Il cammino delle ombre
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Il protagonista della storia è Lorenzo che, suo malgrado, sarà costretto ad affrontare una prova a cui non potrà sottrarsi.
La comparsa nella sua vita di misteriose bolle scure che solo lui riesce a vedere, lo trascina dall’angoscia di una malattia che stia minando la sua mente, alla consapevolezza di quanto le sue visioni siano reali e pericolose e siano pronte a trasformarsi in una tempesta che rischia di travolgere il mondo.
La storia si svolge in gran parte in una Bologna vestita dei colori dell’inverno dove Lorenzo conoscerà la prigione ed il dolore per la perdita del suo migliore amico.
Nel cammino che dovrà affrontare troverà aiuto in frate Raffaele, un frate eremita che possiede in parte la chiave per svelare il mistero delle bolle che hanno popolato e stravolto l’esistenza di Lorenzo e che lo accompagnerà fino alla fine della sua vita ed al compimento del suo destino.
Il romanzo, totalmente di fantasia, è tinto di giallo dalla ricerca di un colpevole di omicidio ma con netti richiami al soprannaturale che gli donano sfumature di mistero.
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Anteprima del libro
Il cammino delle ombre - Domenico Schipani
Domenico Schipani
Il cammino delle ombre
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I fatti ed i personaggi della storia sono frutto di fantasia.
Ogni riferimento a persone o avvenimenti reali
è puramente casuale.
L'oscurità e la luce sono dentro di noi
ci mettono alla prova ed aspettano.
Prologo
I giorni che conoscevo oggi non esistono più.
Si sono avvicendati consumandosi illuminati dalla luce tremolante di certezze a cui solo gli uomini sono in grado di dare vita.
Pallidi e freddi come il sole invernale filtrato dalle nubi.
Nell’inconsapevolezza l’illusione della normalità, nella conoscenza la verità e la paura.
Affinché il male trionfi basta che gli uomini del bene non facciano nulla
.
La frase l’avevo letta stampata sui muri di una chiesa ed ora era l’epitaffio perfetto ad incorniciare la realtà che governa il mondo.
Guardai il mare che si gonfiava e si frangeva sugli scogli e nella lotta caparbia di un gabbiano che provava a non farsi trascinare via dal vento e mantenere la sua rotta rividi me stesso. Ombre e luce.
Le ombre che erano diventate il mio fardello, la conoscenza non voluta, la compagnia mai desiderata e la luce che faticava a scintillare soffocata dalle tenebre. Pensai che forse sarebbe stato meglio se i miei occhi fossero rimasti chiusi ma non si poteva tornare indietro ne potevo cancellare una scelta che non era stata la mia.
Coraggio e viltà.
Mi alzai e voltai le spalle al mare sperando che fosse il coraggio a riempirmi il cuore con nelle orecchie il rumore cupo del vento che sollevava le onde o forse il ruggire della tempesta che il tempo a venire avrebbe portato con sé.
1
La prima volta che vidi l’oscurità era una domenica mattina.
Giorgio ed Andrea sono stati da sempre i miei migliori amici, ci siamo conosciuti alle scuole elementari e da allora siamo diventati inseparabili per lungo tempo. Siamo cresciuti insieme e, anche se adesso li sento di rado, restano e resteranno per sempre i miei migliori amici.
Come i tre moschettieri eravamo uno per tutti e tutti per uno ma il nostro sodalizio alla fine delle scuole superiori subì una battuta d’arresto.
Come sempre succede, la vita pone limiti e condizioni, e quello che nell’infanzia e nella giovinezza appare come indissolubile, ahimè, rivela la sua fragile natura con il passare degli anni.
Giorgio scelse di proseguire gli studi a Milano ed oggi è uno stimato ginecologo mentre, per diventare ingegnere informatico, Andrea scelse Bologna.
Io pensai a lungo se continuare a studiare ma, nonostante il mio profitto scolastico fosse sempre stato più che soddisfacente, scelsi di lavorare con mio padre.
Il laboratorio di restauro e realizzazione di vetrate a mosaico fu fondato dal mio bisnonno sul finire del 1800 e fin da bambino ne sono stato affascinato. Penso di aver saputo da sempre che quella sarebbe stata la mia vita e che il mio lavoro mai avrebbe potuto essere qualcosa di diverso. Ho frequentato il liceo artistico solo perché erano gli studi che più si avvicinavano a ciò che desideravo e che mi riempiva il cuore di felicità ma, coloro che mi avrebbero forgiato e reso uno dei migliori nella lavorazione del vetro e la realizzazione dei mosaici, erano mio nonno e mio padre e di certo non avrei potuto avere maestri migliori.
