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L' uomo che regalava il tempo
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L' uomo che regalava il tempo
E-book172 pagine2 ore

L' uomo che regalava il tempo

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Info su questo ebook

Nell’alba di Chartres Françoise incontra il suo destino ed un dono non voluto diventa la sua condanna. In cammino su un sentiero fatto di oscurità e di sangue combatterà per conservare il diritto di potersi sentire un uomo scoprendo che, in fondo, nulla è immutabile e che anche quando tutto sembra perduto una scelta è sempre possibile.
LinguaItaliano
Data di uscita8 ott 2017
ISBN9788826093390
L' uomo che regalava il tempo

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    Anteprima del libro

    L' uomo che regalava il tempo - Domenico Schipani

    cibo.

    Il cammino oscuro

    Chartres, Francia, ottobre 1788.

    Era stata una notte dura per Françoise, i muscoli delle braccia gli facevano male e sentiva la schiena terribilmente rigida nonostante i suoi vent’anni.

    Il signor Dubois, il padrone del forno dove lavorava, non l’aveva perso di vista un secondo quella notte, l’aveva incalzato senza tregua, costringendolo ad impastare la farina con l’acqua senza fermarsi mai.

    C’era stata una richiesta aggiuntiva di pane per quel giorno ma questo, pensava Françoise, non giustificava certo il fatto che lui dovesse rompersi la schiena.

    Camminava spedito verso casa ma, quando passò accanto alla cattedrale, rallentò il passo e sollevò come ogni volta lo sguardo a cercare le guglie che svettavano verso il cielo nuvolo di un giorno non ancora nato.

    Abbassò la testa e rimase in ascolto poi, rapido, girò su se stesso ad ispezionare lo spazio circostante.

    Deserto.

    Eppure, da un po’ di tempo, aveva l’impressione che qualcuno camminasse dietro di lui, una sensazione sgradevole a cui aveva cercato di dare un volto fermandosi più di una volta repentino nell’intento di sorprendere il suo misterioso inseguitore ma, ogni volta, intorno a lui c’erano solo le case assonnate nel dormiveglia dell’alba.

    Sto cominciando ad avere gli stessi pensieri di una donna isterica , pensò sorridendo, evocando le paure che da sempre le ombre hanno come damigelle .

    Françoise era un giovane alto, in piena forma fisica e non aveva certo paura anche perché, il pugnale che teneva assicurato alla fodera dello stivale e che senza falsa modestia usava con discreta maestria, pensava, rappresentasse un’ottima assicurazione contro i malintenzionati che gli avessero attraversato la strada.

    Continuò a camminare senza fermarsi oltre anche se, quella sensazione di compagnia non voluta, non si voleva decidere ad abbandonarlo.

    Ancora pochi minuti e sarebbe stato davanti alla porta di casa.

    Imboccò una serie di strette stradine che gli avrebbero consentito di evitare un largo giro ma, quando fu a metà del vicolo, una figura si materializzò quasi per incanto sull’imbocco di una delle diramazioni laterali della stretta strada.

    Françoise si fermò bruscamente e scrutò con attenzione il nuovo arrivato.

    Era un uomo di una quindicina d’anni più vecchio di lui, più basso e meno robusto.

    Lunghi capelli corvini si appoggiavano sul collo di pelliccia del mantello e quando si muoveva gli stivali di pelle lucida riflettevano i deboli bagliori che inondavano la strada.

    Françoise non lo reputò una minaccia anche se la sua presenza lo metteva a disagio.

    Lo osservò rimanendo fermo ed in silenzio, lasciando scorrere i minuti , ponendosi domande a cui non seppe darsi risposta.

    Chi era quell’uomo?

    I vestiti che indossava lasciavano chiaramente intendere che non si trattasse di un poveretto e di certo la sua intenzione non poteva essere quella di tentare di rapinare Françoise.

    Fece qualche passo in avanti ma l’uomo rimase immobile al suo posto.

    Si fermò ancora ad osservarlo anche se, nonostante si fosse avvicinato, non riusciva a distinguerne chiaramente le espressioni del viso. L’uomo si era sistemato in una zona d’ombra quasi a voler impedire di essere visto chiaramente.

    Sarà forse stato lui a seguirmi da quando ho lasciato il forno? Si chiese improvvisamente Françoise.

    Ma se così fosse a che scopo?

    Cercò di valutare il da farsi e scartò senza alcun dubbio l’idea di tornare indietro, trasse un profondo respiro e si mosse deciso nella direzione della figura che intanto continuava a restare immobile.

    I sensi all’erta, Françoise pensò al coltello riposto nella fodera dello stivale decidendo di lasciarlo al suo posto, se l’uomo avesse tentato di aggredirlo anche tirando fuori un’ arma, era quasi certo di poterlo ridurre all’impotenza con il solo uso delle mani.

    Avanzò deciso, con il cuore che aveva iniziato a battere veloce e l’adrenalina che gli aguzzava i sensi.

