La nostra energia: Una storia sostenibile
Di Marco Grassi
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Anteprima del libro
La nostra energia - Marco Grassi
Prefazione
La prima emozione che ho provato quando il mio collega Marco mi ha chiesto di scrivere la prefazione del suo nuovo libro La nostra energia
è stata un forte senso di orgoglio. Non è certo una cosa comune scrivere le prime parole di un libro. E non è certo una cosa comune avere in azienda colleghi come Marco, un professionista completo e un perfetto rappresentante di varietà e creatività
, un ingegnere scrittore, che coniuga in maniera perfetta le sue due passioni, apparentemente così distanti, ma sostanzialmente così vicine.
Inoltre, quello per cui Marco mi ha reso orgoglioso è il fatto di aver scelto il tema dell’energia, il nostro business, come tema principale della sua storia. Garantire energia pulita e creare un futuro più verde è la nostra mission, il nostro purpose. E non è solo un tema che appartiene a noi come azienda, è una sfida per tutta l’umanità. Avere tra le mani una storia così speciale che tratta di un argomento così importante in un’accezione positiva e lungimirante mi riempie ancora di più d’orgoglio.
Sin dalle prime pagine, mi sono sentito profondamente legato a questo libro. In uno scenario attuale di profonda crisi energetica, la domanda che continuiamo a farci giorno dopo giorno è come creare un futuro energetico più sostenibile per tutti. La nostra energia
ci offre un’immagine positiva di come il futuro potrebbe disegnarsi e lo fa grazie ad Amelie, una donna coraggiosa, che sente propria la missione di guidare la transizione energetica, e lo fa con tutta la sua energia. Amelie è una persona normale, una come me, come te, come Marco. E’ una persona che però non si arrende mai, che persegue con passione il suo obiettivo per un futuro visibilmente migliore. Mi piace Amelie perché ci insegna una lezione importante: tutti noi possiamo fare la differenza. Il NOI
può fare la differenza rispetto all’io
.
Tuttavia, Amelie non si ferma qui. Discute anche con il lettore dei suoi sentimenti, della felicità e di come una vita propositiva è la chiave per essere felici, da soli ma ancora di più con gli altri.
Un romanzo stimolante e lungimirante, che ci ricorda come tutti possiamo fare la nostra parte per costruire un futuro migliore, più verde e più felice. È possibile ed è bello ricordarcelo.
Buona lettura!
Frank Meyer
CEO E.ON Italia
Prologo
Le sei del mattino di un venerdì di dicembre alla stazione. Gente che va e che viene. Naso all’insù a cercare di capire dal tabellone luminoso il binario del treno da prendere. Fermarsi poi a bere un caffè. Controllare mille volte il biglietto, salire a bordo della carrozza e finalmente lo stridore delle rotaie del convoglio in partenza, come prima traccia della playlist di questo nuovo viaggio.
Solo il cielo sa quanti treni ho preso in vita mia! Viaggiare in treno ti costringe a osservare quello che scorre fuori dal finestrino; stimola la tua curiosità, la tua voglia di conoscere e ti prepara a vivere le novità della vita, come quella che stavo per affrontare: l’invito a partecipare a una riunione fuori sede del Board.
Mi immaginavo già lì, a discutere animatamente con tutti i membri del consiglio di amministrazione riuniti presso il Ghiacciaio Rosa, una location fantastica. Forse il posto più iconico d’Europa, simbolo dell’impegno profuso da tutti noi per salvare il pianeta nel corso di questi ultimi dieci anni.
Durante l’incontro, avrei dovuto riferire in merito al dossier Nazioni Unite che mi era stato appena affidato. Sul tablet la bozza del discorso che avrei tenuto alla conferenza ONU dell’energia e del clima. L’avevo consumato quel testo, tanto lo avevo letto per assicurarmi che ogni parola potesse suonare come un mondo nuovo che si schiudeva nel Pecha Kucha più importante della mia vita.