Quando il nonno morì aveva 83 anni.
Ricordo il cielo di novembre grigio e cupo ed il pianto disperato di mio padre.
Di mio nonno io voglio ricordare l’allegria ed il suo sguardo colmo di orgoglio con cui si era congedato da me pochi giorni prima di morire.
Il mio lavoro continuerà a vivere in te
mi aveva detto, stringendomi così forte le mani da farmi quasi male. Io avevo sorriso con le lacrime che mi gonfiavano gli occhi e, senza dire nulla, lo avevo abbracciato forte.
L’anno in cui con Giorgio ed Andrea decidemmo di fare una rimpatriata e passare un po’ di tempo insieme avevamo un sacco di lavoro e non fu facile convincere mio padre ad accordarmi un lunedì libero da unire al sabato e alla domenica da passare in giro fra Abruzzo, Marche ed Umbria.
Questa era la meta che avevamo deciso, un viaggio itinerante ma la cosa che più importava era che dopo tanto tempo saremmo stati di nuovo insieme.
Partimmo il sabato mattina di buon’ora ed in breve ritrovammo la complicità che ci aveva accompagnato per tanti anni. Ero contento perché a lungo ci eravamo quasi ridotti a dei conoscenti che si scambiano gli auguri per le feste e le poche telefonate con cui ci parlavamo ancora erano sempre più frettolose.
A pensarci bene il libro della nostra storia pareva concluso e anche se di tanto in tanto ne sfogliavamo le pagine lo facevamo in modo distratto accordando un rimasuglio del nostro tempo a una storia che ormai non avrebbe più avuto un seguito.
Non per me comunque, io ho sempre pensato che avrei fatto di tutto per impedire che il nostro passato e i nostri ricordi sparissero nell’oblio e sono sempre stato certo che mi avrebbero tenuto compagnia fino all’ultimo dei miei giorni.
Il nostro viaggio partì sotto i migliori auspici e quegli ultimi giorni di ottobre si consumarono sotto un cielo terso ed incredibilmente azzurro. Scegliemmo per lo più strade provinciali ed io mi riempivo gli occhi ed il cuore dei colori dell’autunno che esplodevano prepotenti tingendo i boschi di giallo ed arancio come se fiamme invisibili li stessero divorando.
Come potevo pensare di star consumando gli ultimi scampoli di serenità che la vita mi avrebbe concesso?
Quel sabato l’avremmo passato in Umbria e per noi che partivamo da un paesino della Toscana a metà strada tra Firenze e Siena il primo tratto del viaggio si ridusse a poco più di 150 chilometri.
Avremmo visitato prima Gubbio e poi Assisi ed il giorno seguente avremmo proseguito verso il parco nazionale del Gran sasso che, di comune accordo, avevamo battezzato come meta centrale del viaggio.
Avremmo raggiunto Rocca Calascio, uno spettacolare castello a picco su uno sperone roccioso che era stato il set in cui avevano girato le scene del film Lady Hawk che avevamo visto al cinema da bambini e che ci aveva entusiasmato. Nel decidere di fare quel viaggio che più di ogni altra cosa doveva essere un modo per ritrovarci la scelta di visitare quel luogo era nata quasi in modo naturale.
Lasciammo Assisi poco dopo le otto della domenica mattina reduci da una colazione abbondante e con l’allegria di chi finalmente si appresta a coronare un desiderio segreto che ci tenne compagnia per tutto il viaggio. Guidammo a turno e le tre ore abbondanti del viaggio passarono abbastanza in fretta mentre attraversavamo le strade poco trafficate che si snodavano attraverso un paesaggio magnifico che la bella giornata d’autunno incorniciava come un quadro. Raggiungemmo il parco nazionale del Gran Sasso nella tarda mattinata ed il paesaggio mutò repentino, dapprima la strada che si arrampicava verso i 1400 metri di Rocca Calascio ci accolse costeggiata da boschi di pini che divennero sempre più radi man mano che salivamo verso la nostra meta fino a scomparire lasciando il posto alla terra brulla dell’altopiano. Quando scendemmo dalla macchina mi sentivo frastornato. Chiusi gli occhi e respirai a fondo l’aria fresca che mi accarezzava il viso spinta da un venticello leggero fino a che Giorgio non mi diede uno spintone per richiamare la mia attenzione.
