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Destini Erranti - La Spada Delle Anime
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Destini Erranti - La Spada Delle Anime
E-book340 pagine4 ore

Destini Erranti - La Spada Delle Anime

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Info su questo ebook

La spada delle anime troverà un nuovo padrone.

Sono passati vent'anni da quando i Krul hanno soggiogato l'umanità al termine di una sanguinosa lotta per la supremazia del Continente, dando vita all'impero più vasto e potente mai conosciuto, anni di schiavitù e sofferenza. Voci di una ribellione imminente iniziano a diffondersi tra gli uomini, il legittimo erede del vecchio regno prepara una strada lastricata di sangue per il suo ritorno e un antico legame viene destato dalla rinascita della spada delle anime.

La chiamata del destino risuona inesorabile e due giovani la accolgono, attratti fuori dal loro quieto villaggio come due falene verso la fiamma, ciò che scopriranno getterà luce su segreti ormai dimenticati.

L'aria gelida di un autunno morente promette guerra.
LinguaItaliano
Data di uscita9 dic 2022
ISBN9791221433685
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    Anteprima del libro

    Destini Erranti - La Spada Delle Anime - Daniele D'Angelo

    PROLOGO

    -Le parole di questo povero vecchio potrebbero sembrarvi noiose e soporifere...-

    La voce dell'uomo anziano, seduto sotto il ciliegio più antico delle campagne intorno alla Grande Città, risuonava nell'aria colma di pollini primaverili, richiamando molta più gente di quanta egli stesso si aspettasse.

    -Ma ciò che voglio narrarvi è più di un semplice racconto, più di una semplice fiaba o favola-

    Fiero nel suo cipiglio, manteneva costantemente quell'espressione tipica di chi avesse sperimentato molte cose, componendo l’immagine che meglio si addice a un vecchio e consumato uomo vissuto.

    Un nutrito gruppo di persone si radunò intorno a lui, ma dal suo viso non traspariva nemmeno la contentezza di avere tutta quella gente dedita ad ascoltare la sua voce roca e profonda, come se alla fine non gli importasse molto di chi si fosse davvero fermato ad ascoltarlo.

    Gli bastava raccontare, come se lo stesse facendo di fronte a sé stesso.

    -Ascoltate dunque la mia storia- riprese -che, vi dirò, è in realtà ciò che realmente successe prima che voi nasceste, prima che la nostra razza tornasse a essere libera-

    -Taci vecchio!- urlarono alcuni dei presenti -Va a raccontare le tue fantasie ai lattanti!-

    -Potete ascoltare o persino credere se volete, oppure no... La scelta è vostra-

    Qualcuno se ne andò, ridendo del vecchio e delle sue parole ridicolmente seriose, ma altri restarono, intenzionati a prestare orecchio a quella che sembrava essere una lunga storia.

    -Dunque...- abbassò le sopracciglia e si schiarì la voce -Tutto ebbe inizio quando quelli, che prima erano solo pochi emarginati, si riunirono nelle steppe a nord del continente, fondando la città di Kornark.

    Li chiamavano diversi, ma piacque loro chiamare la loro razza krul, per distinguersi dagli umani che, fino alla fondazione della città, non avevano fatto altro che perseguitarli e scacciarli da qualsiasi centro abitato.

    Nessuno sapeva da dove fossero venuti, o che cosa volessero, ma il loro desiderio di vendetta verso gli uomini era tale che in poco tempo riuscirono a sottrarre al regno di Rodgar Asdoran il mite, gran parte dei territori vicini alla neonata città.

    Uniti in unico gruppo in quelle fredde terre, la loro furia e determinazione era più salda di quanto non lo fosse in ciascuno di loro, l’odio serpeggiava crescendo man mano che il loro numero aumentava.

    Fu allora che elessero un capo, Caborn, che li guidò in impetuosi assalti in tutta la regione, radendo al suolo tutto ciò che trovava.

    Nemmeno donne e bambini sopravvivevano al passaggio della sua orda, la scia di morte e devastazione lasciata dai krul raggiunse presto una portata tale da permettergli di proclamarsi re delle terre liberate dall’infida presenza umana.

    Quando Rodgar venne a sapere dell’invasione o, se preferite, dell’insurrezione, un’ira che mai aveva conosciuto lo travolse, inviò così i suoi migliori uomini a sopprimere quella che, ai suoi occhi, appariva poco più di una semplice rivolta.