Che ridere. E pensare che per lungo tempo i colleghi mi avevano fatto credere che Pecha Kucha fosse l’espressione per indicare un tipico piatto giapponese. Per non parlare di John, il mio capo, e del suo Amelie, noi della comunicazione dobbiamo usare parole semplici come gli ingredienti del Pecha Kucha
ripetuto almeno un milione di volte. E scoprire per puro caso a un corso di cucina che non c’entrava nulla con la gastronomia e che si trattava solamente di un modo di dire, sempre giapponese, sul chiacchierare del più e del meno
.
Le burle da parte dei miei colleghi erano all’ordine del giorno e non me ne dispiaceva, del resto avevo a che fare più che con un team di lavoro con una famiglia, scherzosa e divertente.
Tuttavia, non riuscivo a comprendere il motivo della mia chiamata a rappresentare l’azienda all’ONU. Certo ero stata scelta, in una votazione aperta dalla stragrande maggioranza dei colleghi, e ciò non mi faceva altro che piacere, ma c’erano decine di figure in azienda più qualificate di me. A ogni modo, l’idea di recarmi, tra meno di una settimana a New York, cominciava a non dispiacermi affatto. Nel periodo natalizio la Grande Mela è suggestiva come poche altre città al mondo. Da esserci senza se e senza ma.
Chiusi il tablet e lo riposi nella parte più inaccessibile dello zaino, era giunto il momento di concedersi una pausa dai pensieri di lavoro. Il viaggio lo meritava. Si stava transitando per le campagne alle porte di Verona con le sue colline e i vigneti visibili in lontananza. E con un’intensa ondata di serenità che mi colpiva, alimentata dai riflessi di una luminosità dorata che filtravano dal finestrino.
A un tratto, il grande specchio azzurro del lago di Garda a catturare l’attenzione mia e degli altri passeggeri. Era come un pezzetto di mare, uno zaffiro prezioso incastonato nella chiostra delle montagne.
Giunta alla fermata di Verona Porta Nuova, con pacchi, borse, valige, passeggini, i viaggiatori abbandonarono la mia carrozza. Rimasi sola. Ma lo fui per poco. Apparve un signore all’ingresso dello scompartimento. Con passo lento, ma determinato mi si stava avvicinando. Si sedette di fronte a me. L’uomo mi mostrò il suo biglietto: era il posto assegnatogli. Che sfortuna! Addio comodità nel distendere le gambe. Trattenni a stento una smorfia di disappunto ma non potei lasciarmi sfuggire un sorriso. Quel signore assomigliava a Babbo Natale: con una candida barba bianca, occhialini sul naso e uno strano zaino di colore rosso, era proprio lui.
«Buongiorno» lo salutai prontamente.
«Buongiorno mi chiamo Claus». Nulla, scoppiai a ridere: avevo davanti a me Santa Claus!
Cercai di riprendermi: «Piacere sono Amelie» feci porgendogli la mano.
«Amelie, bel nome. Le volevo chiedere, se posso…».
«Prego».
«Quante fermate mancano per il Polo Nord?».
Questa volta mi incupii, aveva colto il motivo della mia ilarità restituendomi il colpo. Abbassai lo sguardo.
«Ah, ah, ah… scherzavo. Volevo sapere quante fermate mancano per Trento» riguadagnò la mia attenzione.
Fui sollevata. «Cinque, comunque io mi fermo a quella prima e l’avverto».
«Grazie molto gentile, lei è un’alpinista?» domandò Claus indicando la piccozza fissata al mio zaino.
«Oh no, non so neanche perché l’abbia portata. Si tratta solo di una gita aziendale».
«Bene, dove andate di bello?».
«Al Ghiacciaio Rosa».
«Fantastico. È la prima volta che ci va?».
«Sì» non esitai a soddisfare la sua curiosità.
«Appena lo avrà davanti non si dimentichi di esprimere un desiderio. Mi raccomando. Anzi è