cui hanno piacere che tu giochi. Si tratta dell'età dell'innocenza, l'età in cui tutto sembra giusto al mondo.
Il primo giorno di scuola fa paura. I tuoi genitori fanno il possibile per prepararti all’esperienza, dicendoti che sarà meravigliosa, che ti divertirai e stringerai un sacco di fantastiche amicizie. Non ti parlano dei bambini cattivi che rileveranno anche il più piccolo dei tuoi difetti. Non ti parlano dei bulli perché, se lo facessero, non permettesti mai loro di lasciarti davanti a quell'imponente edificio senza tirare calci a vuoto e strillare, facendo una sceneggiata.
Ho iniziato l'asilo come qualsiasi altro bambino, nervosa ma allo stesso tempo emozionata. Non ho pianto quando i miei genitori mi hanno lasciata lì. Mi piaceva davvero la mia insegnante. Tutti sembravano gentili. . . fino alla ricreazione.
Occhi in fuori,
sentii gridare a un bambino. Mi stavo facendo gli affari miei, oscillando avanti e indietro sull'altalena. Non avevo ancora fatto amicizia con nessuno, ma non me ne stavo preoccupando troppo. Era il primo giorno, dopotutto; tuttavia, di certo non mi aspettavo che avrei avuto dei nemici.
Ehi, occhi in fuori,
ripeté quella voce, questa volta accompagnata da un tagliente colpo alla mia nuca.
Le lacrime mi riempirono gli occhi mentre facevo fermare l'altalena, voltandomi per vedere quel paffuto bambino dai capelli rossi e le lentiggini guardarmi in cagnesco, a qualche centimetro di distanza. Non era solo, inoltre: accanto a lui c’era un altro bambino che mi stava guardando come fossi spazzatura.
Perché mi hai colpita?
chiesi, strofinandomi la nuca mentre reprimevo l'impulso di crollare in una raffica di singhiozzi.
Perché sei brutta. Qual è il tuo nome? Tara, non è vero? Un nome brutto per una bimba brutta. Tara il Terrore.
Corsi via piangendo e trascorsi il resto della ricreazione chiusa in bagno. Pensai che qualcuno sarebbe venuto a chiedermi cosa non andasse, ma tutti gli altri bambini si limitarono a guardarmi imbarazzati mentre continuavano a farsi gli affari loro. Dovetti attendere l’arrivo della maestra per essere consolata. Le dissi che ero caduta dall’altalena, e avevo il bernoccolo sulla nuca a prova della mia versione. Lo stronzo mi aveva lanciato un sasso, ma non l’avrei detto all’insegnante. Avevo paura e l’ingenuità mi spinse a credere che se non ne avessi parlato, il problema si sarebbe risolto da sé.
Non accadde. Il bambino, il cui nome scoprii essere Daniel Delp, aveva deciso di sfruttare qualsiasi occasione gli si presentasse per divertirsi a perseguitarmi e spaventarmi. Alla fermata dell’autobus, faceva radunare i bambini attorno a me per cantare in coro ‘Tara il Terrore’, finché non scoppiavo in lacrime. Nel cortile della scuola, mi rincorreva per lanciarmi sassi o pietre. Sembrava fosse amico di metà scuola e mi mise contro tutti gli altri bambini. Ero sola, spaventata e ormai odiavo andare all’asilo. Ogni giorno era una lotta tirarmi fuori dal letto. Piangevo mentre mia madre mi trascinava a forza alla fermata dell’autobus al mattino.
Alla fine, mi prese così male che mio padre e mia madre organizzarono un incontro con il preside e i genitori di Daniel. Questo fermò le molestie per un po’, quantomeno da parte di Daniel. Dopo poco però, i suoi amichetti ripresero da dov’era rimasto, rendendo la mia vita un vero inferno. Appena le punizioni dei suoi genitori terminarono, riniziò anche lui, unendosi agli altri e prendendomi in giro per il mio nome orribile e i miei enormi occhi verdi.
Non sono sicura che un bambino di cinque anni abbia mai sperimentato una bassa autostima. A me è successo, però. Giorni, settimane e mesi a sentirmi dire che ero brutta e detestabile mi fecero piangere così tanto che mia madre temeva che il mio volto sarebbe rimasto per sempre segnato dalle lacrime. Implorai i miei genitori di trasferirci, ma mi dissero che quello faceva semplicemente parte del periodo iniziale presso una nuova scuola. Non aveva alcun senso per me, ma decisi di fidarmi di loro.