    I krul si dimostrarono più tenaci, forti e abili dei soldati mandati a ucciderli, la loro stazza e intelletto superiore surclassava gli umani sul campo di battaglia, sbaragliandoli senza difficoltà.

    Grazie alle numerose vittorie e al senso di superiorità che lentamente cresceva tra loro, l’odio si tramutò presto in desiderio di potere: discendendo lungo il fianco delle Antigee si fecero strada verso Valiant, la capitale del regno di Rodgar, raggiungendola un massacro dopo l’altro.

    Ciò che accadde a Rodgar il giorno della battaglia è un segreto che pochi conoscono: c’è chi dice che venne rapito e ucciso brutalmente nell’accampamento krul, oppure che un’entità malvagia lo stesse consumando fino a ridurlo a poco più di un involucro vuoto, altri ancora dicono che venne assassinato da un membro della sua stessa corte.

    La sola cosa certa fu che il re sparì dal suo palazzo, e tanto bastò a sgretolare il morale già indebolito dei difensori.

    Lasciati senza una guida gli umani persero la battaglia, e con essa la città.

    A questo punto il territorio sotto il dominio di Caborn si estendeva dalle steppe a nord fino all'inizio della grande foresta, ma, intenzionato a distruggere ciò che rimaneva del regno degli uomini, non si accontentò della capitale e mosse verso sud.

    Si susseguirono numerose battaglie in cui molti persero la vita, l’orrore della guerra dilagava senza accennare a fermarsi e gli uomini lottavano per non essere soggiogati da quella che stava diventando la nuova razza dominante del Continente.

    In questo turbine di violenza efferata anche il re sanguinario morì e gli succedette il suo unico figlio maschio, che, in onore delle gesta a cui aveva assistito, prese il nome del padre.

    Caborn II, date le dimensioni troppo estese che il regno aveva assunto, istituì l’impero krul, che divise in cinque regioni, governate ciascuna da un console

    Con la caduta di Fedhaim, l'ultimo bastione all'estremo sud del continente, l'Impero ottenne il controllo totale delle terre umane e ne soggiogò gli abitanti.

    Di questi alcuni si dispersero, rifugiandosi ovunque fosse possibile, ma la maggior parte di loro venne ridotta in schiavitù.

    Ebbe così inizio l’era del dominio, in cui i krul detennero l’egemonia sul Continente.

    Dall’alto del suo palazzo imperiale a Kornark, l'imperatore governò pacificamente per vent’anni senza però riuscire ad avere eredi, stabilì quindi che il prossimo reggente sarebbe stato eletto tra i consoli in carica dopo la sua morte.

    Nel corso di quegli anni il desiderio di vendetta verso gli umani andò scemando fino a considerarli una nullità, una razza inferiore.

    Dopo la Dichiarazione di Tolleranza Parziale, proclamata da Caborn II nel ventunesimo anno del suo impero, si smise anche di farli schiavi, preoccupandosi però di limitarli in piccoli villaggi lontani dalle grandi città, che potevano essere abitate solo e soltanto da krul.

    Ed è in uno di questi luoghi, così piccoli e apparentemente insignificanti, che, inesorabilmente, il fato scelse di piegare il corso degli eventi, eleggendo due individui a compiere un destino che, se anche avessero potuto, non avrebbero mai scelto.


    PARTE PRIMA:

    RIBELLIONE


    Capitolo 1

    Poche centinaia di contadini, artigiani e allevatori dimoravano nelle piccole case di legno di Skipard.

    Conducevano al pascolo pecore e capre alle pendici delle montagne, creando poi ottimi formaggi stagionati grazie al loro latte, scambiavano i loro prodotti con i villaggi vicini e raccoglievano ogni anno una discreta quantità d'uva che tramutavano in un buon vino rosso.

    Il villaggio, costruito sul fianco orientale delle Antigee, era delimitato da un circolo di palizzate in legno, inutile contro qualsiasi tipo di attacco, ma efficace abbastanza da tenere fuori dal centro abitato le bestie più comuni.

    Solo due aperture in quel ligneo confine sancivano l’ingresso e l’uscita del paese: una rivolta alla prateria orientale che si apriva dopo la valle, l’altra alle bieche e austere montagne occidentali.

    Affacciandovi proprio da quest’ultimo passaggio avreste potuto scorgere il sentiero scosceso che collegava i vigneti al paese e, aguzzando lo sguardo, avreste visto un giovane sbarbato di alta statura, dai capelli corti di un castano profondo, con le mani terrose che braccavano un cesto di vimini pieno di grappoli d'uva.