    La rapidità con cui l’uomo si mosse sorprese e disorientò Françoise che percepì solo la forza delle mani che l’afferrarono scaraventandolo contro il muro.

    Il dolore dell’urto gli ricordò quello provato un paio d’anni prima quando era caduto dalle scale picchiando forte la schiena contro il pavimento ma, nonostante questo, cercò di rialzarsi più in fretta che poteva.

    Furente si avventò contro la figura che, senza scomporsi, neutralizzò il suo attacco facendolo rotolare rovinosamente ancora una volta sulla strada umida di brina.

    La mano di Françoise corse veloce a cercare il manico del pugnale che strinse forte estraendolo dallo stivale.

    « Scoprirai di aver scelto l’uomo sbagliato per i tuoi giochetti pagliaccio » gridò all’uomo con la voce carica di rabbia, « …e quando ti pianterò il mio coltello fra le costole rimpiangerai di averlo fatto » .

    Caricò a testa bassa, con i muscoli delle braccia che parevano dover scoppiare tanto erano tesi e, con le mascelle serrate come una tagliola, pregustò il momento in cui avrebbe colpito quel buffone facendogli pagare il conto per la sua arroganza.

    L’uomo si mosse con l’agilità e la delicatezza di una ballerina mandando ancora una volta a vuoto il suo attacco che si concluse, trascinato dallo slancio, contro le vecchie pietre coperte di muschio di uno dei muri del vicolo.

    Françoise si girò pronto ad attaccare ancora ma, una presa ferrea gli imprigionò i polsi, e la faccia divertita dell’uomo con cui stava lottando era ora ad una manciata di centimetri dalla sua; poteva sentire l’odore acido del suo respiro e fissare i suoi occhi neri che parevano non riflettere alcuna luce.

    Non riusciva a muoversi e rimase a fissare l’oscurità di quegli occhi per istanti che parvero eterni fino a quando il rumore dell’osso del suo polso che si spezzava ed un dolore atroce che lo costrinse ad abbandonare il coltello, non lo riportarono alla realtà.

    Il dolore si diffuse in tutto il corpo come le diramazioni maligne di un lampo esploso con tutta la sua potenza ed i sensi parvero abbandonare Françoise mentre il suo aggressore continuava a fissarlo con un sorriso divertito che gli galleggiava sulle labbra.

    Abbandonato a se stesso, senza più il sostegno delle mani che gli serravano i polsi, cadde percependo a malapena il dolore dell’urto del suo corpo sul selciato e quando poggiò il viso sulla strada umida il freddo lo risvegliò parzialmente.

    Dal suo stato di semi- incoscienza vedeva e sentiva come accade talvolta nei sogni e tutto pareva fluttuare perdendo e riguadagnando consistenza. L’uomo si inginocchiò accanto a lui e gli accarezzò il viso spostandogli i capelli in modo da liberargli l’orecchio.

    Cominciò a parlargli in tono delicato e Françoise colse il significato delle sue parole pur avendo la sensazione che giungessero da un punto imprecisato del mondo.

    «Stanotte avresti dovuto morire mio giovane amico, perché questo era il destino che ti avevo riservato ma, la tua ostinazione ed il tuo coraggio nell’affrontare un pericolo sconosciuto e la generosità con cui hai donato ogni tua singola energia senza arrenderti anche quando l’esito della battaglia era ormai scontato mi hanno, mio malgrado, costretto a rivedere i miei piani».

    Parlava, ed intanto Françoise sentiva la sua mano accarezzargli la fronte.

    «…La morte ha abbandonato il tuo capezzale amico mio anche se, a dire il vero, vi sarà lo stesso una morte ed una rinascita per te stanotte visto che ho deciso di regalarti il tempo».

    Il dolore fu tremendo, molto più intenso di quello che aveva provato quando il suo polso si era spezzato, ebbe l’impressione che qualcuno gli versasse nel ventre metallo fuso e le urla con cui avrebbe voluto gridare il suo dolore gli morirono in gola senza che potesse emettere alcun suono.

    Ebbe appena il tempo di pensare che stava morendo prima che la sua coscienza si spegnesse precipitandolo nell’oscurità.

    La strada lastricata di sassi si arrampicava lungo la collina ed il ragazzo la risaliva a passo deciso assorto nei suoi pensieri.

    Muri di pietre a secco la costeggiavano a tratti e più di una volta Françoise aveva interrotto la marcia, girandosi di scatto a controllare guardingo nella direzione da cui strani fruscii avevano attirato la sua attenzione.

    Aveva aspettato ogni volta in silenzio, quasi trattenendo il fiato, fino a che non si era accertato che i fruscii erano solo il risultato della fuga precipitosa delle lucertole intente a godersi il tepore del sole della primavera inoltrata, e che il suo incedere rumoroso aveva spaventato a tal punto da costringerle a rifugiarsi nelle crepe del muro fino a che il pericolo non fosse passato.

