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... e se la pecora nera fossi io?
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E-book267 pagine2 ore

... e se la pecora nera fossi io?

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Info su questo ebook

Stiamo osservando i buchi nelle braccia di quella donna al supermercato.

Abbiamo paura di quello sguardo violento in mezzo alla gente.

Stiamo condannando la persona che non ha voglia di lavorare e la donna che non fa nascere i bambini. Miscredenti che litigano con Dio e donne che escono da sole, divorzio, aborto, eutanasia, razzismo; e poi pastori, frati, cristiani e musulmani, camionisti e drogati.

Infine loro, i vili e gli sfigati !

Siamo sicuri del nostro giudizio?

Siamo davvero sicuri di chi stiamo osservando? Siamo sicuri di chi stiamo allontanando?

Storie vere, solo storie vere di Pecore Nere, che ci metteranno il dubbio in ogni situazione della nostra vita...

Ogni episodio è un limite fra il giusto e lo sbagliato, fra il bene e il male, e sarete voi a decidere da che parte stare... Ma non lo darete più per scontato.

Un libro che forse non bisognava scrivere. Un libro che forse non bisogna leggere !
LinguaItaliano
Data di uscita6 mag 2020
ISBN9788831666831
... e se la pecora nera fossi io?

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    Anteprima del libro

    ... e se la pecora nera fossi io? - Marco Perino

    Shuf­fle

    - Track 9 -

    Ti­ra­ti su dai che an­dia­mo... Ma in che sta­to sei?... Dai, dai... Sve­glia... Muo­via­mo­ci !

    Era mat­ti­no pre­sto, io ero a let­to e lui era da­van­ti a me tut­to pim­pan­te; spriz­za­va ener­gia da ogni po­ro e ave­va una fac­cia che mi ri­de­va ad­dos­so in mez­zo ad ogni pa­ro­la che pro­nun­cia­va.

    Lo odia­vo!

    Tut­to que­sto non era pre­vi­sto!

    Non do­ve­va es­se­re da­van­ti a me e io avrei do­vu­to chiu­de­re la por­ta di ca­sa la se­ra pri­ma, avrei do­vu­to chiu­de­re an­che il por­to­ne la se­ra pri­ma; o era not­te? Non im­por­ta, non sa­reb­be do­vu­to en­tra­re, an­che se ci aves­se pro­va­to non avreb­be po­tu­to en­tra­re

    E poi no! Og­gi no! Que­sta vol­ta il tuo im­prov­vi­sa­re non lo vo­glio! Que­sta vol­ta un mi­ni­mo di pre­av­vi­so lo vo­le­vo!

    Lo odia­vo!

    Fer­mo... Stai zit­to... Mi gi­ra la te­sta... Mi vien da cam­par via…

    Ma co­sa ci fac­cio ve­sti­to nel let­to? An­zi, sul let­to! So­pra le co­per­te! Mi gi­ra la te­sta! Ho an­co­ra gli sti­va­li ai pie­di.

    No vaf­fan­cu­lo, che­caz­zo­vuoi, og­gi non mi muo­vo da qui !

    Dai, dai che an­dia­mo...

    Mezz’ora do­po ero su un se­di­le pas­seg­ge­ro con la te­sta che mi scop­pia­va, con una fac­cia che mi ri­de­va ad­dos­so men­tre gui­da­va.   

    Il mon­do era un bel po­sto do­ve sta­re for­se fi­no al gior­no pri­ma, ma quel­la mat­ti­na non c’era pro­prio nien­te per cui ri­de­re.

    Mi scop­pia­va la te­sta !

    Cos’era suc­ces­so la se­ra?

    Non me lo ri­cor­do !

    Di­re­zio­ne mon­ta­gna.

    Nel se­di­le die­tro, il suo ca­ne, quel ca­ne ma­le­det­to. Riu­sci­va a riem­pir­ti di pe­lo ogni co­sa che sfio­ra­va, an­che so­lo con lo sguar­do.

    Pe­lo bian­co, sot­ti­le, che sfug­gi­va all’aspi­ra­zio­ne dei più mo­der­ni aspi­ra­pol­ve­re.