    Allora non poteva superare i vent’anni, nel pieno della sua giovinezza riusciva a lavorare la terra con vigore e il suo fisico aitante rispecchiava il duro lavoro che, ogni giorno, portava a compimento.

    La stradina era in terra battuta, stretta e costeggiata da piccoli fiori bianchi tinti dal rosso del sole che stava tramontando, la percorse in fretta per via del dolore che il cesto gli procurava alle dita e, quando fu in vista della palizzata, si chiese se almeno questa volta il vecchio avrebbe apprezzato il suo lavoro.

    Giunto davanti alla porta di una casupola in legno simile ad una baita bussò, battendo la mano destra sul legno scuro della porta, gli fu subito aperto e, sbuffando, entrò nella stanza più ampia della casa, dove ad attenderlo vi era un uomo bitorzoluto e piegato dalla vecchiaia.

    -Eccomi signor Sloan, ho raccolto tutto ciò che mi avete chiesto- disse il ragazzo, posando il cesto sulla tavola rettangolare al centro della stanza.

    Tromell Sloan era un uomo burbero e riservato, nessuno a Skipard sapeva molto di lui, non amava farsi vedere e conduceva i suoi affari in modo discreto, trovava infatti insopportabile che si diffondessero informazioni sul suo conto.

    Il vecchio osservò con cura il contenuto del cesto, poi prese un grappolo d’uva tra le dita e ne assaggiò un acino.

    -Sembra proprio che questa volta non abbia nulla da rimproverarti Dajanar, hai svolto con cura il tuo lavoro- gracchiò compiaciuto -Ora va a cambiarti però, il tuo fetore non ci farà di certo fare una buona figura stasera-

    -Stasera?- chiese sorpreso -Volete recarvi alla festa di stasera?-

    -E allora? Non posso, ragazzo?- chiese con sarcasmo il vecchio.

    -No, certo che potete, è che di solito non partecipate a queste cose -

    -Beh, questa volta pare proprio che dovrò andarci! Quel dannato governatore krul ha sentito tanto ben parlare del nostro vino che esige due botti da ogni produttore del paese. Le farà venire a prendere dai suoi sottoposti alla festa, meglio fargliele trovare pronte… Non voglio nemmeno immaginare cosa potrebbe accadere se non le trovassero… Che siano maledetti! Tutti loro!-

    -State calmo signor Sloan, sono pronti quei barili?-

    -Certo che lo sono!- esclamò -Secondo te perché non bevo da mesi?-

    -Ho capito, ma calmatevi! Non è certo colpa mia se i krul ci trattano come schiavi-

    Sloan si lasciò andare in una risata goffa e spontanea.

    -Schiavi? No ragazzo, tu nemmeno immagini cosa sia la schiavitù… Dovresti ritenerti fortunato per non averla mai vissuta-

    -Sarà signor Sloan- lo assecondò Dajanar -vado a prepararmi-.

    -Sbrigati, hai poco tempo!- gli urlò, mentre il giovane entrava nella sua piccola camera.

    Spogliatosi velocemente dei logori abiti da lavoro, si sciacquò le mani e il viso con l’acqua stipata in un catino di legno, poi si rivestì con una camicia di canapa e un paio di brache di tela sottile, infilandosi infine due calzari in pelle che legò sopra le caviglie.

    Quando fu pronto si recò con il vecchio nella cantina sul retro della loro casa, prese le due botti di vino e le caricò sul piccolo carro che Sloan possedeva, poi condusse il mulo fuori dalla sua piccola stalla e lo legò al barroccio, sorridendo ripensò a quanto quell’animale gli era sempre sembrato fin troppo simile al padrone di casa.

    -Forza Alfione, diamoci da fare!- esclamò Tromell, esortando il mulo a trainare.

    Era giunta una sera fresca, tipica dell’autunno che giungeva al termine, e la piazza, punto di ritrovo centrale dell’intero villaggio, era illuminata da un falò attorno al quale danzavano i paesani al ritmo di cetre, tamburi e clavicembali.

    Nello slargo erano stati montati quattro chioschi dai produttori di vino, ciascuno addobbato diversamente dagli altri, quasi a voler trasmettere una precisa identità per ogni cantina, ovviamente il signor Tromell Sloan non aveva nemmeno considerato l’idea di montare il suo.

    Tutto era immerso in una finta allegria che mascherava il vero stato di disagio e sottomissione delle persone che abitavano in quel luogo, nel mezzo di quell’atmosfera ammaliante il carro del vecchio Sloan fece il suo lento ingresso alla festa.