Farmi degli amici era impossibile con Daniel Delp addosso ogni singolo giorno. Se mi capitava di trovare qualcuno con cui giocare, Daniel avrebbe iniziato a prendersi gioco anche di lui, e questo metteva presto fine alla mia sessione di gioco. Nessuno voleva essere il bersaglio della sua cattiveria, e non potevo certo fargliene una colpa.
Invece di essere qualcosa da attendere con bramosia, temevo la ricreazione come la peste. Era un momento di cui avere paura, un momento in cui Daniel e la sua banda mi avrebbero trovata e torturata. Era un momento che passavo a giocare a un nascondino apparentemente interminabile e per niente divertente. Cercavo di rimanere in bagno per tutta la ricreazione, ma gli insegnanti se ne accorgevano e mi costringevano a uscire. Provai quindi a restare vicino ai maestri durante la ricreazione, ma quello non dava altro che un motivo in più a Daniel e ai suoi amici per prendermi in giro. Chiesi dunque di poter rimanere in classe e per un po’ di tempo funzionò, ma poi la mia insegnante cominciò a preoccuparsi che stessi sviluppando un comportamento antisociale, quindi mi rispedì nell’arena dei gladiatori.
Vivere nella paura non diventa mai una routine alla quale ci si può abituare. Ti muovi attraverso essa con inerzia, sperando e pregando che le cose migliorino. Se non fosse arrivato quel giorno fatidico, avrei forse dovuto sopportare le molestie di Daniel per l'intero anno scolastico e magari persino per il resto della mia adolescenza.
La giornata iniziò come una qualsiasi altra. Le lancette dell’orologio scorrevano verso il momento della ricreazione e le osservavo con una brutta sensazione alla bocca dello stomaco. Mentre tutti gli altri bambini stavano pensando a quali giochi avrebbero partecipato, io riflettevo su dove avrei potuto nascondermi. Qual era il nascondiglio che Daniel avrebbe impiegato più tempo a scoprire? Il giorno prima, mi ero nascosta sulla struttura per arrampicarsi. Un sacco di bambini stavano giocando lì sopra ed ero riuscita a mimetizzarmi fra loro per un poco. Ci vollero quasi dieci minuti prima che uno degli amici di Daniel mi notasse. Quello sarebbe stato il primo posto dove mi avrebbero cercata oggi dunque.
Quando la campanella suonò per l’inizio della ricreazione, feci una folle corsa verso i tunnel. I luoghi dove nascondersi non sono infiniti in un’area giochi e sapevo che non mi avrebbero offerto un rifugio a lungo, ma era sempre meglio che restare fuori all’aperto.
Gattonai dentro affannata, sussultando quando notai che il tunnel che avevo scelto era già occupato. Per fortuna, non si trattava di un nemico. Il bambino rannicchiato dal lato opposto del tunnel a malapena mi prestò attenzione. Stava leggendo un libro, perso nel suo mondo.
Posso entrare?
chiesi timida, sperando che non avrebbe rifiutato. In quel momento, ero certa che Daniel fosse fuori a cercarmi.
Il bambino grugnì, e mi sedetti accanto a lui. L’ansia stava già avendo la meglio su di me; sapevo che era solo questione di tempo prima che Daniel mi trovasse, questione di tempo prima che l’incubo iniziasse. Mi avvolsi fra le braccia, cacciando indietro le lacrime. Si può pensare che, prima o poi, mi sarei abituata a essere definita brutta, a ricevere sassi addosso e a sentirmi strattonare i capelli, spingere o prendere in giro; ma ogni singolo giorno mi veniva inflitta una nuova ferita che temevo mi avrebbe sfregiata per sempre. Piagnucolai in modo sommesso, mentre aspettavo la mia dose giornaliera di torture, cercando di non fare troppo rumore, per evitare che il bambino accanto a me decidesse all’improvviso di cacciarmi per i gemiti.
A quanto pareva, non fui abbastanza silenziosa. Dopo un poco sospirò, posò il suo libro da parte e mi chiese, Cosa c’è che non va?
Daniel Delp mi prenderà in giro,
piagnucolai.
Perché?