    Strappò un filo d’erba e se lo mise in bocca continuando a risalire la strada, fino a che non raggiunse un punto da dove si godeva una vista quasi completa della piccola vallata che si stendeva ai piedi della collina.

    Dapprima piegò la testa all’indietro e l’azzurro del cielo in cui le rondini volavano altissime gli diede quasi le vertigini, poi abbassò lo sguardo ed indugiò a lungo sulle case del piccolo paese e sul campanile della chiesa persa in mezzo al rosa degli alberi di pesco. Sospirò e pensò che solo un grande artista come Dio avrebbe potuto creare qualcosa di così magnifico.

    Stava recandosi a casa dei suoi nonni e pregustava il momento dell’arrivo e della merenda che gli sarebbe stata offerta che, pensò, avrebbe ripagato ampiamente la scarpinata necessaria per poterci arrivare.

    Una nuvola oscurò il sole ed un ombra innaturale spense i colori e la luce di quella magnifica giornata.

    La percezione che stesse per accadere qualcosa di strano e terribile emerse dalle profondità della sua anima come una bolla d’aria che risale verso la superficie e quando la raggiunse la paura aveva ormai preso il posto dell’allegria che gli aveva tenuto compagnia fino a pochi istanti prima.

    Rimase in silenzio nell’oscurità che pareva aumentare e quando sollevò gli occhi al cielo la nuvola non c’era più ed il sole era un disco nero e senza luce.

    I sensi all’erta rimase immobile rendendosi conto che il silenzio era assoluto.

    Il garrire delle rondini ed il frinire dei grilli era scomparso, persino il vento pareva aver smesso di soffiare.

    Sentiva solo il TUM TUM del suo cuore e nient’altro.

    Il rumore di alcuni sassi che cadevano dal muro che fiancheggiava la strada alla sua destra lo fece girare di scatto, ancora lucertole, pensò.

    Altri sassi, piano piano, venivano smossi ed il rumore, lentamente, diventava più forte.

    Era sul punto di darsela a gambe quando il muro si squarciò.

    Le pietre parvero esplodere e quelle più grosse rotolarono fragorosamente lungo la discesa di terra battuta mentre Françoise si riparava alla meglio il viso con le braccia dalla pioggia di pietrisco.

    Quando abbassò le braccia e riaprì gli occhi rimase paralizzato.

    Dallo squarcio nel muro un serpente enorme stava lentamente scivolando sulla strada. Era nero come la pece e le scaglie che lo ricoprivano riflettevano debolmente la poca luce rimasta.

    Fissava Françoise con due occhi di un giallo intenso mentre lento ma inesorabile si muoveva verso di lui.

    Devo scappare, …devo scappare si ripeteva senza riuscire a trovare nemmeno la forza di gridare e quando finalmente le sue gambe si decisero ad ubbidirgli di nuovo era ormai troppo tardi.

    La bestia guizzò in avanti e gli afferrò forte il collo nelle possenti mascelle piantandogli gli enormi denti nella carne.

    Si rizzò a sedere sul letto madido di sudore con gli occhi sbarrati mentre sua madre ed il medico tentavano di tenerlo fermo e di rassicurarlo.

    Quando finalmente capì dov’era realizzò che l’orribile serpente che voleva divorarlo era solo un sogno e sfinito si abbandonò senza forze nel suo letto alla ricerca di po’ di pace.

    Seguirono giorni in cui il ricordo di ciò che era accaduto continuò a perseguitare Françoise.

    Durante la veglia sobbalzava ad ogni minimo rumore come un bimbo spaventato che aspetti l’apparire di orrendi mostri, figure mostruose che la sua mente materializzava in ogni angolo in ombra della sua casa, negli armadi, e in ogni minuscolo ripostiglio ove potessero trovare rifugio e aspettare.

    Li immaginava pazienti, acquattati nella semioscurità, con i denti aguzzi semiscoperti atteggiati in un grottesco sorriso e piccole strisce di bava che gli colavano sul mento, in attesa, pronti a scivolare fuori dal loro nascondiglio per divorarlo.

    La notte era addirittura peggio, indifeso nel sonno, alla mercé di incubi che lo inghiottivano come gorghi trascinandolo nelle profondità di un inferno fatto di visioni orrende.

    Ne riemergeva in apnea, affamato d’aria, quasi soffocato dal peso di quelle brutture, lottando disperatamente per rimanere sveglio e non tornare in quel luogo senza luce ma senza alcun successo.

    Tutto questo più e più volte ogni singola notte ed alla fine era davvero come se qualcosa lo stesse divorando.

    In poche settimane, nonostante le cure amorevoli di sua madre, era dimagrito vistosamente ed il viso un tempo piacente era ora scavato e pallido. Gli occhi spiritati e cerchiati di nero sovrastavano gli zigomi che la perdita di peso aveva messo in evidenza in

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