    So­lo lui riu­sci­va a sve­gliar­mi peg­gio del suo pa­dro­ne, lec­can­do­mi la fac­cia do­po es­ser­si lec­ca­to le pal­le.

    Lo odia­vo ogni vol­ta che mi sve­glia­va nel mio sac­co a pe­lo blu scu­ro; per­lo­me­no lo era quan­do mi ci ero ad­dor­men­ta­to.

    Al ri­sve­glio era ri­co­per­to di pe­lo bian­co sot­ti­le con leg­ge­re sfu­ma­tu­re di blu che cer­ca­va­no la lu­ce ur­lan­do pie­tà.

    Dor­mi­va so­pra di me il ba­star­do, non sul sac­co a pe­lo chia­ro del suo pa­dro­ne di fian­co a me.

    Quel­lo che ri­de si fa chia­ma­re Trin­ca; è quel­lo che non mi ha mai re­so il li­bro sul­la vi­ta di Sting, an­che se sper­giu­ra il con­tra­rio.

    Una del­le per­so­ne più as­sur­de che si pos­sa­no in­con­tra­re, ed es­sen­do as­sur­do lui, con lui ca­pi­ta­no le co­se più as­sur­de.

    Chi di voi una se­ra d’esta­te non ha pro­va­to a dor­mi­re in spiag­gia?

    La se­ra è bel­lis­si­ma, c’è il ru­mo­re del­le on­de del ma­re; la lu­na è co­sì vi­ci­na che sem­bra vo­glia far­si ac­ca­rez­za­re; il cre­pi­ta­re di un pic­co­lo fa­lò clan­de­sti­no ali­men­ta le chiac­chie­re e lag­giù in fon­do mu­si­ca sfu­ma­ta che ar­ri­va da un lo­ca­le.

    Ti sdrai e pen­si che la vi­ta sia bel­la, che tut­ti i pen­sie­ri pos­sa­no spa­ri­re, can­cel­la­ti da un so­lo istan­te co­me que­sto in tut­to l’an­no.

    E poi ti sve­gli al mat­ti­no !

    Non hai più i ca­pel­li in te­sta.

    Hai al lo­ro po­sto un og­get­to so­li­do con una for­ma stra­na, ti­po quel­le co­se sen­za sen­so che crea­no i bam­bi­ni dell’asi­lo con la pla­sti­li­na e poi pro­va­no a ri­fi­lar­ce­li co­me ca­sa, mac­chi­na, mam­ma, pa­pà.

    Hai la fac­cia che, se non la la­vi en­tro die­ci mi­nu­ti dal ri­sve­glio, per­de­rai per sem­pre l’uti­liz­zo de­gli oc­chi, ol­tre a per­de­re i con­no­ta­ti ori­gi­na­li, la­scian­do il po­sto a cre­pac­ci.

    E, di so­li­to, il ri­sve­glio è da­to da un ti­zio che sta gui­dan­do un pu­li­sci-spiag­gia al mat­ti­no pre­sto.

    Bot­ti­glie, car­tac­ce, moz­zi­co­ni, e due stron­zi con un ca­ne !

    Ma es­sen­do as­sur­do lui, una vol­ta tut­to ciò fu di­ver­so.

    Cioè, non com­ple­ta­men­te:

    cre­pac­ci, pla­sti­li­na in te­sta, per­di­ta dei con­no­ta­ti era­no do­ve do­ve­va­no es­se­re, ma non ven­go sve­glia­to dal pu­li­sci-spiag­gia.

    Ven­go sve­glia­to da un ru­mo­re più bel­lo, no, nem­me­no quel­lo del ma­re...

    Ra­gaz­ze  !!!!

    Tan­te ra­gaz­ze, bel­lis­si­me ra­gaz­ze.

    De­ci­ne di ra­gaz­ze in­tor­no a noi, ai no­stri sac­chi a pe­lo, in­tor­no an­che al ca­ne.

    Sve­glio il mio ami­co. Si guar­da in­tor­no apren­do la boc­ca dal­lo stu­po­re.

    Ci di­cia­mo... Sia­mo in pa­ra­di­so!...