    -Salve Tromell!- salutò un uomo alto e robusto, dai capelli ramati e le guance arrossate -Salve anche a te Dajanar!-

    -Buonasera Bergo- rispose il vecchio mentre tirava le briglie per arrestare il carro -dimmi, dove devo posare le botti?-

    -Lascia prima che ti saluti come si deve, non ti si vede spesso!-

    -Non ho intenzione di fermarmi a lungo, voglio solo posare le botti, poi me ne andrò-

    Bergo lanciò un'occhiata perplessa a Dajanar che rispose facendo spallucce, poi indicò un angolo dello slargo dove erano appostate alcune guardie krul, intente a sorvegliare altri otto barili.

    -Puoi lasciarle lì-

    -Ti ringrazio- concluse chinando il capo, poi si rivolse a Dajanar, facendogli segno di portarvi le sue.

    Il ragazzo fece rotolare entrambi i fusti nel punto indicato senza difficoltà, quando ebbe finito di sistemarli si fermò a pochi passi dalle guardie krul e le udì parlare nella loro lingua incomprensibile, dal suono gutturale e sibilante, quasi tetro.

    Sembrava una lingua tirata fuori da un’esistenza passata a soffrire.

    Cercò di ascoltarle credendo di poter riuscire a decifrare quelle parole a lui sconosciute, e senza volerlo fissò lo sguardo sui loro volti.

    La pelle era estremamente pallida e rugosa, sebbene si notasse in modo evidente che erano due esemplari giovani; non avevano capelli, sopracciglia, barbe o peli di alcun tipo, proprio come la maggior parte dei loro simili, sebbene pochi di loro possedessero una chioma completamente bianca.

    Ma il dettaglio che più lo colpì fu il colore scarlatto delle iridi dei loro occhi, contrastante col nero dell’umor vitreo, caratteristica comune a tutti i krul che abbiano mai camminato sul Continente.

    -Vuoi morire umano?!- lo minacciò una delle due guardie.

    La loro voce non sembrava affatto quella di un mostro o di un demone come gli aveva raccontato il vecchio Sloan, la trovò solo terribilmente sgradevole.

    -Scusatemi- disse frettolosamente -non volevo mancarvi di rispetto-

    -Allora sparisci!-

    Dajanar si voltò di scatto e si avviò a passo svelto verso il carro, dove Sloan lo attendeva in compagnia di Bergo.

    -Cos’è accaduto ragazzo?- gli chiese perplesso il vecchio non appena scorse la sua espressione turbata -Stai bene?-

    -Sì, certo- affermò balbettando -non avevo mai visto un krul così da vicino e devo ammettere che non ho molto da ridire sull’atrocità del loro aspetto-

    -Ah! Maledetti bastardi! Se solo non fossi così vecchio saprei io cosa fare!-

    -Come no Tromell- intervenne ridacchiando Bergo -la vecchiaia ti sta dando alla testa eh?-

    -Ehi Dajanar!- una voce si levò dalla piazza.

    Si voltò e vide venirgli incontro un ragazzo smilzo di media statura, dai capelli paglierini, ricci e lunghi sulla fronte quasi a voler tenere nascosti gli occhi azzurri, suo amico d’infanzia nonché unico amico in tutto il paese.

    -Salve Maxian!- lo salutò -Sono felice di vederti-

    -Anch’io! Salve anche a voi signor Sloan, e a te Bergo!-

    I due ricambiarono il saluto.

    -Dajanar- riprese abbassando la voce -avrei bisogno di dirti due parole in privato-

    -D’accordo- rispose, poi si voltò verso Sloan -vado, ci rivedremo direttamente a casa-

    -Bene, non tardare troppo-

    I due si allontanarono dal carro e si andarono a sedere su una delle panche di legno vicina al falò, la musica e lo scoppiettare del fuoco erano diventate un gradevole sottofondo e già si udivano le parole sconnesse dei primi ubriachi.

    -Ascoltami bene- iniziò -tu mi conosci da molti anni, e sai bene come la penso sui krul e sulla loro tirannia...-

    -Maxian, per favore- lo interruppe, aveva sentito quelle parole già molte altre volte.