Perché dice che ho gli occhi grandi.
Il bambino mi guardò concentrato. È vero.
Il suo commento mi fece arrivare il cuore alle caviglie. Le lacrime mi scorrevano sulle guance e mi pungevano gli occhi. Perché mi odiavano tutti così tanto?
Sono bellissimi,
aggiunse.
Eh?
mi girai a guardarlo.
Hai degli occhi bellissimi. Sembrano smeraldi, sono molto particolari.
Il suo vocabolario e il suo atteggiamento mi lasciarono perplessa. Era così serio e strano. Perché non era fuori a giocare con gli altri bambini?
Mi presi un momento per scrutarlo. Era minuto, con i capelli così biondi che sembravano quasi bianchi; i suoi occhi erano del blu più luminoso che avessi mai visto, come le acque dei Caraibi, ed erano amplificati da un paio di occhiali dalle lenti spesse. Forse avevano preso di mira anche lui, mi dissi.
Stavo per ringraziarlo quando Daniel Delp fece capolino con il suo brutto testone dal lato del tunnel dove sedevo io. Il panico si impossessò di me quando realizzai che il mio rifugio era stato scoperto. Era giunto il momento della mia dose quotidiana d’inferno.
Guardate cos’ho trovato, ragazzi. C’è Tara il Terrore, Tara occhi in fuori.
Mi indicò perché i suoi amici potessero vedermi e poi rise. Esci dal tunnel, così possiamo rincorrerti,
mi ordinò.
No.
Mi avvolsi fra le braccia, tremando per la paura.
Allora ti tireremo i sassi finché non uscirai da quel tunnel.
Si abbassò e prese una manciata di sassi. I suoi amici seguirono l’esempio, preparandosi a stanarmi da lì con quei proiettili di pietra.
Ehi,
disse il bambino accanto a me, chinandosi in avanti per guardare Daniel.
Cosa vuoi quattrocchi?
lo schernì Daniel.
Sei Daniel Delp, vero?
Sì. Quindi? Cosa te ne importa?
Io sono Darren Jones. Tuo padre lavora per il mio.
Che me ne importa?
la sua voce si fece squillante per l’irritazione.
Se dico a mio padre di licenziare il tuo, lui lo farà. Lascia in pace questa bambina.
Se Daniel aveva paura, non lo dava a vedere. Non puoi farlo.
Mettimi alla prova. Se tuo padre viene licenziato per questo, passerai più di una settimana in punizione: un anno intero o magari una vita intera. Se te ne vai adesso, non dirò niente a mio padre.
Daniel sbuffò. Sei fortunato che la tua famiglia possiede mezza città.
Rivolse l’attenzione a me, A domani, Terrore.
E poi, per qualche miracolo, raccolse la sua gang e se ne andò.
Ero del tutto incredula e scioccata per ciò che era appena accaduto. Mi ero davvero risparmiata le umiliazioni per un giorno? Chi era quel bambino seduto accanto a me?
Grazie,
balbettai.
Non c’è di che,
rispose.
Sono Tara.
Lo so.
Per il resto della ricreazione, restai seduta in silenzio accanto a Darren mentre continuava a leggere il suo libro. Era una bella sensazione sapere che ero al sicuro, anche se solo per poco.
Quella sera, raccontai ai miei genitori di Darren e di quello che era successo con Daniel Delp. Loro cercarono di spiegarmi che i suoi genitori erano persone importanti nella nostra città. Suo padre possedeva la maggior parte dei ristoranti e dei negozi, mentre sua madre gestiva un’agenzia immobiliare. Non mi importava, però. Tutto ciò che sapevo era che Darren era il mio salvatore, e dovevo restargli vicina se volevo sopravvivere alla scuola pubblica.
Il giorno dopo durante la ricreazione, lo ritrovai nei tunnel. In silenzio, mi infilai dentro accanto a lui. Quando Daniel venne a cercarmi, poté solo osservarmi da lontano. Darren era il mio scudo.
Certo, non gli ci volle molto prima di comprendere che lo stavo seguendo. L’unico giorno che non lo trovai ai tunnel, lo raggiunsi dove si era seduto, contro al cancello dal lato opposto del’area giochi. Cercando di essere il più discreta possibile, mi sedetti accanto a lui, piegando le ginocchia al petto mentre guardavo gli altri bambini giocare. Darren non giocava mai e non capivo perché, ma non glielo chiedevo. Finché ero al sicuro al suo fianco, non mi importava cosa facessimo.