    E una vo­ce fuo­ri cam­po…

    No, non sie­te in pa­ra­di­so! Ci so­no le se­le­zio­ni di Miss Ita­lia, do­ve­te to­glier­vi dal caz­zo voi due

    Do­po un po’ di sto­rie di que­sto ti­po sa­re­ste sa­li­ti an­che voi su quel­la mac­chi­na di­re­zio­ne mon­ta­gna.

    Col mal di te­sta, con lui che ri­de, col ca­ne die­tro, ed esat­ta­men­te co­me me,  non avre­ste nem­me­no chie­sto...

    Do­ve in Mon­ta­gna?

    Cam­mi­nia­mo. Ogni wee­kend lui si in­ven­ta un per­cor­so nuo­vo do­ve cam­mi­na­re, un nuo­vo ri­fu­gio do­ve be­re vi­no.

    Lui è na­to per la mon­ta­gna. Io no! Ma me l’ha fat­ta ama­re, per­chè lui sa aspet­ta­re !

    Pas­so do­po pas­so mi ha in­se­gna­to il cam­mi­na­re len­to, la pau­sa per be­re da un ru­scel­lo, per al­lac­ciar­si gli scar­po­ni più stret­ti, per man­giar­si un po’ di mie­le o di cioc­co­la­ta.

    Pas­so do­po pas­so mi ha aspet­ta­to e il mio pas­so si è fat­to sem­pre più si­cu­ro.

    Sia­mo sem­pre ar­ri­va­ti al­la me­ta pre­fis­sa­ta. Da so­lo ma­ga­ri ci avreb­be mes­so due ore, con me ce ne met­te­va quat­tro, ma ar­ri­va­va sem­pre con me.

    Tran­ne una vol­ta !

    Quel­la vol­ta de­ci­se di ar­ri­va­re in ci­ma a un 3400 me­tri.

    Val­le d’Ao­sta. Non so il no­me, non me lo ri­cor­do.

    Ave­va­mo dor­mi­to in ten­da io, lui e il suo ca­ne ba­star­do.

    Sve­glia con lec­ca­ta pal­le-fac­cia. Co­la­zio­ne, e via... cam­mi­nia­mo.

    Men­tre sa­lia­mo il sen­tie­ro si fa più in­cer­to.

    Non sen­to più i miei pas­si si­cu­ri. Lui è con­vin­to, io no!

    Se ne ac­cor­ge, ral­len­ta an­co­ra di più.

    Il tut­to si fa più ri­pi­do. Mi sem­bra che ab­bia­mo per­so il sen­tie­ro prin­ci­pa­le. Il ca­ne ba­star­do, che poi si chia­ma Die­go, mi guar­da, guar­da il suo pa­dro­ne e sem­bra spa­ven­ta­to an­che lui. Si fer­ma!

    Mi fer­mo!

    Que­sta vol­ta non va­do avan­ti.

    Ho pau­ra!

    Il mio ami­co mi tran­quil­liz­za. Mi la­scia so­sta­re da so­lo co­me gli chie­do. Va avan­ti.

    Il viag­gio di ri­tor­no è più si­len­zio­so del so­li­to.

    Mi par­la, ri­de, ma io so­no as­sor­to nei miei pen­sie­ri.

    La set­ti­ma­na do­po, l’uni­ca vol­ta che è suc­ces­so, de­ci­do io do­ve si va!

    Si tor­na su !

    So­no cal­mo. Pas­so do­po pas­so. Len­ta­men­te.

    Ci fer­mia­mo a strin­ge­re i lac­ci. Len­ta­men­te.

    E an­co­ra pas­so do­po pas­so.

    Le gam­be so­no stan­che, ma so­no cal­de.

    Io non ho pau­ra.

    Il mio ami­co mi sa aspet­ta­re, cam­mi­na vi­ci­no.

    Chiac­chie­ria­mo e os­ser­via­mo la na­tu­ra far­si sem­pre più lu­na­re.

    Il suo ca­ne è con noi, non ha pau­ra.

    Ar­ri­via­mo in ci­ma!

    Su, in­con­tria­mo due per­so­ne, un gio­va­ne e un an­zia­no.

    Man­gia­mo e be­via­mo del vi­no con lo­ro.