    -No, ascoltami- ribadì afferrandolo per un braccio -io ti conosco da almeno… Beh, sin da quando il vecchio ti ha preso con sé… So che non la pensi come tutti gli abitanti di questo posto, che da anni non fanno nulla per ribellarsi contro quel bastardo del governatore. Tu sei diverso amico mio, non sei un sempliciotto di campagna come tutti gli altri, anche se magari fingi di esserlo, so che hai un cervello per pensare e che lo usi. Quindi voglio chiederti di guardare oltre quelle stupide palizzate di legno e pensare a ciò che accade fuori da questo posto-

    -Cosa vuoi che pensi?- chiese ironicamente l’altro - Certo che sono stufo di questa tirannia, di stare segregato qui, di alzarmi tutte le dannate mattine per andare a zappare la terra! Il fatto è che, se non ci sei arrivato, non possiamo farci nulla!-

    -Lo so bene, almeno non da soli… Ma lasciami spiegare-

    Dajanar aggrottò le sopracciglia e si protese in avanti, incuriosito da ciò che l’amico stava per rivelargli.

    -Ho sentito voci che parlano di un gruppo di ribelli che si sta stabilendo fra le rovine di Fadam, una vecchia città situata al di là del fiume e andata distrutta durante la guerra. Sono umani provenienti da molti villaggi e sono continuamente in aumento, potremmo unirci a loro!-

    -Sei forse impazzito? Chi ti ha detto una cosa simile?-

    -Ne hanno parlato al Buco-

    -E non hai pensato che possano essere solo dei pettegolezzi?-

    -Io voglio crederci!- rispose stringendo i pugni -Voglio credere che fuori da qui ci sia qualcos’altro, non posso restare fermo in questo posto a marcire se fuori c’è chi si batte per la libertà-

    -E poi come pensi di raggiungere queste rovine? Le guardie ti fermeranno non appena metterai un piede fuori dalla palizzata-

    -Saranno i ribelli a venire da noi, quando daremo un segnale concreto che Skipard non vuole restare sottomesso ai krul!-

    -Pensavo che volessi abbandonare il villaggio-

    -No, noi ci faremo notare dai ribelli, dobbiamo dimostrare anche a questi tangheri che la tirannia può cessare!-

    -E come pensi di fare?-

    -Avvelenando il vino per il governatore- disse sottovoce, tirando fuori dalla tasca una fiala piena di un liquido rossastro -non preoccuparti della quantità, ne basta poco per ogni botte-

    -Dove l’hai presa?-

    -L’ho rubata a quell’idiota dell’apotecario, un gioco da ragazzi, ma non ha importanza ora, il problema è avvelenare quel vino-

    -Tu sei completamente pazzo- commentò sbalordito.

    -Lo so Dajanar, e so anche che lo sei anche tu-

    -No! Hai pensato alle conseguenze? Io non sono un pazzo. Non posso negare di odiare questa situazione, ma mettere a repentaglio tutto ciò che ho per unirmi a una ribellione che molto probabilmente nemmeno esiste… No, amico mio, questo è veramente troppo-

    -Allora anche tu sei al livello di questi zappaterra? Anche tu preferiresti vivere così per il resto della tua vita?-

    -Perché no? In fondo non ci manca nulla-

    -Ci manca tutto invece!- Maxian cominciò ad alzare la voce e alcuni villici, felicemente intrattenuti dalla musica, ne furono alquanto infastiditi -Il vecchio non ti ha mai raccontato della gloria dell’antico regno? Prima che questi maledetti uscissero fuori dal nulla e ammazzassero la nostra gente? Ecco perché parli così, perché non hai mai sentito niente sulla libertà-

    -Io penso che tu sia molto bravo a parlare di ribellioni, ma ti consiglio di abbassare la voce, se non vuoi che i tuoi sogni vengano stroncati proprio stasera- muovendo il capo fece notare all’amico i due krul a guardia dei barili, incuriositi dal baccano che stavano creando.

    -A ogni modo- continuò abbassando la voce -stanotte abbiamo un’occasione per cambiare le cose, anche se in piccolissima parte. E io non me la lascerò scappare, non ho niente qui che mi trattenga-

    -Non hai niente? E la tua famiglia? Almeno tu ne hai una, la lasceresti per questo?-

    -Dajanar, ho un padre che non mi ha mai profondamente accettato, non so cosa si aspetti da me, ogni giorno non fa che riversarmi addosso la sua insoddisfazione nei miei confronti. Si è accorto di aver messo al mondo un ribelle e uno sprezzante delle regole- il ragazzo amava definire sé stesso con quelle parole, lo facevano sentire degno di poter mantenere una conflittualità di fondo col mondo intero.