Mi stai seguendo,
commentò, alzando a malapena gli occhi dal suo libro.
Sì,
ammisi con imbarazzo.
Perché?
Perché quando sono con te, Daniel non mi rompe le scatole.
Sospirò ma non aggiunse altro.
Ci volle un po’ prima che instaurassimo qualcosa che ricordasse anche solo vagamente un’amicizia. All’inizio del nostro rapporto, lo seguivo come un’ombra. Non è mai stato cattivo con me né mi ha mai respinta, ma non sembrava neanche particolarmente interessato alla mia esistenza.
Dopo un po’, sfociò in qualcosa di più. Eravamo sempre insieme e i miei genitori alla fine mi chiesero se volevo invitarlo per cena. Quando arrivò, mia madre si innamorò di lui. Non riusciva a capacitarsi di quanto fosse gentile e di buone maniere. Mi sentii un po’ in imbarazzo per il modo in cui mi comportavo dentro casa. Lui era tutto un Sì, signora
e No, signora
, Per favore
e Grazie
. Io sembravo un piccolo cavernicolo in confronto.
Quando arrivò il mio turno di andare a casa sua, gli occhi mi uscirono dalle orbite appena parcheggiammo davanti alla sua gigantesca dimora. Era dura credere che vi vivessero solo tre persone, ma era vero. Darren aveva tutto ciò che un bambino potesse desiderare. Tutte le console per videogiochi che uscivano, un computer personale, un imponente trampolino nel giardino sul retro, un ferro da canestro e una piscina interrata. Nonostante tutto ciò, però, sembrava più interessato ai suoi libri. Una delle pareti della sua camera non lasciava spazio ad altro che a una gigantesca libreria. Le altre pareti erano decorate con poster di autori, compositori e scienziati. Quel bambino era un cranio; come evitasse di essere bullizzato restava per me un mistero.
Quando i nostri genitori si conobbero, ci ritrovammo a trascorrere il tempo l’uno a casa dell’altra molto spesso nei weekend. In pratica eravamo insieme a casa sua o a casa mia ogni fine settimana. Suo padre era un uomo austero, ma sua madre era dolce e divertente. Era sempre felice di stare in mia compagnia; mi confessò più volte di aver desiderato tanto una figlia femmina, ma dopo la nascita di Darren, aveva avuto un cancro alle ovaie e non poteva avere altri bambini. I suoi genitori avevano preso in considerazione l’adozione, ma suo padre non sembrava troppo interessato all’idea.
Adoravo la madre di Darren. Mi viziava a più non posso quando ero lì. Uscivamo a fare shopping e mi comprava dei vestiti da bambola che i miei genitori non avrebbero mai potuto permettersi. Darren sembrava approvarlo, ma ero certa che i miei genitori si sentissero in imbarazzo quando tornavo da casa sua con dei nuovi capi.
L’istruzione era al primo posto sulla lista delle priorità che i genitori di Darren avevano stabilito per lui, e diventava anche la mia quando andavo a casa loro dopo scuola. Ci mandavano di sopra nella sua stanza perché finissimo tutti i compiti prima di poter fare qualsiasi altra cosa. Suo padre era più puntiglioso di sua madre al riguardo, anche se mi assicurava che lei era più clemente con lui solo perché c’ero io.
Le nostre case non avrebbero potuto essere più diverse; era come se vivessimo in due mondi separati. Quando andavo a casa di Darren, il tempo era tutto focalizzato sullo studio e su cose materiali. Quando stavamo invece a casa mia, le nostre uniche preoccupazioni erano divertirci e passare del tempo in famiglia. Pensavo che ci compensassimo bene a vicenda. Darren mi aiutava a comprendere meglio la lezione per casa e io lo aiutavo a rilassarsi e a essere solo un bambino.
Alla fine dell’anno scolastico, eravamo in pratica inseparabili. Amici per la pelle. Facevamo tutto insieme: dallo studiare all’andare in vacanza insieme, fino al dormire nello stesso letto quando rimanevamo l’uno a casa dell’altra per la notte. Mi ero così abituata a stare insieme a lui che mi arrabbiavo quando suo padre voleva