    Non sa­prò mai co­me si chia­ma­no, ma in quel mo­men­to ave­va­mo rag­giun­to la stes­sa ci­ma e la stes­sa mon­ta­gna ce lo ave­va per­mes­so.

    La per­so­na an­zia­na si fa pas­sa­re una si­ga­ret­ta.

    Fu­mia­mo si­len­zio­si…

    …E poi scen­dia­mo...

    Du­ran­te il ri­tor­no, an­co­ra nel­la zo­na lu­na­re, in­cro­cia­mo un uo­mo. Si fer­ma! Ci chie­de quan­to man­ca! Ha un pas­so più len­to del mio ma co­stan­te, i suoi oc­chi so­no de­ci­si.

    Ar­ri­ve­rà in ci­ma an­che lui.

    Ha più di set­tant’an­ni!

    Ora, quel­lo che non mi ha mai re­so il li­bro di Sting, si è al­lon­ta­na­to, abi­ta vi­ci­no all’ocea­no.

    E’ un po­sto bel­lis­si­mo con tan­tis­si­mo ven­to.

    Ci se­pa­ra­no un pa­io d’ore d’ae­reo e non ci sen­tia­mo mai, non ce n’è bi­so­gno.

    Una vol­ta all’an­no, a vol­te ogni due o tre, sen­to suo­na­re il cam­pa­nel­lo.

    Nes­sun pre­av­vi­so e nes­sun ora­rio.

    Ci met­to sem­pre qual­che se­con­do a rea­liz­za­re che qual­cu­no stia suo­nan­do…

    Quel tan­to che ba­sta per sen­tir­lo ur­la­re…

    Mi apri o no? So­no io !

    … lui sa aspet­ta­re !

    IL CUOCO

    Io ho una so­rel­la.

    Mia so­rel­la ha, suo mal­gra­do, me co­me fra­tel­lo.

    Men­tre io con­ti­nuo im­per­ter­ri­to a riem­pi­re i car­rel­li del­la spe­sa a bir­re e pa­ta­ti­ne e a vol­te con qual­che cioc­co­la­ti­no per la cro­ce­ros­si­na di tur­no,

    lei ha già fi­ni­to per ben due vol­te di riem­pi­re il car­rel­lo dei pan­no­li­ni.

    Ha due fi­gli, un ma­ri­to e un ca­ne.

    Se muo­re il ca­ne, ne pren­de uno iden­ti­co del­la stes­sa raz­za.

    Se io va­do per due vol­te in va­can­za nel­lo stes­so po­sto ac­cu­so le fa­si lu­na­ri;

    lei ac­cu­sa le fa­si lu­na­ri se non va nel­lo stes­so po­sto in va­can­za.

    Mia so­rel­la è sta­ta la­dra!

    Fa­ce­va an­co­ra le ele­men­ta­ri che già mi ru­ba­va la col­le­zio­ne di gom­me co­lo­ra­te e le spac­cia­va al­le ami­che co­me sue.

    E lei non me l’avreb­be mai det­to, ho do­vu­to ri­ce­ve­re una sof­fia­ta dall’Ile­nia per sco­prir­lo.

    E poi mia so­rel­la è sta­ta un pi­ra­ta del­la stra­da!

    E’ riu­sci­ta a li­ma­re la car­roz­ze­ria di due mac­chi­ne e di uno scoo­ter al pri­mis­si­mo gi­ro; per­lo­me­no que­sto è quan­to vie­ne la­scia­to in­ten­de­re ai po­ste­ri.

    Se poi lei ab­bia, nel frat­tem­po, in­ve­sti­to qual­cu­no e na­sco­sto il ca­da­ve­re den­tro fu­sti di de­ter­si­vo, non ci è da­to sa­pe­re.

    E, non sap­pia­mo che mi­nac­ce ab­bia ri­ce­vu­to l’Ile­nia do­po aver det­to la fac­cen­da del­le gom­me...

    … non ha più par­la­to!