    -Non posso rischiare tutto per semplici voci… E anche tu non dovresti mettere tutto il villaggio in pericolo- concluse Dajanar con tono rimesso.

    -Come vuoi, amico mio- rispose alzandosi dalla panchina e rimettendo la fiala nel taschino interno della giacca di pelle marrone -pensavo che avresti preso parte a questa avventura. Io lo farò con o senza di te-

    Il ragazzo si allontanò a rapidi passi dal falò, incamminandosi alle spalle di Dajanar, il quale rimase invece seduto sul freddo e scomodo legno della panchina.

    La determinazione dell’amico l’aveva lasciato di stucco, mai infatti lo aveva visto risoluto a tal punto, ma, ragionando sulle sue parole, si chiese come avrebbe potuto realizzare un piano così ardito e allo stesso modo irresponsabile. Concluse che, in fin dei conti, non avrebbe messo in pericolo la sua famiglia, sebbene nel suo cuore la odiasse profondamente.

    Già soltanto la sua nascita, nella quale la madre aveva perso la vita, aveva impresso un marchio di sciagura sul suo nome, che si era poi aggravato negli anni a causa del fisico poco adatto al lavoro e dell’atteggiamento eversivo che lo caratterizzava.

    Il padre non era mai riuscito a perdonare anche solo il fatto che fosse venuto al mondo, scambiandosi con la vita della compagna che amava, e per questo lo disprezzava, umiliandolo ogni volta fosse possibile.

    Proprio mentre era assorto nei suoi pensieri i musici smisero di suonare e sentì un gran trambusto, alzando lo sguardo scorse Maxian correre verso l’uscita del paese, seguito dalle guardie che poco prima aveva visto accanto alle botti di vino.

    Scosse la testa pensando a quanto fosse male organizzato quel progetto, ma il suo cuore si strinse quando immaginò le terribili conseguenze che avrebbe subito il compagno. Fece per alzarsi e andare a soccorrerlo, ma, per paura di essere coinvolto nella punizione che di lì a poco sarebbe stata eseguita, non riuscì a muovere un muscolo.

    Nel frattempo Maxian aveva raggiunto di corsa la metà del sentiero che conduceva ai pascoli, sentiva il cuore battergli all’impazzata e, colto da un affanno insopportabile, arrestò la sua corsa.

    In pochi secondi fu raggiunto dalle guardie krul che lo percossero violentemente, poi, tenendolo ben saldo per le braccia, lo trascinarono nuovamente al villaggio e, giunti all’ingresso della palizzata, trovarono il padre del giovane che si scusò infinite volte, pregando di perdonare la scelleratezza del figlio, qualsiasi cosa avesse fatto.

    Una piccola folla si era radunata nei pressi dell’ingresso orientale, tra questi vi era anche il giovane Dajanar, con gli occhi sgranati e il volto segnato da una sincera preoccupazione per le sorti dell’amico.

    Non riuscì a sentire cosa si dissero, ma il cuore gli risalì in gola nel vedere i krul scaraventare a terra il giovane e continuare a picchiarlo per una manciata di secondi.

    Al termine di quegli istanti interminabili le guardie arrestarono la punizione e, con un ghigno soddisfatto, lo lasciarono al suolo agonizzante.

    Subito il padre gli si avvicinò e lo colpì con un calcio al costato, mostrando davanti a tutto il villaggio la sua indignazione per la disobbedienza del figlio, poi, afferrandolo per una spalla, lo rialzò e si avviò verso la sua abitazione.

    I due krul intimarono alle persone che si erano radunate di riprendere i festeggiamenti, dato che la questione era stata risolta, la folla iniziò quindi a disperdersi e anche Dajanar fece ritorno al piazzale, dove trascorse il resto della serata tra i chioschi, bevendo un paio di bicchieri.

    Non riuscì però a godersi la festa, il rimorso di non aver aiutato Maxian lo tenne in uno stato di velata e perpetua agitazione, costringendolo a ripensare costantemente a quanto era accaduto.

    Quando anche i produttori iniziarono a smontare i banchini decise di ritirarsi e, una volta a casa, trovò il carro fermo nei pressi della stalla di Alfione, il quale già riposava beatamente. Sospirando aprì il portone di legno scuro con la chiave che Sloan gli aveva consegnato anni fa con la raccomandazione severa di non smarrirla e, recatosi con passo felpato nella sua camera, si sdraiò nel letto di paglia e, subito, si addormentò.

    -Avanti ragazzo!- la sveglia del signor Sloan non era delle

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