«Sveglia Lorenzo, non è il momento di abbandonarti alla meditazione» mi disse, concludendo la frase ridendo insieme ad Andrea e con mio grande imbarazzo mi accorsi che alcuni membri di un gruppo che si apprestava come noi a percorrere l’ultimo tratto a piedi per raggiungere il castello si erano accodati alla loro risata. Mi passai la mano tra i capelli e mi incamminai mentre i miei amici mi cingevano le spalle scuotendomi scherzosi continuando a ridere.
A picco su uno sperone roccioso che domina la valle del Tirino la fortezza ci sovrastava mentre insieme agli altri ci arrampicavamo facendo attenzione a non scivolare sul terreno sassoso. Alcune persone che stavano già visitando il castello si aggiravano fra le rovine come sentinelle di un tempo ormai perduto e con Andrea e Giorgio decidemmo di stare il più possibile lontano dagli altri visitatori per tentare di immergerci nella magia di quel luogo e magari ritrovare le nostre fantasie di ragazzi e camminare al fianco del capitano Navarre.
Avevamo girato in lungo e in largo per più di un’ora e quando Giorgio e Andrea mi dissero che era il momento di mangiare qualcosa guardai l’orologio e vidi che erano le 13,45.
«Va bene ragazzi, voglio solo dare un’occhiata alla vallata da lassù» gli dissi indicando un punto che non avevamo ancora raggiunto.
«D’accordo ma fai in fretta se vuoi trovare ancora qualcosa da mettere sotto i denti» mi rispose Andrea massaggiandosi la pancia sorridendo e insieme a Giorgio si incamminarono verso un punto comodo in cui consumare il pasto.
Percorsi una decina di metri e ad attirare la mia attenzione furono le voci concitate di un uomo ed una donna che parlavano in inglese.
Ebbi quasi la certezza che la donna fosse sul punto di cominciare a piangere ed io rallentai il passo per cercare di capire cosa stesse accadendo. L’uomo parlava ad alta voce ma non urlava e quando si voltò verso di me distolsi lo sguardo. Aveva una espressione cattiva e l’ultima cosa che volevo era di finire in mezzo ad una discussione che non sarei stato in grado di gestire così continuai a camminare senza voltarmi e presto le loro voci si persero nel vento che le trascinava verso il fondo della valle. Raggiunsi il mio punto di osservazione e mi fermai a guardare a lungo il panorama e quando tornai indietro mi accorsi che l’uomo che avevo visto discutere in precedenza ora era da solo e se ne stava seduto su una roccia con lo sguardo perso verso le alture che degradavano in lontananza. Mi colpì il suo viso senza espressione e quando ero ormai sul punto di passare oltre il cuore mi balzò in gola.
Lo guardavo mentre avanzavo e inizialmente mi parve di vedere come del fumo che si sprigionava dalla roccia a cui, in verità, non feci troppo caso attribuendo il fenomeno a dell’acqua o dell’umidità che evaporava scaldata dai tiepidi raggi del sole autunnale. Mi colpì però una singolarità il fumo saliva verso l’alto ma raggiunta l’altezza delle spalle dell’uomo pareva cambiare direzione ed era come se venisse attirato all’interno del suo giaccone. Mi ricordò l’effetto che produceva una cappa di aspirazione e sorrisi a quel pensiero.
Mi fermai per guardare meglio e quello che inizialmente pareva vapore acqueo cambiò in fretta di consistenza ed in breve si colorò di nero ed assunse l’aspetto di gocce di pece e poi di macchie scure e collose che subivano la stessa sorte di quello che per me era vapore acqueo. Scomparivano dentro il giaccone dell’uomo senza lasciare traccia e fu a quel punto che istintivamente pensai che forse scomparivano dentro l’uomo e a quel pensiero rabbrividii.
Quello che vedevo o pensavo di vedere era qualcosa di impossibile ed ebbi paura per quello che mi stava accadendo, mi coprii il viso con le mani e serrai gli occhi mentre il cuore cominciava a battermi forte. Piegai le ginocchia e mi accovacciai per paura di cadere e dopo un tempo che mi parve interminabile riaprii gli occhi e tornai a fissare la scena. L’uomo era ancora seduto sulla roccia ma non c’era altro, né fumo, né vapore né tantomeno quel materiale colloso che pareva penetrargli nel corpo. Mi misi a sedere senza curarmi dei sassi con cui il mio fondoschiena non fu felice di fare conoscenza e respirai a lungo nella speranza di arginare la sensazione che stessi per perdere i sensi da un momento all’altro e quando finalmente la testa cominciò a girarmi un po’ meno ed il cuore iniziò a rallentare la sua corsa pensai di avercela fatta. Mi alzai su gambe malferme e mi incamminai verso il punto in cui i miei amici avevano cominciato a divorare i panini che avevamo portato per il pranzo e quando diedi un’ultima occhiata all’uomo seduto sulla roccia vidi che non si era mosso di un centimetro, stava immobile e guardava l’orizzonte probabilmente senza vederlo ed io lo abbandonai volentieri al suo destino sperando di dimenticare in fretta quello che era accaduto.