    E mia so­rel­la, se ini­zia­te a os­ser­var­la per una set­ti­ma­na di fi­la, riu­sci­te a ca­pi­re an­che il mi­nu­to esat­to in cui si al­lac­ce­rà le scar­pe per an­da­re a pren­de­re la fi­glia all’asi­lo; quan­do fa­rà ben­zi­na e do­ve, co­me pie­ghe­rà lo scon­tri­no e no­te­re­te an­che quan­do os­ser­ve­rà di sot­tec­chi qual­che bel ra­gaz­zo; in­som­ma do­po vent’an­ni con lo stes­so uo­mo!

    … e quell’uo­mo se ne ac­cor­ge, ma ri­de e fa fin­ta di nien­te.

    Mia so­rel­la, è’ mia so­rel­la !

    Il fra­tel­lo è l’uni­ca va­ria­bi­le ano­ma­la di una vi­ta tut­ta sot­to con­trol­lo.

    Ma mia so­rel­la è an­che mam­ma e, co­me mam­ma ha avu­to pau­ra per suo fi­glio per un’al­tra co­sa av­ve­nu­ta fuo­ri con­trol­lo.

    Ospe­da­le.

    E’ se­du­ta la­to mu­ro, men­tre il fi­glio è se­du­to la­to cor­ri­do­io.

    E’ una co­mu­nis­si­ma e nor­ma­lis­si­ma sa­la d’at­te­sa d’ospe­da­le in un nor­ma­lis­si­mo gior­no del­la set­ti­ma­na.

    C’è una te­le­vi­sio­ne a ca­na­le fis­so, non si può re­go­la­re il vo­lu­me né tan­to­me­no cam­bia­re ca­na­le.

    Non si al­za per an­da­re al bar se no ri­schia di li­ti­ga­re con quel­lo che è ve­nu­to do­po, quel­lo che si­cu­ra­men­te pro­ve­rà a fre­gar­le il tur­no.

    Ascol­ta i nor­ma­lis­si­mi com­men­ti di gen­te nor­ma­lis­si­ma men­tre aspet­ta, e quan­do qual­cu­no aspet­ta, si la­men­ta…

    … e se qual­cu­no si la­men­ta, mia so­rel­la è nel mez­zo!

    Poi di col­po cam­bia l’aria.

    Suc­ce­de qual­co­sa e tut­ti piom­ba­no nel si­len­zio.

    Non stan­no più guar­dan­do da­van­ti, stan­no guar­dan­do...

    Ha le ma­net­te !

    Ci so­no mol­ti agen­ti.

    Lo stan­no ac­com­pa­gnan­do a fa­re la vi­si­ta in fret­ta, qua­si cor­ren­do.

    De­vo­no pas­sa­re da­van­ti a tut­ti, è la pras­si.

    Tut­ti ini­zia­no ad aver pau­ra, è la pras­si.

    L’uo­mo ha so­lo ma­net­te al­le ma­ni, non ai pie­di.

    Mia so­rel­la ha pau­ra, pau­ra che pos­sa ti­ra­re cal­ci, che pos­sa col­pi­re il fi­glio...

    … e se so­no co­sì tan­te le guar­die, quell’uo­mo è pe­ri­co­lo­so!

    Quell’uo­mo guar­da lei, guar­da suo fi­glio...

    … E lei ha pau­ra.

    E’ tut­to mol­to ve­lo­ce

    Una guar­dia ri­ma­ne fuo­ri, tut­ti gli al­tri agen­ti en­tra­no con l’uo­mo.

    Ce lo rac­con­te­rà a ce­na sa­ba­to se­ra.

    Ec­co, que­sta co­sa ce l’ab­bia­mo in co­mu­ne, tut­ti i sa­ba­ti se­ra sia­mo a ce­na dai no­stri ge­ni­to­ri.

    Poi lei, ma­ri­to e fi­gli van­no a ca­sa…

    … e io va­do...

    A ca­sa ov­via­men­te no?

    No, non esco più co­me pri­ma.

    Noooo, ho det­to di no!

    Non be­vo più co­me pri­ma.

    Ep­pu­re, mi so­no sbron­za­to tan­te vol­te da gio­va­ne.

    C’eran le vol­te che do­po non mi ri­cor­do.

    C’eran le vol­te che poi do­po sta­vo ma­le.

    C’eran le vol­te che... Che gi­ra­va tut­to... E no... Non ber­rò mai più in vi­ta mia... Mai più... Mai più...

    Fi­no al pros­si­mo Sa­ba­to.

    Tut­te le vol­te pe­rò, tut­te le vol­te mi ri­cor­do che ri­de­vo.

    Ero con ami­ci, e con lo­ro vi­ve­vo l’era in cui si im­pa­ra an­che a co­no­sce­re il pro­prio li­mi­te, quel­lo che da gran­de ti fa­rà di­re...

    Ba­sta!... a quel bic­chie­re in più.

    E sta­vo im­pa­ran­do an­che a co­no­sce­re i li­mi­ti del mio fi­si­co, del­la mia men­te, del mio con­trol­lo.

    Aver fat­to sport da com­bat­ti­men­to per tan­ti an­ni mi ha in­se­gna­to mol­to, so­prat­tut­to ri­spet­to per l’av­ver­sa­rio, e che i pu­gni...

    … i pu­gni si ti­ra­no so­lo sul ring.

    Se qual­cu­no in un lo­ca­le mi pro­vo­ca, non ar­ri­vo al­le ma­ni.

    Io so­no for­te, io ho il con­trol­lo sui pu­gni e sul­la men­te.

    Al­zo la vo­ce, sì.

    In­sul­to, sì, ma non al­zo le ma­ni.

    Do­po i di­ciott’an­ni ho ti­ra­to un so­lo pu­gno fuo­ri dal ring.

    Ed è sta­to un pu­gno di trop­po.

    Non ero sbron­zo, an­zi, ero lu­ci­dis­si­mo, e lo ero men­tre ve­de­vo un ami­co ti­rar pu­gni a tut­te le ma­ni ap­pog­gia­te ai ta­vo­li di un lo­ca­le.

    Lui sì che era sbron­zo, e fa­ce­va ma­le; fa­ce­va ma­le a tut­ti.

    Tut­ti han pro­va­to a dir­glie­lo, ma lui con­ti­nua­va.

    Poi ar­ri­va da me; mi schiac­cia la ma­no sul ban­co­ne con un pu­gno ti­ra­to a tut­ta for­za; le di­ta con cui suo­no mi do­le­va­no, ma era an­co­ra tut­to sot­to con­trol­lo;

    poi si gi­ra ver­so di lei, e fa ma­le an­che a lei, e il con­trol­lo...

    … lo sve­glio ver­san­do­gli la bir­ra ad­dos­so !

    Gli chie­do di se­guir­mi, e fuo­ri dal lo­ca­le gli ti­ro un sin­go­lo pu­gno.

    Lui non bar­col­la, lui è mol­to for­te, pro­ba­bil­men­te po­treb­be an­che far­mi mol­to ma­le se vo­les­se.

    Ma non vuo­le. Ha ri­ce­vu­to un pu­gno da un ami­co che non ti­ra mai pu­gni a nes­su­no.

    Ca­pi­sce.

    Rien­tra e chie­de scu­sa.

    Sia­mo ami­ci an­co­ra og­gi.

    Ma è sta­to co­mun­que un pu­gno di trop­po nel mio per­cor­so per­so­na­le, do­po die­ci an­ni di guan­to­ni.

    Chi mi par­la in­ve­ce non ha ti­ra­to un pu­gno di trop­po !

    Ha la mia stes­sa età ma è mol­to più gros­so di me, mol­to più in for­ma di me, e mol­to più al­to di me.

    Un uo­mo di un me­tro e no­van­ta per cen­to­die­ci chi­li di mu­sco­li.

    Un ex pu­gi­le.

    Pu­gi­le per quin­di­ci an­ni.

    E’ il cuo­co!

    Voi do­ve­te im­ma­gi­na­re il con­tra­sto di que­sto uo­mo, al­to, gros­so, pie­no di ta­tuag­gi, te­sta ra­sa­ta, che poi ti fa as­sag­gia­re i dol­ci che ha cu­ci­na­to.

    E’ cuo­co da sem­pre; è la sua pas­sio­ne.

    E’ riu­sci­to a far di­ven­ta­re la sua pas­sio­ne un la­vo­ro, ed è bra­vo.

    Al suo pri­mo ri­sto­ran­te ne so­no se­gui­ti

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