Tornai dai miei amici riuscendo malamente a mistificare il mio stato d’animo ma decisi di non parlare con loro di quello che era successo. In fondo cosa potevo dirgli? Non sapevo nemmeno io cosa avevo visto o creduto di vedere e tacere mi parve la scelta più saggia. Giustificai il mio cambio di umore con un mal di testa improvviso e loro cercarono di consolarmi ben contenti di mangiare buona parte dei panini che mi erano destinati.
Nel tardo pomeriggio decidemmo di ritornare in Umbria abbandonando l’idea di passare un giorno nelle Marche e ad un’ora ragionevole per cenare eravamo seduti in un grazioso ristorante del centro di Perugia. Il giorno seguente andammo in giro per la città ed io cercai di partecipare come meglio potevo anche se per quanto mi sforzassi non riuscivo a liberarmi della visione delle gocce di oscurità che parevano liberarsi dalla terra e che risvegliavano nella mia anima un oscuro presagio di sventura. Quando riprendemmo la strada di casa mi sentii sollevato coltivando la speranza che la conclusione di quel viaggio ponesse fine a quell’assurda ossessione che si era impossessata della mia ragione. Così fu, almeno per un po’ e, infilandomi sotto la doccia, pensai a quali brutti scherzi può giocare la suggestione e come a volte si crede di vedere qualcosa che in realtà non esiste semplicemente perché si fa di tutto per convincere sé stessi di essere testimoni di qualche fenomeno inspiegabile. Mi venne in mente una serie televisiva vecchissima che avevo trovato su internet l’anno precedente e tutto sommato conclusi che potevo tranquillamente essere annoverato tra i protagonisti di una puntata di ai confini della realtà
. Risi mentre l’acqua mi scorreva calda lungo la schiena ma di un riso nervoso e senza allegria. Se avessi seguito la cronaca di quei giorni avrei di certo smesso di canzonare me stesso ed avrei smesso di ridere.
La notizia parlava di una donna precipitata in fondo ad un dirupo mentre era in visita a Rocca Calascio in compagnia del marito. Un terribile incidente, così veniva descritto l’accaduto e si raccontava di come l’uomo non avesse potuto fare nulla per salvare la donna, di come ora fosse distrutto dal dolore e sotto shock schiacciato dal peso della tragedia che aveva spazzato via la sua vita.
Io non seppi mai della morte della donna così come mai nessuno seppe che era stato proprio suo marito a spingerla giù dalla rupe con il cuore gonfio dell’oscurità che si era sprigionata dalla terra.
Giorgio e Andrea partirono per riprendere i loro studi ed io rimasi da solo con i miei pensieri.
Lavorai come non avevo mai fatto rimanendo in laboratorio spesso fino a tardi tanto che, anche mio padre, che inizialmente aveva visto questa mia eccessiva dedizione al lavoro come un modo per ripagare la sua fiducia e la concessione della vacanza in un momento particolarmente impegnativo, cominciò a chiedersi se andasse tutto bene.
Erano passati una decina di giorni dal mio rientro a casa e una sera dopo aver ultimato quello che per lui era l’ultimo impegno della giornata mio padre si fermò a pochi passi da me limitandosi a fissarmi mentre si asciugava le mani con uno straccio.
Perso nei miei pensieri mi accorsi della sua presenza solo quando cominciò a parlare.
«Pensi di fare tardi anche stasera Lorenzo»?
Colto di sorpresa mi voltai di scatto e l’espressione del suo viso tradì il motivo della sua presenza.
Abbozzò un sorriso cercando in modo maldestro di nascondere la sua preoccupazione ma quando provai a giustificare la mia intenzione di fermarmi oltre il normale orario di lavoro con l’urgenza di completare una commessa che doveva essere consegnata e che era già in ritardo, mio padre si comportò come aveva sempre fatto confermando uno dei motivi per cui avevo una particolare ammirazione per quell’uomo a cui volevo bene come a nessun altro al mondo; andò diritto al punto.
«Sono certo che il motivo è un altro» disse guardandomi negli occhi ed io d’istinto piegai